N. 91 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 novembre 1997

                                 N. 91
  Ordinanza  emessa  il  14  novembre 1997 dal tribunale di Napoli nel
 procedimento penale a carico di Marsiglia Valeria ed altri
 Reato in genere - Reati fallimentari - Interesse privato del curatore
    negli atti del fallimento - Disciplina - Trattamento deteriore del
    curatore fallimentare nonche' del Commissario straordinario  delle
    imprese  in  crisi,  rispetto a quanto attualmente previsto per il
    reato di abuso di ufficio  dall'art.  323  cod.  pen.,  nel  testo
    sostituito  dalla legge n. 234 del 1997 - Lesione del principio di
    eguaglianza - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n.
    414/1994.
 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 228; d.-l. 30 gennaio 1979, n.  26,
    art. 1, convertito in legge 3 aprile 1979, n. 95).
 (Cost., art. 3).
(GU n.9 del 4-3-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha emesso  la  seguente  ordinanza  decidendo  sulla  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 228 r.d. 16 marzo 1942, n. 267
 (disciplina    del    fallimento,    del    concordato    preventivo,
 dell'amministrazione   controllata   e   della   liquidazione  coatta
 amministrativa) sollevata dalla difesa degli  imputati  in  relazione
 all'art.  3  della  Costituzione  nel procedimeto penale n. 2243/7/94
 r.g. nuovo rito nei confronti di: Marsiglia Valeria, nata a Napoli il
 4 luglio 1939, Sica  Mario  nato  a  Potenza  il  15  febbraio  1939,
 Angeloni  Giuseppe  nato a Trapani il 1 agosto 1929, Ferlaino Corrado
 nato a Napoli il 18 maggio 1931, Mansi  Ida  nata  a  Ravello  il  14
 febbraio  1948,  Boldoni  Patrizia nata a Napoli il 27 dicembre 1950,
 imputati del delitto pp. dagli artt. 81 cpv., e 112 c.p., 237  e  228
 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito
 in legge 3 aprile 1979, n. 95, perche', in concorso tra loro, i primi
 tre  in  qualita'  di  commissari del gruppo Lauro in amministrazione
 straordinaria ex legge Prodi e gli altri in qualita' di  beneficiari,
 il  Ferlaino  quale presidente del consiglio di amministrazione della
 "Del  Vecchio  Costruzioni  S.p.a."  e  comunque  gestore  di   fatto
 dell'"Habitat  Europa  S.r.l."  (del  quale  risulta  amministratrice
 delegata  Ida  Mansi)  e  dell'Iper  S.p.a.  (della   quale   risulta
 amministratore  delegato Patrizia Boldoni), con piu' azioni esecutive
 di un medesimo disegno criminoso, prendevano interesse privato  negli
 atti  della  gestione  dell'amministrazione  straordinaria del gruppo
 "Flotta Lauro" ed in particolare:
     1)  Marsiglia,  Sica ed Angeloni stipulavano con Ida Mansi, nella
 qualita' di amministratore delegato dell'Habitat  Europa  S.r.l.,  un
 preliminare  di compravendita avente ad oggetto l'immobile denominato
 Villa Lauro, sito in via  Crispi  di  Napoli  per  il  prezzo  di  L.
 12.000.000.000   pari  a  meno  del  50%  del  valore  di  mercato  e
 determinato avvalendosi di  criteri  disomogenei  rispetto  a  quelli
 usati  per  altre  vendite  e  comunque  irrazionali ed evidentemente
 errati (quale, ad esempio, l'applicazione di un saggio di  incremento
 del  valore  immobiliare  pari  a quello ISTAT sull'aumento del costo
 della vita, in relazione ad un territorio e ad un arco temporale  nei
 quali  i  valori  immobiliari  hanno  subito  aumenti  di  gran lunga
 superiori), tanto  piu'  che  derivavano  da  una  perizia  giudicata
 unanimemente   inaffidabile,   ed   in   violazione   inoltre   della
 disposizione ministeriale di cui alla circolare n.    100690  del  22
 marzo  1986 specificamente indirizzata ai commissari delle imprese di
 amministrazione straordinaria.
   L'aggiudicazione della gara all'Habitat Europa S.r.l. e' poi  stata
 preceduta   dall'adozione   di  modalita'  di  svolgimento  dell'asta
 disomogenee rispetto a  quelle  usate  per  altri  cespiti  anche  di
 rilevante  valore  (prevedendosi  solo in questa occasione un incanto
 dopo  l'apertura  delle  buste  con  offerta  segreta  ed   ulteriore
 possibilita'  di aumento del sesto) e comunque favorevoli all'Habitat
 Europa S.r.l., perche' tali da  limitare  grandemente  o  addirittura
 escludere  i  soggetti  economici (banche, enti e grandi aziende) che
 dovevano ritenersi piu' di ogni  altro  interessati  all'acquisizione
 dell'immobile, e cia' in relazione:
     a)  ad  una  insuffcienza  di  adeguata  pubblicita', soprattutto
 mancata divulgazione  dell'avviso  con  le  forme  della  pubblicita'
 commerciale  (es.  pubblicita' preventiva mediante predisposizione di
 opuscoli contenenti informative, descrizione e materiale fotografico,
 da inviare ai principali enti e gruppi nazionali  ed  internazionali,
 con  preannuncio  dei termini e delle modalita' essenziali dell'asta.
 Pubblicita' del bando d'asta da effettuarsi in  giornali  finanziari,
 in  riviste specialistiche ed economiche ed in giornali, finanziari e
 non, stranieri);
     b) insufficiente descrizione del bene nel  bando,  evidenziandone
 il  solo  particolare  pregio architettonico, storico ed urbanistico,
 l'ubicazione nel centro della citta' in zona ove trovansi  consolati,
 banche,  sedi d'istituzioni culturali, e l'essere dotato di un parco,
 di fabbricati di servizio ed ampi spazi di parcheggio all'aperto;
     c) insufficienza dei termini tra la pubblicazione del bando e  la
 presentazione  delle  offerte,  con conseguente cattivo esercizio del
 potere  discrezionale  previsto  dall'art.  576,  n.  4  c.p.c.,   in
 relazione  alla  notoria  lentezza  e'  complessita'  delle procedure
 deliberative ed esecutive  degli  enti  e  dei  gruppi  che  dovevano
 ritenersi  piu'  di ogni altro soggetti interessati al cespite, tanto
 piu'  ove  si  consideri  che,  successivamente  alla   presentazione
 dell'offerta,  era prevista una immediata gara in aumento e che anche
 la procedura di rialzo di un sesto doveva essere posta in essere  nel
 brevissimo termine di giorni dieci, rialzo che ove si tenga conto del
 solo  prezzo  a base d'asta, doveva essere dell'importo minimo di due
 miliardi;
     2) Marsiglia, Sica ed Angeloni separavano  ed  estrapolavano  dal
 complesso denominato contrada Villazzano, senza altra ragione che non
 fosse  quella  di  favorire la societa' Iper ed in modo assolutamente
 irrazionale sotto il profilo gestionale, e ponevano poi in vendita le
 particelle  di  terreno  agricolo 138, 140 e 141 di are 30,42 site in
 Massa Lubrense, che risultavano poi  aggiudicate  alla  "Del  Vecchio
 Costruzioni  S.p.a."  amministrata,  nella sua qualita' di presidente
 del consiglio di amministrazione, da Ferlaino Corrado, per il  prezzo
 di  L.  61.501.000:  prezzo di gran lunga inferiore all'incremento di
 valore che l'acquisto ha comportato per la Iper S.p.a.  (amministrata
 formalmente  da  Patrizia  Boldoni,  ma  di fatto in capo allo stesso
 Ferlaino), proprietaria di un terreno a  monte,  sul  quale  sono  in
 corso   di   realizzazione   opere   edilizie,  che  solo  attraverso
 l'acquisizione delle dette particelle gia' di proprieta'  del  Gruppo
 Lauro   ha   acquisito   la  possibilita'  di  realizzare  un  comodo
 collegamento con la strada provinciale.
   Tutto cia' avvenendo in presenza  di  rapporti  di  amicizia  e  di
 frequentazione tra Marsiglia Valeria e Ferlaino Corrado.
   In Napoli tra il l990 ed il 1991.
   1. - Nel corso del dibattimento, all'udienza del 30 ottobre 1997 la
 difesa   degli   imputati  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 228 r.d. 16 marzo 1942, n. 267 per  ritenuto
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
   Dopo  aver  premesso  che  l'art. 228 legge fallimentare - il quale
 punisce l'interesse privato del curatore negli atti del fallimento  -
 e'   strutturato   in  maniera  identica  all'art.  324  c.p.  e  che
 l'abrogazione ex art. 20 legge 26 aprile 1990, n. 86 della  anzidetta
 norma  non  ha  comportato  un'indiscriminata abolitio criminis delle
 condotte del pubblico ufficiale, gia'  qualificabili  come  fatti  di
 interesse  privato in atti di ufficio, ma la parziale riconduzione di
 quelle alla fattispecie di cui  all'art.  323  c.p.,  come  novellato
 dall'art.  13 legge n. 86/1990 cit., osserva la difesa degli imputati
 che la successiva ulteriore modifica, ex art. 1 legge 16 luglio 1997,
 n.   234, dell'art. 323 c.p. ha determinato, rispetto alla situazione
 precedente,  un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra   il
 curatore fallimentare (o soggetti equiparati) e il pubblico ufficiale
 con particolare riferimento al profilo sanzionatorio e a quello della
 identificazione delle condotte incriminate.
   Sotto il primo profilo, perche', pur a voler scontare l'intento del
 legislatore  di  "attribuire  una  specialita'  ... e un connotato di
 maggiore gravita' ...." all'ipotesi di cui all'art. 228 (Corte cost.,
 7 dicembre 1994, n. 414), tali qualificazioni non  giustificherebbero
 un  trattamento  sanzionatorio  che,  a  seguito  dell'ultima novella
 legislativa, configura un sistema  nel  quale,  l'abuso  patrimoniale
 commesso  dal  pubblico  ufficiale  o  dall'incaricato di un pubblico
 servizio, e' punito con una pena edittale pari,  nel  minimo,  ad  un
 quarto e, nel massimo, alla meta' di quella prevista per il curatore,
 determinando   cosi'  un  differenziale  nel  rapporto  sanzionatorio
 contrario a qualsiasi canone di ragionevolezza.
    Sotto il secondo profilo,  perche'  per  effetto  delle  modifiche
 apportate  dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, si sarebbe determinata
 una  ingiustificata  parziale  abolitio  criminis  di  alcune   delle
 condotte  del  pubblico  ufficiale  gia' qualificabili come interesse
 privato in atti di ufficio e dalla novella del 1990  ricondotte  alla
 fattispecie  incriminatrice  dell'art.  323  c.p. Sicche', allo stato
 attuale della legislazione, il curatore  fallimentare  (e  gli  altri
 soggetti  equiparati)  sarebbero  gli  unici  pubblici  ufficiali che
 rispondono  indiscriminatamente  di  qualsiasi condotta astrattamente
 riconducibile  all'assunzione  di  un'interessenza   in   un   affare
 attinente  all'ufficio esercitato, laddove gli altri rispondono delle
 stesse condotte solo se agiscono in violazione di norme di legge o di
 regolamento oppure omettono di astenersi in presenza di un  interesse
 proprio o di un prossimo congiunto.
   2.  -  La  prima  censura  di  incostituzionalita',  fondata su una
 asserita disparita' di trattamento sotto il profilo sanzionatorio tra
 la  fattispecie   dell'interesse   privato   riferita   al   curatore
 fallimentare  e  quella  dell'analogo  reato  gia'  previsto  per  il
 pubblico  ufficiale  dall'abrogato  art.  324  c.p.  e   parzialmente
 sussunta   dalla  legge  26  aprile  1990,  n.  86  tra  le  condotte
 incriminatrici  dell'art.  323  c.p.  novellato,  e'   manifestamente
 infondata.
   Come  e'  noto la giurisprudenza della Corte costituzionale ha piu'
 volte affermato che "il principio di eguaglianza esige  che  la  pena
 sia   proporzionata  al  fatto  commesso,  in  modo  che  il  sistema
 sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa  sociale
 e  a  quella  di  tutela delle posizioni individuati" (Corte cost. n.
 167/1982); ma la valutazione del legislatore  puo'  essere  sindacata
 solo  se  la  disparita'  del  trattamento  sanzionatorio si dimostri
 "cosi' palesemente irrazionale da attingere  l'arbitrarieta'"  (Corte
 cost.  n.  167/1982),  o conduca "a sperequazioni palesemente inique"
 (Corte cost. n. 84/1984), o "assuma dimensioni tali da  non  riuscire
 sorretta  da una benche' minima giustificazione di ordine razionale e
 logico (Corte cost.  n. 7/1987).
   Ritiene il collegio che  nessuna  delle  ipotesi  innanzi  indicate
 ricorra  nel caso qui esaminato della norma di cui all'art. 228 legge
 fallimentare.
   E' vero infatti, come riconosce la stessa  difesa  degli  imputati,
 "aderendo  totalmente"  a  quanto  gia'  ritenuto in subjecta materia
 dalla Corte costituzionale nella sentenza 7 dicembre  1994,  n.  414,
 che  l'incriminazione in modo autonomo del reato di interesse privato
 commesso dal curatore fallimentare, pur recante il medesimo titolo di
 quello abrogato nel codice penale, disvela l'intento del  legislatore
 di attribuire alla fattispecie di cui all'art. 228 legge fallimentare
 una   specialita'   e   una   qualificazione  di  maggiore  gravita',
 quest'ultima espressa proprio nel diverso trattamento sanzionatorio.
   Ne' a diversa conclusione puo' indurre il fatto che, in conseguenza
 delle successive  modifiche  al  sistema  sanzionatorio  dei  delitti
 contro   la   pubblica   amministrazione,  il  differenziale  tra  il
 trattamento previsto per il curatore fallimentare e  quello  previsto
 per  ogni altro pubblico ufficiale si sia ulteriormente divaricato in
 pregiudizio del primo. Fatti  salvi,  infatti,  i  casi  di  assoluta
 arbitrarieta'  -  qui certamente non ricorrente - sfugge alla censura
 di incostituzionalita' la equiparazione (o, il che e' lo  stesso,  la
 mancata  equiparazione) quoad poenam delle fattispecie incriminatrici
 in quanto il principio di uguaglianza non puo' essere inteso in senso
 meccanicistico atteso che nel  nostro  sistema  penale  la  mobilita'
 della  pena,  cioe'  la  predeterminazione  della stessa da parte del
 legislatore fra un minimo ed un massimo, permettendo l'individuazione
 e l'adeguamento delle risposte  punitive  ai  casi  concreti,  e'  lo
 strumento  piu'  congruo  rispetto  al  principio  di uguaglianza (ex
 multis, Corte cost. nn. 26/1979; 1/1982; 67/1963).
   3.  -  Non  e'  invece  manifestamente  infondata  la  questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 228  legge  fallimentare,  come
 sollevata  dalla  difesa degli imputati in relazione all'art. 3 della
 Costituzione, nella parte in cui tale norma consente  la  persistente
 incriminazione  di  alcune  condotte  del curatore fallimentare, gia'
 qualificabili come fatti di interesse privato in atti di ufficio,  in
 ordine  alle quali invece, per effetto della legge 16 luglio 1997, n.
 234, si e' verificata una parziale abolitio criminis a  favore  degli
 altri pubblici ufficiali.
   L'art.  228  cit.  statuisce  che  il curatore che prende interesse
 privato  in  qualsiasi  atto  del  fallimento  direttamente   o   per
 interposta persona o con atti simulati e' punito con la reclusione da
 due a sei anni e con la multa non inferiore a lire quattrocentomila".
   La norma, come del resto risulta evidente dalla clausola di riserva
 espressa con la formula "salvo che al fatto non siano applicabili gli
 artt.  315, 317, 318, 319, 322 e 323 c.p." ha, per concorde opinione,
 carattere sussidiario rispetto a queste ultime  disposizioni,  alcune
 delle  quali, come l'art. 315, abrogate, ovvero, le altre, modificate
 dalla legge 26 aprile 1990, n. 86.
   La  stessa  norma,  poi,  pur   mutuandone   titolo   e   contenuto
 sostanziale,  rivestiva carattere speciale rispetto al reato previsto
 dall'art.   324 c.p., che incriminava  in  via  generale  l'interesse
 privato  in  atti di ufficio da parte di qualsiasi pubblico ufficiale
 diverso dal curatore fallimentare o figure ad esso equiparate.
   Allorche' l'art.  20  della  legge  26  aprile  1990,  n.  86  ebbe
 formalmente  ad  abrogare  l'art. 324 c.p., nel contempo ampliando la
 fattispecie del reato di abuso  di  ufficio  prevista  dall'art.  323
 c.p.,  cosi'  da  ricomprendervi  fatti  che  prima  ricadevano nella
 previsione dell'art.  324, si pose agli interpreti il problema  della
 sopravvivenza   dell'art.      228:   problema   risolto   pressoche'
 concordemente nel senso della persistente vigenza della norma proprio
 in virtu' della ritenuta sua natura di norma speciale  rispetto  art.
 324 c.p.
   Fu   anche   sollevata  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.   228 sotto il profilo che,  avendo  la  legge  n.  86/1990
 citata  abrogato la fattispecie incriminatrice generale prevista art.
 324 c.p., non sarebbe stato piu' giustificato (e ne sarebbe risultato
 violato quindi l'art. 3 della Costituzione per l'ingiusta  disparita'
 di   trattamento)   il   permanere   della   analoga   incriminazione
 dell'interesse privato in atti  di  ufficio  a  carico  del  curatore
 fallimentare.
   La  Corte  costituzionale,  con  la gia' citata sentenza 7 dicembre
 1994, n.  414,  ebbe  ad  affermare  l'infondatezza  della  sollevata
 questione  sul  rilievo  che  il  carattere  speciale  dell'interesse
 privato  disciplinato  dall'art.   228,   rendendo   disomogenee   le
 situazioni   messe   a  contronto,  avrebbe  giustificato  l'asserita
 disparita' di trattamento che si sarebbe venuta  a  determinare,  per
 effetto  delle  modifiche  apportate  dalla  legge n. 86/1990, tra il
 curatore  fallimentare  ed  il  pubblico  ufficiale   rispetto   alla
 situazione  precedente. Aggiunse poi che in ogni caso la citata legge
 del 1990 non aveva determinato una indiscriminata  abrogazione  delle
 condotte  criminose  di  cui  all'art. 324 c.p., assunto come tertium
 comparationis, ma unicamente  la  sussunzione  di  alcune  di  quelle
 condotte  nell'ambito  delle fattispecie previste dal novellati artt.
 323  e  326  c.p.  Sulla  base  di questi rilievi la Corte concludeva
 infine che la abrogazione dell'art. 324 c.p. e la riformulazione  del
 delitto di abuso di ufficio ex art. 323 c.p. si sarebbero tradotti in
 effetti  in  un  semplice  problema di successione di leggi nel tempo
 onde perdeva rilievo l'asserzione di  un'asserita  impunita'  di  cui
 avrebbero  goduto  i  pubblici  ufficiali per le richiamate condotte,
 sebbene assimilabili a quelle del curatore fallimentare.
   4. - Orbene, ritiene il collegio  che  proprio  sotto  quest'ultimo
 profilo la questione di legittimita' dell'art. 228 legge fallimentare
 vada  nuovamente  sottoposta  al vaglio della Corte costituzionale in
 conseguenza della sopravvenuta legge 16 luglio 1997, n. 234,  che  ha
 riformato l'art. 323 c.p.
   L'intento  dichiarato della legge, come e' noto, e' stato quello di
 evitare - come argutamente  e'  stato  detto  -  "abusi  dell'abuso",
 circoscrivendo   l'ambito   di  applicabilita'  dell'art.  323  c.p.,
 attraverso una piu' puntuale  precisazione  dei  contorni  del  fatto
 punibile.
   In  tale  ottica,  la  prima  incisiva  novita',  rispetto al testo
 previgente, e' costituita  dal  fatto  che  il  legislatore  odierno,
 diversamente  da quello del 1990, ha ancorato la configurabilita' del
 reato al verificarsi di un evento di  danno,  un  risultato  concreto
 della  condotta  abusiva  che consiste nell'aver procurato a se' o ad
 altri un ingiusto vantaggio "patrimoniale", ovvero nell'aver arrecato
 "ad altri un danno ingiusto".
   La seconda non meno rilevante novita' del novellato art.  323  c.p.
 consiste  nel  fatto  che  per  la  configurabilita' del reato non e'
 sufficiente  una  qualsivoglia  condotta  abusiva,  ma  questa   deve
 concretizzarsi  nella "violazione di norme di legge o di regolamento"
 ovvero nella violazione dell'obbligo di "astensione" in  presenza  di
 un interesse proprio o di un prossimo congiunto.
   Resta  da  aggiungere,  sotto  il  profilo  sanzionatorio,  che per
 l'abuso patrimoniale vengono notevolmente diminuiti i limiti edittali
 di pena.
   Cio'  posto,  evidente  appare  e  consistente  la  differenza   di
 trattamento  che  si  e'  venuta  a  determinare,  per  effetto delle
 modifiche  apportate  dalla  legge  n.  234/1997,  fra  il   curatore
 fallimentare  ed  il  pubblico  ufficiale  rispetto  alla  situazione
 precedente.
   E' vero infatti che il curatore (e gli altri  soggetti  equiparati)
 dovrebbero  continuare  a  rispondere ex art. 228 citato di qualunque
 condotta  che  comporti  una  "presa  di  interesse",  vale  a   dire
 l'assunzione  di  una interessenza in un affare attinente all'ufficio
 esercitato, senza che  abbia  rilievo,  ai  fini  della  integrazione
 dell'illecito,  la  legittimita' o meno dell'atto in se', la liceita'
 dei mezzi usati, il fatto  che  ne  sia  derivato  o  meno  un  danno
 patrimoniale  o  che  comunque l'agente abbia realizzato un vantaggio
 non apprezzabile. In breve il curatore sarebbe  responsabile  per  il
 semplice  avvalersi  della  sua  particolare  posizione allo scopo di
 sovrapporre o anche semplicemente di far coincidere vantaggi  privati
 agli  interessi  del  servizio  per il quale quella condizione gli e'
 stata attribuita.
   Diversamente per ogni altro pubblico ufficiale il quale, come si e'
 detto, rispondera' ex art. 323 c.p. di abuso solo e nei limitati casi
 in cui detto abuso si consuma mediante la violazione di una norma  di
 legge   o   regolamentare   ovvero   l'inosservanza  dell'obbligo  di
 astensione.  In  ogni caso giammai se l'abuso sia diretto a procurare
 vantaggi di natura esclusivamente non patrimoniale.
   E pero', indipendentemente da  qualsiasi  considerazione,  qui  non
 consentita e comunque ininfluente, in ordine alla opportunita' di una
 riforma  che  ha  operato  un ridimensionamento del reato di abuso di
 ufficio di portata tale  da  ricondurre  molte  delle  condotte  gia'
 qualificabili  di  interesse privato ovvero di abuso non patrimoniale
 nell'ambito della rilevanza meramente disciplinare,  sottraendole  al
 controllo  penale,  riesce  davvero  difficile  ammettere che di tali
 condotte debbano invece continuare a  rispondere  indiscriminatamente
 il  curatore fallimentare e gli altri soggetti equiparati. Cio', pure
 a  voler  ritenere  il  carattere  speciale  dell'interesse   privato
 previsto  dall'art.  228  legge  fallimentare  e  la  conseguente sua
 disomogeneita' rispetto alla fattispecie di  cui  all'art.  323  c.p.
 messa  a  confronto:    connotati  questi  che  appaiono inadeguati a
 giustificare la sempre piu' accentuata divaricazione tra le due norme
 incriminatrici le quali e' bene sottolinearlo, pure erano nate uguali
 nell'ispirazione e sostanzialmente identiche nei  contenuti,  sebbene
 diverse nel trattamento sanzionatorio.
   Appena  aggiungendo  che  la  rilevata  divaricazione dipende da un
 intervento legislativo inteso  a  soddisfare  un'esigenza  ampiamente
 condivisa  di  piu' puntuale determinazione delle condotte punibili a
 titolo di abuso ex art. 323 c.p.: esigenza che per le ragioni che  la
 ispirano  non puo' non ritenersi comune anche alla fattispecie di cui
 all'art. 228 legge fallimentare. Sicche' anche sotto quest'ultimo non
 secondario profilo si impone la necessita' di sottoporre al vaglio di
 legittimita' costituzionale la  norma  anzidetta  per  contrasto  con
 l'art. 3 della Costituzione.
   Ai  sensi e per gli effetti di cui all'art. 27 legge 11 marzo 1953,
 n. 87 la questione di legittimita'  costituzionale  deve  interndersi
 estesa  anche  all'art. 1, sesto comma, d.-l. 30 gennaio 1979, n. 26,
 convertito in legge 3 aprile 1979, n. 95, nella parte in cui  prevede
 l'applicabilita'   dell'art.   228   legge   fallimentare   anche  al
 commissario straordinario delle imprese in crisi.
   5. - Risulta  evidente  nel  caso  di  specie  la  rilevanza  della
 questione di legittimita' costituzionale sollevata.
   Come  si  rileva  dal capo di imputazione in epigrafe integralmente
 riportato, agli imputati chiamati a rispondere del reato di interesse
 privato in atti di ufficio ai sensi dell'art. 228 legge fallimentare,
 si contesta una  generica  presa  di  interesse,  non  ancorata  alla
 "violazione  di norme, di leggi o di regolamento" ovvero dell'obbligo
 di astensione.
   Sicche',   ove    dovesse    essere    accolta    l'eccezione    di
 incostituzionalita'  della  norma incriminatrice nei termini esposti,
 si  porrebbe  la  questione,  in  mancanza   di   una   contestazione
 integrativa, della sussistenza stessa del reato.
                               P. Q. M.
   Letti   gli   artt.   134   della   Costituzione,   1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
 n. 87, ritenuta la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 228 r.d 16 marzo 1942, n. 267 e dell'art. 1 d.-l. 30 gennaio 1979, n.
 26,  convertito in legge 3 aprile 1979, n. 95 in relazione all'art. 3
 della Costituzione non manifestamente infondata e rilevante  ai  fini
 della decisione;
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina  alla  cancelleria  di notificare la presente ordinanza agli
 imputati, al p.m., alle parti civili e al  Presidente  del  Consiglio
 dei Ministri;
   Ordina  alla  cancelleria  di  comunicare  la presente ordinanza ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Napoli, addi 14 novembre 1997
                Il presidente estensore: Frallicciarri
                                       I giudici: Paolelli - De Tollis
 98C0152