N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 novembre 1997
N. 72 Ordinanza emessa il 19 novembre 1997 dal tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna sul ricorso proposto da Silvestri Silvio Ignazio contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed altro Giustizia amministrativa - Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa - Composizione - Lamentata assenza di componenti laici e prevalenza dei magistrati del Consiglio di Stato a scapito dei magistrati di T.A.R. - Irragionevole discriminazione, in relazione alla rappresentativita' nell'organo di autogoverno, tra magistrati appartenenti alla stessa giurisdizione - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione, di indipendenza ed autonomia delle magistrature speciali e della distinzione dei giudici soltanto in base alla diversita' di funzioni. (Legge 27 aprile 1982, n. 186, art. 7, comma 2). (Cost., artt. 3, primo comma, 97, primo comma, 101, secondo comma, 107, terzo comma e 108, secondo comma).(GU n.8 del 25-2-1998 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella camera di consiglio del 19 novembre 1997; Visto il ricorso n. 1972/97, proposto da Silvestri Silvio Ignazio, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Barone, ed elettivamente domiciliato in Bologna, Strada Maggiore, 53, c/o la segreteria del tribunale amministrativo regionale; contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e il Presidente del Consiglio di Stato, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato ed elettivamente domiciliato in Bologna, via G. Reni, 4; per l'annullamento, previa sospensione dell'esecuzione, del decreto del Presidente del Consiglio di Stato in data 18 luglio 1997 (Gazzetta Ufficiale n. 185 del 9 agosto 1997), di indizione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa per il 30 novembre 1997; Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso; Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale da parte ricorrente; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Presidente del Consiglio di Stato; Designato relatore il consigliere dott. Aldo Scola; Udito l'avv. Paolucci dell'Avvocatura distrettuale di Stato; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o Il dott. Silvio Ignazio Silvestri, magistrato in servizio presso il tribunale amministrativo regionale Emilia-Romagna - sede di Bologna - sezione I, con ricorso ritualmente notificato, ha impugnato il decreto del Presidente del Consiglio di Stato 18 luglio 1997 (in Gazzetta Ufficiale 9 agosto 1997, n. 185) di indizione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, fissate per il 30 novembre 1997. Nel ricorso si chiede la sospensione del provvedimento impugnato ex art. 21, legge 6 dicembre 1971, n. 1034. La parte ricorrente espone: che il 10 aprile 1997 i sei membri effettivi ed uno dei membri supplenti del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, eletti in rappresentanza dei magistrati dei tribunali amministrativi regionali, hanno rassegnato le dimissioni "denunciando la impossibilita' dell'organo di funzionare correttamente, considerata la sua anomala costituzione"; che, con decreto 3 luglio 1997 il Ministro della funzione pubblica, delegato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, ha provveduto alla sostituzione dei dimissionari; che con l'impugnato decreto 18 luglio 1997 si sono indette le elezioni per il rinnovo dell'organo "in relazione alla scadenza per compiuto triennio dell'attuale Consiglio di Presidenza". Nel ricorso si denuncia la illegittimita' di tale ultimo provvedimento quale conseguenza della incostituzionalita' delle norme che regolano la composizione del Consiglio di Presidenza. Si denuncia, quindi: l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 27 aprile 1982, n. 186, per violazione degli artt. 3, 97, 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione. L'Avvocatura dello Stato nel controricorso depositato il 10 novembre 1997 ha eccepito l'inammissibilita' del gravame, ritenendo non provata l'esistenza dell'interesse ad agire in capo alla parte ricorrente, non essendo stato prospettato alcun fatto che, in virtu' dell'attuale composizione del Consiglio di presidenza, abbia in concreto inciso sulla sfera giuridica della parte ricorrente stessa; l'Avvocatura ha poi sostenuto la inammissibilita' per difetto di rilevanza della questione di costituzionalita', con correlata carenza di interesse al ricorso. Quanto ai profili di incostituzionalita' prospettati, l'Amministrazione conclude, comunque, per la loro manifesta infondatezza. D i r i t t o I) Preliminarmente - ed inevitabilmente - questo collegio deve d'ufficio farsi carico del problema attinente alla propria legittimazione a giudicare sulla vicenda in esame, poiche' a prima vista i suoi tre componenti potrebbero sembrare - in quanto magistrati del tribunale amministrativo regionale la cui associazione di categoria (A.N.M.A.), per di piu', proprio in questo periodo e' in stato di agitazione ed ha proclamato l'astensione dalle udienze di merito (tra l'altro, per motivi simili a quelli qui prospettati dall'attuale parte ricorrente) - tutt'altro che indipendenti nel giudizio o imparziali nelle valutazioni di fatti e circostanze. D'altra parte, e' appena il caso di osservare che una tale inquadratura proverebbe troppo, poiche' - accettando un siffatto principio - si finirebbe inesorabilmente con il non trovare in alcun modo un giudice competente e legittimato, sia in prima istanza che in appello, anche se - ipotizzabilmente - per ragioni contrapposte. E cio' indipendentemente dal fatto che i magistrati amministrativi de quibus abbiano partecipato o intendano partecipare (o meno) all'agitazione proclamata dalla loro associazione di categoria, innanzitutto perche' nessuno puo' essere costretto a prendere o no parte ad una simile iniziativa in una udienza di merito o nell'altra (per cui chi non vi abbia aderito in una occasione potrebbe volerlo fare nella successiva - sempre per le stesse ragioni - magari dopo essersi gia' pronunciato su di una vicenda come quella in esame) e poi perche', comunque, tutti i magistrati - scioperanti o meno - ne risentirebbero un effetto indiretto o riflesso, come e' facile immaginare. Dunque, non potendosi accettare una conclusione come quella per cui dovrebbe "mancare il giudice", in aperto contrasto con gli artt. 24, 103 e 113, della Costituzione (per i quali "un giudice deve sempre esserci"), e non essendo ipotizzabile un obbligo generalizzato di astensione (art. 51, c.p.c.), trattandosi di un rimedio applicabile a singoli casi (come la giurisprudenza amministrativa ha spesso statuito in vertenze attinenti a problemi retributivi prospettati da magistrati), non resta che concludere riaffermando la piena e sicura legittimazione a giudicare di questo collegio e di ciascuno dei suoi componenti, fino a prova contraria. Tanto premesso, puo' ora passarsi all'esame della questione sub judice. II) La parte ricorrente, magistrato amministrativo in servizio presso il tribunale amministrativo regionale di Bologna, ha impugnato - chiedendo contestualmente la sospensione dell'atto ex art. 21, 1egge 6 dicembre 1971, n. 1034 - il decreto del presidente del Consiglio di Stato 18 luglio 1997 (in Gazzetta Ufficiale n. 185 del 9 agosto 1997) di indizione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Il decreto impugnato sarebbe illegittimo - secondo la prospettazione della parte ricorrente - per effetto della illegittimita' costituzionale della norma di legge (art. 7, secondo comma, legge 27 aprile 1982, n. 186), che fissa la composizione dell'organo di autogoverno della magistratura amministrativa come segue: 1) il presidente del Consiglio di Stato, che presiede; 2) i due presidenti di sezione del Consiglio di Stato piu' anziani nella qualifica, in servizio presso il Consiglio di Stato; 3) quattro consiglieri di Stato in servizio presso il Consiglio di Stato; 4) sei magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi regionali; 5) due consiglieri in servizio presso il Consiglio di Stato con funzioni di supplenti dei componenti di cui al precedente n. 3); 6) due magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi regionali con funzioni di supplenti dei componenti di cui al precedente n. 4). III) Il Collegio rileva che il decreto impugnato (di indizione delle elezioni per il rinnovo dell'organo di autogoverno) e' il primo ed essenziale atto del procedimento di formazione dell'organo, la cui composizione e' regolata da norma che sarebbe affetta da incostituzionalita'. Osserva innanzi tutto il Collegio che il giudice, anche nel giudizio cautelare, e' tenuto ad assicurare le garanzie di tutela giurisdizionale secondo i principi di cui all'art. 24, della Costituzione, in quanto "ogni situazione giuridica deve poter trovare un suo momento cautelare, che va raffigurato come componente essenziale della stessa tutela". La effettivita', poi, della tutela cautelare ben puo' essere realizzata "anche mediante strumenti diversi ed ampiamente eccedenti la pura e semplice paralisi degli effetti formali dell'atto impugnato" e fra tali strumenti vanno ricomprese le pronuncie "costitutive, certificative, dichiarative di obblighi a carico dell'Amministrazione", ove considerate necessarie per la realizzazione della tutela giurisdizionale della fase cautelare (Cons. St., Ad. pl., 1 giugno 1982, n. 6). D'altra parte, la stessa Corte costituzionale riconosce adeguate le possibilita' di tutela cautelare "in fase di sempre piu' incisiva espansione, in un ambito di esclusiva pertinenza del giudice amministrativo" (Corte costituzionale, ordinanza 21 luglio 1988, n. 867). Tutto cio' consente al Collegio di ritenere che, anche se la pronuncia della Corte costituzionale interviene dopo la data delle elezioni di cui trattasi (fissate per il 30 novembre 1997), non verrebbe meno in ipotesi l'interesse alla pronuncia cautelare, ne' mancherebbero, se del caso, al giudice che dovra' pronunciarsi gli strumenti per assicurare la giusta tutela. IV) Circa la ricorrenza nel caso dei presupposti per la tutela cautelare secondo l'art. 21, legge n. 1034 del 1971, il Collegio osserva in via di principio che il danno grave ed irreparabile va valutato anche in relazione alla gravita' della illegittimita' che, in ipotesi, vizierebbe l'atto impugnato. Nel caso, il decreto impugnato subirebbe, in ipotesi, un vizio di legittimita' di massimo livello, quale atto di un procedimento per la formazione di un organo elettivo regolato da una norma di cui si denuncia il contrasto con principi costituzionali. Il Collegio e', poi, dell'avviso che lo svolgimento di per se' delle elezioni, con il conseguenziale insediamento di un Consiglio non correttamente rappresentativo - secondo la tesi di parte - della categoria cui appartiene la parte ricorrente, e' idoneo ad integrare un danno grave ed irreparabile nella sfera professionale della medesima. Infatti, la giusta rappresentativita' in un organo di autogoverno e' valore determinativo dello status, cioe' di una situazione soggettiva che e' preliminare e precedente rispetto a qualunque altro interesse. Va, infine, considerato, a ragionevole sostegno della immediata lesivita' del decreto di indizione delle elezioni, che momento assolutamente preminente del procedimento e' proprio quello delle elezioni, quale espressione del diritto di liberta' a concorrere con il voto alla formazione di un organo a composizione valida secondo la Costituzione, rimanendo i successivi provvedimenti (di nomina degli eletti e di insediamento) al livello di atti meramente conseguenziali e vincolati. Peraltro, nel caso, il Collegio, in un ponderato bilanciamento di ogni interesse, non reputa sufficiente ad integrare un adeguato fumus boni iuris la sola ritenuta non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' prospettabili, ma ritiene di dover acquisire quanto puo' trarsi da una preliminare pronuncia della Corte costituzionale sulle stesse. Da tutto cio', a giudizio del Collegio, la rilevanza diretta ed immediata, per la fase della tutela cautelare, della questione di costituzionalita' dell'art. 7, secondo comma, legge n. 186 del 1982; infatti la caducazione - in ipotesi - di tale norma comporterebbe che non vi sarebbe luogo del tutto per il procedimento di elezione dei componenti per il Consiglio di presidenza nella composizione per la quale e' preordinato il decreto 18 luglio 1997 impugnato. V) La parte ricorrente constata che il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e' l'unico fra gli organi di autogoverno della magistratura formato esclusivamente da componenti "togati". Cio' farebbe dubitare - secondo la ricorrente - "della sua effettiva capacita', in assenza di qualsiasi controllo esterno, di garantire la reale indipendenza della magistratura". Osserva il Collegio che per la magistratura, quale "ordine autonomo ed altro indipendente da ogni altro potere", la presenza nell'organo di autogoverno di componenti esterni ("laici") e' di valore e rilievo costituzionali (art. 104 della Costituzione). La presenza di componenti laici appare valore costituzionale non tanto in relazione ad una garanzia dell'indipendenza della magistratura, quanto piuttosto quale sistema "aperto all'esterno" in funzione del buon andamento e dell'imparzialita' di un organismo amministrativo di autogoverno. Tale principio e' ormai da tempo attuato sia per la magistratura ordinaria che per quella contabile, come pure per la magistratura militare (art. 1, legge 30 dicembre 1988, n. 561). A ben vedere, e' attuato anche nel Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (art. 17, d.lgs.31 dicembre 1992, n. 545), tenuto conto della molteplicita' di provenienza dei giudici (artt. 4 e 5, decreto legislativo citato). Tanto basta, ad avviso del Collegio, per ritenere non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 7, secondo comma, legge n. 186 del 1982, per contrasto con gli artt. 3 e 97, della Costituzione, nella parte in cui non e' prevista la presenza di componenti "laici" nell'organo di autogoverno della giustizia amministrativa, in relazione al principio di cui all'art. 104, quarto comma della Costituzione. VI) Prospetta la parte ricorrente, quale ulteriore profilo di incostituzionalita', che l'organo di autogoverno della magistratura amministrativa sarebbe l'unico la cui composizione non si basa sul criterio della rappresentativita' dei magistrati appartenenti alla giurisdizione, ma su un criterio "gerarchico", che contrasterebbe con il principio costituzionale secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge e si distinguono fra loro solo per diversita' di funzioni. Il "peso" del Consiglio di Stato - continua la parte ricorrente - presente nel Consiglio di presidenza con sette componenti (il presidente del Consiglio di Stato, i due presidenti di sezione piu' anziani e quattro consiglieri, risulta preponderante al punto da rendere aprioristicamente condizionabile il governo dell'intera magistratura amministrativa da parte del Consiglio di Stato, cioe' della sua componente minoritaria, essendo circa cento i magistrati del Consiglio di Stato, a fronte dei trecento dei tribunali amministrativi). Tale situazione di prevalenza e di governo avverrebbe, inoltre, ad opera di una componente per la quale, oltre tutto, le funzioni giurisdizionali non sono le uniche svolte e quelle non giurisdizionali tra l'altro determinano "vicinanza" al potere esecutivo, i cui atti sono sindacati proprio da tale magistratura amministrativa. Si riferisce la parte ricorrente all'attivita' consultiva prestata a favore delle Amministrazioni ed anche sugli schemi di atti normativi, nonche' allo "storicamente massiccio e sistematico affidamento a consiglieri di Stato di incarichi ministeriali ..... (capo di gabinetto, capo ufficio legislativo, consulente giuridico, ecc.), nonche' al normale espletamento da parte dei medesimi di una serie di altri compiti extra-giudiziari nell'interesse delle amministrazioni". L'Amministrazione resistente oppone che il disegno costituzionale (art. 100, della Costituzione) apparirebbe indirizzato a segnare una differenza di funzioni fra i tribunale amministrativo regionale ed il Consiglio di Stato; che non vi sarebbe unificazione sotto il profilo del ruolo fra le due categorie di magistrati; che ogni profilo di incostituzionalita' sarebbe manifestamente infondato. Osserva il Collegio che il Consiglio di Stato e' inserito nel Titolo III "Il Governo", Sezione III della Costituzione, fra gli "organi ausiliari", insieme al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Il Consiglio di Stato e' definito (art. 100, della Costituzione) "organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell'amministrazione". La stessa norma parla della Corte dei conti quale organo che "esercita il controllo preventivo di legittimita' sugli atti del Governo e anche quello successivo...." e prevede (ultimo comma) che la legge assicuri "l'indipendenza dei due istituti e dei loro componenti di fronte al Governo". Considerate le descritte funzioni del Consiglio di Stato (consulenza e giustizia "nella" amministrazione), la sua qualita' di organo ausiliario del governo e tenuto conto del fatto che "La Magistratura costituisce un organo autonomo ed indipendente da ogni altro potere" (art. 104, della Costituzione), nella previsione della Costituzione il Consiglio di Stato - quanto alla funzione consultiva ed a quella giustiziale "nella" amministrazione - agisce quale organo che non appartiene all'ordinamento giurisdizionale, di cui in effetti la Costituzione tratta nel successivo Titolo IV. Va aggiunto che, ai sensi dell'art. 1, legge n. 186 del 1982, il Consiglio di Stato e' composto da tre sezioni consultive, cui si e' aggiunta di recente una quarta (art. 17, comma 28, legge 5 maggio 1997, n. 127), con cio' rendendo prevalente l'attivita' di organo ausiliario svolta dal medesimo rispetto a quella giurisdizionale, finora affidata allo stesso (in sole tre sezioni) dall'art. 103, della Costituzione. Peraltro, se si considera che "ciascuna sezione consultiva e' composta da due presidenti.... e da almeno nove consiglieri" (art. 1, terzo comma, legge n. 186/1982) e che presidenti e consiglieri di Stato sono - a regime - novanta, ne deriva che solo la meta' di essi svolge funzioni giurisdizionali equiparabili a quelle dei giudici dei tribunali amministrativi, salva la eventuale commistione fra le due funzioni da parte di taluno dei primi. La conseguenza che puo' trarsi e' che i giudici dei tribunali amministrativi esprimono nel proprio organo di autogoverno un numero di rappresentanti irragionelvolmente inferiore, a parita' di funzioni giurisdizionali, rispetto a quelli della componente del Consiglio di Stato. Se appare ragionevole e coerente che presidente dell'organo di autogoverno sia il presidente del Consiglio di Stato, non appare convincente la tesi della Amministrazione resistente secondo la quale i due presidenti di sezione del Consiglio di Stato componenti di diritto (art. 7, secondo comma, n. 2, legge n. 186, cit.) non sarebbero diretta espressione del corpo magistratuale, ma rappresenterebbero il momento istituzionale. Potrebbe piuttosto in proposito ritenersi che tutti i componenti di un organo di autogoverno esprimano, una volta che ne facciano parte, un "momento istituzionale", ne' appaiono esservi ragioni perche' taluni lo esprimano piu' di altri. Infatti, la situazione del complesso della giustizia amministrativa non e' equiparabile a quella che deriva dalla previsione di due componenti di diritto (il primo presidente ed il procuratore generale della Corte di cassazione) nel Consiglio superiore della Magistratura (art. 104, terzo comma, della Costituzione). In effetti, in tal caso, e' riscontrabile una evidente ragione istituzionale, costituendo l'uno il vertice della componente giudicante, l'altro di quella requirente della magistratura ordinaria. La stessa logica istituzionale e' rinvenibile nel Consiglio di presidenza della Corte dei conti, ove sono componenti di diritto il procuratore generale della Corte dei conti ed il presidente di sezione piu' anziano (art. 10, legge n. 117 del 1988), oltre al presidente capo della Corte stessa, naturalmente. Nessuna esigenza e logica istituzionale appare al Collegio porsi a valido sostegno della previsione di due membri di esclusiva provenienza deI Consiglio di Stato quali componenti di diritto del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa. Per il resto il principio costituzionale espresso nell'art. 104, della Costituzione ripreso nella normativa ordinaria (legge n. 117/1988; legge n. 561/1988; decreto legislativo n. 545/1992, citati) e' che i componenti dell'organo di autogoverno dei magistrati "sono eletti da tutti i magistrati.... tra gli appartenenti alle varie categorie...." (art. 104, della Costituzione), al piu' "in proporzione alla rispettiva consistenza numerica" (Consiglio di presidenza della Corte dei conti), ma mai in proporzione inversa rispetto al numero dei magistrati. Nel Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa succede, invece, che perfino i componenti supplenti sono previsti in numero inversamente proporzionale ai membri effettivi (due per i quattro magistrati eletti del Consiglio di Stato; due per i sei magistrati eletti dei tribunali amministrativi) (art. 7, cit., ai nn. 5 e 6). Non sembrerebbe, poi, argomento di spessore giuridico opporre che per i magistrati dei tribunale amministrativo regionale e del Consiglio di Stato "sotto il profilo del ruolo non vi sia formale unificazione fra le due categorie". Contrasterebbe invero con tale tesi il fatto che l'art. 23, legge 27 aprile 1982, n. 186, prevede un unico "ruolo dei magistrati amministrativi", all'interno del quale v'e' solo una distinzione per qualifica. Andrebbe, piuttosto, tenuto conto che l'unico principio valido nell'ordinamento e' quello fissato all'art. 107, della Costituzione, secondo il quale "I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversita' di funzioni"; ne' possono esservi dubbi che anche nell'attuale architettura costituzionale il giudice amministrativo - in quanto tale - e' omogeneo per status e funzione al giudice ordinario. Ancor meno pregio pare al Collegio avere l'argomento secondo il quale che non si tratti di un'unica carriera in senso proprio appare derivare dalla circostanza che il magistrato tribunale amministrativo regionale che transita nel Consiglio di Stato non conserva l'anzianita' maturata nel ruolo dei tribunale amministrativo regionale. La resistente si riferisce all'art. 23, quinto comma, legge n. 186 del 1982, che per i magistrati di tribunale amministrativo regionale, in servizio alla data di entrata in vigore della legge, che passino in Consiglio di Stato, limita a cinque anni l'anzianita' conservabile acquisita nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo. Tale norma, infatti, non puo' che far parte del sistema di salvaguardia delle posizioni all'epoca in atto, e quindi avere mero valore di norma transitoria alla stregua dei successivi commi (d'altra parte, molti consiglieri risultano essere transitati dai tribunale amministrativo regionale al Consiglio di Stato grazie al "vecchio" art. 17, legge n. 1034 del 6 dicembre 1971, conservando l'intera anzianita' maturata nella qualifica di provenienza). Se cosi non fosse, in tale situazione risulterebbe evidente il contrasto con l'art. 107, della Costituzione, e la norma potrebbe essere valutata dalla Corte costituzionale - ed a tal fine d'ufficio la si segnala - per l'esercizio del potere di estensione della illegittimita' costituzionale di cui all'art. 27, legge 11 marzo 1953, n. 87, essendo espressione della medesima incoerenza che ha ispirato l'art. 7 in discorso. Dalle considerazioni che precedono il Collegio e' indotto a ritenere che l'art. 7, secondo comma, piu' volte citato appare quale singolare anacronismo legislativo diretto non tanto alla garanzia delle attivita' dei giudici, quanto piuttosto all'ingresso di attivita' non giurisdizionali, e tutto cio' in un organismo di autogoverno di una magistratura, per di piu' privo di componenti "laici". In una tale situazione, la prospettazione degli interessi, istituzionali e non, all'interno dell'organo di autogoverno della magistratura amministrativa non puo' che seguire la logica dei numeri e delle differenti connotazioni delle due componenti. Ne deriva per il Collegio, da tutto quanto precede, la non manifesta infondatezza delle eccezioni di incostituzionalita' dell'art. 7, secondo comma, legge n. 186 del 1982, oltre che nella parte precisata nel precedente discorso anche nella parte in cui fissa la composizione del Consiglio di Presidenza della giustizia amministativa in violazione del criterio della rappresentativita' o proporzionalita' dei magistrati appartenenti alla giurisdizione amministrativa, per contrasto con i seguenti principi della Costituzione: art. 3, primo comma, della Costituzione, in quanto la norma censurata appare creare una irragionevole discriminazione quanto alla rappresentativita' nell'organo di autogoverno fra magistrati appartenenti alla stessa giurisdizione, con violazione del canone di coerenza dell'ordinamento giuridico; art. 97, primo comma, della Costituzione, in quanto la violazione del principio di rappresentativita', dando prevalenza ad una componente minoritaria e, quindi, a visioni ed interessi della medesima, appare violare il principio di buon andamento ed imparzialita' dell'organo di autogoverno; art. 101, secondo comma, e art. 108, secondo comma, della Costituzione, in quanto lo sperequato sistema di rappresentativita' nell'organo di autogoverno appare idoneo ad incidere sul principio di indipendenza del giudice; art. 107, terzo comma, della Costituzione, in quanto la sperequazione descritta appare porsi in contrasto col principio secondo il quale i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversita' di funzioni. VII) Stanti la rilevanza e la non manifesta infondatezza come dianzi precisate, il Collegio sospende il giudizio cautelare, che non puo' essere definito indipendentemente da una pronuncia della Corte costituzionale (v., in tal senso, tribunale amministrativo regionale Reggio Calabria, ord. n. 925/1997), considerato anche che e' configurabile la sussistenza di un danno grave ed irreparabile per effetto - in ipotesi - della illegittimita' della composizione di un organo di autogoverno in relazione a parametri di legge ordinaria o - come nel caso - di principi - costituzionali, in capo a soggetto appartenente alla relativa categoria, come la parte ricorrente, e che, ai fini della ponderazione del fumus boni iuris non appare al Collegio manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalita' dell'art. 7, legge 27 aprile 1982, n. 186 (composizione del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa), prospettata dalla parte ricorrente in riferimento agli artt. 3, 97, 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione. Pertanto, il giudizio cautelare non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale come sopra evidenziata.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Sospende ogni pronuncia circa il giudizio cautelare in corso; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 7, secondo comma, legge 27 aprile 1982, n. 186, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 97, primo comma, 101, secondo comma, 107, terzo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione; Dispone che si provveda alla trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, a cura della segreteria di sezione, che provvedera' altresi' alla notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alla sua comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio del 19 novembre 1997. Il presidente f.f. rel. est.: Scola 98C0124