N. 155 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 ottobre 1997
N. 155 Ordinanza emessa il 24 ottobre 1997 dalla pretura di Ancona, sezione distaccata di Fabriano nel procedimento penale a carico di Buselli Ezio Processo penale - Dibattimento - Legittimo impedimento a comparire del difensore (nella specie: a causa di evento sismico) - Lamentata previsione indifferenziata di rinvio o sospensione del dibattimento - Irragionevolezza del previsto rinvio nel presupposto interpretativo che l'eliminazione dell'inciso "o rinvia" renderebbe la disposizione riconducibile ai casi di sospensione della prescrizione di cui all'art. 159 c.p. - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale - Lesione del principio di buon andamento della amministrazione della giustizia. In via subordinata: processo penale - Rinvio o sospensione del dibattimento per legittimo impedimento a comparire del difensore - Sospensione dei corso della prescrizione - Mancata previsione - Violazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale - Lesione del principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia. (C.P.P. 1988, art. 486, in relazione all'art. 159, comma 1). (Cost., artt. 3, 97 e 112).(GU n.12 del 25-3-1998 )
IL PRETORE Letti gli atti del procedimento penale n. 30110/97 r.g. mod. 23, n. 4144/94 r.n.r., a carico di Buselli Ezio, ha emesso la seguente ordinanza. All'udienza del 24 ottobre 1997 il difensore di Buselli Ezio, dopo aver presentato tempestivamente richiesta di rinvio ai sensi dell'art. 486 c.p.p. in quanto il suo assistito abita in uno stabile gravemente danneggiato dal sisma, insisteva nella predetta istanza. Quanto sopra costituisce una causa di legittimo impedimento ai sensi dell'art. 486 c.p.p. Si pone pero' il problema del termine di prescrizione del reato. In assenza di una norma specifica, tale termine di prescrizione continuerebbe a decorrere necessariamente per tutto il periodo di durata del legittimo impedimento, che si preannuncia non breve. Vero e' che, in tutte le occasioni di eventi tellurici della portata simile a quello in essere, sono state emanate leggi eccezionali che dispongono la sospensione dei termini di prescrizione per "l'esercizio dei diritti". Ma, a parte il fatto che ancora tale legge eccezionale non e' stata emanata, ne' si possono conoscere, ovviamente, i termini in cui verra' redatta, va osservato che la sospensione del termine di prescrizione relativo all'esercizio del diritto - che si legge come una sorta di stilema in tutte le leggi eccezionali riguardanti le "provvidenze" a favore di zone terremotate - riguarda certamente i diritti soggettivi dei privati, ma non sembra possa applicarsi in assenza di esplicita previsione all'azione penale, che costituisce esercizio del c.d. potere punitivo dello Stato, insuscettibile di esprimersi in termini di "esercizio di un diritto", com'e' proprio dei rapporti intersoggettivi. La recentissima ordinanza del Ministro dell'interno del 13 ottobre 1997, ha poi disposto la sospensione dei termini "relativi alle controversie giurisdizionali ed amministrative" (comma sesto dell'art. 11 dell'ordinanza n. 2694 del 13 ottobre 1997. E' pero' assai dubbio, anche qui, che tale sospensione riguardi i termini di prescrizione, agli effetti di cui al primo comma dell'art. 159 c.p., proprio perche' trattasi di previsione di carattere assai generale ed anche questa dettata, almeno secondo l'interpretazione migliore, in riferimento alle posizioni soggettive di coloro che operano nel processo; anzi, poiche' l'art. 11 sopra citato tratta unicamente la materia fiscale, non e' da escludere, ed anzi appare piu' che probabile, che le controversie "giurisdizionali ed amministrative", di cui parla la norma, siano solo quelle in materia tributaria. Ne' si possono trascurare, in ogni caso i delicatissimi problemi che sorgerebbero da un eventuale deroga a fonti normative a carattere primario (le leggi processuali, ivi comprese quelle sulla sospensione) recata dall'ordinanza del Ministro che, sia pure a carattere normativo, fonte primaria non e'. Molto spesso la Corte costituzionale e' venuta ad occuparsi sia della sospensione che dell'interruzione della prescrizione, in riferimento ad ipotesi denunciate dai giudici di merito. Numerose sono i provvedimenti di reiezione di tali questioni, sia con sentenze, sia, piu' spesso con ordinanze di manifesta inammissibilita', sempre sul presupposto che non e' possibile una pronuncia additiva (per di piu' in malam partem) che introduca un nuovo caso di sospensione o interruzione del corso della prescrizione del reato, essendo questa una scelta che appartiene alla sfera insindacabile e discrezionale del legislatore. Va subito detto, in punto di rilevanza della questione che si intende prospettare, che non puo', ad avviso di questo pretore, costituire un precedente rilevante nella fattispecie l'ordinanza della Corte n. 115 del 28 aprile 1983, la quale fa perno sul difetto di rilevanza, prospettandosi la prescrizione come astratta ed ipotetica. Il quadro normativo attuale prevede invece pericoli ben concreti di prescrizione, soprattutto nei successivi gradi di giudizio, e cio' e' un dato innegabile, ne' ascrivibile, se non in minima parte, ad un lassismo degli organi giudiziari ovvero a posizioni strumentali dei difensori. Si fronteggiano da un lato le esigenze che i processi vengano celebrati in termini ragionevoli, dall'altro il diritto dell'imputato, "legittimamente impedito" ad una idonea difesa per cause rientranti nella sua sfera ovvero in quella del suo difensore. Terreno di frequente elaborazione concettuale, al riguardo, e' stato quello dello "sciopero" degli avvocati. Assai indicativa, addirittura piu' che per la statuizione in se' per le implicazioni che necessariamente comporta, Cass., sez. VI, 17 dicembre 1992-5 luglio 1993, imp. Montapuoli. Testualmente: "...la corte di merito ha legittimamente applicato il principio del bilanciamento di interessi, posti dall'ordinamento a base dei diritti di tutela processuale nell'ambito dell'amministrazione della giustizia, dando prevalenza a quello dello Stato, diretto ad evitare l'estinzione del reato per prescrizione, rispetto a quello del difensore dell'imputato, concernente il pur legittimo esercizio dei diritti personali di liberta' indicati nel ricorso, in particolare di quello di astenersi dal partecipare alle udienze. La ragione che giustifica tale scelta va rinvenuta nella concreta possibilita' di alternativa, rispetto allo svolgimento della difesa di fiducia dell'imputato... mediante l'istituto della difesa d'ufficio, a fronte della impossibilita' di sospensione del corso della prescrizione del reato, limitata ai casi tassativamente indicati nell'art. 159 c.p., ed in mancanza di eguale previsione per il caso di esercizio del diritto di sciopero da parte del difensore dell'imputato, nella forma dell'astensione dalle udienze, che pure costituirebbe una apprezzabile eccezione alla regola generale (artt. 157 e 160 c.p.) se il legislatore, nell'esercizio del suo insindacabile potere discrezionale di valutazione comparata degli interessi generali, intendesse introdurla". Piu' che di bilanciamento, in realta', appare trattarsi di due principi in tensione non sanabile, cosicche' prevale l'uno e l'altro viene sacrificato, a seconda delle ipotesi. In particolare pare avallata un'interpretazione dell'art. 486 c.p.p. che presuppone una sorta di gerarchia nell'ambito della piu' generale nozione di "legittimo impedimento": cosa sarebbe avvenuto, ad esempio, nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, laddove l'imputato o il suo difensore fossero ammalati in maniera tale da non poter presenziare all'udienza? La risposta appare evidente, nel senso che in tal caso l'art. 486 c.p.p. avrebbe precluso comunque la trattazione del processo. E dunque, sembra, che in alcune ipotesi, si avrebbe una sorta di impedimento assoluto, in altre ipotesi l'impedimento non sarebbe cosi' grave da non essere comparativamente valutato (o, in termini piu' brutali, da dover cedere il passo) rispetto alle esigenze di un celere svolgimento del processo. Peraltro appare assolutamente inesatto presupporre, sia pure in via implicita, questa sorta di gerarchia nell'ambito degli impedimenti di cui all'art. 486 c.p.p., cosi' come non convince il riferimento concettuale ad una sorta di composizione fra le contrapposte istanze, quelle relative al potere punitivo dello Stato e quelle relative all'effettiva possibilita' del diritto di difesa. Quanto al primo punto, notiamo che il primo comma dell'art. 486 c.p.p. parla di "assoluta impossibilita' a comparire". Tale impossibilita' a comparire e' - sintatticamente ancor prima che logicamente - legata a caso fortuito, forza maggiore, altro legittimo impedimento. Che non vi sia alcuna gerarchia tra le tre ipotesi e' anche confermata dal quinto comma, il quale, relativamente al difensore, si limita a parlare di "assoluta impossibilita' di comparire per legittimo impedimento", laddove e' lapalissiano che il legittimo impedimento, a fortiori, non puo' non ricomprendere anche il caso fortuito e la forza maggiore operanti nella sfera del difensore. D'altro canto il giudice dispone della c.d. discrezionalita' tecnica, per cui deve valutare nel merito se sussistono o meno le condizioni di legge per il legittimo impedimento, ma non puo' stabilire l'opportunita' di valutare la gravita' del legittimo impedimento e, conseguentemente, decidere se trattare o meno il processo. In altre parole, il legittimo impedimento dell'imputato o del suo difensore c'e' o non c'e', una volta stabilito che vi sia, non puo' mai il giudice "affievolire" il diritto di difesa sotteso all'impedimento quando vi sia un interesse "piu' forte" e quindi capace di "degradare" l'interesse contrapposto (prendendo in prestito una immagine del diritto amministrativo). Ma anche nella specifica motivazione alla base della soccombenza del diritto di difesa di fronte al diritto (rectius, potesta' punitiva) statuale, non puo' affatto condividersi l'affermazione secondo cui la difesa, non esercitata dal difensore di fiducia, sarebbe comunque garantita al difensore d'ufficio. Tale difensore, necessariamente nominato ai sensi dell'art. 97, quarto comma c.p.p., avrebbe pur sempre diritto al termine a difesa che presumibilmente chiederebbe, proprio stante la situazione d'impedimento del collega: infatti non e' accettabile l'interpretazione propugnata da taluno, secondo la quale al difensore nominato ex art. 97, quarto comma c.p.p. non si applicherebbe l'art. 108 c.p.p. e cio' sia perche' tale interpretazione e' smentita dal dato letterale (l'art. 108 c.p.p. parla di "nuovo difensore dell'imputato... designato in sostituzione", l'art. 97, quarto comma prevede che "il giudice o il pubblico ministero designa come sostituto altro difensore immediatamente reperibile" cfr. anche, sull'applicabilita' a tale particolare sostituto dell'art. 102 c.p.p., Cass., sez. prima, n. 3296 dell'8 ottobre 1991) sia, e soprattutto, perche' il nuovo codice ha cercato di perseguire l'effettivita' della difesa anche del difensore nominato d'ufficio, con poteri e facolta' sostanzialmente uguali a quelli del difensore di fiducia. Pertanto non e' affatto assicurata quella pronta celebrazione del dibattimento, idonea ad evitare la prescrizione, laddove la difesa sia affidata al difensore d'ufficio, perche' quest'ultimo, ex art. 108 c.p.p. potrebbe (e verosimilmente lo fara') chiedere il termine a difesa, con conseguente spostamento dell'udienza. L'effettivo contemperamento dei due valori costituzionali di cui si sta discutendo sarebbe invece assicurato dalla sospensione del corso della prescrizione del reato nel caso di impedimenti ex art. 486 c.p.p. Dal ragionamento sopra fatto, e' evidente che, nel caso tale contemperamento non possa raggiungersi, dovrebbe sempre essere assicurato il diritto di (effettiva) difesa, ma e' altrettanto evidente che la possibilita' di esercizio dell'azione penale verrebbe nel concreto vanificata dal decorso del termine di prescrizione, dovendosi pertanto sacrificare uno dei due valori di rilievo costituzionale (scegliere il minore dei mali). Il risultato e' comunque inaccettabile perche' la certezza del diritto e la tutela del bene giuridico, oggetto della tutela penale, hanno particolare rilievo costituzionale. Ma, come sopra accennato, tale risultato si potrebbe raggiungere solamente attraverso una previsione legislativa, peraltro auspicata da piu' parti. Un'espressa previsione, cioe', che, nel caso in cui occorra necessariamente provvedere a differire la trattazione del processo per il legittimo impedimento dell'imputato e/o del suo difensore per non ledere il diritto di difesa, sia nel contempo assicurata l'effettivita' dell'esercizio del potere punitivo da parte dello Stato. A questo punto non puo' non riscontrarsi, a parere di questo giudice, una tendenza evolutiva, sullo specifico punto della prescrizione, della giurisprudenza della Corte costituzionale. Secondo una prospettiva che si potrebbe definire sanzionatoria rispetto a comportamenti strumentali, si segnala, in questo iter, la sentenza n. 10 del 9-23 gennaio 1997. E' importante notare che il giudice remittente aveva prospettato, in alternativa, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 37, comma 2 e 124, commi 1 e 2 del c.p.p., nella parte in cui non prevedono che, in caso di reiterazione della dichiarazione di ricusazione, il giudice potesse ugualmente emettere la sentenza, ovvero nella parte in cui era preclusa la sospensione dei termini di prescrizione dei reati per i quali si procedeva. La Corte dichiarava assorbita dalla dichiarazione di illegittimita' dell'art. 37, comma 2, la questione prospettata in tema di prescrizione, senza dunque entrare nel tema dell'inammissibilita' della questione. Ancora piu' importante appare la precedente sentenza n. 114 del 23-31 marzo 1994. A parte l'auspicata regolamentazione legislativa della questione, va sottolineato l'esame condotto dalla Corte dei rapporti fra l'art. 486 c.p.p. e la possibilita' di sospendere il processo. L'Avvocatura dello Stato aveva rimarcato la possibilita' secondo la quale l'art. 486 c.p.p., nella sua portata letterale, sembrava demandare al giudice la possibilita' di scelta tra sospensione o rinvio, potendosi quindi ravvisare nella possibile sospensione una di quelle cui fa riferimento il primo comma dell'art. 159 c.p.p. La Corte non accoglieva tale interpretazione. In particolare, veniva osservato che ne' sotto la vigenza del codice abrogato ne' con riferimento al nuovo codice di rito risultava essersi affermata in dottrina o in giurisprudenza una tesi interpretativa che avesse ricondotto le ipotesi di stasi dibattimentale dovute all'impedimento dell'imputato o del suo difensore nell'alveo del concetto di sospensione del procedimento penale. Occorre pero' osservare a questo punto: 1) E' sicuro che l'art. 486 c.p.p. incorre in una "disarmonia terminologica" laddove fa riferimento alla sospensione o al rinvio in maniera indifferenziata: su cio' la Corte costituzionale e' d'accordo; 2) Laddove il legislatore prevede che, in caso di legittimo impedimento, il giudice "sospende o rinvia" il dibattimento, tale espressione appare ridondante da un lato e di assai ardua comprensione dall'altro. E' evidente che, se sospensione e rinvio hanno un diverso significato, e non possono non averlo, il giudice, laddove si verifichi l'impedimento potra', secondo la portata letterale della norma, dalla quale non si puo' prescindere, sospendere o rinviare. Ma, se sospende, non rinvia, se rinvia, non sospende. Sospensione del dibattimento e rinvio sono sicuramente compatibili, come ci confermano l'art. 477 c.p.p. (che parla di "prosecuzione") e gli artt. 508 e 509 c.p.p. (che parlano di fissazione della data della nuova udienza), ma quello che cio' sta a significare e' semplicemente che anche nel caso di sospensione, la regola generale e' che la successiva udienza venga comunque prefissata. A fronte di tale assetto normativo, o l'espressione di cui sopra va intesa nello stesso senso di cui agli artt. 477, 508, 509 c.p.p. i quali non configurano altro che varie ipotesi di sospensione con rinvio ad udienza fissa, ovvero non ha alcun significato logico, non potendo certo i due termini corrispondere a concetti equivalenti. Cio' nonostante, i due termini, nei massimari, si trovano utilizzati in maniera assolutamente indifferente ed intercambiabile. Nella prassi assolutamente dominante, poi, ancora piu' curiosamente, l'interpretazione data all'endiade usata nell'art. 486 c.p.p. ("sospende o rinvia"), e' quella di un differimento ad altra udienza, ove si ritenga sussistente il legittimo impedimento. E' verosimilmente tale ultima situazione quella cui fa riferimento la sentenza n. 114/1994, laddove parla di linea interpretativa presupposta dal giudice a quo, sin qui priva di adeguati contrasti, e che non puo' essere disattesa dalla Corte. Sempre nella prassi la sospensione prevista dall'art. 486 c.p.p. viene anche vista come sospensione ad horas nell'ambito di un'udienza fissata nella medesima giornata: anche tale interpretazione, tuttavia, se pure puo' essere comprensibile dal punto di vista pratico, non trova alcun supporto nel diritto positivo, poiche' si fonda sull'indimostrato ed indimostrabile assunto che il legislatore, laddove parla di sospensione del processo, intenda riferirsi ad un'interruzione di fatto, circoscrivibile al massimo nell'arco di una giornata. Ritiene invece questo giudice che la linea interpretativa, cui fa cenno, incidentalmente, la Corte, possa essere contrastata alla luce di quanto sopra detto. Se cosi' e', le alternative non possono essere che due: la congiunzione "o" e' una sorta di refuso, un lapsus in cui e' incorso il legislatore, dovendosi intendere non "sospende o rinvia" bensi' "sospende e rinvia", con cio' ritornandosi nell'ipotesi di rinvio ad udienza fissa conseguente alla sospensione del processo. Basta una mera interpretazione del dato letterale, in tale ipotesi; l'espressione "sospende o rinvia" e insuscettibile di qualsiasi interpretazione logica o accettabile, non potendosi tra l'altro individuare - se effettivamente essi sono due istituti differenti ed alternativi - quali siano i casi in cui il giudice sospende e quali siano quelli in cui rinvia: tale difficolta' e' adombrata dalla stessa Corte nella predetta sentenza n. 114. La riconduzione del sistema a razionalita' e civilta' e' possibile non mediante una sentenza additiva, bensi' attraverso una sentenza declaratoria di illegittimita' dell'inciso "o rinvia". Dopo tale declaratoria, il periodo e' perfettamente comprensibile, ragionevole, impedendo anche l'indebito decorso del periodo di prescrizione: la sospensione del processo diviene non ipotesi controversa bensi' previsione tassativa, perche' richiamata dal primo comma dell'art. 159 c.p. In via subordinata, non appare a questo giudice azzardata l'altra opzione ripetutamente sollecitata dai giudici di merito sia perche' l'inerzia del legislatore, a fronte degli auspici manifestati dalla stessa Corte, persiste, sia perche' la portata additiva di un'eventuale sentenza declaratoria di incostituzionalita' si limiterebbe a rendere esplicito un principio che appare insito nel sistema normativo, e che non puo' essere applicato proprio in virtu' della specifica portata letterale del primo comma dell'art. 159 c.p.p. Che poi si tratti di una pronuncia in malam partem non sembra determinante, perche' la declaratoria verrebbe ad incidere in un tessuto normativo che non puo' non definirsi a carattere strettamente processuale, e solo in via indiretta, di diritto penale sostanziale, limitatamente ai riflessi sulla regolamentazione della causa estintiva del reato. Sotto tale ultimo profilo, andrebbe condivisa la recentissima ordinanza del pretore di Verbania (Gazzetta Ufficiale n. 41 dell'8 gennaio 1997, pag. 87) la quale denuncia l'illegittimita' costituzionale secondo paradigmi gia' tracciati (e sinora non condivisi dalla Corte). Sul punto va solo precisato che il contrasto con l'art. 97 della Costituzione non si verificherebbe sotto lo stretto profilo dell'andamento dell'attivita' giurisdizionale (l'art. 97 della Costituzione non riguarda l'attivita' giurisdizionale in senso stretto secondo la giurisprudenza della Corte) ma per l'ingiustificato aggravio che comporterebbe sotto il profilo organizzativo-burocratico delle cancellerie, dal momento che le strutture giudiziarie dovrebbero farsi carico di destinare personale e risorse rispetto a numerosi procedimenti il cui esito probabile sarebbe quello di un'estinzione del reato: vistoso, in tal senso, e' il caso dell'ingente personale delle procure circondariali. Cio' posto, va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'inciso "o rinvia" contenuto nel primo e nel terzo comma dell'art. 486 c.p.p. , per contrasto con il principio di ragionevolezza sotteso all'art. 3 della Costituzione, nonche' con l'art. 112 della Costituzione, relativo all'esercizio dell'azione penale, che sarebbe altrimenti neutralizzato. In via alternativa e subordinata, va denunciata l'incostituzionalita' dell'art. 486 c.p.p., in relazione all'art. 159 c.p., nella parte in cui non prevede fra i casi di sospensione del procedimento da cui discende la sospensione della prescrizione, il "legittimo impedimento" che rende necessario il differimento del processo.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 486 c.p.p., limitatamente all'inciso "o rinvia" contenuto nel primo e terzo comma del predetto articolo, per contrasto con gli artt. 3, 97 e 112 della Costituzione. In via subordinata, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 486 c.p.p., in relazione all'art. 159, primo comma c.p., nella parte in cui non prevede tra i casi di sospensione del procedimento da cui discende la sospensione della prescrizione il differimento reso necessario dalla sussistenza di un legittimo impedimento, per contrasto con gli artt. 97 e 112 dell Costituzione. Sospende il procedimento ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere, dandosi atto della lettura in udienza per gli altri soggetti destinatari. Si notifichi altresi' a Buselli Ezio. Fabriano, addi' 24 ottobre 1997 Il pretore: Marziali 98C0272