N. 46 SENTENZA 25 febbraio - 5 marzo 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reati  militari  -  Mancanza alla chiamata e diserzione - Ipotesi in
 cui  l'assenza  non  sia  ancora   terminata   -   Decorrenza   della
 prescrizione  - Criteri - Natura permanente dei reati - Instaurazione
 del fenomeno  della  spirale  delle    condanne  -  Riferimento  alla
 giurisprudenza  della  Corte  in materia (vedi sentenze nn. 343 e 422
 del 1993) -  Esigenza di una interpretazione della norma da parte del
 giudice (vedi ordinanza della Corte n. 150/1995) circa la definizione
 del carattere permanente o istantaneo dei reati, con attenzione  alle
 singole  norme  incriminatrici  e  alla descrizione del comportamento
 illecito in esse contenuto - Inammissibilita'.
 
 (C.P.M.P., art. 68).
 
 (Cost., artt. 2, 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma).
 
(GU n.10 del 11-3-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof. Cesare MIRABELLI,   prof.
 Fernando SANTOSUOSSO,   avv. Massimo VARI,    dott.  Cesare  RUPERTO,
 dott.  Riccardo  CHIEPPA,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,  prof. Valerio
 ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,   prof.  Guido
 NEPPI MODONA,   prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 68 del codice
 penale militare di pace, promossi con ordinanze emesse il 27  giugno,
 il  4 luglio, il 19 settembre (n. 2 ordinanze), il 20 settembre, il 3
 ottobre, il 19 dicembre, il 19 settembre ed il 19 dicembre 1995 (n. 2
 ordinanze), il 12 e il 26 marzo 1996 (n. 2 ordinanze), dal  Tribunale
 militare  di  Padova,  rispettivamente iscritte ai nn. 638, 639, 818,
 819 e 820 del registro ordinanze 1995 e ai nn.  34,  405,  406,  407,
 622,  732,  733 e 1180 del registro ordinanze 1996 e pubblicate nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  nn.  42  e  49,  prima  serie
 speciale,  dell'anno  1995  e  nn.  6,  19,  28, 34 e 44, prima serie
 speciale, dell'anno 1996;
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 febbraio 1997 il giudice
 relatore Carlo Mezzanotte.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Con tredici ordinanze di identico contenuto, emesse nel corso
 di altrettanti procedimenti penali a carico di militari imputati  del
 reato  di  diserzione  (art. 148 codice penale militare di pace) o di
 mancanza alla chiamata (art. 151 cod. pen. mil. pace),  il  tribunale
 militare  di  Padova solleva questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 68 del codice penale militare di pace, in riferimento  agli
 artt.  2,  3,  25,  secondo  comma,  e 27, primo e terzo comma, della
 Costituzione.
   Il giudice a quo premette, in ciascuna delle ordinanze, che ha gia'
 condannato gli imputati per reati di diserzione o  di  mancanza  alla
 chiamata  in  relazione  ad  assenze  dal  servizio  iniziate in data
 anteriore alla sentenza di condanna e non ancora cessate, e  che,  di
 fronte   al   perdurare   dell'assenza,   il   procuratore  militare,
 successivamente alla prima  condanna,  ha  instaurato  a  carico  dei
 predetti imputati altri procedimenti per i medesimi reati.
   Il  remittente  rileva  altresi' che, in base al diritto vivente, i
 reati  di  assenza  dal  servizio  devono  essere  considerati  reati
 permanenti   "in   virtu'   del  perdurare  dell'obbligo  extrapenale
 (cosiddetto obbligo sottostante), la cui inosservanza  e'  penalmente
 sanzionata".  L'art.  68 cod. pen. mil. pace, in effetti, prevede per
 i reati di diserzione e di mancanza alla  chiamata,  nell'ipotesi  in
 cui l'assenza perduri, che il termine per la prescrizione del reato e
 quello  per  la estinzione della pena per decorso del tempo decorrono
 dal giorno in cui il militare ha compiuto l'eta' per la  quale  cessa
 in modo assoluto l'obbligo del servizio militare, a norma delle leggi
 sul  reclutamento. Tale disposizione, quindi, ad avviso del tribunale
 che richiama sul punto l'ordinanza n. 150 del 1995 di  questa  Corte,
 impedisce di considerare istantanei i reati di assenza dal servizio e
 prevede  per  tali  reati  una  permanenza sui generis, un periodo di
 consumazione che si prolunga sino  a  coincidere  con  l'obbligazione
 militare nella sua interezza.
   Da tale qualificazione, imposta come detto dal citato art. 68, e in
 considerazione  del  rilievo  che  "dal  giudizio  in  costanza della
 permanenza prende vita un nuovo  fatto  di  reato  che  a  sua  volta
 richiede  un ulteriore giudizio", discenderebbe, secondo il giudice a
 quo,  il  fenomeno  della cosiddetta spirale delle condanne, il quale
 contrasterebbe, innanzitutto,  con  l'art.  27,  primo  comma,  della
 Costituzione,   in   quanto   la  responsabilita'  dell'imputato  non
 dipenderebbe soltanto  dal  suo  operato,  ma  anche  dall'efficienza
 dell'apparato giudiziario-militare.
   In  secondo luogo, evidente sarebbe la violazione dell'art. 3 della
 Costituzione,  poiche'  il  trattamento   sanzionatorio   complessivo
 varierebbe  pur  in  relazione  a  periodi di assenza dal servizio di
 uguale durata.
   Ed ancora, poiche' la pluralita' delle condanne per un unico  reato
 permanente,  giudicato in piu' riprese,  comporterebbe un progressivo
 aumento della pena e un trattamento sanzionatorio che  darebbe  luogo
 ad una "prova di forza tra lo Stato ed il condannato", risulterebbero
 violati  sia  il  principio  della  liberta'  di coscienza, garantito
 dall'art.    2  della  Costituzione,  sia  quello   della   finalita'
 rieducativa  della  pena,  sancito  dall'art.  27, terzo comma, della
 Costituzione.
   Il medesimo effetto di  un  progressivo  innalzamento  della  pena,
 praticamente  indeterminato  sino  al  limite  del triplo del massimo
 della pena edittale, violerebbe, infine, sempre ad avviso del giudice
 a quo, il principio di legalita' di cui all'art. 25,  secondo  comma,
 della Costituzione.
   2.  - E' intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio
 dei Ministri, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura generale  dello
 Stato,  chiedendo  in  primo  luogo che le questioni siano dichiarate
 manifestamente inammissibili.
   L'Avvocatura   rileva   che   la   situazione    denunciata    come
 incostituzionale  nelle  ordinanze  di  remissione  non verrebbe meno
 qualora fosse espunto dal sistema normativo il solo art. 68 cod. pen.
 mil. pace, su cui si incentrano  in  via  esclusiva  le  censure  del
 giudice  a quo: l'art.  9 del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (Leva e
 reclutamento   obbligatorio    nell'esercito,    nella    marina    e
 nell'aeronautica),   fissa   ad  una  determinata  eta'  l'estinzione
 dell'obbligo  del  servizio  militare,   sicche'   l'interesse   alla
 presentazione  del  chiamato alle armi persiste anche successivamente
 al compimento dei reati di assenza dal servizio  sino  al  compimento
 della predetta eta'.
   Ad   avviso   dell'Avvocatura,   le   questioni  dovrebbero  essere
 dichiarate,  comunque,  infondate.  Il   fenomeno   denunciato   come
 incostituzionale  sarebbe comune a tutti i reati omissivi permanenti,
 per  i  quali  potrebbe  verificarsi  l'instaurazione  di  un  numero
 indefinito  di  nuovi giudizi nel caso in cui la condotta omissiva si
 protragga anche dopo la sentenza  di  primo  grado.  La  liberta'  di
 coscienza  garantita  dall'art.  2 della Costituzione, del resto, non
 escluderebbe affatto l'obbligo di adempiere ai doveri inderogabili di
 solidarieta', ivi compreso quello del servizio militare per la durata
 stabilita dalla legge (art. 52 della Costituzione).
   Non sarebbe neppure violato l'art. 3  della  Costituzione,  poiche'
 non  sarebbe  in  alcun  modo equiparabile la situazione del chiamato
 alle armi, che rimanga assente senza essere stato ancora  condannato,
 a  quella di colui che perduri nell'assenza anche dopo la sentenza di
 condanna, stante il piu' marcato grado di  antisocialita'  dimostrato
 da quest'ultimo.
   La  possibilita'  di  correttivi  rispetto  a pene complessivamente
 esorbitanti   offerta   dalla   disciplina   del   reato   continuato
 applicabile,  per  altro,  anche  in  sede di esecuzione unitamente a
 quella, sempre attraverso tale istituto, di commisurare adeguatamente
 la  pena   complessiva   all'effettivo   disvalore   della   condotta
 unitariamente   considerata,   renderebbero   insussistenti,  secondo
 l'Avvocatura, anche le  censure  mosse  in  riferimento  ai  principi
 sanciti  dagli  artt.  25,  secondo  comma,  e 27, terzo comma, della
 Costituzione.
   L'Avvocatura osserva poi che l'estinzione dell'obbligo del servizio
 militare costituisce una sola delle  modalita'  di  cessazione  della
 permanenza per i reati in esame, in quanto ad essa devono aggiungersi
 anche   la   condotta   volontaria   dell'agente  e  la  sopravvenuta
 impossibilita' di porre in essere condotte interruttive, come avviene
 nel caso di collocamento in congedo assoluto del colpevole.
   Infine, secondo l'Avvocatura, l'ulteriore assenza oggetto di  nuovo
 giudizio  non sarebbe stata valutata nei precedenti giudizi, sicche',
 in caso di pluralita' di condanne, ricorrerebbero altrettante ipotesi
 di "interruzione giudiziale"  delle  assenze,  ciascuna  delle  quali
 presenterebbe  elementi  non  riconducibili  ad  unita'  ne' sotto il
 profilo oggettivo ne' sotto quello psicologico.
                         Considerato in diritto
   1. -   Le  tredici  ordinanze  del  tribunale  militare  di  Padova
 dubitano  della  legittimita'  costituzionale dell'art. 68 del codice
 penale militare di pace, il quale, prevedendo  che  per  i  reati  di
 mancanza alla chiamata e di diserzione, nell'ipotesi in cui l'assenza
 non  sia  ancora  terminata, la prescrizione comincia a decorrere dal
 giorno in cui per il reo cessa in modo assoluto  l'obbligo  militare,
 impedirebbe  di  configurare  come  istantanei i reati di assenza dal
 servizio e, imponendo la loro configurazione come  reati  permanenti,
 con  un periodo di consumazione che si prolunga fino a coincidere con
 la durata dell'obbligo militare,  darebbe  luogo  al  fenomeno  della
 spirale delle condanne.
   In cio', il tribunale militare di Padova ravvisa una violazione:
     degli  artt.  2 e 27, terzo comma, della Costituzione, poiche' la
 pluralita' delle condanne per un unico reato permanente, giudicato in
 piu' riprese, derivante dalla disposizione  impugnata,  comporterebbe
 un  progressivo aumento della pena e un trattamento sanzionatorio che
 si risolverebbe in una prova di forza tra lo Stato e  il  condannato,
 in  contrasto  con  la  liberta'  di  coscienza  e  con  la finalita'
 rieducativa della pena;
     dell'art.   27   della   Costituzione,   perche'    la    spirale
 fatto-giudizio-fatto farebbe si' che la responsabilita' dell'imputato
 non dipenderebbe soltanto dal suo operato, ma anche dal funzionamento
 dell'apparato giudiziario militare;
     dell'art.  25, secondo comma, della Costituzione, dal momento che
 la moltiplicazione dei giudicati comporterebbe un innalzamento  della
 pena  sostanzialmente  indeterminato,  sino  al limite del triplo del
 massimo della  pena  edittale,  in  contrasto  con  il  principio  di
 legalita';
     dell'art.  3  della Costituzione, in quanto, a parita' di assenza
 dal servizio, il trattamento  sanzionatorio  complessivo  verrebbe  a
 dipendere  dal  grado  di  efficienza  dell'apparato  giudiziario  in
 relazione ai vari episodi che  l'interruzione  giudiziale  rende  fra
 loro autonomi.
   Poiche'  le  ordinanze  pongono  la  medesima questione, i relativi
 giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.
   2. - La questione e' inammissibile.
   E' opportuno premettere che questa Corte, spinta  dall'esigenza  di
 porre un limite alla possibile spirale delle condanne, nella sentenza
 n.  343  del  1993,  ha  dichiarato  la illegittimita' costituzionale
 dell'art.    8,  terzo  comma,  della  legge  n.  772  del  1972,  in
 connessione  con l'art.   148 cod. pen. mil. pace, nella parte in cui
 non prevede l'esonero dalla prestazione del servizio militare di leva
 a favore di coloro che, avendo rifiutato totalmente in tempo di  pace
 la  prestazione  del servizio stesso dopo aver addotto motivi diversi
 da quelli indicati nell'art. 1 della legge n. 772 del 1972,  o  senza
 aver addotto motivo alcuno, abbiano espiato per quel comportamento la
 pena  della  reclusione  in  misura  complessivamente non inferiore a
 quella del servizio militare di leva. La successiva sentenza  n.  422
 del 1993 ha poi chiarito che la pronuncia ora ricordata, resa in base
 agli  artt.  3  e 27, terzo comma, della Costituzione, ha una portata
 generale "nel senso che estende i suoi effetti  a  tutti  i  militari
 imputati  di reati comportanti forme di rifiuto del servizio militare
 che si vengano a trovare assoggettati alla spirale  delle  condanne".
 E' ora da precisare che questo fenomeno non puo' essere ulteriormente
 limitato   o   addirittura  espunto  dall'ordinamento  attraverso  la
 semplice qualificazione del reato di assenza come reato istantaneo  o
 permanente,   ovvero   mediante  la  previsione  che  il  termine  di
 prescrizione decorra, non dal venir meno dell'obbligo di leva, ma  da
 un momento piu' vicino nel tempo alla condotta illecita.
   L'eventualita'  di una ripetizione delle condanne nelle ipotesi dei
 reati di assenza dal servizio non e' affatto  una  conseguenza  della
 configurazione  di  questi  come  reati permanenti piuttosto che come
 reati istantanei. Al contrario: ferma restando  la  disposizione  che
 stabilisce    l'obbligo    di    leva    sino   al   compimento   del
 quarantacinquesimoanno di eta', della cui legittimita'  il  tribunale
 militare  di  Padova non dubita, e' evidente che alla condanna per un
 episodio di assenza dal servizio, ove questa perduri, non  potrebbero
 non  conseguire  altre  condanne  anche  nel caso in cui quel delitto
 fosse   considerato   come   istantaneo.   Non    potrebbe    infatti
 ragionevolmente    sostenersi   che,   allo   stato   attuale   della
 legislazione, il compimento di  un  fatto  di  assenza  dal  servizio
 comporti  il  venir  meno  dell'obbligo  di prestazione imposto dalla
 legge in attuazione dell'art. 52 della Costituzione.
   Anche  se  nella  ordinanza  n.   150   del   1995,   seguendo   la
 prospettazione  del  giudice a quo, questa Corte aveva incluso fra le
 disposizioni che concorrono a definire la natura permanente dei reati
 di diserzione e di mancanza alla chiamata l'art. 68  cod.  pen.  mil.
 pace,  non  puo' essere condiviso il presupposto dal quale procede il
 ragionamento del giudice a quo: che cioe' il fenomeno  della  spirale
 delle  condanne derivi dalla natura permanente di tali reati, sicche'
 la possibilita' di condanne reiterate verrebbe meno una volta rimosso
 l'art. 68.  Questa disposizione si limita a  prevedere  che,  qualora
 l'assenza  si  protragga, la prescrizione per i reati di diserzione e
 di mancanza  alla  chiamata  comincia  a  decorrere  dal  venir  meno
 dell'obbligo  militare.  La richiesta di pronuncia additiva sull'art.
 68  appare frutto dell'erroneo convincimento che estinzione del reato
 per prescrizione e estinzione dell'obbligo di  prestare  il  servizio
 militare di leva siano fungibili; nel senso che, estinto il reato per
 prescrizione,  sulla  base  di  una  diversa  decorrenza del relativo
 termine, si abbia anche l'estinzione dell'obbligo militare; la quale,
 invece,  nella  vigente  legislazione,  quando  non  consegua  ad  un
 apposito  provvedimento  di dispensa, si determina col compimento del
 quarantacinquesimo  anno  di  eta'  o  col  verificarsi  dell'ipotesi
 prevista  dall'art.  8,  terzo comma, della legge n. 772 del 1972 per
 l'obiettore di coscienza.
   3. - Sotto un diverso ma concorrente profilo, se fosse vero che  la
 spirale  delle  condanne  deriva dalla natura permanente dei reati di
 assenza, la questione resterebbe inammissibile. Tale natura non  puo'
 essere  modificata  da  una  semplice  qualificazione  correttiva che
 astragga dalle caratteristiche delle condotte incriminate: "la natura
 permanente o istantanea del reato non puo' dipendere da esplicita  ed
 apodittica  qualificazione  del  legislatore,  ma  dalla sua naturale
 essenza, trattandosi di un carattere che inerisce alla qualita' della
 condotta  cosi'  come  si  presenta  nella  realta'",   sicche'   "la
 definizione   del  carattere  permanente  o  istantaneo  e'  affidata
 all'interpretazione dei giudici ordinari" (sentenza n. 520 del 1987);
 interpretazione, si aggiunga, che, come  del  resto  osservato  anche
 nella  ordinanza  n.  150  del 1995, deve avere ad oggetto le singole
 norme incriminatrici e la descrizione del comportamento  illecito  in
 esse contenuta.
                            Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara  inammissibile  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 68 del codice  penale  militare
 di  pace,  sollevata,  in  riferimento  agli  artt. 2, 3, 25, secondo
 comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal tribunale  militare
 di Padova con le ordinanze indicate in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 1998.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 5 marzo 1998.
                       Il cancelliere: Fruscella
 98C0241