N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 novembre 1997

                                 N. 72
  Ordinanza  emessa  il  19 novembre 1997 dal tribunale amministrativo
 regionale per l'Emilia-Romagna  sul  ricorso  proposto  da  Silvestri
 Silvio  Ignazio  contro  la  Presidenza del Consiglio dei Ministri ed
 altro
 Giustizia amministrativa - Consiglio di  presidenza  della  giustizia
    amministrativa  -  Composizione  - Lamentata assenza di componenti
    laici e prevalenza dei magistrati del Consiglio di Stato a scapito
    dei magistrati  di  T.A.R.  -  Irragionevole  discriminazione,  in
    relazione  alla rappresentativita' nell'organo di autogoverno, tra
    magistrati appartenenti alla stessa giurisdizione - Incidenza  sui
    principi   di   imparzialita'  e  buon  andamento  della  pubblica
    amministrazione, di indipendenza ed autonomia  delle  magistrature
    speciali  e  della  distinzione  dei giudici soltanto in base alla
    diversita' di funzioni.
 (Legge 27 aprile 1982, n. 186, art. 7, comma 2).
 (Cost., artt. 3, primo comma, 97, primo comma,  101,  secondo  comma,
    107, terzo comma e 108, secondo comma).
(GU n.8 del 25-2-1998 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del
 19 novembre 1997;
   Visto il ricorso n. 1972/97, proposto da Silvestri Silvio  Ignazio,
 rappresentato  e  difeso  dall'avv. Giuseppe Barone, ed elettivamente
 domiciliato in Bologna, Strada Maggiore, 53, c/o  la  segreteria  del
 tribunale   amministrativo   regionale;   contro  la  Presidenza  del
 Consiglio dei Ministri, e  il  Presidente  del  Consiglio  di  Stato,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura distrettuale dello Stato ed
 elettivamente  domiciliato  in  Bologna,  via   G.   Reni,   4;   per
 l'annullamento,  previa  sospensione dell'esecuzione, del decreto del
 Presidente del Consiglio di Stato in data 18  luglio  1997  (Gazzetta
 Ufficiale  n. 185 del 9 agosto 1997), di indizione delle elezioni per
 il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa
 per il 30 novembre 1997;
   Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
   Vista la domanda di sospensione della esecuzione del  provvedimento
 impugnato, presentata in via incidentale da parte ricorrente;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  del  Presidente  del
 Consiglio di Stato;
   Designato relatore il consigliere dott. Aldo Scola;
   Udito l'avv. Paolucci dell'Avvocatura distrettuale di Stato;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Il dott. Silvio Ignazio Silvestri, magistrato in servizio presso il
 tribunale amministrativo regionale Emilia-Romagna - sede di Bologna -
 sezione I,  con  ricorso  ritualmente  notificato,  ha  impugnato  il
 decreto  del  Presidente  del  Consiglio  di Stato 18 luglio 1997 (in
 Gazzetta Ufficiale 9 agosto 1997, n. 185) di indizione delle elezioni
 per  il  rinnovo  del  Consiglio  di   presidenza   della   giustizia
 amministrativa, fissate per il 30 novembre 1997.
   Nel ricorso si chiede la sospensione del provvedimento impugnato ex
 art. 21, legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
   La parte ricorrente espone:
      che  il  10 aprile 1997 i sei membri effettivi ed uno dei membri
 supplenti del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa,
 eletti in rappresentanza dei magistrati dei tribunali  amministrativi
 regionali,   hanno   rassegnato   le   dimissioni   "denunciando   la
 impossibilita' dell'organo di funzionare  correttamente,  considerata
 la sua anomala costituzione";
     che,  con  decreto  3  luglio  1997  il  Ministro  della funzione
 pubblica, delegato dal Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  ha
 provveduto alla sostituzione dei dimissionari;
     che  con  l'impugnato  decreto  18 luglio 1997 si sono indette le
 elezioni per il rinnovo dell'organo "in relazione alla  scadenza  per
 compiuto triennio dell'attuale Consiglio di Presidenza".
   Nel   ricorso   si   denuncia  la  illegittimita'  di  tale  ultimo
 provvedimento quale conseguenza della incostituzionalita' delle norme
 che  regolano  la  composizione  del  Consiglio  di  Presidenza.   Si
 denuncia,  quindi:  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della
 legge 27 aprile 1982, n. 186, per violazione degli artt. 3, 97,  101,
 secondo  comma,  107,  terzo  comma,  e  108,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
   L'Avvocatura  dello  Stato  nel  controricorso  depositato  il   10
 novembre  1997  ha eccepito l'inammissibilita' del gravame, ritenendo
 non provata l'esistenza dell'interesse ad agire in  capo  alla  parte
 ricorrente,  non essendo stato prospettato alcun fatto che, in virtu'
 dell'attuale composizione  del  Consiglio  di  presidenza,  abbia  in
 concreto  inciso sulla sfera giuridica della parte ricorrente stessa;
 l'Avvocatura ha poi sostenuto  la  inammissibilita'  per  difetto  di
 rilevanza della questione di costituzionalita', con correlata carenza
 di interesse al ricorso.
   Quanto    ai    profili    di    incostituzionalita'   prospettati,
 l'Amministrazione  conclude,  comunque,   per   la   loro   manifesta
 infondatezza.
                             D i r i t t o
   I)    Preliminarmente  -  ed inevitabilmente - questo collegio deve
 d'ufficio  farsi  carico  del   problema   attinente   alla   propria
 legittimazione  a  giudicare  sulla vicenda in esame, poiche' a prima
 vista  i  suoi  tre  componenti  potrebbero  sembrare  -  in   quanto
 magistrati del tribunale amministrativo regionale la cui associazione
 di categoria (A.N.M.A.), per di piu', proprio in questo periodo e' in
 stato  di  agitazione  ed ha proclamato l'astensione dalle udienze di
 merito (tra l'altro, per  motivi  simili  a  quelli  qui  prospettati
 dall'attuale  parte  ricorrente)  -  tutt'altro  che indipendenti nel
 giudizio o imparziali nelle valutazioni di fatti e circostanze.
   D'altra parte,  e'  appena  il  caso  di  osservare  che  una  tale
 inquadratura  proverebbe  troppo,  poiche'  -  accettando un siffatto
 principio - si finirebbe inesorabilmente con il non trovare in  alcun
 modo un giudice competente e legittimato, sia in prima istanza che in
 appello, anche se - ipotizzabilmente - per ragioni contrapposte.
   E  cio' indipendentemente dal fatto che i magistrati amministrativi
 de quibus  abbiano  partecipato  o  intendano  partecipare  (o  meno)
 all'agitazione  proclamata  dalla  loro  associazione  di  categoria,
 innanzitutto perche' nessuno puo' essere costretto a  prendere  o  no
 parte  ad una simile iniziativa in una udienza di merito o nell'altra
 (per cui chi non vi abbia aderito in una occasione  potrebbe  volerlo
 fare  nella  successiva  - sempre per le stesse ragioni - magari dopo
 essersi gia' pronunciato su di una vicenda come quella  in  esame)  e
 poi  perche',  comunque, tutti i magistrati - scioperanti o meno - ne
 risentirebbero un  effetto  indiretto  o  riflesso,  come  e'  facile
 immaginare.
   Dunque, non potendosi accettare una conclusione come quella per cui
 dovrebbe "mancare il giudice", in aperto contrasto con gli artt.  24,
 103  e  113,  della Costituzione (per i quali "un giudice deve sempre
 esserci"), e non essendo ipotizzabile  un  obbligo  generalizzato  di
 astensione (art. 51, c.p.c.), trattandosi di un rimedio applicabile a
 singoli   casi  (come  la  giurisprudenza  amministrativa  ha  spesso
 statuito in vertenze attinenti a problemi retributivi prospettati  da
 magistrati),  non resta che concludere riaffermando la piena e sicura
 legittimazione a giudicare di questo collegio e di ciascuno dei  suoi
 componenti, fino a prova contraria.
   Tanto  premesso,  puo'  ora  passarsi all'esame della questione sub
 judice.
   II)   La parte ricorrente, magistrato  amministrativo  in  servizio
 presso il tribunale amministrativo regionale di Bologna, ha impugnato
 -  chiedendo  contestualmente  la  sospensione  dell'atto ex art. 21,
 1egge 6 dicembre 1971, n.  1034  -  il  decreto  del  presidente  del
 Consiglio di Stato 18 luglio 1997 (in Gazzetta Ufficiale n. 185 del 9
 agosto 1997) di indizione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio
 di  presidenza  della  giustizia amministrativa. Il decreto impugnato
 sarebbe  illegittimo  -  secondo  la   prospettazione   della   parte
 ricorrente  -  per  effetto della illegittimita' costituzionale della
 norma di legge (art. 7, secondo comma, legge 27 aprile 1982, n. 186),
 che  fissa  la  composizione   dell'organo   di   autogoverno   della
 magistratura amministrativa come segue:
     1) il presidente del Consiglio di Stato, che presiede;
     2)  i  due  presidenti  di  sezione  del  Consiglio di Stato piu'
 anziani nella qualifica, in servizio presso il Consiglio di Stato;
     3) quattro consiglieri di Stato in servizio presso  il  Consiglio
 di Stato;
     4)  sei  magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi
 regionali;
     5) due consiglieri in servizio presso il Consiglio di  Stato  con
 funzioni di supplenti dei componenti di cui al precedente n. 3);
     6)  due  magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi
 regionali  con  funzioni  di  supplenti  dei  componenti  di  cui  al
 precedente n. 4).
    III)    Il  Collegio rileva che il decreto impugnato (di indizione
 delle elezioni per il rinnovo dell'organo di autogoverno) e' il primo
 ed essenziale atto del procedimento di formazione dell'organo, la cui
 composizione  e'  regolata  da   norma   che   sarebbe   affetta   da
 incostituzionalita'.
   Osserva  innanzi  tutto  il  Collegio  che  il  giudice,  anche nel
 giudizio cautelare, e' tenuto ad assicurare  le  garanzie  di  tutela
 giurisdizionale   secondo  i  principi  di  cui  all'art.  24,  della
 Costituzione, in quanto "ogni situazione giuridica deve poter trovare
 un  suo  momento  cautelare,  che  va  raffigurato  come   componente
 essenziale della stessa tutela".
   La  effettivita',  poi,  della  tutela  cautelare  ben  puo' essere
 realizzata "anche mediante strumenti diversi ed ampiamente  eccedenti
 la   pura   e  semplice  paralisi  degli  effetti  formali  dell'atto
 impugnato"  e  fra  tali  strumenti  vanno  ricomprese  le  pronuncie
 "costitutive,   certificative,  dichiarative  di  obblighi  a  carico
 dell'Amministrazione",   ove   considerate    necessarie    per    la
 realizzazione  della  tutela  giurisdizionale  della  fase  cautelare
 (Cons. St., Ad. pl., 1 giugno 1982, n. 6). D'altra parte,  la  stessa
 Corte  costituzionale  riconosce  adeguate  le possibilita' di tutela
 cautelare "in fase di sempre piu' incisiva espansione, in  un  ambito
 di   esclusiva   pertinenza   del   giudice   amministrativo"  (Corte
 costituzionale, ordinanza 21 luglio 1988, n. 867).
   Tutto cio' consente al  Collegio  di  ritenere  che,  anche  se  la
 pronuncia  della  Corte  costituzionale interviene dopo la data delle
 elezioni di cui trattasi (fissate  per  il  30  novembre  1997),  non
 verrebbe  meno  in  ipotesi l'interesse alla pronuncia cautelare, ne'
 mancherebbero, se del caso, al giudice che  dovra'  pronunciarsi  gli
 strumenti per assicurare la giusta tutela.
   IV)    Circa  la  ricorrenza nel caso dei presupposti per la tutela
 cautelare secondo l'art. 21, legge n.  1034  del  1971,  il  Collegio
 osserva  in  via  di  principio che il danno grave ed irreparabile va
 valutato anche in relazione alla gravita' della  illegittimita'  che,
 in  ipotesi,  vizierebbe  l'atto  impugnato.  Nel  caso,  il  decreto
 impugnato subirebbe, in ipotesi, un vizio di legittimita' di  massimo
 livello, quale atto di un procedimento per la formazione di un organo
 elettivo  regolato  da  una norma di cui si denuncia il contrasto con
 principi costituzionali.
   Il Collegio e', poi, dell'avviso che  lo  svolgimento  di  per  se'
 delle  elezioni,  con  il conseguenziale insediamento di un Consiglio
 non correttamente rappresentativo - secondo la tesi di parte -  della
 categoria  cui appartiene la parte ricorrente, e' idoneo ad integrare
 un danno  grave  ed  irreparabile  nella  sfera  professionale  della
 medesima.    Infatti,  la  giusta  rappresentativita' in un organo di
 autogoverno e'  valore  determinativo  dello  status,  cioe'  di  una
 situazione  soggettiva  che  e'  preliminare  e precedente rispetto a
 qualunque altro interesse.
   Va, infine, considerato, a  ragionevole  sostegno  della  immediata
 lesivita'  del  decreto  di  indizione  delle  elezioni,  che momento
 assolutamente preminente del procedimento  e'  proprio  quello  delle
 elezioni,  quale espressione del diritto di liberta' a concorrere con
 il voto alla formazione di un organo a composizione valida secondo la
 Costituzione, rimanendo i successivi provvedimenti (di  nomina  degli
 eletti e di insediamento) al livello di atti meramente conseguenziali
 e vincolati.
   Peraltro,  nel  caso, il Collegio, in un ponderato bilanciamento di
 ogni interesse, non reputa sufficiente ad integrare un adeguato fumus
 boni  iuris  la  sola  ritenuta  non  manifesta  infondatezza   delle
 questioni  di  costituzionalita'  prospettabili,  ma ritiene di dover
 acquisire quanto puo' trarsi da una preliminare pronuncia della Corte
 costituzionale sulle stesse.
   Da tutto cio', a giudizio del Collegio,  la  rilevanza  diretta  ed
 immediata,  per  la  fase  della tutela cautelare, della questione di
 costituzionalita' dell'art. 7, secondo comma, legge n. 186 del  1982;
 infatti la caducazione - in ipotesi - di tale norma comporterebbe che
 non  vi  sarebbe  luogo del tutto per il procedimento di elezione dei
 componenti per il Consiglio di presidenza nella composizione  per  la
 quale e' preordinato il decreto 18 luglio 1997 impugnato.
   V)    La  parte  ricorrente constata che il Consiglio di presidenza
 della  giustizia  amministrativa  e'  l'unico  fra  gli   organi   di
 autogoverno  della  magistratura formato esclusivamente da componenti
 "togati".  Cio' farebbe dubitare - secondo la ricorrente - "della sua
 effettiva capacita', in assenza di qualsiasi  controllo  esterno,  di
 garantire la reale indipendenza della magistratura".
   Osserva il Collegio che per la magistratura, quale "ordine autonomo
 ed  altro indipendente da ogni altro potere", la presenza nell'organo
 di autogoverno di componenti esterni ("laici") e' di valore e rilievo
 costituzionali (art. 104 della Costituzione).
   La presenza di componenti laici appare  valore  costituzionale  non
 tanto   in   relazione   ad   una  garanzia  dell'indipendenza  della
 magistratura, quanto piuttosto quale sistema "aperto all'esterno"  in
 funzione  del  buon  andamento  e  dell'imparzialita' di un organismo
 amministrativo di autogoverno.
   Tale principio e' ormai da tempo attuato sia  per  la  magistratura
 ordinaria  che  per  quella  contabile, come pure per la magistratura
 militare (art. 1, legge 30 dicembre 1988, n. 561). A ben  vedere,  e'
 attuato  anche nel Consiglio di presidenza della giustizia tributaria
 (art. 17,  d.lgs.31  dicembre  1992,  n.  545),  tenuto  conto  della
 molteplicita'  di  provenienza  dei  giudici  (artt.  4  e 5, decreto
 legislativo citato).
   Tanto  basta,  ad   avviso   del   Collegio,   per   ritenere   non
 manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' dell'art.
 7,  secondo comma, legge n. 186 del 1982, per contrasto con gli artt.
 3 e 97, della Costituzione, nella parte in cui  non  e'  prevista  la
 presenza  di  componenti  "laici"  nell'organo  di  autogoverno della
 giustizia amministrativa, in relazione al principio di  cui  all'art.
 104, quarto comma della Costituzione.
   VI)  Prospetta  la  parte  ricorrente,  quale  ulteriore profilo di
 incostituzionalita', che l'organo di autogoverno  della  magistratura
 amministrativa  sarebbe  l'unico  la cui composizione non si basa sul
 criterio della rappresentativita' dei  magistrati  appartenenti  alla
 giurisdizione, ma su un criterio "gerarchico", che contrasterebbe con
 il  principio  costituzionale  secondo  cui  i  giudici sono soggetti
 soltanto alla legge e si distinguono fra loro solo per diversita'  di
 funzioni.
   Il  "peso"  del Consiglio di Stato - continua la parte ricorrente -
 presente  nel  Consiglio  di  presidenza  con  sette  componenti  (il
 presidente  del  Consiglio di Stato, i due presidenti di sezione piu'
 anziani e quattro consiglieri,  risulta  preponderante  al  punto  da
 rendere   aprioristicamente  condizionabile  il  governo  dell'intera
 magistratura amministrativa da parte del Consiglio  di  Stato,  cioe'
 della  sua  componente  minoritaria, essendo circa cento i magistrati
 del  Consiglio  di  Stato,  a  fronte  dei  trecento  dei   tribunali
 amministrativi).
   Tale  situazione di prevalenza e di governo avverrebbe, inoltre, ad
 opera di una componente  per  la  quale,  oltre  tutto,  le  funzioni
 giurisdizionali   non   sono   le   uniche   svolte   e   quelle  non
 giurisdizionali  tra  l'altro  determinano  "vicinanza"   al   potere
 esecutivo,  i  cui  atti  sono sindacati proprio da tale magistratura
 amministrativa.  Si  riferisce  la  parte  ricorrente   all'attivita'
 consultiva  prestata  a  favore  delle Amministrazioni ed anche sugli
 schemi di atti normativi,  nonche'  allo  "storicamente  massiccio  e
 sistematico   affidamento   a   consiglieri  di  Stato  di  incarichi
 ministeriali ..... (capo  di  gabinetto,  capo  ufficio  legislativo,
 consulente giuridico, ecc.), nonche' al normale espletamento da parte
 dei   medesimi   di  una  serie  di  altri  compiti  extra-giudiziari
 nell'interesse delle amministrazioni".  L'Amministrazione  resistente
 oppone  che  il disegno costituzionale (art. 100, della Costituzione)
 apparirebbe indirizzato a segnare una differenza di  funzioni  fra  i
 tribunale  amministrativo regionale ed il Consiglio di Stato; che non
 vi sarebbe unificazione  sotto  il  profilo  del  ruolo  fra  le  due
 categorie  di  magistrati;  che  ogni  profilo di incostituzionalita'
 sarebbe manifestamente infondato.
   Osserva il Collegio che il  Consiglio  di  Stato  e'  inserito  nel
 Titolo  III  "Il  Governo",  Sezione  III della Costituzione, fra gli
 "organi ausiliari", insieme al Consiglio  nazionale  dell'economia  e
 del  lavoro.    Il  Consiglio  di  Stato e' definito (art. 100, della
 Costituzione) "organo di  consulenza  giuridico-amministrativa  e  di
 tutela  della  giustizia nell'amministrazione". La stessa norma parla
 della Corte  dei  conti  quale  organo  che  "esercita  il  controllo
 preventivo  di  legittimita'  sugli  atti  del Governo e anche quello
 successivo...." e  prevede  (ultimo  comma)  che  la  legge  assicuri
 "l'indipendenza  dei  due istituti e dei loro componenti di fronte al
 Governo".
   Considerate  le  descritte  funzioni   del   Consiglio   di   Stato
 (consulenza  e giustizia "nella" amministrazione), la sua qualita' di
 organo ausiliario del governo  e  tenuto  conto  del  fatto  che  "La
 Magistratura  costituisce  un organo autonomo ed indipendente da ogni
 altro potere" (art. 104, della Costituzione), nella previsione  della
 Costituzione  il Consiglio di Stato - quanto alla funzione consultiva
 ed a quella giustiziale "nella" amministrazione - agisce quale organo
 che non appartiene all'ordinamento giurisdizionale, di cui in effetti
 la Costituzione tratta nel successivo Titolo IV.
   Va aggiunto che, ai sensi dell'art. 1, legge n. 186  del  1982,  il
 Consiglio  di  Stato e' composto da tre sezioni consultive, cui si e'
 aggiunta di recente una quarta (art. 17, comma  28,  legge  5  maggio
 1997,  n.  127),  con  cio' rendendo prevalente l'attivita' di organo
 ausiliario svolta dal medesimo  rispetto  a  quella  giurisdizionale,
 finora  affidata  allo  stesso  (in  sole tre sezioni) dall'art. 103,
 della Costituzione.
   Peraltro, se si  considera  che  "ciascuna  sezione  consultiva  e'
 composta da due presidenti.... e da almeno nove consiglieri" (art. 1,
 terzo  comma,  legge  n.  186/1982) e che presidenti e consiglieri di
 Stato sono - a regime - novanta, ne deriva che solo la meta' di  essi
 svolge funzioni giurisdizionali equiparabili a quelle dei giudici dei
 tribunali  amministrativi,  salva la eventuale commistione fra le due
 funzioni da parte di taluno dei primi.
   La conseguenza che puo' trarsi  e'  che  i  giudici  dei  tribunali
 amministrativi  esprimono nel proprio organo di autogoverno un numero
 di rappresentanti irragionelvolmente inferiore, a parita' di funzioni
 giurisdizionali, rispetto a quelli della componente del Consiglio  di
 Stato.
   Se  appare  ragionevole  e  coerente  che presidente dell'organo di
 autogoverno sia il presidente del  Consiglio  di  Stato,  non  appare
 convincente la tesi della Amministrazione resistente secondo la quale
 i  due  presidenti  di  sezione  del Consiglio di Stato componenti di
 diritto (art. 7, secondo  comma,  n.  2,  legge  n.  186,  cit.)  non
 sarebbero   diretta   espressione   del   corpo   magistratuale,   ma
 rappresenterebbero il momento istituzionale.
   Potrebbe piuttosto in proposito ritenersi che tutti i componenti di
 un organo di autogoverno esprimano, una volta che ne facciano  parte,
 un  "momento  istituzionale",  ne'  appaiono  esservi ragioni perche'
 taluni lo esprimano piu' di altri.
   Infatti, la situazione del complesso della giustizia amministrativa
 non e' equiparabile a quella  che  deriva  dalla  previsione  di  due
 componenti di diritto (il primo presidente ed il procuratore generale
 della Corte di cassazione) nel Consiglio superiore della Magistratura
 (art.    104,  terzo  comma,  della Costituzione). In effetti, in tal
 caso,  e'   riscontrabile   una   evidente   ragione   istituzionale,
 costituendo  l'uno il vertice della componente giudicante, l'altro di
 quella requirente della magistratura ordinaria.
   La stessa logica istituzionale  e'  rinvenibile  nel  Consiglio  di
 presidenza  della  Corte dei conti, ove sono componenti di diritto il
 procuratore generale della  Corte  dei  conti  ed  il  presidente  di
 sezione  piu'  anziano  (art.  10,  legge  n. 117 del 1988), oltre al
 presidente capo della Corte stessa, naturalmente.
   Nessuna esigenza e logica istituzionale appare al Collegio porsi  a
 valido   sostegno   della  previsione  di  due  membri  di  esclusiva
 provenienza deI Consiglio di Stato quali componenti  di  diritto  del
 Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa.
   Per  il  resto  il principio costituzionale espresso nell'art. 104,
 della  Costituzione  ripreso  nella  normativa  ordinaria  (legge  n.
 117/1988; legge n. 561/1988; decreto legislativo n. 545/1992, citati)
 e'  che  i componenti dell'organo di autogoverno dei magistrati "sono
 eletti da tutti i magistrati....  tra  gli  appartenenti  alle  varie
 categorie...."      (art.  104,  della  Costituzione),  al  piu'  "in
 proporzione  alla  rispettiva  consistenza  numerica"  (Consiglio  di
 presidenza  della  Corte  dei  conti),  ma mai in proporzione inversa
 rispetto al numero dei magistrati.
   Nel Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa succede,
 invece, che perfino i componenti supplenti sono  previsti  in  numero
 inversamente  proporzionale  ai  membri  effettivi (due per i quattro
 magistrati eletti del Consiglio di Stato; due per  i  sei  magistrati
 eletti dei tribunali amministrativi) (art. 7, cit., ai nn. 5 e 6).
   Non  sembrerebbe,  poi, argomento di spessore giuridico opporre che
 per  i  magistrati  dei  tribunale  amministrativo  regionale  e  del
 Consiglio  di  Stato  "sotto  il profilo del ruolo non vi sia formale
 unificazione fra le due categorie". Contrasterebbe  invero  con  tale
 tesi il fatto che l'art. 23, legge 27 aprile 1982, n. 186, prevede un
 unico  "ruolo  dei  magistrati amministrativi", all'interno del quale
 v'e' solo una distinzione per qualifica.
   Andrebbe, piuttosto, tenuto  conto  che  l'unico  principio  valido
 nell'ordinamento  e' quello fissato all'art. 107, della Costituzione,
 secondo il quale "I magistrati si distinguono fra loro  soltanto  per
 diversita'   di  funzioni";  ne'  possono  esservi  dubbi  che  anche
 nell'attuale  architettura costituzionale il giudice amministrativo -
 in quanto tale -  e'  omogeneo  per  status  e  funzione  al  giudice
 ordinario.
   Ancor  meno  pregio  pare  al Collegio avere l'argomento secondo il
 quale che non si tratti di un'unica carriera in senso proprio  appare
 derivare dalla circostanza che il magistrato tribunale amministrativo
 regionale   che   transita   nel  Consiglio  di  Stato  non  conserva
 l'anzianita'  maturata  nel  ruolo   dei   tribunale   amministrativo
 regionale.
   La resistente si riferisce all'art. 23, quinto comma, legge n.  186
 del 1982, che per i magistrati di tribunale amministrativo regionale,
 in  servizio  alla data di entrata in vigore della legge, che passino
 in Consiglio di Stato, limita a cinque anni l'anzianita' conservabile
 acquisita nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo.
 Tale  norma,  infatti,  non  puo'  che  far  parte  del  sistema   di
 salvaguardia  delle  posizioni all'epoca in atto, e quindi avere mero
 valore  di  norma  transitoria  alla  stregua  dei  successivi  commi
 (d'altra  parte,  molti  consiglieri  risultano essere transitati dai
 tribunale amministrativo regionale al Consiglio di  Stato  grazie  al
 "vecchio"  art.  17,  legge  n. 1034 del 6 dicembre 1971, conservando
 l'intera anzianita' maturata nella qualifica di provenienza).
   Se cosi non fosse, in  tale  situazione  risulterebbe  evidente  il
 contrasto  con  l'art.  107,  della Costituzione, e la norma potrebbe
 essere valutata dalla Corte costituzionale - ed a tal fine  d'ufficio
 la  si  segnala  -  per  l'esercizio  del  potere di estensione della
 illegittimita' costituzionale di cui  all'art.  27,  legge  11  marzo
 1953,  n.  87,  essendo  espressione della medesima incoerenza che ha
 ispirato l'art. 7 in discorso.
   Dalle  considerazioni  che  precedono  il  Collegio  e'  indotto  a
 ritenere  che l'art. 7, secondo comma, piu' volte citato appare quale
 singolare anacronismo legislativo diretto  non  tanto  alla  garanzia
 delle   attivita'  dei  giudici,  quanto  piuttosto  all'ingresso  di
 attivita' non giurisdizionali,  e  tutto  cio'  in  un  organismo  di
 autogoverno  di  una  magistratura,  per  di piu' privo di componenti
 "laici".
   In  una  tale  situazione,  la  prospettazione   degli   interessi,
 istituzionali  e  non,  all'interno  dell'organo di autogoverno della
 magistratura amministrativa non puo' che seguire la logica dei numeri
 e delle differenti connotazioni delle due componenti.
   Ne deriva  per  il  Collegio,  da  tutto  quanto  precede,  la  non
 manifesta   infondatezza   delle   eccezioni  di  incostituzionalita'
 dell'art. 7, secondo comma, legge n. 186 del 1982,  oltre  che  nella
 parte  precisata  nel  precedente  discorso  anche nella parte in cui
 fissa la composizione del Consiglio  di  Presidenza  della  giustizia
 amministativa  in  violazione del criterio della rappresentativita' o
 proporzionalita'  dei  magistrati  appartenenti  alla   giurisdizione
 amministrativa,   per   contrasto   con  i  seguenti  principi  della
 Costituzione:
     art. 3, primo comma,  della  Costituzione,  in  quanto  la  norma
 censurata appare creare una irragionevole discriminazione quanto alla
 rappresentativita'   nell'organo   di   autogoverno   fra  magistrati
 appartenenti alla stessa giurisdizione, con violazione del canone  di
 coerenza dell'ordinamento giuridico;
     art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto la violazione
 del   principio   di  rappresentativita',  dando  prevalenza  ad  una
 componente minoritaria  e,  quindi,  a  visioni  ed  interessi  della
 medesima,   appare   violare   il  principio  di  buon  andamento  ed
 imparzialita' dell'organo di autogoverno;
     art. 101,  secondo  comma,  e  art.  108,  secondo  comma,  della
 Costituzione,  in  quanto lo sperequato sistema di rappresentativita'
 nell'organo di autogoverno appare idoneo ad incidere sul principio di
 indipendenza del giudice;
     art.  107,  terzo  comma,  della  Costituzione,  in   quanto   la
 sperequazione  descritta  appare  porsi  in  contrasto  col principio
 secondo il quale i magistrati si distinguono fra  loro  soltanto  per
 diversita' di funzioni.
   VII)    Stanti  la  rilevanza  e la non manifesta infondatezza come
 dianzi precisate, il Collegio sospende il giudizio cautelare, che non
 puo' essere definito indipendentemente da una pronuncia  della  Corte
 costituzionale  (v., in tal senso, tribunale amministrativo regionale
 Reggio  Calabria,  ord.  n.  925/1997),  considerato  anche  che   e'
 configurabile  la  sussistenza  di un danno grave ed irreparabile per
 effetto - in ipotesi - della illegittimita' della composizione di  un
 organo di autogoverno in relazione a parametri di legge ordinaria o -
 come  nel  caso  -  di  principi - costituzionali, in capo a soggetto
 appartenente alla relativa categoria, come  la  parte  ricorrente,  e
 che,  ai  fini  della ponderazione del fumus boni iuris non appare al
 Collegio manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalita'
 dell'art. 7, legge 27 aprile 1982, n. 186 (composizione del Consiglio
 di presidenza  della  giustizia  amministrativa),  prospettata  dalla
 parte ricorrente in riferimento agli artt. 3, 97, 101, secondo comma,
 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione.
   Pertanto,   il   giudizio   cautelare   non  puo'  essere  definito
 indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
 costituzionale come sopra evidenziata.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt.  134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
   Sospende ogni pronuncia circa il giudizio cautelare in corso;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 costituzionalita'  dell'art.  7, secondo comma, legge 27 aprile 1982,
 n. 186, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 97, primo  comma,
 101,  secondo  comma,  107,  terzo comma, e 108, secondo comma, della
 Costituzione;
   Dispone che si provveda alla trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale,  a  cura della segreteria di sezione, che provvedera'
 altresi' alla notificazione della presente  ordinanza  al  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri ed alla sua comunicazione ai Presidenti
 della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
   Cosi' deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 19  novembre
 1997.
                  Il presidente f.f. rel. est.: Scola
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