N. 15 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 13 febbraio 1998

                                 N. 15
  Ricorso  per  questione di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 13 febbraio 1998 (della regione Lombardia)
 Lavoro (Collocamento al) - Conferimento  alle  regioni  e  agli  enti
    locali  di  funzioni  e compiti in materia di mercato del lavoro -
    Obbligo  per  le  regioni   di   disciplinare,   mediante   legge,
    l'organizzazione  amministrativa e le modalita' di esercizio delle
    funzioni e dei compiti trasferiti - Osservanza, a  tal  fine,  dei
    principi  e  criteri  direttivi  concernenti:  l'attribuzione alle
    province delle funzioni e dei compiti relativi al collocamento, la
    costituzione di organismi regionali, la distribuzione territoriale
    dei centri per l'impiego, sulla  base  di  bacini  di  utenza  per
    ambito  provinciale  - Trasferimento alle regioni del personale in
    servizio presso le agenzie per l'impiego e del personale dei ruoli
    del Ministero del lavoro in servizio presso le direzioni regionali
    e provinciali e presso le sezioni circoscrizionali  per  l'impiego
    mediante  decreti  del  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri -
    Disciplina dell'attivita' di mediazione, tra domanda e offerta  di
    lavoro e del sistema informativo lavoro - Lesione delle competenze
    regionali   e   dell'autonomia   organizzativa   in   ordine  alle
    attribuzioni trasferite dalle norme impugnate -  Lesione  altresi'
    dell'autonomia  finanziaria  regionale  in dipendenza dai maggiori
    oneri derivanti dai predetti trasferimenti di competenze - Eccesso
    di delega in relazione all'art. 4, comma 3, lett. b),  e  all'art.
    3, comma 1, lett. g), della legge n. 59 del 1997.
 (D.Lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, artt. 4, comma 1, lett. a), b), c),
    d) e f); 7, commi 1, lett. b), 5 e 8; 10 e 11).
 (Cost.,  artt.  115,  117, 118, 119, 123, 128 e 76, in relazione alla
    legge 15 marzo 1997, n. 59, artt. 4, comma 3, lett. b), e 3, comma
    1, lett. g)).
(GU n.12 del 25-3-1998 )
   Ricorso della regione Lombardia, in persona  del  presidente  della
 Giunta  regionale pro-tempore, on. Roberto Formigoni, autorizzato con
 delibera  di  Giunta  regionale  n.  34436  del  4   febbraio   1998,
 rappresentato  e difeso, come da mandato a margine del presente atto,
 dal prof.  avv. Beniamino Caravita di Toritto e presso il suo  studio
 elettivamente  domiciliato in Roma, via T. Taramelli n. 22, contro il
 Presidente  del   Consiglio   dei   Ministri   pro-tempore   per   la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale di alcuni articoli del
 d.lgs.  23 dicembre 1997, n.  469, recante "Conferimento alle regioni
 e agli enti locali di funzioni e compiti in materia  di  mercato  del
 lavoro,  a  norma  dell'art.  1  della  legge  15 marzo 1997, n. 59",
 pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 5 dell'8 gennaio
 1998.
                                 Fatto
   Il  d.lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, con il  quale  il  Governo  ha
 dato  attuazione  alla  delega  ad  esso attribuita dall'art. 1 della
 legge 15 marzo 1997, n. 59, disciplina il conferimento alle regioni e
 agli enti locali di funzioni e compiti  in  materia  di  mercato  del
 lavoro  in quattro capi, intitolati rispettivamente: "Conferimento di
 funzioni",  "Servizi  regionali  per  l'impiego",  "Trasferimento  di
 risorse  alle  regioni  e  soppressione degli uffici" e "Attivita' di
 mediazione tra domanda e offerta di lavoro - Sistema informativo  del
 lavoro".
   L'art.   1,  al  primo  comma,  individua  l'oggetto  del  decreto,
 stabilendo che con esso  viene  disciplinato  il  "conferimento  alle
 regioni  e  agli enti locali delle funzioni e dei compiti relativi al
 collocamento e alle politiche attive del lavoro,  nell'ambito  di  un
 ruolo generale di indirizzo, promozione e coordinamento dello Stato",
 e,  al  secondo comma, enumera le funzioni e i compiti mantenuti allo
 Stato ai sensi degli artt. 1, commi 3 e 4, e 3, comma  1,  lett.  a),
 della legge n.  59/1997.
   L'art.  2  conferisce  alle regioni e agli enti locali, elencandole
 dettagliatamente, le funzioni e i compiti in materia di  collocamento
 (comma 1) e in materia di politica attiva del lavoro (comma 2).
   All'art. 3 viene stabilita la competenza generale del Ministero del
 lavoro e della previdenza sociale in ordine alle attivita' in materia
 di eccedenze del personale temporanee e strutturali.
   I  commi  2 e 3 del suddetto articolo prevedono, tuttavia, limitate
 competenze regionali in materia,  disponendo  che  l'esame  congiunto
 previsto  nelle  procedure  relative  agli interventi di integrazione
 salariale straordinaria e per la  dichiarazione  di  mobilita'  venga
 svolto   presso   le   regioni   che   esprimono  motivato  parere  e
 contemplando, inoltre, la possibilita' per le regioni  di  promuovere
 accordi   e   contratti   collettivi   finalizzati  ai  contratti  di
 solidarieta'.
   Nel Capo II, relativo ai "Servizi regionali per l'impiego",  l'art.
 4  attribuisce  alle  leggi  regionali,  da  emanarsi  entro sei mesi
 dall'entrata in  vigore  del  decreto,  il  compito  di  disciplinare
 l'organizzazione  amministrativa  e  le  modalita' di esercizio delle
 funzioni e compiti conferiti, dettando criteri direttivi ben  precisi
 ai  quali le disposizioni regionali dovranno essere ispirate (art. 4,
 comma 1, lett. da a) ad h)).
   Piu'  in  particolare,  la   legge   regionale   dovra'   prevedere
 l'attribuzione alle province, ai sensi dell'art. 4, comma 3, lett. f)
 e  g)    della  legge  n.  59/1997,  delle  funzioni  in  materia  di
 collocamento (lett.  a); la costituzione di una commissione regionale
 permanente tripartita con poteri di proposta valutazione  e  verifica
 rispetto  alle  linee  programmatiche  e alle politiche del lavoro di
 competenza regionale (lett.  b);  la  costituzione  di  un  organismo
 istituzionale  che  realizzi l'integrazione tra servizi dell'impiego,
 politiche attive e politiche  formative  del  lavoro  (lett.  c);  la
 costituzione  di  una  struttura regionale con funzioni di assistenza
 tecnica e monitoraggio in materia di politiche del lavoro (lett.  d);
 la  gestione  del  collocamento  ordinario  da  parte  delle province
 tramite "centri per l'impiego" (lett. e); la distribuzione dei centri
 per l'impiego  sulla  base  di  bacini  provinciali  con  utenza  non
 inferiore a 100.000 abitanti (lett. f); l'eventuale attribuzione alle
 province  dei  servizi  connessi  ai  compiti regionali in materia di
 politica attiva del  lavoro  (lett.  g);  la  possibile  attribuzione
 all'ente di cui alla lett. d) di ulteriori funzioni (lett. h).
   Chiudono  l'art.  4  le disposizioni dei commi 2 e 3 che prevedono,
 rispettivamente,  l'individuazione  da  parte   delle   province   di
 strumenti  di  raccordo  con  gli altri enti locali, e un termine (31
 dicembre 1998) entro il quale i servizi per l'impiego dovranno essere
 organizzati.
   Gli artt. 5  e  6  dispongono  la  soppressione  di  una  serie  di
 organismi di livello regionale e di livello provinciale.
   In  particolare, l'art. 5 dispone la soppressione della Commissione
 regionale per l'impiego con effetto dalla data di costituzione  della
 commissione  regionale permanente tripartita di cui all'art. 4, comma
 1, lett. b), alla quale  vengono  trasferite  le  relative  funzioni,
 mentre  l'art. 6 prevede la costituzione, da parte delle province, di
 un'unica commissione a  livello  provinciale  per  le  politiche  del
 lavoro   e  la  conseguente  soppressione  di  una  serie  di  organi
 collegiali  provinciali,  trasferendone  le  funzioni  alle  province
 ((art. 6, comma 2, lett. a) - i)).
   Per  quanto  concerne  i  trasferimenti  alle regioni, l'art. 7, al
 comma 1, stabilisce che con decreti della Presidenza  del  Consiglio,
 da  emanarsi  entro  centoventi  giorni  dall'entrata  in  vigore del
 decreto, vengono individuati i beni, le risorse finanziare,  umane  e
 strumentali da trasferire e le modalita' di tale trasferimento, e, al
 comma  5,  prevede  che  con  successivi  decreti,  da emanarsi entro
 sessanta giorni dalla scadenza del  termine  fissato  per  l'adozione
 della  disciplina  regionale,  la Presidenza del Consiglio procede al
 trasferimento effettivo dei beni e delle risorse individuate ai sensi
 del comma 1.
   L'art. 7, inoltre, individua, al comma 1,  criteri  dettagliati  da
 seguire  per  la ripartizione del personale effettivo appartenente ai
 ruoli del Ministero del lavoro e della previdenza sociale  -  Settore
 politiche  del  lavoro,  quale  risultante al 30 giugno 1997,   e del
 personale in servizio  alla  medesima  data  presso  le  agenzie  per
 l'impiego, disciplinando, nei successivi commi da 2 a 6, le ulteriori
 modalita' di tale trasferimento.
   Al comma 8, l'art. 7 disciplina il trasferimento alle regioni delle
 risorse  finanziare  occorrenti  per l'attuazione dei conferimenti di
 compiti e funzioni contemplati dal decreto.
   Un'ulteriore  soppressione  di  uffici  periferici  statali   viene
 disposta  dall'art.  8,  mentre  l'art.  9  stabilisce  regole per il
 conferimento di funzioni e il  trasferimento  di  beni  alle  regioni
 statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano.
   Chiudono   il   decreto   gli  artt.  10  e  11  che  disciplinano,
 rispettivamente, l'attivita' di mediazione tra domanda e  offerta  di
 lavoro e il Sistema informativo del lavoro.
   Numerose disposizioni del decreto legislativo n. 469/1997 risultano
 lesive  della  sfera  di  autonomia costituzionalmente garantita alle
 regioni oltre che viziate da eccesso di delega  e,  in  quanto  tali,
 sono da considerarsi illegittime per i seguenti motivi di
                             D i r i t t o
   1.  -  Violazione  degli  artt.  115 e 123 della Costituzione e dei
 principi affermati dalla Corte costituzionale in materia di autonomia
 organizzativa delle regioni da parte dell'art. 4, comma 1, lett.  b),
 c) e d).
   L'art. 4 attribuisce alle regioni il compito  di  disciplinare  con
 legge  l'organizzazione  amministrativa  e  le modalita' di esercizio
 delle funzioni e dei compiti conferiti, elencando al comma  1,  lett.
 a)  -  h),  una  serie  di  "principi  e  criteri  direttivi"  cui il
 legislatore regionale dovra' attenersi.  Alla lettere b),  c)  e  d),
 del  comma  1,  il  legislatore delegato impone alla legge regionale,
 rispettivamente,  la  costituzione  di  una   Commissione   regionale
 permanente  tripartita, di un organismo istituzionale permanente e di
 un ente pubblico regionale.  Di ciascuna di tali strutture  regionali
 il  decreto  individua  le  funzioni,  definendo la prima "quale sede
 concertativa  di  progettazione,  proposta,  valutazione  e  verifica
 rispetto alle linee programmatiche e alle  politiche  del  lavoro  di
 competenza  regionale";  il  secondo,  quale "organismo istituzionale
 finalizzato a rendere effettiva sul territorio l'integrazione  tra  i
 servizi  per l'impiego, le politiche attive del lavoro e le politiche
 formative"; e affidando alla terza funzioni di assistenza  tecnica  e
 di monitoraggio nella materia della politica attiva del lavoro. Ma vi
 e'  di  piu'.  L'art.  4,  detta  criteri  ben precisi in ordine alla
 composizione e alla natura giuridica di  tali  strutture:  definisce,
 infatti,  la commissione regionale permanente tripartita quale organo
 collegiale nel  quale  deve  essere  assicurata  la  presenza  di  un
 rappresentante  regionale  competente per materia delle parti sociali
 (per la cui individuazione la lett. b) indica  ulteriori  criteri)  e
 del consigliere di parita' nominato ai sensi della legge n. 125/1991;
 prevede,  quali membri dell'organismo istituzionale di cui alla lett.
 c), i rappresentanti istituzionali delle regioni,  delle  province  e
 degli altri enti locali; configura la struttura regionale di cui alla
 lett.  d)  come  dotata  di  personalita'  giuridica  e  di autonomia
 patrimoniale e contabile.
   A ben vedere il decreto detta, piu'  che  di  "principi  e  criteri
 direttivi",  una  disciplina  analitica  dell'organizzazione  e delle
 modalita' di esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti.
   Le funzioni amministrative vengono, in  sostanza,  trasferite  alle
 regioni gia' pesantemente "ingessate" e  questa ingessatura, toccando
 la  definizione  delle  competenze conferite, diventa inderogabile da
 parte della legge regionale.
   Il trasferimento delle funzioni amministrative deve  comunque,  pur
 nella salvaguardia dell'equilibrio politico degli interessi in gioco,
 lasciare  alla  regione  di formulare con propria legge, e secondo le
 proprie esigenze politiche, l'organizzazione regionale in materia.
   E' evidente, dunque, come con le disposizioni di  cui  all'art.  4,
 comma  1,  lett.  b),  c),  d), il Governo abbia integrato una palese
 violazione del principio di autonomia organizzativa delle regioni.
   L'autonomia  organizzativa  e'  una   garanzia   assicurata   dalla
 Costituzione  alle  regioni  sia  dall'art. 115, in base al quale "le
 regioni sono enti autonomi  con  propri  poteri  e  proprie  funzioni
 secondo  i  principi  fissati dalla Costituzione", sia dall'art. 123,
 che, al primo comma, stabilisce che: "Ogni regione ha uno Statuto, il
 quale in armonia con la Costituzione e con le leggi della Repubblica,
 stabilisce  le  norme  relative  alla  organizzazione  interna  della
 regione".
   Trattandosi  di  un  valore  garantito dalla Costituzione lo Stato,
 nell'esercizio dei propri poteri nei  confronti  delle  regioni,  non
 puo'  esimersi  dal  rispettare  l'autonomia organizzativa regionale,
 essendo i poteri statali subordinati alla Costituzione sia  quanto  a
 fondamento giuridico, sia quanto ai limiti al loro esercizio.
   La  stessa  Corte  costituzionale,  chiamata  in  varie occasioni a
 pronunciarsi in ordine  a  disposizioni  di    legge  statale  lesive
 dell'autonomia  organizzativa  delle  regioni,  si e' pronunciata nel
 senso di dichiararne l'incostituzionalita'.
   In particolare, gia' dal 1989, con sentenza n. 407,  questa  ecc.ma
 Corte   ha   dichiarato   l'illegittimita'   costituzionale   di  una
 disposizione di legge (art. 5 della legge 29 dicembre 1988, n.  554),
 in  quanto  posta  in  violazione  dell'art.  123, nella parte in cui
 individuava la Giunta regionale quale organo competente a disporre le
 assunzioni  di personale in deroga per le USL e per gli enti pubblici
 non economici dipendenti dalle regioni.
   Successivamente, con sentenza 28 luglio 1993, n. 355, questa ecc.ma
 Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  degli  artt.  3,
 comma  6 e 4, e comma 8, del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, relativo
 al riordino della disciplina in materia  sanitaria,  nella  parte  in
 cui,    nell'attribuire    specifiche    competenze   alle   regioni,
 individuavano l'organo interno  regionale  competente  ad  esercitare
 quelle  funzioni  (Presidente della Giunta su conforme delibera della
 giunta stessa)".  In tale pronuncia la Corte ha chiaramente affermato
 il principio  in  base  al  quale  "la  ripartizione  delle  funzioni
 regionali  fra  i  vari  organi  interni  della regione rientra nella
 materia dell'organizzazione interna, riservata alla regione  stessa".
 Ancora piu' chiaramente, con sentenza 26 ottobre 1995, n. 461, questa
 ecc.ma   Corte  ha  ribadito  il  principio  in  base  al  quale  "la
 ripartizione delle funzioni tra i vari organi delle regioni  e  delle
 province  autonome  rientra  nella sfera dell'organizzazione interna,
 riservata agli Statuti e alle leggi  degli  enti  in  questione:  una
 volta   individuata  la  funzione,  non  spetta  alla  fonte  statale
 determinare, anche, con una disposizione di dettaglio, l'organo della
 regione o della provincia autonoma cui la stessa funzione deve essere
 affidata, cosi' da interferire sulla ripartizione delle funzioni  tra
 i diversi organi degli stessi soggetti".  Il combinato disposto degli
 artt.   115   e   123  della  Costituzione,  nonche'  il  consolidato
 orientamento assunto dalla Corte in materia non  lasciano  sussistere
 dubbi in ordine alla illegittimita' costituzionale dell'art. 4, comma
 1, lett. b), c), e d) del decreto legislativo n. 469/1997.
   Una  volta  conferita  alle  regioni  la  competenza  in materia di
 collocamento e di politiche attive del lavoro,  era,  infatti,  onere
 del  Governo  lasciare alla competenza regionale l'individuazione, la
 composizione e le funzioni degli organi deputati a svolgere i compiti
 conferiti, dettando eventualmente solo le indicazioni generali  e  di
 principio sul modello organizzativo.
   2.  -  Violazione  degli  artt.  115, 118, commi 2 e 3, e 128 della
 Costituzione e della giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  in
 tema  di  delega da parte dell'art. 4, primo comma, lett. a).  L'art.
 4, comma  1,  lett.  a),  stabilisce  che  la  legge  regionale,  nel
 disciplinare   l'organizzazione  amministrativa  e  le  modalita'  di
 esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti, deve attribuire, ai
 sensi dell'art. 4, comma 3, lett. f), g) e h) della legge n. 59/1997,
 alle province le funzioni e i compiti relativi al collocamento,  gia'
 conferiti  alle  regioni  dall'art.  2,  comma 1, del decreto stesso.
 Tale disposizione appare incoerente  con  l'impianto  logico  su  cui
 l'intero  decreto  sembra  poggiare.    Se,  infatti, nell'ambito del
 dibattito  relativo  alle  modalita'  di  conferimento  di   funzioni
 amministrative  in materie non rientranti nell'elenco di cui all'art.
 117 della Costituzione, il decreto dimostra  di  accogliere  la  tesi
 sostenuta dalle regioni, disponendo, agli artt.  1 e 2, in materia di
 lavoro,  materia  sicuramente  non  contemplata  dall'art.  117 della
 Costituzione, il conferimento di  funzioni  in  prima  battuta  dallo
 Stato  alle  regioni  e, successivamente, da queste agli Enti locali,
 con nessuna coerenza, all'art. 4, comma 1, lett.    a),  impone  alle
 regioni di trasferire tutte le competenze in materia di collocamento,
 alle  province.    Il  disposto  dell'art.  4,  comma 1, lett. a), in
 sostanza,   determina   una   eccessiva   rigidita'    nell'ulteriore
 conferimento  di funzioni e compiti agli enti locali, quando, invece,
 avrebbe, coerentemente con l'impostazione generale del decreto e,  in
 particolare,  con l'art.  2, dovuto lasciare alle regioni un maggiore
 margine di autonomia nell'ulteriore  delega  di  funzioni  agli  enti
 locali.
   La   natura   della  delega  conferita  alle  regioni  dal  decreto
 legislativo n. 469/1997 impone, al contrario, di  ritenere  legittima
 una   piu'   ampia   discrezionalita'   del   legislatore   regionale
 nell'ulteriore delega di funzioni e compiti agli enti locali.
   Non vi e' dubbio, infatti, che la delega  attribuita  alle  regioni
 dal  decreto  impugnato rientri in quella categoria di deleghe che la
 Corte costituzionale, in varie sentenze, ha definito "devolutive".
   Questa ecc.ma Corte, infatti, interpellata  piu'  volte  in  ordine
 alla  possibilita'  da  parte  delle regioni di proporre conflitto di
 attribuzioni contro lo  Stato  a  tutela  di  funzioni  delegate,  ha
 individuato varie categorie di deleghe.
   A  tal  proposito, nella sentenza n. 559 del 1988, ha stabilito che
 le competenze delegate non sono tutelabili attraverso il  ricorso  al
 conflitto  di  attribuzione  nel caso in cui si tratti di delega c.d.
 "libera", ossia di  delega  rimessa  al  potere  discrezionale  dello
 Stato,   non  avendo  la  regione,  in  tale  situazione,  un  potere
 costituzionalmente  garantito  la  cui  titolarita'   e'   condizione
 indispensabile  per  l'ammissibilita'  del  conflitto.  Del pari tale
 mezzo non e' consentito, a parere della Corte, quando nella  medesima
 materia  concorrono  poteri  statali  e  poteri  regionali,  sia pure
 giuridicamente ordinati in maniera diversa, in quanto la presenza  di
 poteri  statali  fa  si  che  non  sia  configurabile  una  sfera  di
 attribuzioni esclusive costituzionalmente assegnate alle regioni.  Il
 conflitto, e' invece, stato ammesso dalla Corte  in  presenza  di  un
 ulteriore  tipo  di  delega  caratterizzato dal duplice profilo della
 "traslativita'" e della "necessita'".  La prima condizione, a  parere
 di  questa  ecc.ma  Corte, si realizza qualora la "titolarita' di una
 determinata funzione viene (temporaneamente)  tolta  dalla  sfera  di
 competenza  dello  Stato e assegnata nel contempo a quella regionale,
 con la conservazione, in capo al primo del solo potere di indirizzo".
   Si tratta, in altre parole, di quella delega  che  in  dottrina  e'
 qualificata  come  "devolutiva  o  traslativa"  e  che costituisce la
 fattispecie di delegazione piu' vicina al trasferimento di  funzioni,
 "in  quanto  in  essa  l'accrescimento  di competenza del delegato e'
 consequenziale  ad  una  correlativa  diminuzione  della  stessa  nel
 soggetto  delegante".  La seconda condizione si realizza allorche' la
 delega sia volta a consentire "l'esercizio organico delle  competenze
 trasferite".    La  delega,  cioe',  spiega  la  Corte,  deve  essere
 finalizzata a realizzare una saldatura funzionale tra  le  competenze
 delegate  e  quelle  trasferite,  una  saldatura tale che l'eventuale
 limitazione  o  invasione  delle  competenze  delegate  alla  regioni
 finisca  per  contraddire o impedire quell'esercizio organico" che si
 e' voluto attribuire alle funzioni "proprie" delle regioni.  La Corte
 ha, inoltre, indicato una serie di elementi sulla base dei quali tali
 forme di deleghe sono individuabili,  tra  i  quali,  oltre  al  loro
 carattere  di  deleghe  a  tempo  indeterminato,  "il conferimento di
 funzioni  anche  normative  ''di  organizzazione  e  di  spesa'' e di
 ''attuazione'' il trasferimento  anche  di  uffici  e  personale,  la
 possibilita'    di   subdelega,   la   preponderante   finalizzazione
 all'esercizio organico predetto". (v. anche sentenze nn. 1112/1998  e
 245/1996).    Alla luce degli elementi forniti da questa ecc.ma Corte
 ai fini della individuazione della "delega devolutiva",  tale  natura
 non  puo'  non  riconoscersi  anche  alla delega in materia di lavoro
 conferita alle regioni dagli artt. 1 e 2 del decreto  legislativo  n.
 469/1997.    A  cio' si aggiunga che il decreto impugnato rappresenta
 uno  dei  tanti  decreti  legislativi  di  attuazione  della   delega
 contenuta  nella  legge  n.  59/1997, con la quale il Governo e stato
 incaricato di conferire funzioni e compiti alle regioni e  agli  enti
 locali  ai  fini della riforma della pubblica amministrazione e della
 semplificazione amministrativa, e nella cui ratio giustificatrice non
 puo' non rinvenirsi anche la ulteriore  e  piu'  ampia  finalita'  di
 permettere   alle  regioni  "l'esercizio  organico  delle  competenze
 trasferite".   Se,  dunque,  questa  ecc.ma  Corte  ha  riconosciuto,
 ritenendo  sussistente l'interesse regionale alla tutela di una sfera
 costituzionalmente  garantita,  la  legittimazione  delle  regioni  a
 proporre  conflitto di attribuzione a tutela di funzioni delegate con
 una  delega  di  natura  devolutiva,  a  maggiore  ragione   dovrebbe
 ritenere,  in  presenza  degli  stessi  presupposti, l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 4, comma  1,  lett.  a)  del  decreto,  che,
 nonostante  la delega traslativa disposta, agli artt. 1 e 2, a favore
 delle regioni, impone al legislatore regionale il trasferimento  alle
 province di tutte, indiscriminatamente, le funzioni delegate relative
 al collocamento.
   D'altra  parte,  il  Governo,  nell'imporre  tale  indiscriminato e
 obbligato trasferimento dalle regioni alle province, trasformando  le
 regioni  in  mero passacarte, non sembra aver tenuto nel debito conto
 la  sostanziale  differenza  del  ruolo  che   la   Costituzione   ha
 attribuito,  nel  nostro ordinamento, rispettivamente, alle regioni e
 agli altri enti locali.  L'autonomia riconosciuta dalla  Costituzione
 (art.  128)  alle  province  e  ai  comuni,  infatti,  deve svolgersi
 nell'ambito  dei  principi  fissati  dalle   leggi   generali   della
 Repubblica  che  ne determinano le funzioni.  A differenza  di quanto
 disposto per le regioni (art. 115 della  Costituzione),  manca  nella
 Costituzione   ogni   delimitazione      della  sfera  dell'autonomia
 provinciale e comunale, la cui determinazione e' lasciata alle  leggi
 della  Repubblica. L'art. 115 della Costituzione attribuisce, invece,
 alle  regioni  natura  e  rilevanza  costituzionale  quali  enti  che
 caratterizzano  la  "forma"  e  la  struttura  dello Stato come Stato
 regionale.  Il decreto legislativo n. 469/1997 sembra cosi' guardare,
 con occhio ipermetrope, piuttosto  alle  proposte  della  Commissione
 Bicamerale,  che  non alla Costituzione attualmente vigente, correndo
 pero' il rischio, nell'inseguire - appunto  -  le  proposte,  che  le
 contingenti  scelte  politiche  (in  questi  giorni  si  ipotizza  di
 proposte  tendenti  alla  decostituzionalizzazione  delle   province)
 spingano  poi  in  una  direzione diversa da quella in cui il decreto
 delegato vorrebbe andare|
   3. - Violazione degli artt. 115, 123, della  Costituzione  e  della
 giurisprudenza  costituzionale  in materia di autonomia organizzativa
 regionale; violazione dell'art. 76 della  Costituzione  in  relazione
 all'art.  4,  comma  3,  lett.  b)    della legge n. 59/1997 da parte
 dell'art.    4,  comma  1,  lett.  f).   L'art. 4, comma 1, dopo aver
 affidato, alla lett. e), alle province la gestione ed erogazione  dei
 servizi  connessi  alle  funzioni in materia di collocamento, tramite
 strutture denominate "centri per l'impiego", alla lett.  f),  prevede
 la "distribuzione territoriale dei centri per l'impiego sulla base di
 bacini provinciali con utenza non inferiore a 100.000 abitanti, fatte
 salve motivate esigenze socio-geografiche".
   La   rigida   individuazione   dei  bacini  di  utenza  per  ambito
 provinciale e per grandezza demografica  dell'utenza,  operata  dalla
 suddetta disposizione, risulta chiaramente scorretta.
   E' di tutta evidenza che l'individuazione delle dimensioni ottimali
 di  tali  bacini  debba  essere oggetto di valutazione da parte delle
 singole amministrazioni regionali.
   Tale  disposizione  toglie  alle  regioni  qualsiasi  potesta'   di
 programmazione  sul  territorio,  integrando  una  palese  violazione
 dell'autonomia  organizzativa  costituzionalmente   attribuita   alle
 regioni.
   Per  tali  motivi  l'art.  4, comma 1, lett. f)  espone alle stesse
 censure di incostituzionalita' gia' mosse alle  lett.  b),  c)  e  d)
 dell'art. 4, comma 1.
   Tale  norma,  inoltre,  non  sembra  rispettare uno dei principi ai
 quali, ai sensi  della  legge  di  delega,  il  legislatore  delegato
 avrebbe dovuto ispirarsi nell'emanazione dei decreti di attuazione.
   L'art.  4,  comma  3,  lett.  b)    della  legge n. 59/1997 impone,
 infatti, al Governo il rispetto, nell'attivita' di conferimento,  del
 "principio  di  completezza,  con  l'attribuzione  alla  regione  dei
 compiti e delle funzioni amministrative non assegnate ai sensi  della
 lett. a), e delle funzioni di programmazione".
   Che  la  fissazione  dei  bacini di utenza dei centri per l'impiego
 rientri nelle funzioni  di  programmazione  attribuite  alla  regione
 appare indubitabile.
   L'art.  4,  comma  1,  lett. f) e', dunque, viziato di eccesso e di
 delega e,  in  quanto  tale,  viola  la  disposizione  costituzionale
 dell'art.  76.
   4.  -  Violazione  degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione da
 parte da parte dell'art. 7.
   L'art.  7  introduce  modalita'  di  trasferimento  del   personale
 generiche ed inaccettabili.
   In particolare, al comma 1, nel disporre in ordine al trasferimento
 del  personale  effettivo  appartenente  ai  ruoli  del Ministero del
 lavoro e della previdenza sociale -  Settore  politiche  del  lavoro,
 quale  risultante  al 30 giugno 1997, con riferimento al personale in
 servizio presso le Direzioni regionali e  provinciali  del  lavoro  -
 Settore  politiche  del  lavoro, e presso le sezioni circoscrizionali
 per l'impiego e per il collocamento in agricoltura, stabilisce,  alla
 lett. b), il criterio del trasferimento nella misura del 70%.
   E'  di tutta evidenza come non possa ritenersi sufficiente una mera
 indicazione quantitativa (70%) in assenza  di  ulteriori  criteri  di
 tipo qualitativo.
   Il  Governo,  inoltre,  nel quantificare a priori le percentuali di
 personale, indifferenziato quanto a qualifiche e a  specializzazione,
 dimostra  di  non  avere avuto alcun conto delle funzioni in concreto
 trasferite, quasi ignorasse  l'ovvia  connessione  tra  trasferimento
 delle funzioni e trasferimento del personale.
   L'intera   disciplina   contenuta  nell'art.  7  denota  una  certa
 superficialita'   del   Governo   nell'affrontare   il    tema    dei
 trasferimenti.
   Del  tutto  ingenua appare, in particolare, la previsione del primo
 comma in ordine  alla  previa  concertazione  con  le  Organizzazioni
 sindacali  ai  fini  dell'individuazione,  con successivi decreti del
 Presidente del Consiglio dei  Ministri,  dei  beni  e  delle  risorse
 finanziarie,  umane,  strumentali e organizzative da trasferire: come
 se in queste scelte  non  fosse  prevalente  la  funzionalita'  delle
 competenze  trasferite  alle  regioni  sull'interesse  personale  dei
 dipendenti ministeriali.
   Tale concertazione, nella previsione del comma 4, raggiunge persino
 l'intensita' dell'"intesa" per quanto riguarda i criteri di priorita'
 nella scelta del personale da trasferire.
   Anche il comma 5, nel  combinato  disposto  con  il  comma  8,  che
 disciplina  il  trasferimento  alle  regioni delle risorse necessarie
 all'attuazione decreto, appare fortemente incostituzionale.
   Il comma 5, stabilisce, infatti, che "Al  personale  trasferito  e'
 comunque  garantito  il mantenimento della posizione retributiva gia'
 maturata".
   Il comma 8, a sua volta, valuta le risorse da trasferire nel 1998 e
 nel 1999 "nel limite massimo delle spese effettivamente sostenute dal
 Ministero  del  lavoro  e  della  previdenza  sociale  nell'esercizio
 finanziario 1997, per le funzioni e i compiti conferiti".
   E'  evidente  che  nel computo delle risorse da trasferire, essendo
 stato effettuato sulla base delle spese sostenute dal  Ministero  nel
 1997  per  le  funzioni e i compiti conferiti, non si e' tenuto conto
 delle  maggiori  spese  derivanti  dal  mantenimento   al   personale
 trasferito  della  posizione  retributiva  gia'  maturata,  cosi come
 assicurato dal comma 5.
   Tanto piu' che la scelta del personale da trasferire non  e'  stata
 fondata  sul  criterio delle mansioni svolte, ma e' stata determinata
 del tutto casualmente, con una quantificazione percentuale.
   La  maggiore  spesa  derivante  dal   mantenimento   al   personale
 trasferito  della  posizione  retributiva  gia'  maturata  non potra'
 quindi che rimanere a carico delle regioni, con  evidente  violazione
 dell'art. 119 della Costituzione.
   L'art. 119 della Costituzione, infatti, dopo aver sancito, al primo
 comma,   il   principio  dell'autonomia  finanziaria  delle  regioni,
 stabilisce che "alle regioni sono attribuiti tributi propri  e  quote
 di  tributi  erariali,  in  relazione ai bisogni delle regioni per le
 spese necessarie ad adempiere alle loro funzioni normali".
   E non puo' dubitarsi del  fatto  che  le  funzioni  trasferite  dal
 decreto  impugnato  alle  regioni  in  materia  di  collocamento e di
 politiche attive del lavoro siano da  considerarsi  funzioni  normali
 della regione.
   Risulta  cosi'  violato  l'art. 119, come interpretato da una ormai
 copiosa  giurisprudenza  costituzionale,  in  base  alla  quale  ogni
 trasferimento  di  funzioni  alle regioni deve essere accompagnato da
 una corrispondente copertura finanziaria.
   5.  -  Violazione  dell'art.  76  della  Costituzione  in relazione
 all'art.  3, comma 1, lett. g), da parte degli artt. 10 e 11.
   L'art. 10, introduce la possibilita' che l'attivita' di  mediazione
 possa  essere  svolta  da  imprese, societa' cooperative con capitale
 versato non inferiore a 200 milioni e da  enti  non  commerciali  con
 patrimonio  non inferiore a 200 milioni, condizionando l'esercizio di
 tale attivita' all'autorizzazione del Ministero del lavoro.
   Tale disposizione, inoltre, disciplina in  maniera  dettagliata  la
 procedura  per il rilascio dell'autorizzazione, i requisiti oggettivi
 e soggettivi necessari, e i principi ai quali le imprese  autorizzate
 dovranno  attenersi nell'esercizio di tale attivita', rinviando ad un
 successivo decreto del  Ministero  del  lavoro  l'individuazione  dei
 criteri  per il controllo del corretto esercizio delle attivita', per
 la  revoca  dell'autorizzazione  e  per  gli  ulteriori   adempimenti
 necessari per l'esercizio della suddetta attivita'.
   In  particolare,  il  comma  10  dell'art. 10, nel disporre che nei
 confronti dei prestatori di lavoro  l'attivita'  di  mediazione  deve
 essere esercitata a titolo gratuito, appare fortemente criticabile in
 quanto  il principio di gratuita' ivi accolto potrebbe, nella prassi,
 tradursi in forme di pagamento "in nero".
   L'art.  11,  disciplina  il   Sistema   informativo   del   lavoro,
 definendolo  come  l'insieme  delle  strutture  organizzative,  delle
 risorse hardware,  software  e  di  rete  relative  ai  compiti  alle
 funzioni di cui agli artt. 1, 2 e 3, al quale attribuisce la funzione
 di  "strumento  per  l'esercizio  di  funzioni  di indirizzo politico
 amministrativo" con caratteristiche nazionalmente unitarie.
   L'art. 11, inoltre, oltre a prevedere un  obbligo  generalizzato  -
 per il Ministero del lavoro, le regioni, gli enti locali e i soggetti
 autorizzati  alla  mediazione  -  di connessione al SIL, concede alle
 imprese di fornitura del lavoro temporaneo e ai soggetti  autorizzati
 alla  mediazione  la facolta' di accedere, mediante convenzione, alle
 banche dati e di avvalersi dei servizi di rete offerti  dal  SIL,  le
 cui  tariffe saranno determinate annualmente con decreto del Ministro
 del lavoro.
   Sempre attraverso convenzioni, anche a titolo oneroso le imprese di
 fornitura  del  lavoro  temporaneo  e  i  soggetti  autorizzati  alla
 mediazione  possono,  accedere, inoltre, alle banche dati dei servizi
 informativi regionali e locali e, tramite questi, eventualmente anche
 a quelle del SIL (art. 11, comma 5). Ulteriori  collegamenti  con  il
 SIL  sono  previsti  per  le  Camere  di  commercio  e per altri enti
 funzionali.
   I commi da 8 a 10 prevedono l'istituzione, nel rispetto  di  quanto
 previsto  dal  decreto  legislativo n. 281/1997, di un organo tecnico
 con compiti di raccordo in  materia  di  SIL  tra  il  Ministero  del
 lavoro, le regioni e le amministrazioni locali.
   In  ordine alle disposizioni degli artt. 10 e 11, va osservato che,
 se e' vero che l'art. 3, comma 1, lett. g), della legge  n.  59/1997,
 cui  tali  articoli  fanno espresso rinvio, prevede che con i decreti
 delegati dovranno essere "individuate le modalita'  e  le  condizioni
 per  il  conferimento  a idonee strutture organizzative di funzioni e
 compiti che non richiedano, per la loro natura, l'esercizio esclusivo
 da parte delle regioni e degli enti  locali",  e'  pero'  altrettanto
 vero  che,  in  seguito al conferimento operato dagli artt. 1 e 2 del
 decreto legislativo n. 469/1997,  la  maggioranza  delle  funzioni  e
 compiti  relativi  al collocamento e alle politiche attive del lavoro
 sono state attribuite alla competenza regionale.
   Nella  disciplina  dell'attivita'  di  mediazione  tra la domanda e
 l'offerta di lavoro e del Sistema informativo del lavoro  si  sarebbe
 dovuto, in ogni caso, tener conto di tale trasferimento.
   Il  Governo,  in  sostanza,  avrebbe  dovuto limitarsi, seguendo il
 dettato dell'art. 3, comma 1, lett. g),  della  legge  di  delega,  a
 conferire a idonee strutture organizzative funzioni e compiti che non
 richiedano,  per la loro natura, l'esercizio esclusivo da parte delle
 regioni e degli enti locali, lasciando, quanto  all'organizzazione  e
 al  funzionamento  delle stesse, un certo margine di discrezionalita'
 alle regioni.
   La disciplina  contenuta  negli  artt.  10  e  11,  attribuendo  al
 Ministero  del lavoro e della previdenza sociale la maggioranza delle
 competenze sia in materia di attivita' di mediazione tra la domanda e
 l'offerta di lavoro (si pensi ai poteri del Ministero in ordine  alle
 autorizzazioni  all'esercizio  dell'attivita'  e  ai  controlli sulle
 imprese autorizzate), che in ordine al Sistema informativo del lavoro
 (si pensi alle limitatissime competenze regionali in materia di SIL),
 forza eccessivamente la delega contenuta nell'art. 3, comma l,  lett.
 g),  della legge n. 59/1997, ponendosi, in tal modo, in contrasto con
 i principi  fissati  in  materia  dall'art.  76  della  Costituzione.
 L'eccesso  di  delega pare palese e assai pericoloso. L'art. 3, comma
 1, lett. g) prevede che "siano individuate le modalita' e  condizioni
 per  il  conferimento  a idonee strutture organizzative di funzioni e
 compiti che non richiedano, per la loro natura, l'esercizio esclusivo
 da parte delle regioni e degli enti locali".  Pretendere da  ricavare
 da tale formulazione una autorizzazione alla riforma di settori cosi'
 delicati  come  la  mediazione  tra domanda e offerta nel mercato del
 lavoro appare un insulto,  oltre  che  al  Parlamento,  che  si  vede
 spogliato  dall'intervento su temi cosi' importanti, all'intelligenza
 degli interpreti.   Gia', in realta',  non  si  possono  non  nutrire
 alcuni dubbi sulla genericita' di alcuni principi e criteri contenuti
 nella  legge  n.    59:  qui  pero' si va ben oltre; si ricava da una
 generalissima formulazione, attinente a temi diversi, una delega alla
 riforma sostanziale dell'uno (la mediazione)  o,  un  domani,  di  un
 altro settore.
                               P. Q. M.
   La  regione  Lombardia,  cosi'  come rapprentata e difesa, chiede a
 codesta ecc.ma  Corte  di  dichiarare  illegittimita'  costituzionale
 degli  artt.  4, comma 1, lett. a), b), c), d), f); 7, commi 1, lett.
 b), 5 e  8;  10  e  11  del  decreto  legislativo  n.  469/1997,  per
 violazione  degli  artt.  76,  115,  117,  118,  119, 123 e 128 della
 Costituzione.
     Roma, addi' 6 febbraio 1998
                Prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto
 98C0156