N. 87 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 ottobre 1997

                                 N. 87
  Ordinanza emessa il 21 ottobre 1997 dal Consiglio della magistratura
 militare  in  sede  disciplinare  nel  procedimento  disciplinare nei
 confronti di Roberti Manlio
 Consiglio della magistratura militare - Procedimento  disciplinare  -
    Dedotta  omessa  previsione  di  apposita  sezione  disciplinare -
    Mancata   previsione,   altresi',   al    fine    di    assicurare
    l'invariabilita'  numerica del collegio, di possibilita' di nomina
    dei componenti supplenti in  caso  di  impedimento,  astensione  o
    ricusazione - Disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto
    per  il  Consiglio  superiore della magistratura (art. 4, legge 24
    marzo 1958, n. 195) - Lesione del principio del  giudice  naturale
    precostituito per legge.
 (Legge 30 dicembre 1988, n. 561, art. 1, commi 3 e 4).
 (Cost., artt. 3 e 25, primo comma).
(GU n.9 del 4-3-1998 )
               IL CONSIGLIO DELLA MAGISTRATURA MILITARE
   Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento sulla richiesta di
 sospensione  provvisoria  dalle  funzioni e dallo stipendio n. 1/1997
 r.o. nei confronti  del  dott.  Benedetto  Manlio  Roberti,  in  atto
 giudice  per  le indagini preliminari presso il tribunale militare di
 Torino.
   La  difesa  del  dott.  Benedetto  Manlio  Roberti   ha   sollevato
 preliminarmente questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1,
 commi  terzo  e  quarto, legge 30 dicembre 1988 n. 561, per contrasto
 con gli artt.  3, primo comma e 25, primo comma  della  Costituzione,
 nelle parti in cui:
     non  escludono  dalle  deliberazioni  disciplinari  il presidente
 della   Corte   di   cassazione   e   limitano   l'esclusione   della
 partecipazione  del  procuratore  generale  militare  al solo momento
 deliberativo, senza estenderla alla fase degli  atti  preliminari  al
 dibattimento;
     stabiliscono  che,  anche  per le decisioni sulla responsabilita'
 disciplinare  dei  magistrati  militari,  il  Consiglio  deliberi   a
 maggioranza  con  la  presenza necessaria e sufficiente di almeno sei
 componenti (di cui tre elettivi) e  con  la  prevalenza  in  caso  di
 parita' di voti, del voto del presidente.
   La  difesa,  nell'articolare  le proprie argomentazioni, ha dedotto
 che:
     il Consiglio della magistratura militare "ha,  per  i  magistrati
 militari,  le stesse attribuzioni previste per il Consiglio superiore
 della magistratura, ivi comprese quelle  concernenti  i  procedimenti
 disciplinari"  e  che "il procedimento disciplinare nei confronti dei
 magistrati  militari  e'  regolato  dalle  norme  in  vigore  per   i
 magistrati ordinari" (art. 1, comma terzo, legge 30 dicembre 1988, n.
 561);
     "le deliberazioni del Consiglio sono adottate a maggioranza e per
 la loro validita' e' necessaria la presenza di almeno sei componenti,
 di  cui  tre  elettivi.  A  parita'  di  voti  prevale  il  voto  del
 presidente" (art. 1, comma quarto, legge n. 561/1988);
     nessuna  specifica  disposizione e' dettata per la composizione e
 le deliberazioni del Consiglio della magistratura  militare  in  sede
 disciplinare:
     secondo   la  legge  istitutiva  del  Consiglio  superiore  della
 magistratura, "la cognizione dei procedimenti disciplinari  a  carico
 dei magistrati e' attribuita ad una sezione disciplinare, composta di
 nove  componenti  effettivi e di sei supplenti" (art. 4, comma primo,
 legge 24 marzo 1958, n. 195,  e  successive  modificazioni  ai  sensi
 della legge 18 dicembre 1967, n. 1198, e 3 gennaio 1981, n. 1);
     la  legge  teste'  richiamata  differenzia  le  deliberazioni del
 Consiglio superiore della magistratura in ambito extradisciplinare da
 quelle della Sezione disciplinare dello stesso Consiglio,  stabilendo
 per   la   validita'  delle  prime  una  regola  generale  (art.  5),
 paragonabile - mutatis mutandis - a  quella  prevista  per  tutte  le
 deliberazioni  del  Consiglio della magistratura militare, e dettando
 per le seconde una disposizione  speciale,  volta  ad  assicurare  il
 funzionamento  della  sezione come collegio perfetto, con particolare
 riguardo ai criteri di sostituzione dei componenti effettivi da parte
 dei componenti supplenti (art. 6);
     allo stato, il collegio giudicante della sezione disciplinare del
 Consiglio superiore della magistratura coincide con il  plenum  della
 sezione  stessa  (cfr.  Cass., sez. un., 15 aprile 1978, n. 1779), la
 qual cosa e' coerente con la natura giurisdizionale del  procedimento
 disciplinare  a  carico dei magistrati, ripetutamente affermata dalla
 Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione (cfr. Corte cost., 2
 febbraio 1971, n. 12; 3 aprile 1969, n. 60; 2  luglio  1966,  n.  83;
 Cass., sez. un., 3 marzo 1970, n. 506);
     anche   al   Consiglio   della   magistratura  militare  in  sede
 disciplinare deve  riconoscersi  natura  di  organo  giurisdizionale,
 dimostrata  dall'esercizio  delle  funzioni  requirenti attribuite al
 procuratore generale militare presso la Corte di cassazione  e  dalla
 esperibilita'  del  ricorso  alle  sezioni unite civili della suprema
 Corte contro le deliberazioni consiliari.
   Alla luce di  tali  premesse,  la  difesa,  richiamandosi  anche  a
 precedenti  sentenze  della  Corte  costituzionale sulla composizione
 della sezione disciplinare del  C.S.M.,  ha  elencato  una  serie  di
 diversita'  di  disciplina, che evidenzierebbero le carenze normative
 inerenti il funzionamento del C.M.M. in sede disciplinare.
   Tali diversita' si radicano nella circostanza che la cognizione  di
 procedimenti   disciplinari  a  carico  dei  magistrati  militari  e'
 attribuita, nel silenzio della legge,  allo  stesso  plenum,  con  la
 sola, espressa esclusione del procuratore generale militare presso la
 Corte  di  Cassazione  (membro  di  diritto  del Consiglio), il quale
 "esercita le funzioni di pubblico  ministero  e  non  partecipa  alle
 deliberazioni"  (art.  1,  comma  terzo,  ultima  parte, legge numero
 561/1988).
   In teoria, quindi, il Consiglio della magistratura militare in sede
 disciplinare dovrebbe giudicare con l'intervento  di  otto  dei  suoi
 nove  componenti.  In  pratica,  pero',  sottolinea la difesa, questa
 cifra puo' non essere raggiunta, per la legittima assenza (dovuta  ai
 piu'  disparati  impedimenti:  malattia,  gravi  motivi  di famiglia,
 astensione, ricusazione ecc.) di uno o  piu'  consiglieri;  nel  qual
 caso,  soccorre  la  disposizione,  dettata  in  generale  per  tutta
 l'attivita' del Consiglio, secondo cui le deliberazioni di esso  sono
 prese   a  maggioranza,  per  la  loro  validita'  e'  necessaria  (e
 sufficiente)  la  presenza  di  almeno  sei componenti (tre dei quali
 elettivi) e a parita' di voti prevale il voto del presidente (art. 1,
 quarto comma, legge ult. cit.).
   Il  differente  trattamento  concretamente  riservato,  in   ambito
 disciplinare,  ai magistrati militari rispetto ai magistrati ordinari
 sarebbe  pertanto  irragionevole,  niente   giustificando   che   nel
 procedimento disciplinare contro i magistrati militari:
     non  sia  stabilita  l'esclusione  dal  collegio  giudicante  del
 presidente della Corte di cassazione, ossia  di  colui  che  presiede
 l'organo  alle  cui  sezioni  unite  civili e' dato ricorso contro le
 sentenze  del  Consiglio  della   magistratura   militare   in   sede
 disciplinare;
     non sia stabilita l'esclusione da tutta l'attivita' consiliare in
 materia   disciplinare,   comprensiva  cioe'  dei  cosi'  detti  atti
 preliminari al dibattimento, invece che dalla sola fase  deliberante,
 del  procuratore generale militare presso la Corte di cassazione, che
 nel procedimento e' parte;
     non sia applicata  la  tradizionale  regola  nota  come  calcolus
 Minervae  secondo  cui  nel  processo  penale  e nei procedimenti sul
 processo penale modellati prevale, a parita' di  voti,  la  soluzione
 piu'  favorevole  all'incolpato  (cfr.  art. 527, terzo comma, c.p.p.
 1988; art. 473, quarto comma, c.p.p.  1930),  invece  che  la  regola
 della prevalenza del voto del presidente, circostanza, - quest'ultima
 -  che  ben  puo' verificarsi davanti al Consiglio della magistratura
 militare allorquando questo giudichi con il  concorso  di  un  numero
 pari di componenti.
   L'anzidetta  violazione  del  principio  di  eguaglianza, tuttavia,
 secondo la difesa, non e' che la conseguenza di altra, piu'  evidente
 violazione  di  norma costituzionale: nel procedimento disciplinare a
 carico dei magistrati militari, cosi  come  sommariamente  richiamato
 dall'  art.  1  della  legge  istitutiva  dell'organo di autogoverno,
 risulta  manifestamente  violato  il  principio  della  capacita'   a
 giudicare  soltanto  del giudice naturale precostituito per legge, di
 cui all'art. 25, primo comma, della Costituzione.
   Al magistrato  militare  incolpato,  a  differenza  del  magistrato
 ordinario,  non e' dato infatti di conoscere, in anticipo, sulla base
 di norme di legge, quanti e quali (intesi non come persone fisiche ma
 come appartenenti alle categorie rappresentate nel Consiglio:  membri
 di  diritto,  elettivi  e  di  nomina  parlamentare)  saranno  i suoi
 giudici.  Infatti, il numero di costoro puo' variare da un minimo  di
 sei  ad un massimo di otto, senza alcuna preventiva garanzia che esso
 sia sempre di sei, di sette o di  otto:  e  senza  alcuna  preventiva
 garanzia  circa  la rappresentanza, nel collegio, della componente di
 estrazione politica (essendo stabilita solamente la partecipazione di
 tre membri elettivi) e la non presenza del presidente della Corte  di
 cassazione.
   La  difesa  ascrive inoltre la paradossale situazione del Consiglio
 della magistratura militare in sede disciplinare - paragonabile,  con
 le  dovute  differenze,  a  quella  di un tribunale o di una Corte di
 assise che si accinga a giudicare, rispettivamente, con meno di tre o
 con meno di otto elementi - al fatto che la legge  istitutiva  tratta
 le deliberazioni relative ai procedimenti disciplinari (aventi natura
 giurisdizionale) alla stregua delle deliberazioni che vengono assunte
 nei   normali   procedimenti  amministrativi  e  non  appresta  alcun
 meccanismo  volto  ad  assicurare  il funzionamento del collegio come
 perfetto, attraverso la previsione  di  un  numero  indefettibile  di
 giudicanti   merce'   la   sostituzione   dei   componenti  effettivi
 eventualmente impediti da parte dei componenti supplenti.
   Per tali ragioni, la difesa ha concluso con la richiesta che  venga
 ritenuta  fondata  e  rilevante  la  questione  della  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 1, commi terzo e quarto, legge  n.  561/1988
 in relazione:
     1)  al disposto dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, per
 le minori garanzie apprestate ai  magistrati  militari  incolpati  in
 procedimenti disciplinari rispetto alle garanzie di cui godono, nelle
 stesse identiche condizioni, i magistrati ordinari;
     2) al disposto dell'art. 25, primo comma, della Costituzione, per
 la   omessa  predeterminazione  dei  criteri  di  composizione  e  di
 funzionamento del collegio giudicante in materia  di  responsabilita'
 disciplinare dei magistrati militari.
   Il   procuratore  generale  ha  chiesto  il  rigetto  di  tutte  le
 prospettate  questioni  di  illegittimita'   costituzionale   perche'
 manifestamente infondate ed irrilevanti.
                            R i t e n u t o
   1.  -  Appare  manifestamente infondata ed irrilevante la questione
 prospettata dalla  difesa  con  riferimento  alla  partecipazione  al
 collegio  in  seduta  disciplinare  del  presidente  della  Corte  di
 cassazione, in relazione alla circostanza che egli presiede  l'organo
 alle  cui  Sezioni  unite  civili  e'  rimesso  il ricorso avverso le
 decisioni del C.M.M. in sede disciplinare.
   Nel corso della discussione orale la difesa  ha  precisato  che  la
 questione  trova  il  suo  fondamento  nella  circostanza che sarebbe
 proprio il presidente della Corte  di  cassazione  a  determinare  la
 composizione  ed  il  calendario  delle  udienze  delle Sezioni unite
 civili potendo con cio' interferire sulla composizione  del  Collegio
 competente  sul  ricorso  avverso  le  decisioni  del  C.M.M. in sede
 disciplinare.
   La questione e' impostata sulla base di una premessa, che non tiene
 conto della circostanza che la composizione dei Collegi delle Sezioni
 unite e' stabilita con largo anticipo rispetto  all'assegnazione  dei
 singoli  ricorsi a ciascuna udienza delle predette Sezioni, cosicche'
 non corrisponde alla realta' l'ipotesi della possibile formazione  di
 un  Collegio  ad  hoc  per  la  decisione  di  un ricorso avverso una
 sentenza del C.M.M. in sede disciplinare. Si aggiunga  che  il  primo
 presidente,  in fatto, non partecipa alle udienze in cui si discutono
 ricorsi in materia  disciplinare  relativi  ai  magistrati  militari;
 mentre,   ove   cio'   non  facesse  soccorrerebbe  l'istituto  della
 ricusazione.   Sotto  questi  profili  la  questione  deve  ritenersi
 manifestamente infondata.
   La questione e' inoltre non rilevante poiche' essa potrebbe semmai,
 ricorrendone  i presupposti, essere sollevata se e nel momento in cui
 al collegio delle Sezioni unite che giudica sul ricorso  avverso  una
 decisione  del  C.M.M.  in  sede  disciplinare dovesse partecipare il
 presidente della Corte di  cassazione  che  ha  gia'  partecipato  al
 giudizio disciplinare
   2.  -  Appare  altresi'  manifestamente infondata ed irrilevante la
 questione prospettata dalla difesa in relazione  alla  partecipazione
 del  procuratore  generale  militare presso la Corte di cassazione ai
 cosiddetti  atti  preliminari  al  dibattimento,  nonostante  la  sua
 posizione di parte nel procedimento.
   Il  procuratore generale non partecipa infatti ad alcuna delle fasi
 deliberative  che  connotano   l'attivita'   del   C.M.M.   in   sede
 disciplinare,  essendo  demandato  in via esclusiva al presidente del
 Consiglio della  magistratura  militare  il  potere  di  fissare,  su
 richiesta  del  procuratore  generale  presso  la  Corte  di  appello
 militare, la data per la discussione orale del procedimento:  a  cio'
 egli  provvede  senza  la  presenza  dei  componenti  del Comitato di
 presidenza.  Inoltre  il  procuratore  generale  non  svolge   alcuna
 attivita', consistente nell'adozione di provvedimenti, nella fase dei
 c.d. atti preliminari al dibattimento.
   3.  -  E'  altresi'  basata  su  una errata ricostruzione normativa
 l'argomentazione della difesa, secondo cui, nel giudizio  innanzi  il
 C.M.M.   in  sede  disciplinare  si  applicherebbe  la  regola  della
 prevalenza del voto del presidente.
   Al giudizio disciplinare nei confronti di  magistrati  militari  si
 applicano   invece,   cosi'  come  al  giudizio  disciplinare  per  i
 magistrati ordinari, stante il richiamo operato dall'art. 1, comma 3,
 legge n. 561/1988, le norme  del  codice  di  procedura  penale,  ivi
 compresa  la  disposizione  dell'art. 473, quarto comma, c.p.p. 1930,
 che prevede - alla stessa stregua dell'art. 527, comma 3, c.p.p. 1988
 -  la  regola  della  prevalenza  della  soluzione  piu'   favorevole
 all'imputato.
   4.  -  E'  invece  non  manifestamente  infondata  e  rilevante  la
 questione inerente la disparita' di trattamento normativo di analoghe
 situazioni -  magistratura  ordinaria  e  magistratura  militare  nei
 procedimenti  disciplinari  - sia per gli aspetti di irragionevolezza
 gia'  sottolineati  ed  evidenziati  nella  precedente  ordinanza  di
 rimessione  alla Corte costituzionale (C.M.M. in sede disciplinare in
 data 2 giugno 1997), sia per gli aspetti  nuovi,  oggi  valutati,  di
 violazione  del  principio  di  precostituzione per legge del giudice
 naturale. Ed infatti:
     a) quanto alla rilevanza, il Consiglio fa propria l'osservazione,
 gia' richiamata nella citata ordinanza, che  la  questione  sollevata
 investe  la  stessa  fonte  normativa da cui discende la composizione
 dell'odierno   giudice   del   procedimento   disciplinare    e    la
 legittimazione  a  conoscere e decidere in ordine ai fatti oggetto di
 incolpazione.  Non v'e' dubbio, infatti, che ove la questione dovesse
 risultare fondata e dovesse pertanto ritenersi che il C.M.M. in  sede
 disciplinare,  alla  stessa  stregua  della  Sezione disciplinare del
 C.S.M.,  debba  essere  composto   da   un   numero   invariabile   e
 predeterminato  di  soggetti  (tra  titolari e sostituti) il Collegio
 nella composizione odierna sarebbe irregolarmente costituito, per  la
 assenza di un componente;
     b) quanto alla non manifesta infondatezza, il Consiglio fa ancora
 una  volta  proprie  le  considerazioni  svolte nella gia' richiamata
 ordinanza,  per  l'aspetto  inerente  l'art.  3,  primo  comma  della
 Costituzione,  che  possono  essere  sinteticamente  articolate nelle
 seguenti argomentazioni:
      la  sentenza  della   Corte   costituzionale   n.   71/1995   ha
 riconosciuto  natura  giurisdizionale  alla funzione disciplinare del
 C.M.M., proprio a causa dell'equiparazione alla funzione disciplinare
 del C.S.M.;
      l'art.   1,  comma  3,  legge  n.  561/1988,  pur  espressamente
 prevedendo  che  "il  procedimento  disciplinare  nei  confronti  dei
 magistrati   militari  e'  regolato  dalle  norme  in  vigore  per  i
 magistrati ordinari", non da' attuazione a  tale  principio,  poiche'
 non prevede l'istituzione di una sezione disciplinare e non configura
 la  possibilita'  di  intervento  di  membri  supplenti,  come accade
 invece, per i magistrati ordinari, ai sensi  dell'art.  4,  legge  n.
 195/1958;
      tale  disparita' di trattamento appare irragionevole, poiche' la
 comune  natura  giurisdizionale  dei  due  procedimenti  disciplinari
 discende  dalla  comune  esigenza  di dare la massima effettivita' al
 principio  di  indipendenza  della  magistratura  proclamato  per  le
 giurisdizioni  speciali dall'art. 108 Cost., che deve trovare la piu'
 completa attuazione proprio nel procedimento disciplinare in  cui  si
 applicano   provvedimenti   di  natura  sanzionatoria,  destinati  ad
 incidere sullo stato della  persona  e  sulla  sfera  lavorativa  del
 magistrato;
      la   mancata   previsione  di  una  Sezione  disciplinare  e  di
 meccanismi che garantiscano l'invariabilita'  numerica  del  Collegio
 nel  procedimento  disciplinare  nei confronti di magistrati militari
 altera l'equilibrio del sistema, prevedendo  una  diversa  disciplina
 per  situazioni  la cui eguaglianza deve invece essere assicurata per
 garantire l'indipendenza di ogni magistrato, ordinario o militare che
 sia.
   A tali argomentazioni deve aggiungersi che la  rilevata  disparita'
 di  trattamento  evidenzia ancor piu' la sua consistenza in relazione
 al principio di precostituzione del giudice naturale.
   Tale principio e' stato oggetto  di  una  copiosa  ed  approfondita
 analisi dottrinale e giurisprudenziale, nell'ambito della quale - pur
 con  una  serie di contrasti ed oscillazioni sulla coincidenza o meno
 tra il concetto di precostituzione ed il concetto di naturalita'  del
 giudice  -  e'  emersa  comunque l'esigenza che la scelta del giudice
 competente  a  decidere  sia  previamente  determinata   rispetto   a
 fattispecie  astratte,  sia  sottratta a criteri di discrezionalita',
 sia coperta da riserva assoluta di legge, e che la costituzione degli
 organi giudicanti non abbia  luogo  in  vista  del  singolo  processo
 (cosi',  tra  le  altre, C. cost. 13 giugno 1983, n. 164; C. cost. 14
 novembre 1979, n. 127; C. cost. (ord.), 5 aprile  1984,  n.  100;  C.
 cost.  3 maggio 1963, n. 50; C. cost. 12 maggio 1997, n. 77; C. cost.
 13 dicembre 1963, n. 156).
   Nel caso del C.M.M.  in  sede  disciplinare,  se  e'  vero  che  la
 composizione   dell'organo,   coincidendo   sostanzialmente  -  salva
 l'esclusione del procuratore generale militare  presso  la  Corte  di
 cassazione  -  con  quella  del  plenum  e'  prevista dalla legge, e'
 altrettanto vero che la sua effettiva  composizione  per  il  singolo
 procedimento   puo'   essere   variata   in  relazione  a  situazioni
 contingenti. La mancata previsione, da  parte  della  legge,  di  una
 apposita  sezione  disciplinare,  formata  da un numero di membri non
 variabile, la cui stabilita' numerica sia assicurata dalla figura dei
 supplenti,  e'  fonte  di  un  possibile  contrasto  con  i  principi
 costituzionali.
   Per  un  verso,  infatti,  tale  mancata  previsione rappresenta un
 ulteriore  parametro   di   disparita'   di   trattamento,   la   cui
 irragionevolezza puo' essere desunta proprio dal contrasto con l'art.
 25  della Costituzione.   Per altro verso essa puo' assumere autonoma
 rilevanza, laddove si ritenga che la garanzia di precostituzione  per
 legge  del  giudice naturale attenga alla predeterminazione normativa
 non solo del tipo di  collegio  che  dovra'  svolgere  una  attivita'
 giurisdizionale,  ma  anche del numero invariabile di componenti che,
 assicurandone la stabilita' funzionale, garantisce che lo svolgimento
 di  attivita'  giurisdizionale  non  sia   soggetto   a   cambiamenti
 contingenti e legati al singolo procedimento.
                                P. Q. M.
   Letto  l'art.  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87, dichiara
 manifestamente infondata e irrilevante la questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1, commi terzo e quarto, legge 30 dicembre
 1988, n. 561, con riferimento alla presenza  nel  Consiglio  in  sede
 disciplinare  del  primo  presidente  della  Corte  di  cassazione in
 relazione agli artt. 3 e 25, comma primo, della Costituzione;
   Dichiara manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1, commi terzo e quarto, legge 30 dicembre
 1988, n.  561,  con  riferimento  alla  presenza  nel  Consiglio  del
 procuratore  generale  militare  presso  la  Corte  di cassazione, in
 relazione agli artt. 3 e 25, comma primo, della Costituzione;
   Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 1, commi terzo e quarto, legge
 30 dicembre 1988, n.  561,  con  riferimento  alla  composizione  del
 Consiglio  della  magistratura  militare  in  sede  disciplinare,  in
 relazione agli artt. 3 e 25, comma primo, della Costituzione;
   Dispone la sospensione del procedimento e l'invio degli  atti  alla
 Corte costituzionale;
   Dispone  che l'ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente
 del Consiglio dei Ministri e comunicata ai  Presidenti  di  Camera  e
 Senato.
     Roma, addi' 21 ottobre 1997
                  Il presidente: (firma illeggibile)
 98C0148