N. 157 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 ottobre 1997

                                N. 157
  Ordinanza emessa il 9  ottobre  1997  dal  pretore  di  Pescara  nel
 procedimento penale a carico di Pincione Mario
 Ambiente  (Tutela  dell')  -  Rifiuti  pericolosi  - Violazione degli
    obblighi di comunicazione e di tenuta dei registri  obbligatori  e
    dei  formulari  - Lamentata depenalizzazione - Eccesso di delega -
    Incidenza sui principi di tutela dell'ambiente e della salute.
 (D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 52).
 (Cost., artt. 3, 9, secondo comma, 32 e 76).
(GU n.12 del 25-3-1998 )
                              IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza.
   Visti gli atti del processo nei confronti di Pincione Mario osserva
 quanto segue.
   I reati oggetto del presente processo sono costituiti da  omissioni
 relative  alla  tenuta  del  registro di carico e scarico dei rifiuti
 speciali ed alle concessioni dei rifiuti speciali prodotti  nell'anno
 1994.
   Il fatto al momento del rinvio a giudizio era previsto e sanzionato
 penalmente  dagli  artt. 3 e 9-octies della legge 9 novembre 1988, n.
 475. Di recente e' entrata tuttavia in vigore la normativa  contenuta
 dal  d.lgs.  5  febbraio  1997,  n.  22,  che all'art. 56 ha disposto
 esplicitamente l'abrogazione, fra le altre, delle citate disposizioni
 della legge n. 475/1988, mentre con gli artt.  11,  12  e  52  ne  ha
 riformulato,  con  talune  modificazioni,  la  disciplina. A parte le
 novita' circa i presupposti e le modalita'  per  l'adempimento  degli
 obblighi  di  comunicazione  al  catasto  dei rifiuti e di tenuta del
 registro di carico e scarico (artt. 11 e 12 del decreto legislativo),
 cio' che rileva particolarmente nel presente giudizio  e'  l'avvenuta
 depenalizzazione delle fattispecie in questione. L'art. 52, commi 1 e
 2,  decreto  legislativo  n.  22/1997,  punisce  infatti con sanzioni
 amministrative pecuniarie "chiunque non effettua la comunicazione  di
 cui  all'art. 11, comma 3 (vale a dire la comunicazione annuale della
 quantita' e qualita' dei rifiuti prodotti recuperati e smaltiti,  cui
 sono tenuti coloro che esercitano a titolo professionale attivita' di
 raccolta  e  di  trasporto dei rifiuti, compresi i commercianti e gli
 intermediari di rifiuti, ovvero svolgono operazioni di recupero e  di
 smaltimento  dei rifiuti, nonche' le imprese e gli enti che producono
 rifiuti pericolosi  e...  non  pericolosi  derivanti  da  lavorazioni
 industriali  ed  artigianali,  con esonero per i piccoli imprenditori
 artigiani che non abbiano piu' di tre dipendenti e producano  rifiuti
 non  pericolosi  e con trasferimento dell'obbligo di comunicazione in
 capo  all'ente  gestore del servizio pubblico di raccolta nel caso in
 cui i produttori di rifiuti li conferiscano al servizio  pubblico)  e
 chiunque omette di tenere ovvero tiene in modo incompleto il registro
 di  carico  e  scarico di cui all'art. 12, comma 1 (tale disposizione
 pone  a  carico  dei  medesimi  soggetti  che  devono   compiere   la
 comunicazione  annuale sopra indicata l'obbligo di tenere un registro
 su cui annotare  almeno  una  volta  alla  settimana  la  qualita'  e
 quantita' dei rifiuti, mentre i commi successivi dell'art. 12 pongono
 un'ulteriore  disciplina,  a  seconda  del tipo di soggetti, circa il
 contenuto e le modalita' di  tenuta  dei  registri),  con  incremento
 dell'ammontare della sanzione amministrativa pecuniaria e aggiunta di
 sanzione  amministrativa  accessoria  quando  si  tratta  di registri
 concernenti rifiuti pericolosi. L'art.  52, comma 4, prevede sanzione
 amministrativa pecuniaria ridotta per l'ipotesi  di  incompletezza  o
 inesattezza  meramente formale nelle comunicazioni e nella tenuta dei
 registri di cui ai commi 1 e 2.
   Si  ricava  dunque   che   gli   addebiti   originariamente   mossi
 all'imputato  trovano  piena  continuita'  dal  punto  di vista della
 materialita'  del  fatto  nella  normativa  recentemente  entrata  in
 vigore,  nel  senso  che  le  omissioni  in  questioni  continuano  a
 costituire violazione di obblighi previsti dalla legge. La differenza
 rispetto alla normativa previgente e'  rappresentata  dal  fatto  che
 tali  violazioni  risultano  ora  punite con sanzione amministrativa.
 Codesto giudice dovrebbe dunque applicare al caso di specie la  nuova
 disciplina, ai sensi del quanto stabilito dall'art. 2, secondo comma,
 c.p.
   Si  ha  pero'  motivo di dubitare della legittimita' costituzionale
 dell'art. 52 decreto legislativo n. 22/1997.
   La delega per l'emanazione  del  decreto  legislativo  n.  22/1997,
 contenuta nella legge 22 febbraio 1994, n. 146 (prorogata dalla legge
 6  febbraio  1996, n. 52), conteneva infatti tra i criteri e principi
 direttivi, rilevanti ex    art.  76  Cost.,  il  seguente,  enunciato
 nell'art.    2,  lettera  d), della legge: salva l'applicazione delle
 norme penali vigenti,  ove  necessario  per  assicurare  l'osservanza
 delle   disposizioni   contenute  nei  decreti  legislativi,  saranno
 previste sanzioni amministrative e  penali  per  le  infrazioni  alle
 disposizioni  dei  decreti  stessi.   Le sanzioni penali, nei limiti,
 rispettivamente,  dell'ammenda  fino  a  lire  duecento   milioni   e
 dell'arresto  fino a tre anni, saranno previste, in via alternativa o
 congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano  o  espongano  a
 pericolo  interessi  generali  dell'ordinamento  interno  del tipo di
 quelli tutelati dagli artt. 34 e 35 della legge 24 novembre 1981,  n.
 689.  In tali casi saranno previste: la pena dell'ammenda alternativa
 all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo  o  danneggino
 l'interesse   protetto;  la  pena  dell'arresto  congiunta  a  quella
 dell'ammenda per le infrazioni che recano  un  danno  di  particolare
 gravita'.  La  sanzione amministrativa del pagamento di una somma non
 inferiore a... e non superiore a... sara' prevista per le  infrazioni
 che  ledano  o  espongano  a  pericolo  interessi  diversi  da quelli
 suindicati... In ogni caso, in deroga ai limiti sopra  indicati,  per
 le  infrazioni  alle  disposizioni  dei  decreti  legislativi saranno
 previste  sanzioni  penali  o  amministrative  identiche   a   quelle
 eventualmente  gia'  comminate dalle leggi vigenti per violazioni che
 siano omogenee  e  di  pari  offensivita'  rispetto  alle  infrazioni
 medesime.
   La  legge  delega  impone  al  Governo,  quindi, a parere di questo
 giudice,  nell'adempimento  degli  obblighi  di   recepimento   della
 normativa  comunitaria  di rispettare il sistema sanzionatorio penale
 gia' esistente, disponendo anzitutto testualmente che sia fatta salva
 l'applicazione delle norme penali vigenti (al momento della delega) e
 solo  subordinatamente,  come  e'  ben  chiarito   dall'inciso   "ove
 necessario",  il ricorso a nuove sanzioni penali o amministrative per
 la creazione di  nuove  e  diverse  fattispecie  precedentemente  non
 sanzionate.
   Comunque, ribadisce il legislatore, con ulteriore limitazione della
 delega,  ove  non si possa fare riferimento a specifiche norme penali
 preesistenti per determinati comportamenti, "in ogni caso" in  deroga
 ai limiti previsti per le sanzioni nuove da introdurre con il decreto
 legislativo,  occorre  adottare  sanzioni  identiche  a  quelle  gia'
 comminate per violazioni omogenee e di pari offensivita'.
   Va detto ancora che la legge  delega  integra  queste  prescrizioni
 generali  con  quelle  specifiche (art. 36, lettere b) e c)) relative
 alla  tutela  ambientale,  nelle  quali  e'  espressamente   previsto
 "mantenimento  dei  livelli  di  protezione ambientale previsti dalla
 normativa nazionale ove  piu'  rigorosi  di  quelli  derivanti  dalla
 normativa   comunitaria";   il  che  e'  applicazione  del  principio
 pacificamente affermato dalla giurisprudenza comunitaria, che prevede
 come possibilita' di adozione o mantenimento  da  parte  dei  singoli
 Stati  di  norme sanzionatorie piu' rigorose rispetto alla disciplina
 comunitaria per la tutela della salute e dell'ambiente.
   Vi e' ancora sul punto lo  specifico  richiamo  nell'art.  2  della
 legge  delega  all'applicazione  di  sanzioni penali per la difesa di
 interessi generali tutelati dagli artt. 34 e 35, legge  n.  689/1981.
 Infatti,  se  si  analizza  il  contenuto dell'art. 34 della legge n.
 689/1981, si  rileva  che  tra  le  fattispecie  di  reato  sottratte
 all'epoca  alla depenalizzazione figurano, fra le altre, quelle poste
 dalla legge n. 319/1976, sulla tutela delle acque  dall'inquinamento,
 quelle  poste dalla legge n. 615/1966, sull'inquinamento atmosferico,
 nonche' quelle previste da leggi in materia urbanistica ed  edilizia.
 Il  legislatore  delegante  del  1994  ha  voluto dunque vincolare il
 Governo a presidiare con  sanzione  penale  quelle  fattispecie  che,
 nell'ambito  delle materie oggetto di legislazione delegata, dovevano
 considerarsi funzionali alla tutela di interessi dello stesso tipo di
 quelli tutelati  dalla  normativa  sull'inquinamento  delle  acque  e
 dell'aria  e sulla disciplina del territorio (oltre naturalmente agli
 altri interessi enucleabili dall'elenco contenuto nell'art. 34, legge
 n. 689/1981). E' evidente che  gli  interessi  di  tutela  ambientale
 protetti  alla  disciplina  dei rifiuti sono esattamente dello stesso
 tipo di  quelli  tutelati  dalle  leggi  sull'inquinamento  idrico  e
 atmosferico.  Tanto  piu'  cio' appare incontestabile se si considera
 che all'epoca dell'entrata in vigore  della  legge  n.  689/1981  non
 sussisteva  ancora  la  disciplina  dei rifiuti di cui al decreto del
 Presidente  della  Repubblica  n.  915/1982  (che   dunque   non   fu
 "materialmente" possibile includere nell'elenco di cui al citato art.
 34) e che la disciplina dei rifiuti - sia quella sino a poco tempo fa
 vigente,   contenuta   appunto   nel  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica n. 915/1982, sia quella recentissimamente  introdotta  dal
 decreto  legislativo  n.  22/1997  -  si  raccorda  e collega in modo
 diretto  ed  esplicito con quella posta dalla legge sull'inquinamento
 delle acque (si vedano in proposito gli artt. 2, commi 6 e  7,  lett.
 b),  e  9,  comma  3,  del decreto del Presidente della Repubblica n.
 915/1982 e l'art. 8, comma 1, lett. e), del  decreto  legislativo  n.
 22/1997).  Ma vi e' di piu': lo smaltimento incontrollato dei rifiuti
 incide sull'ambiente in tutte  le  sue  componenti  e  frequentemente
 colpisce,  in  modo  diretto  o  indiretto, l'integrita' delle acque,
 sicche' la normativa che disciplina lo smaltimento dei rifiuti e'  in
 certa   misura   rilevante   anche   con   riguardo  alla  protezione
 dall'inquinamento idrico. Ne consegue che il richiamo alla  normativa
 sull'inquinamento  delle  acque  contenuto  nell'art.  34,  legge  n.
 689/1981 non poteva che valere,  nella  prospettiva  della  legge  n.
 146/1994, anche per la normativa sui rifiuti.
   Ne'  sembra  fondato  obiettare  che, facendo riferimento l'art. 2,
 lettera d), della legge n. 146/1994 alle   infrazioni che  "ledano  o
 espongano  a  pericolo"  gli interessi generali del tipo di quelli di
 cui all'art.  34,  legge  n.  689/1976,  dovevano  essere  munite  di
 sanzione  penale  soltanto  fattispecie  di  ordine sostanziale e non
 anche  inadempimenti  di  carattere  formale,   come   quelli   della
 comunicazione annuale e della tenuta del registro dei rifiuti. Contro
 tale possibile obiezione occorre infatti osservare che l'attivita' di
 smaltimento   dei  rifiuti  (intendendo  in  senso  lato  il  termine
 smaltimento) non e' un'attivita' di per se' illecita  e  contrastante
 con  l'interesse  alla  tutela  dell'ambiente  e  della  salute della
 collettivita', ma lo diventa ove venga svolta al di fuori dei criteri
 tecnici e della disciplina giuridica  fissati  dalle  norme  e  dagli
 organi  amministrativi.    La  tutela dell'interesse protetto si basa
 dunque sulle verifiche e  sui  controlli,  preventivi  e  successivi,
 circa  le  modalita'  di  "gestione"  dei  rifiuti  e gli obblighi di
 comunicazione annuale e di tenuta dei registri di  carico  e  scarico
 costituiscono   uno  dei  momenti  importanti  di  tali  verifiche  e
 controlli.
   Vi e' di piu'. L'art. 2, lett. d), legge n.  146/1994,  enuncia  un
 criterio  direttivo  valido  per l'esercizio della delega non solo in
 materia di rifiuti, ma anche con riguardo  ad  altri  ambiti.  Se  ne
 deduce che il "dosaggio" di sanzione amministrativa e sanzione penale
 non  doveva necessariamente avvenire all'interno della disciplina dei
 rifiuti, bensi'  doveva  essere  operato  dal  Governo  con  riguardo
 esclusivo  alla  natura  degli interessi tutelati nei diversi settori
 normativi. La legge n.  146/1994  non  e'  stata  dunque  una  delega
 diretta ad una parziale depenalizzazione delle fattispecie in tema di
 rifiuti.    Vale  anzi  osservare, all'opposto, che lo stesso art. 2,
 lettera d), della legge in questione si chiude (come sopra  e'  stato
 riportato)   con   l'enunciazione  dell'obbligo  per  il  legislatore
 delegato di  stabilire,  per  le  infrazioni  alle  disposizioni  dei
 decreti  emanandi,  "sanzioni  penali  o  amministrative  identiche a
 quelle  eventualmente  gia'  comminate  dalle   leggi   vigenti   per
 violazioni  che siano omogenee e di pari offensivita'".  Questo forte
 richiamo   all'omogeneita'   normativa   sul   piano   sanzionatorio,
 quand'anche  non  si  voglia  o  possa  interpretarlo come diretto ad
 imporre il  mantenimento  integrale  delle  fattispecie  penali  gia'
 previste  come tali nelle materie oggetto della delega e quindi anche
 nel campo dei rifiuti (tesi sostenuta in  via  principale  da  questo
 giudice), doveva chiaramente valere ad impedire - in combinazione con
 il  richiamo  all'art. 34, legge n. 698/1981 - alterazioni del quadro
 sanzionatorio per fattispecie riconducibili alla  medesima  ratio  di
 altre  contenute  in materie "vicine", non interessate dall'esercizio
 della delega.
   Ancora  si  deve  osservare  che  l'art.  52,  comma   4,   decreto
 legislativo  n.  22/1997  (cui si e' fatto cenno gia' sopra) pone una
 sanzione amministrativa attenuata  per  i  casi  di  incompletezze  o
 inesattezze  meramente  formali  dei registri di carico e scarico dei
 rifiuti. Da cio'  si  desume  che  il  legislatore  delegato  non  ha
 attribuito  in via generale una rilevanza esclusivamente formale alle
 violazioni della disciplina  dei  registri  e  che  dunque  per  tali
 violazioni,  a  parte  le  suddette  ipotesi  attenuate,  non  doveva
 comunque prevedere una sanzione amministrativa, in ossequio a  quanto
 previsto  dal  criterio  direttivo  di  cui all'art. 2 della legge n.
 146/1994. In  mancanza  di  formulazione  di  ipotesi  attenuata  con
 riguardo   alle  omissioni  concernenti  l'obbligo  di  comunicazione
 annuale  al  catasto  dei  rifiuti,  si  deve  poi  desumere  che  il
 legislatore  delegato  abbia  valutato tali violazioni come aventi in
 ogni caso un disvalore non  meramente  formale  e  dunque  anche  per
 queste,  in  ossequio  al  pluricitato criterio direttivo, non doveva
 prevedere una sanzione amministrativa.
   Occorre inoltre  evidenziare  che  gli  obblighi  di  comunicazione
 annuale  e  di  tenuta  dei  registri  sono  disciplinati (come si e'
 precedentemente visto) dagli artt. 11 e 12 del decreto legislativo n.
 22/1997 tenendo conto delle dimensioni dell'attivita' di produzione e
 smaltimento dei rifiuti e della natura degli stessi,  con  esoneri  o
 semplificazioni  per  i  casi  di  minore  rilevanza. Anche da questa
 prospettiva si evince dunque  la  rilevanza  niente  affatto  formale
 delle  condotte  illecite  previste  dall'art.  52  e  la conseguente
 necessita' per  il  legislatore  delegato,  sempre  in  relazione  ai
 criteri  della  delega,  di  approntare  per  esse  sanzioni  penali,
 eventualmente fissando sanzioni amministrative per  i  soli  casi  di
 oggettiva  minore  rilevanza,  individuabili  sulla  base del tipo di
 omissione, della  dimensione  dell'attivita'  e  della  qualita'  dei
 rifiuti.  Non  puo' tacersi infatti che l'obbligo della comunicazione
 della qualita' e quantita' dei rifiuti prodotti e  della  tenuta  dei
 registri  di  carico e scarico e' depenalizzato anche per chi produce
 quantita' rilevanti di rifiuti e svolte  a  titolo  professionale  le
 operazioni di recupero e smaltimento, compresi quindi incenerimento e
 discarica,  per  quantita'  maggiori  di  una  tonnellata  di rifiuti
 pericolosi all'anno (al di sotto di tale soglia e' gia' prevista  una
 procedura  con termini semplificati - v. art. 12, comma 4 - con altra
 scelta rischiosa sotto il profilo del controllo).
   E' altresi' evidente che l'obbligo  di  comunicazione  dei  rifiuti
 prodotti,   trattati   o   smaltiti   in  discarica  dal  produttore,
 costituisce  la  necessaria  premessa  per  qualunque  controllo  sul
 destino  e  sulla  gestione dei rifiuti stessi, fatti, questi ultimi,
 penalmente sanzionati.  Se si sfornisce di sanzione penale  l'obbligo
 di  comunicazione,  e'  illogico  e contraddittorio ritenere di poter
 perseguire penalmente gli altri abusi e di poter regolarmente  curare
 tutte le operazioni di censimento, catasto, pianificazione del flusso
 dei  rifiuti.  Infine,  privando  gli organi inquirenti dell'iniziale
 informazione sulla violazione  delle  fattispecie  depenalizzate,  si
 ostacola  l'accertamento  delle  fattispecie  conseguenti  e  tuttora
 penalmente  sanzionate.  Cio'  in  contrasto  anche  con  i  principi
 generali indicati dall'art. 2, decreto legislativo  n.  22/1997,  che
 sottolinea   la   necessita'  di  "assicurare  un'elevata  protezione
 dell'ambiente e controlli efficaci, tenendo conto della  specificita'
 dei  rifiuti pericolosi". Vi e' quindi un'irragionevole ed insanabile
 contraddizione tra queste finalita' fondamentali  del  decreto  e  la
 depenalizzazione   delle   fattispecie   che   di   questo  controllo
 costituiscono imprenscindibile premessa. Del resto, la stessa  Unione
 europea  prevede  espressamente  i  controlli sulla vita dei rifiuti,
 soprattutto  pericolosi,  "dalla  culla  alla  tomba",  sottolineando
 quindi la rilevanza di un controllo approfondito sin dall'origine del
 rifiuto stesso.
   La  scelta  di  depenalizzazione  qui  censurata  appare  quindi in
 evidente contrasto con il principio di ragionevolezza, ma anche,  nei
 suoi   riflessi   concreti,   con   l'effettiva  tutela  dei  diritti
 fondamentali alla salute e all'ambiente. E quanto ad irragionevolezza
 va ancora sottolineata la differenza di trattamento sanzionatorio fra
 le fattispecie di cui all'art. 52, commi 1  e  2,  e  quelle  di  cui
 all'art. 51, comma 1, con riferimento agli adempimenti previsti dagli
 artt.  30  e  33  dello  stesso  decreto  legislativo. Non e' infatti
 agevole giustificare la rilevanza esclusivamente  amministrativa  per
 le  prime ed invece penale per le seconde, dal momento che si tratta,
 in tutti i casi, di violazioni concernenti  obblighi  di  iscrizione,
 comunicazione,  registrazione  e  che  le  prime  fattispecie (quelle
 dell'art. 52, commi 1 e 2) non risultano certo di efficacia inferiore
 rispetto alle seconde al fine di  consentire  verifiche  e  controlli
 sulle  modalita'  di  gestione  dei  rifiuti  da  parte  dei  singoli
 operatori. Il tutto  sempre  tenendo  conto  dell'interesse  generale
 protetto  da  tali  norme,  che  e' sempre e comunque la salvaguardia
 dell'ambiente e della salute.
   Si osserva da ultimo, alla luce della  costante  giurisprudenza  di
 codesta  Corte,  che  la  violazione dei criteri di delega integra la
 violazione dell'art. 76 Cost, e  che  questioni,  come  la  presente,
 concernenti  le  c.d. "norme penali di favore" sono ammissibili (cfr.
 sentenza n. 25 del 1994, che richiama la n. 148 del 1983).
   Sulla base di quanto sopra evidenziato appare a questo pretore  non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 52, decreto legislativo n. 22/1997 per  contrasto  con  gli
 artt.  76, 3, 9, secondo comma, 32, Cost. Ritenuta la rilevanza della
 questione per la definizione del procedimento in questione, in quanto
 l'applicazione  dell'art.  52,  decreto  legislativo  n.  22/1997  e'
 determinante  per  la decisione in ordine alla responsabilita' penale
 dell'imputato e che il giudizio sul punto non  puo'  essere  definito
 indipendentemente  dalla  questione  di  legittimita'  costituzionale
 innanzi prospettata,  visti  gli  artt.  1,  legge  costituzionale  9
 febbraio  1948,  n.  1  e  23,  legge 1 marzo 1953, n. 87 sospende il
 processo a carico di Pincione Mario.
   Dispone che gli atti siano trasmessi alla  Corte  costituzionale  e
 che  la  presente  ordinanza letta all'udienza sia  notificata a cura
 della  cancelleria  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri   e
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Pescara, addi' 9 ottobre 1997
                           Il pretore: Cillo
 98C0274