N. 121 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 dicembre 1997

                                N. 121
  Ordinanza emessa il 19 dicembre 1997 dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  pretura di Pistoia nel procedimento penale a
 carico di Tampellini Franco
 Lavoro  -  Contravvenzioni  in  materia  di  sicurezza  ed  igiene  -
    Ammissione obbligatoria del contravventore alla definizione in via
    amministrativa  (con  conseguente  estinzione del reato) - Mancata
    previsione in caso di difetto di prescrizione da parte dell'organo
    di vigilanza (nella specie: l'organo di vigilanza ha  ritenuto  di
    non  dover  impartire  alcuna  prescrizione  trattandosi  di reato
    istantaneo che  preclude  la  regolarizzazione)  -  Disparita'  di
    trattamento tra contravventori - Contrasto con la legge delega.
 (D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, art. 21, comma 2).
 (Cost., artt. 3 e 76).
(GU n.10 del 11-3-1998 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Letti gli atti del procedimento penale sopraindicato;
   Esaminata la richiesta del p.m., pervenuta in data 5 dicembre 1997,
 di  emissione  di  decreto  penale  di  condanna  per il reato di cui
 all'art.  7/89, comma 2, decreto legislativo n. 626/1994 accertato il
 4 aprile 1997  a  carico  dell'imputato  Tampellini  Franco  in  atti
 generalizzato;
   Rilevato  che  la richiesta in esame e' relativa ad un accertamento
 eseguito in data 4 aprile 1997  da  personale  della  USL  n.  3/Zona
 Valdinievole;
     che, in particolare, nel corso dell'accertamento eseguito in data
 4  aprile  1997  nei  locali  della  ditta  dell'imputato  e'  emersa
 l'infrazione di cui  sopra  perche'  "il  Tampellini  Franco  non  ha
 cooperato  -  vigilato  i  lavori e le attivita' dell'impresa esterna
 appaltante ........., cui erano addetti anche i  lavoratori  autonomi
 ........   anche nel rispetto delle norme di sicurezza e prevenzione,
 circa i lavori da svolgere su di un ponteggio,  ad  una  altezza  dal
 suolo  superiore  a  due  metri,  con  parapetto  sprovvisto sui lati
 prospicienti il vuoto di corrente intermedio e di  tavola  fermapiede
 nonche'  con  piani  di  calpesti'o  allestiti  con  tavole in numero
 insufficiente ad essere ben accostate fra  di  loro......,  e  quindi
 senza  che  fossero  state adottate idonee misure di sicurezza atte a
 prevenire i rischi di caduta dall'alto di cose e/o persone";
   Rilevato, ancora,  che  a  seguito  dell'accertamento  l'organo  di
 vigilanza  pur rilevando la violazione dell'art. 7, comma 2/89, comma
 2, decreto legislativo n. 626/1994,  non  ha  ritenuto  di  impartire
 prescrizioni  ai  sensi  dell'art.  20  del  decreto  legislativo  n.
 758/1994  in  quanto  "trattasi  di  reato  gia'   consumato   quindi
 inottemperabile;  il  contravventore  non potra' quindi accedere alla
 sanzione amministrativa ma e' stato avvertito circa  la  possibilita'
 di  accedere all'istituto dell'oblazione" (v. CNR del 21 aprile 1997,
 pag. 2);
   Rilevato, pertanto, che il p.m. in assenza di prescrizioni da parte
 dell'organo di vigilanza ed in difetto di  sospensione  del  relativo
 procedimento  penale  ex  art.  23,  comma  1, decreto legislativo n.
 758/1994 ha presentato la richiesta di emissione di decreto penale di
 condanna per il reato oggetto di accertamento;
   Ritenuto,  ad  avviso  di  questo  g.i.p.,  che  tale    situazione
 processuale   prospetti   dubbi   di   legittimita'    costituzionale
 relativamente  all'art.  21, comma 2, decreto legislativo citato che,
 infatti,  consente  all'organo   di   vigilanza   di   ammettere   il
 contravventore  a  pagare in sede amministrativa, entro il termine di
 trenta giorni, una somma pari  al  quarto  del  massimo  dell'ammenda
 stabilita  per  la  contravvenzione  commessa, il tutto pero' "Quando
 risulta l'adempimento della  prescrizione";
   Ritenuto, infatti, che tale disposizione normativa si  appalesi  in
 contrasto con gli artt. 3 e 76 della Costituzione;
                             O s s e r v a
   Il  capo  II  del  decreto legislativo n. 758/1994, in ottemperanza
 "parziale" alla delega conferita con legge 6 dicembre 1993,  n.  499,
 disciplina un procedimento definito come misto, ovvero amministrativo
 penale,  per  la  definizione  delle  contravvenzioni accertate dagli
 organi di vigilanza in materia di prevenzione  infortuni.  La  prassi
 ispettiva   relativa   alla  legislazione  in  materia  era  fondata,
 antecedentemente all'introduzione  di  tale  procedimento  misto,  su
 alcune  disposizioni  contenute fondamentalmente negli artt. 9/10 del
 decreto del Presidente  della  Repubblica  19  marzo  1955,  n.  520,
 recante  "Disposizioni  riguardanti  l'Ispettorato  del lavoro, sulla
 riorganizzazione centrale e periferica del  Ministero  del  lavoro  e
 della  previdenza  sociale".  In particolare l'art. 9 del decreto del
 Presidente della Repubblica citato prevede che, in caso di constatata
 inosservanza di norme  di  legge  la  cui  applicazione  e'  affidata
 all'Ispettorato  del  lavoro, quest'ultimo organo ha la facolta', ove
 lo  ritenga  opportuno,  valutate  le  circostanze   del   caso,   di
 "diffidare" con apposita prescrizione il datore di lavoro fissando un
 termine per la regolarizzazione.
   Orbene,  l'interpretazione  dell'istituto  della  "diffida"  -  che
 l'art.  21 della legge n. 833/1978, istitutiva del S.S.N., ha  esteso
 agli  operatori  di  vigilanza  delle  USL  per la legislazione sulla
 sicurezza del lavoro - ha generato un contrasto nella  giurisprudenza
 della  suprema  Corte  risolto  solo  a seguito di una sentenza delle
 SS.UU.  penali.
   Un  primo  filone  giurisprudenziale,  infatti,  riteneva  che   la
 facolta' di diffida non fosse alternativa all'obbligo di denunzia del
 fatto-reato  che e' perfetto sin dal momento del primo accertamento e
 perseguibile per il principio dell'officialita'  dell'azione  penale.
 Tale  orientamento,  in particolare, riteneva che la "diffida" di per
 se' consistesse in un formale avvertimento a rimuovere le  situazioni
 pregiudizievoli  riscontrate,  senza  che  essa,  o l'ottemperanza da
 parte del datore di lavoro, potesse influire sulla  procedibilita'  o
 punibilita'  del commesso reato (v., ex multis: Cass. pen., 24 aprile
 1990, imp. Diddi; Cass., pen., 27 giugno 1986 n. 12284, imp. Ciari).
   Un  secondo  e  piu'  recente  filone  giurisprudenziale,   invece,
 d'accordo  con la dottrina piu' avvertita, ha inteso la "diffida" non
 come strumento meramente sollecitatorio ma, piuttosto, come strumento
 atto all'eliminazione di situazioni di  pericolo  nell'interesse  dei
 lavoratori, sicche' dalla prevalenza accordata a tale interesse si e'
 desunto  dal sistema il principio per il quale la diffida costituisse
 condizione per il promovimento e la prosecuzione dell'azione  penale,
 mentre la tempestiva ottemperanza alla diffida da' luogo ad una sorta
 di    absolutio    ab    osservatione    iudicii   (v.,   nel   senso
 dell'alternativita' tra "diffida" e azione penale, ex  multis:  Cass.
 pen.,  9 aprile 1990 n. 7016, imp.  Fasoli;  Cass. pen., 24 settembre
 1991 n. 10498, p.m. in proc.  Casarini;  nello  stesso  senso,  anche
 Corte  cost.  12  luglio 1967 n. 105 ed, ancora, Corte cost. 9 giugno
 1971 n. 125).
   A seguito, tuttavia, dell'arresto giurisprudenziale  della  suprema
 Corte  con la sentenza n. 3171 del 27 febbraio 1992 (imp. Bergamini),
 si rendeva necessario l'intervento chiarificatore delle SS.UU.  della
 suprema  Corte  che,  infatti,  oltre  a  ribadire  le argomentazioni
 proprie del primo filone giurisprudenziale, hanno assegnato carattere
 decisivo alla constatazione per  cui  nell'art.  9  del  decreto  del
 Presidente della Repubblica n. 520/1955 manca una espressa previsione
 della   sospensione   dell'azione   penale   in  caso  di  diffida  e
 dell'estinzione del reato per effetto dell'ottemperanza alla  diffida
 stessa.  La  conclusione,  quindi, e' stata quella di ritenere che la
 "diffida" consiste in un mero formale  avvertimento  a  rimuovere  le
 situazioni  pregiudizievoli  riscontrate  e,  che  esaurisce  i  suoi
 effetti sul piano amministrativo.
   Con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 758/1994, pero',
 il legislatore ha tentato di colmare il vuoto  interpretativo  creato
 dalle  SS.UU.  del  1993,  disponendo  espressamente  per  il  futuro
 l'inapplicabilita'  delle  norme  in  materia   di   diffida   e   di
 disposizione  per  le  contravvenzioni in materia di lavoro (art. 25,
 comma 1, decreto legislativo citato).
   Orbene, osserva il decidente,  come  l'attuale  disciplina  dettata
 dagli artt. 19/25 del decreto legislativo cit. per lo svolgimento del
 procedimento "misto" nel senso indicato in precedenza, presenti quale
 elemento  centrale  di  differenziazione  tra i contemplati poteri di
 disposizione e diffida da quello della "prescrizione"  ex  art.    20
 decreto legislativo citato proprio il carattere della obbligatorieta'
 di quest'ultima.
   Mentre,  cioe',  fino all'entrata in vigore del decreto legislativo
 n. 758/1994 l'organo di vigilanza poteva  discrezionalmente  valutare
 l'opportunita'  o meno di emanare un atto ingiuntivo o dispositivo di
 natura amministrativa, cosi' dando vita ad una fase autonoma rispetto
 al procedimento penale,  viceversa  con  l'entrata  in  vigore  della
 disciplina   citata   in   presenza   di   un   accertamento  di  una
 contravvenzione in materia  di  prevenzione  infortuni,  l'organo  di
 vigilanza  deve  necessariamente  impartire una prescrizione,   quale
 atto di  p.g.  strettamente  connesso  al  procedimento  penale  come
 desumibile dall'art. 20, comma 2, del decreto legislativo citato.
   Tale   obbligatorieta'  nell'impartire  la  prescrizione  da  parte
 dell'organo di vigilanza, soffre un'eccezione solo  nella  previsione
 dell'art.    23,  comma  2,  del  decreto  legislativo n. 758/94 che,
 infatti, riconosce la possibilita' all'organo di vigilanza di potersi
 astenere  dall'impartire  una  prescrizione   limitatamente,   pero',
 all'ipotesi  in  cui  la  notizia  di reato non pervenga direttamente
 all'organo di vigilanza ma dal p.m. o da altri soggetti.
   Il dato letterale di tale norma,  peraltro,  lascerebbe  propendere
 per  continuare a considerare la prescrizione come atto discrezionale
 dell'organo  di   vigilanza   ferma   restando   la   promuovibilita'
 dell'azione penale da parte del p.m.
   Orbene, una simile soluzione non puo' essere condivisa non soltanto
 con  riferimento  all'ipotesi  contemplata  dalla norma richiamata ma
 soprattutto, per quanto di interesse nella vicenda procedimentale  de
 qua,  con  riferimento  all'ipotesi  apparentemente  diversa sotto un
 profilo   giuridico/fattuale   ma   omogenea   sotto    un    profilo
 contenutistico  e  sostanziale in cui l'organo di vigilanza prendendo
 direttamente cognizione  di  una  notizia  di  reato  in  materia  di
 prevenzione    infortuni   ritenga   "discrezionalmente"   (con   una
 valutazione, si osserva, fondata su una  discrezionalita'  "tecnica")
 di  non  dover  impartire alcuna prescrizione ritenendo il reato gia'
 consumato  e  dunque  non  ottemperabile,   con   cio'   negando   al
 contravventore  la  possibilita'  (rectius,  il  diritto) di definire
 amministrativamente la procedura mediante pagamento della somma  pari
 ad  un  quarto  del  massimo dell'ammenda stabilita per la violazione
 accertata  e,  per  converso,  obbligandolo  a  definire   penalmente
 altrimenti   (ovvero,   mediante  l'oblazione  speciale  -  peraltro,
 quest'ultima,  davvero  "discrezionale"  per  il  giudice  penale   e
 soggetta a determinate condizioni indicate dall'art. 162-bis c.p. - o
 mediante  il  ricorso  ai  riti  alternativi,  al dibattimento ovvero
 legittimando,  come  nel  caso  di  specie,  il  p.m.  a   richiedere
 l'emissione  di  decreto  penale  di  condanna essendo venuta meno la
 sospensione dell'azione penale ex  art.  23  decreto  legislativo  n.
 758/1994) la violazione davanti al giudice penale.
   E'  evidente,  peraltro,  come  nel caso sub specie per l'organo di
 vigilanza impartire una prescrizione finalizzata all'eliminazione  di
 una   contravvenzione   accertata   sia   materialmente  impossibile,
 trattandosi di reato istantaneo caratterizzato da un'offesa del  bene
 protetto   che  si  perfeziona  e  si  esaurisce  nel  momento  della
 commissione del fatto, senza protrarsi  nel  tempo,  sicche'  risulta
 ontologicamente impedita qualsiasi possibilita' di regolarizzazione e
 la  conseguente  emanazione  di  una  prescrizione non avrebbe alcuna
 utilita',  in   considerazione   dell'oggettiva   impossibilita'   di
 ripristinare una situazione conforme a diritto.
   Se  tale situazione legittima l'organo di vigilanza a non impartire
 alcuna prescrizione di fronte al caso di specie (come, del resto,  si
 verifica  in  altri  casi:  es. art. 328 decreto del Presidente della
 Repubblica n. 547/1955 relativamente alla verifica  dell'impianto  di
 messa  a  terra  prima  della  messa  in  servizio;  art. 4, legge n.
 628/1961 quanto alla scadenza  del  termine  per  la  esibizione  dei
 documenti  richiesti da parte dell'Ispettorato del lavoro),  e' pero'
 dubbio che tale mancata prescrizione, risolvendosi nella  preclusione
 per  il contravventore della definizione del procedimento mediante il
 pagamento "in via amministrativa"  davanti  all'organo  di  vigilanza
 della  somma pari ad un quarto del massimo dell'ammenda stabilita per
 la violazione accertata, sia  pienamente  conforme  con  la  voluntas
 legis  sottesa  alla  legge  delega n. 499 del 6 dicembre 1993 e, nel
 contempo, conforme al  principio  costituzionale  dell'art.  3  della
 Costituzione.
   La  lettura  dell'art. 1, lett. b) della legge delega, infatti, non
 lascia spazio a margini di discrezionalita' agli organi di vigilanza.
   Ed invero, tale disposizione normativa nel conferire al Governo  la
 delega ad "adottare...  uno o piu' decreti legislativi per la riforma
 sanzionatoria  relativa  ai  rapporti di lavoro..." (art. 1, comma 1,
 prima parte) fissa i principi e criteri direttivi richiesti dall'art.
 76 Cost. e in maniera  perfettamente  intelligibile  "in  materia  di
 tutela  della  sicurezza  e  dell'igiene  del  lavoro"  richiede  che
 nell'attuazione della delega il  Governo  debba  "stabilire,  per  le
 contravvenzioni  previste  da leggi speciali, una causa di estinzione
 del  reato  consistente  nell'adempimento,  entro  un   termine   non
 superiore   al   limite   fissato   dalla  legge,  alle  prescrizioni
 obbligatoriamente impartite dagli organi di vigilazza allo  scopo  di
 eliminare  la  violazione  accertata,  nonche'  nel pagamento in sede
 amministrativa  di  una  somma  pari  ad  un   quarto   del   massimo
 dell'ammenda comminata per ciascuna infrazione".
   La  previsione normativa de qua, quindi, non sembra lasciare spazio
 a margini di discrezionalita' all'organo  di  vigilanza  nell'imporre
 una  prescrizione  successivamente all'accertamento della violazione,
 cio'  in  considerazione  del  fatto  che   tale   atto   rappresenta
 l'attivazione  della  procedura "mista" che potenzialmente porta alla
 definizione in fase amministrativa del  procedimento  secondo  quanto
 previsto dagli artt. 21/24 del decreto legislativo citato.
   Del  resto,  osserva  il  g.i.p.  non  avrebbe  alcun  senso logico
 sostenere  che  l'obbligatorieta'   o   la   discrezionalita'   della
 emanazione  dell'atto  prescrittivo  sia  determinata  e condizionata
 dalla natura della violazione accertata.
   Cio' per almeno un duplice ordine di motivi.
   Ed infatti, la circostanza per cui la possibilita' di estinguere il
 reato adempiendo alla prescrizione e pagando una sanzione  pecuniaria
 in   via   amministrativa  sarebbe  rimessa,  in  primo  luogo,  alla
 casualita' che determina il  reato  oggetto  di  accertamento  (ossia
 dipenderebbe  dalla natura del reato stesso, impedendo, come nel caso
 di specie, qualsiasi prescrizione trattandosi di reato gia' consumato
 per il quale non si ritenga di dover impartire prescrizioni da  parte
 dell'organo  di vigilanza) ed, in secondo luogo, sarebbe rimessa alla
 discrezionalita' insindacabile  dell'organo  di  vigilanza  (cio'  in
 considerazione del fatto che di fronte ad una rinuncia dell'organo di
 vigilanza  ad  impartire  prescrizioni  e,  dunque,  ad  ammettere il
 contravventore alla definizione amministrativa,  l'organo  inquirente
 non  ha alcuna facolta' di intervento nella fase amministrativa della
 procedura di spettanza esclusiva  dell'organo  di  vigilanza  ne'  e'
 legittimato  a  porre  in  essere  atti  finalizzati  a  sanare  tale
 situazione potendo solo compiere quelle attivita'  limitate  previste
 dall'art.  23,  comma  3,  decreto  legislativo citate che, peraltro,
 presuppongono la sospensione  del  procedimento  penale,  sospensione
 automaticamente caducata di fronte al diniego da parte dell'organo di
 vigilanza   di   ammettere   il   contravventore   alla   definizione
 amministrativa della procedura).
   In definitiva, quindi, autorizzare  una  simile  soluzione  (ovvero
 ritenere  non  obbligatorio  l'impartire  la  prescrizione  da  parte
 dell'organo di vigilanza o, comunque, rimettere alla discrezionalita'
 tecnica dell'organo di vigilanza la decisione di ammettere o meno  il
 contravventore  alla  definizione  in via amministrativa) equivale ad
 attribuire  all'organo  di  vigilanza  uno  smisurato,  eccessivo   e
 comunque  non  legittimo spazio di discrezionalita' circa l'effettiva
 operativita'  dello  speciale  procedimento   di   estinzione   delle
 contravvenzioni   previsto   dal  legislatore  per  evitare  la  fase
 processuale  penale  e  garantire  nel  contempo  l'osservanza  delle
 disposizioni violate.
   A giudizio di questo g.i.p., pertanto, sembra evidente il contrasto
 e,  dunque,  la  sospetta  incostituzionalita' dell'art. 21, comma 2,
 decreto legislativo citato nella parte in cui non  prevede  l'obbligo
 per  l'organo di vigilanza di ammettere il contravventore a pagare in
 sede amministrativa anche nel caso in cui non venga impartita  alcuna
 prescrizione  per materiale impossibilita' nella sua emanazione (come
 nel caso sub specie, trattandosi di reato  istantaneo  che  impedisce
 ontologicamente  qualsiasi  possibilita'  di regolarizzazione), posto
 che  subordinare  l'ammissione  alla  procedura  amministrativa  alla
 verifica    dell'adempimento    della   prescrizione   impedisce   al
 contravventore nei  cui  confronti  nessuna  prescrizione  sia  stata
 impartita  di  definire  la  violazione  accertata mediante pagamento
 della somma pari al quarto del  massimo  dell'ammenda  stabilita  per
 tale  violazione,  con evidente disparita' di trattamento rispetto al
 contravventore che beneficiato dall'imposizione di  una  prescrizione
 possa  definire  la  violazione accertata avvalendosi della procedura
 amministrativa  evitando  quella  penale  che,  viceversa,   dovrebbe
 obbligatoriamente  seguire  il  contravventore  nei cui confronti non
 venisse impartita alcuna prescrizione  e  che  si  vede  preclusa  la
 possibilita' di definizione in quella fase amministrativa.
   In definitiva, quindi, si farebbe dipendere da un elemento estraneo
 alla   volonta'   del   contravventore   (ossia  dalla  natura  della
 violazione)  la   possibilita'   di   avvalersi   della   definizione
 amministrativa   del   procedimento,   rimettendola   altresi'   alla
 discrezionalita' tecnica dell'organo di vigilanza, cio' che finirebbe
 per far degradare da obbligatoria a facoltativa  l'imposizione  della
 prescrizione  con  conseguente  palese  violazione  del  principio di
 uguaglianza  costituzionalmente  garantito,  da  una  parte,  e   con
 altrettanto  evidente  violazione dell'art.  76 Cost. per difformita'
 rispetto ai principi  e  criteri  direttivi  della  legge  delega  n.
 499/1993  che all'art. 1, comma 1, lett. b) n. 1, imponeva in materia
 di  stabilire   una   causa   di   estinzione   del   reato   fondata
 "nell'adempimento...  alle  prescrizioni  obbligatoriamente impartite
 ... nonche' nel pagamento in sede amministrativa di una somma pari ad
 un  quarto  del   massimo   dell'ammenda   comminata   per   ciascuna
 infrazione".
   Ritenuto,  infine,  che  la  questione sollevata ex officio non sia
 manifestamente infondata e che la richiesta di emissione  di  decreto
 penale  di  condanna non puo' essere definita indipendentemente dalla
 risoluzione della questione di legittimita' costituzionale in  quanto
 l'accoglimento   della  stessa  consentirebbe  al  contravventore  di
 definire amministrativamente  la  contravvenzione  con  il  pagamento
 della  somma  indicata  dall'art.  21,  comma  2, decreto legislativo
 citato,  senza  necessita'  per   questo   decidente   di   procedere
 all'emissione del decreto penale di condanna richiesto e restituzione
 degli  atti  al  p.m.  perche'  provveda a trasmetterli all'organo di
 vigilanza per l'ammissione alla procedura amministrativa.
                                P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e segg. legge cost. 11 marzo 1953, n. 87 solleva
 d'ufficio, la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  21,
 comma 2, del decreto  legislativo  19  dicembre  1994,  n.  758,  per
 violazione  degli  artt. 3 e 7 della Costituzione, nella parte in cui
 non prevede che l'organo di vigilanza ammetta "obbligatoriamente"  il
 contravventore   a  pagare  in  sede  amministrativa  in  difetto  di
 imposizione di una prescrizione da parte di quest'ultimo;
   Ordina, per l'effetto, l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla
 Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso;
   Ordina,   infine,  che  il  presente  provvedimento  a  cura  della
 cancelleria  sia  comunicato  al  p.m.  e   notificato   alle   parti
 interessate  nonche'  al  Presidente del Consiglio dei Ministri ed ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Pistoia, addi' 5 dicembre 1997
           Il giudice per le indagini preliminari: Scarcella
 98C0195