N. 154 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 aprile 1997
N. 154 Ordinanza emessa l'11 aprile 1997 dal tribunale di Bari nel procedimento civile vertente tra Azzollini Maria ed altri, n.q. e l'A.N.A.S. Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione delle indennita' espropriative per la realizzazione di opere da parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media tra il valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la riduzione dell'importo cosi' determinato dei quaranta per cento) - Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura dei risarcimenti dovuti per illegittime occupazioni acquisitive, con l'aumento dell'importo stesso del 10 per cento in considerazione della incostituzionalita' del precedente criterio dichiarata con sentenza n. 369/1996 - Ritenuta persistente inadeguatezza della nuova misura del risarcimento - Incidenza sul principio di uguaglianza sul diritto di proprieta'. (Legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 5-bis, comma 7-bis aggiunto dalla legge 23 dicembre 1996, n. 622, art. 3, comma 65). (Cost., artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma).(GU n.12 del 25-3-1998 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta nel ruolo generale affari contenziosi sotto il numero d'ordine 1572 r.g. dell'anno 1991 tra Azzollini Maria, Di Cagno Abbrescia Simeone e Di Cagno Abbrescia Amalia, tutti elettivamente domiciliati in Bari presso lo studio dell'avv. Paolo Laterza dal quale sono rappresentati e difesi come da mandato a margine dell'atto di citazione, attori contro l'ANAS - Azienda nazionale autonoma delle strade, domiciliata ex lege in Bari presso l'Avvocatura dello Stato, rappresentata e difesa dall'avv. dello Stato Vito Rotunno, convenuta. All'udienza collegiale del l4 marzo 1997 la causa e' stata riservata per la decisione sulle conclusioni delle parti come da verbale di udienza del 31 marzo 1994 e riportate in narrativa. F a t t o Con atto di citazione notificato l'8 marzo 1991 i signori Maria Azzollini, Simeone e Amalia Di Cagno Abbrescia, nella qualita' di eredi di Giovanni Di Cagno Abbrescia, premesso che con decreto dell'11 marzo 1981 il prefetto di Bari aveva disposto, in favore dell'ANAS, l'occupazione di urgenza, per la durata di un quinquennio decorrente dall'emissione del provvedimento, di porzioni di terreno di proprieta' del loro dante causa in localita' Torre a Mare, occorrenti per l'ampliamento da due a quatto corsie della s.s. 16 nel tratto Torre a Mare-Mola di Bari; che i1 30 aprile 1981 era seguita l'immissione nel possesso delle aree e l'11 maggio 1981 la redazione dello stato di consistenza ad opera dell'impresa delegata per la procedura; che dopo la notifica dell'indennita' provvisoria di espropriazione, effettuata in data 13 dicembre 1982, non accettata dal Di Cagno Abbrescia, e la richiesta, formulata in data 7 novembre 1986, di produzione del certificato di destinazione urbanistica, non aveva fatto seguito alcun altro atto della procedura espropriativa; che erano decorsi i termini di occupazione legittima ed era stato realizzato l'ampliamento della sede stradale; tanto premesso convenivano in giudizio l'ANAS dinanzi al tribunale di Bari per conseguire il pagamento dell'indennita' di occupazione legittima; il risarcimento del danno da occupazione illegittima per il periodo compreso tra la scadenza dell'occupazione legittima e la irreversibile trasformazione delle aree occupate e il controvalore di queste ultime, occorrendo anche a titolo di risarcimento danni. Si costituiva l'ANAS con comparsa del 24 aprile 1991 precisando che l'espropriazione non era avvenuta nei termini perche' la relativa indennita' non era mai stata determinata dalla competente commissione nonostante ne fosse stata fatta richiesta sin dal 1983 e concludeva per il rigetto della domanda perche' infondata e parzialmente prescritta. Cosi' instaurato il contraddittorio, veniva ammessa ed espletata c.t.u. diretta a quantificare il valore venale delle superfici utilizzate per la realizzazione dell'ampliamento stradale con riferimento all'epoca di ultimazione dell'opera; a quantificare l'indennizzo per il periodo di occupazione legittima; e, ove il compimento dell'opera fosse risultato successivo al periodo di occupazione legittima, il risarcimento per il periodo di occupazione illegittima. All'udienza del 31 marzo 1994, gli attori precisavano le conclusioni chiedendo la condanna dell'ANAS al pagamento degli importi accertati nella stima peritale a titolo di indennita' per occupazione legittima; di indennizzo per occupazione illegittima; e a titolo di risarcimento danni per illegittima acquisizione delle aree, importi da maggiorarsi di interessi e rivalutazione; ovvero la condanna della convenuta al pagamento delle somme che il tribunale avesse riconosciute come dovute nonche' delle spese e competenze di giudizio, mentre l'ANAS chiedeva dichiararsi l'incompetenza in merito alla domanda relativa alla occupazione legittima ed accogliere le altre istanze attoree nei limiti di giustizia. Rimessa la causa al Collegio, nelle difese conclusive gli attori eccepivano, sotto vari profili, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, sopravvenuta nelle more del giudizio. M o t i v i Ritiene il tribunale di dover esaminare preliminarmente le eccezioni di illegittimita' costituzionale sollevate dagli attori che appaiono rilevanti e non manifestamente infondate. Quando alla rilevanza, l'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 trova applicazione nella decisione della presente controversia che concerne una tipica fattispecie di occupazione appropriativa, caratterizzata dall'intervenuta dichiarazione di p.u. (come risulta dall'epigrafe del decreto di esproprio che richiama il decreto del ministro dei LL.PP. approvativo del progetto dell'opera ai fini, appunto, della dichiarazione di p.u.); dalla mancata emanazione del provvedimento ablatorio nonostante la scadenza dell'occupazione legittima; dalla irreversibile trasformazione delle superfici occupate per l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica. Quanto alla non manifesta infondatezza si osserva quanto segue. In primo luogo la norma ripropone lo stesso meccanismo di determinazione del danno introdotto dall'art. 1, comma 65, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, gia' dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 369/1996. E' infatti, rispetto a quest'ultima norma, che parificava il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva all'indennita' di esproprio, la nuova disciplina introduce alcune differenziazioni che, ad una prima lettura apprezzabili, si rilevano ad un piu' attento esame trascurabili e, in quanto tali, sostanzialmente elusive dei principi dettati dalla citata pronuncia n. 369/1996. Infatti, l'esclusione della decurtazione del 40%, prevista per l'indennita' di esproprio nel caso di cessione volontaria del cespite espropriando, sarebbe stata inevitabile anche con la precedente normativa attesa la incompatibilita' tra l'istituto della cessione e l'occupazione acquisitiva: se effetto di quest'ultima e' l'acquisto della proprieta' del bene a seguito della irreversibile trasformazione del fondo, e' evidente che non residua possibilita' per il volontario trasferimento del fondo (cessione) da parte del privato. Pertanto, l'unica sostanziale novita' introdotta dall'art. 3, comma 65, legge n. 662/1996 e' l'aumento del 10% rispetto all'indennita' di esproprio, aumento che, in termini reali, si riduce al solo 5% essendo corrispondente, l'importo risarcitorio, alla semisomma tra valore venale e reddito dominicale rivalutato e dunque pari approssimativamente al 50% del valore venale. Ora se e' vero che con la citata pronuncia n. 369/1996 la Corte costituzionale ha ammesso la possibilita' di un intervento normativo ragionevolmente riduttivo della misura della riparazione dovuta dalla p.a. al proprietario dell'immobile incorporato nell'opera pubblica, ha peraltro stabilito che la ragionevolezza di una siffatta riduzione dipende dall'equilibrato componimento degli interessi in gioco che la norma determinativa del danno risarcibile deve assicurare. L'entita' del risarcimento che scaturisce dalla norma in esame non rappresenta certamente la "ragionevole riduzione" della misura della riparazione dovuta dalla p.a. al proprietario dell'immobile: di qui la violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, stante la radicale diversita' strutturale e funzionale degli istituti del risarcimento del danno e dell'indennita' di esproprio; e la violazione dell'art. 42, comma 2, della Costituzione per la perdita di garanzia che deriva al diritto di proprieta' da una cosi' affievolita risposta dell'ordinamento all'illecito compiuto dalla p.a., con le ulteriori negative incidenze, sottolineate dalla Corte costituzionale nella citata pronuncia, che un tale privilegio puo' comportare anche sul piano del buon andamento e legalita' dell'attivita' amministrativa. Sussistono inoltre ulteriori e non manifestamente infondati dubbi di legittimita' in riferimento all'art. 3 della Costituzione rappresentati dall'applicabilita' della disciplina in esame alle sole occupazioni illegittime intervenute anteriormente al 30 settembre 1996. Tale limite temporale determina, come sottolineato dalla difesa degli attori, una ingiustificata disparita' di trattamento tra soggetti che hanno subito un'illegittima occupazione prima del 30 settembre 1996 e soggetti che l'abbiano subita successivamente i quali otterrebbero, invece, il ristoro integrale del danno: laddove, proprio per le occupazioni acquisitive piu' risalenti nel tempo, il distacco temporale tra la privazione del bene e la liquidazione del risarcimento, unitamente alla decurtazione di quest'ultimo, penalizza fortemente il diritto del privato, essendo, come rileva in motivazione la citata sentenza n. 369/1996 "di non apprezzabile rilievo l'incremento che alla voce risarcitoria puo' derivare dalla sua natura di debito di valore". Siffatta disparita' sembra essere stata giustificata da ragioni di disponibilita' di bilancio, come denuncia la collocazione della norma nel contesto della legge contenente misure di razionalizzazione della finanza pubblica: ma tale ragione non puo' costituire, specie quando siano in gioco valori costituzionalmente protetti, valida giustificazione per l'applicazione nel tempo di differenti normative. In conclusione ritiene il collegio di sollevare, su eccezione di parte, questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, comma 7-bis, della legge 8 agosto 1992, n. 359, aggiunto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, in riferimento agli artt. 3, commi 1 e 42, comma 2 della Costituzione. Gli atti vanno pertanto trasmessi alla Corte costituzionale, con conseguente sospensione del giudizio in corso.
P. Q. M. Il tribunale di Bari, terza sezione civile, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le eccezioni di illegittimita' costituzionale sollevate dall'attrice e meglio precisate in motivazione; per l'effetto, sospende il procedimento in corso e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri nonche' comunicata ai presidenti delle Camere. Cosi' deciso in Bari, nella camera di consiglio della terza sezione civile del tribunale, l'11 aprile 1997. Il presidente: Lofoco L'estensore: Martucci-Zecca 98C0271