N. 184 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 gennaio 1998

                                N.  184
  Ordinanza emessa il 7  gennaio  1998  dal  pretore  di  Trento  sez.
 distaccata  di  Cles  nel  procedimento  penale a carico di Valentini
 Ivano
 Processo penale - Dibattimento - Giudice che si sia  pronunciato  sui
    fatti  oggetto  dell'imputazione  con  sentenza  emessa  in  altro
    procedimento  anche  non  penale  (nella  specie:  opposizione   a
    provvedimento   di   sospensione   provvisoria  della  patente)  -
    Possibilita' di esercitare la ricusazione -  Omessa  previsione  -
    Irragionevolezza   -  Disparita'  di  trattamento  tra  situazioni
    analoghe - Compressione  del  diritto  di  difesa  -  Lesione  del
    principio  di  imparzialita'  del  giudice  - Richiamo ai principi
    espressi nella sentenza n. 308/1997.
 (C.P.P. 1988, art. 37, comma 1).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.13 del 1-4-1998 )
                              IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza, nel procedimento penale n.
 14094/96  r.g.  a  carico  di  Valentini  Ivano,  solleva   d'ufficio
 questione  di  costituzionalita' dell'art. 37, comma 1, c.p.p., nella
 parte in cui non prevede  come  motivo  di  ricusazione  del  giudice
 l'ipotesi  in  cui  questi  si  sia  pronunciato  sui  fatti  oggetto
 dell'imputazione in una sentenza emessa in altro procedimento,  anche
 non penale.
          Svolgimento del processo e rilevanza della questione
   Nel  presente giudizio a quo  Valentini Ivano e' imputato del reato
 p.  e  p.  dall'art.  186  d.lgs.  n.  285/1992,  perche'   conduceva
 l'autoveicolo  BMW  tg. TN 600650 in stato di ebbrezza dovuto all'uso
 di sostanze alcooliche.
   Precedentemente al rinvio a  giudizio,  la  patente  di  guida  del
 Valentini  veniva  sospesa  con  provvedimento  del  Commissario  del
 Governo per la provincia di Trento dd. 29 gennaio 1996.
   Contro il provvedimento amministrativo, emesso ex art. 223, coma 3,
 c.d.s., il Valentini reagiva proponendo ricorso al pretore di Trento,
 sez. Cles ai sensi dell'art. 205 c.d.s.
   Si radicava conseguentemente il giudizio di opposizione nelle forme
 degli artt, 22 e segg., legge n. 689/1981, ed all'esito veniva emessa
 sentenza  di  accoglimento   del   ricorso,   ed   annullamento   del
 provedimento di sospensione provvisoria della patente.
   La  sentenza,  redatta  dallo stesso magistrato cui e' assegnato il
 presente   processo   penale,   dichiarava    l'illegittimita'    del
 provvedimento      commissariale,      sull'espresso      presupposto
 dell'insussistenza del reato di  guida  in  stato  di  ebbrezza  oggi
 contesato in sede penale al Valentini.
   Il   pretore   sollevava   quindi  questione  di  costituzionalita'
 dell'art.  34 c.p.p., in quanto  non  prevede  l'incompatibilita'  al
 giudizio  del giudice del dibattimento che in precedenza abbia emesso
 una sentenza, in un procedimento di opposizione ex legge n. 689/1981,
 ove il reato abbia formato oggetto di cognizione incidentale.
   Con  sentenza  n.  308/1997  la  Corte  costituzionale   dichiarava
 inammissibile la questione.
   Rilevava  la Corte che l'ipotesi ricorrente evidenziava si' un caso
 di possibile pregiudizio del valore  dell'imparzialita',  laddove  il
 giudice  del  dibattimento  era  la  stessa  persona  fisica  che  in
 precedenza aveva espresso  una  piena  valutazione  di  merito  sulla
 sussistenza del reato e sulla colpevolezza dell'imputato.
   Sottolineava  peraltro che simile caso non puo' sussumersi all'art.
 34 c.p.p., il quale disciplina  le  incompatibilita',  tassativamente
 predeterminabili,   relative  al  compimento  di  atti  nel  medesimo
 processo (salva l'eccezione limite di cui all sentenza n.  371/1996).
 Sicche'  in ogni altra ipotesi, tra cui quella concreta ora in esame,
 in  cui  l'effetto  pregiudicante  nasca  dal  compimento   di   atti
 nell'ambito  di  diversi procedimenti penali o extrapenali, la tutela
 del  valore  dell'imparzialita'  andava  ricercata  nella  disciplina
 positiva  dell'astensione  e  ricusazione  del  giudice.  Ne  seguiva
 pertanto   l'inammissibilita'   della   questione,   per   erroneita'
 dell'identificazione del parametro normativo applicabile.
   Concludeva  la  Corte  affermando che "dall'ordinanza di rimessione
 emerge peraltro una situazione di fatto che potrebbe  determinare  un
 pregiudizio  per  l'imparzialita'  del giudice chiamato a decidere in
 sede penale", e affidando al medesimo  giudice  la  valutazione,  "se
 nella specie il dedotto pregiudizio sia riconducibile ad alcuna delle
 ipotesi di astensione o ricusazione gia' previste dall'ordinamento, o
 se  invece  le  esigenze  di  tutela  del  valore  dell'imparzialita'
 postulino un intervneto di questa  Corte  sulla  disicplina  di  tali
 istituti,  al  fine  di  garantire  comuqnue  la  tutela  del  giusto
 processo".
   In sede di  prosecuzione  del  giudizio  a  carico  del  Valentini,
 all'udienza  26 novembre 1997 il pubblico ministero proponeva istanza
 di ricusazione del giudicante, asserendo che il medesimo, in qualita'
 di  giudice  civile,  nel  precedente  procedimento  di   opposizione
 all'ordinanza  di  sospensione  della  patente  avrebbe "espresso una
 compiuta  decisione,  con  preventivo   esame   del   merito,   della
 ...medesima questione oggetto dell'odierno procedimento".
   La  dichiarazione  di  ricusazione  del p.m. allo stato del diritto
 positivo non trova fondamento in alcuna  delle  previsioni  dell'art.
 37  c.p.p.,  e  solo  l'accoglimento  della  prospettata questione di
 costituzionalita' ne comporterebbe l'evidente fondatezza.
   La questione stessa e' quindi rilevante.
                       Non manifesta infondatezza
   La Corte costituzionale con le sentenza nn. 306, 307, 308,  nonche'
 successivamente  nn.  331  e  351  del  1997 ha tracciato la linea di
 demarcazione ed il limite estremo fino al  quale  e'  dato  estendere
 l'ambito delle incompatibilita' di cui all'art. 34 c.p.p.
   Dalle  predette  sentenze  si ricava il principio generale, per cui
 non  v'ha  spazio  per  la  disciplina  dell'incompatibilita',   ogni
 qualvolta  il  dedotto  effetto  pregiudicante  per  il giudice nasca
 dall'avere egli posto in essere atti del proprio ufficio al di  fuori
 del  procedimento  in  cui  e'  chiamato  ad  esercitare  funzioni di
 giudizio (salva l'eccezione di cui alla sentenza n. 371 del 1996).
   Peraltro la Corte  costituzionale  prevista,  nelle  stesse  citate
 pronunce,  che il valore processuale della terzieta' ed imparzialita'
 del  giudice  ha  carattere  generale,  e  trova   nelle   discipline
 dell'astensione   e   ricusazione   un  complemento  necessario  alle
 previsioni in tema di incompatiblita', e  cio'  nel  senso  che  sono
 propriamente  gli  istituti  di  cui  agli  artt.  36  e  37 c.p.p. a
 garantire i meccanismi  processuali  idonei  a  rimuovere  situazioni
 diverse   da   quelle   dell'art.  34  c.p.p.,  ma  dove  purtuttavia
 l'imparzialita' del giudice possa essere o apparire pregiudicata.
   Ora, e' evidente che quando  il  giudice  del  dibattimento  penale
 abbia  gia'  valutato  in sede civile ed incidentalmente gli elementi
 della fattispecie penale (come avviene nel presente giudizio  a  quo:
 il  che  e'  riconosciuto dalla Corte nella sentenza n. 308/1997), si
 determina allora un vincolo  psicologico  a  carattere  pregiudicante
 capace  di  incidere in modo sostanziale sulla effettiva liberta' del
 medesimo giudice  nel  decidere  l'ipotesi  ad  egli  sottoposta  nel
 secondo processo.
   L'unica  differenza  che  qui si puo' ravvisare rispetto al caso di
 cui all'art. 37, comma  1,  lett.  b),  gia'  espressamente  previsto
 dall'ordinamento  come  causa  di  ricusazione,  e'  il carattere non
 "indebito",  ma  anzi  "doveroso"  della  prima   manifestazione   di
 convincimento.
   Questo   aspetto   peraltro   e'  del  tutto  irrilevante  rispetto
 all'esigenza, fondamentale ai fini del  rispetto  del  canone  di  un
 giusto  processo, che il giudice preposto alla funzione decisoria non
 risulti soggetto alla forza della prevenzione, intesa  come  naturale
 tendenza   a   mantenre   negli   stessi   termini   una   precedente
 determinazione  di  convincimento.    Ed  infatti pari e' la coazione
 psicologica e motivazionale della forza della  prevenzione,  sia  che
 precedentemente   vi  sia  stata  una  manifestazione  "indebita"  di
 convincimento, sia che ve ne sia stata una "debita".
   Si   determina   allora    una    palese    lesione    al    valore
 dell'imparzialita',  ogni  volta che il giudice abbia gia' conosciuto
 precedentemente e in  un  diverso  processo  la  fattispecie  penale,
 formulando  in proposito una valutazione non estrinseca o formale, ma
 sostanziale e di merito  sulla  responsabilita'  dell'imputato.  Cio'
 avviene  in particolr modo quando la fattispecie penale e' oggetto di
 valutazione  incidentale  necessaria  in  un  diverso  ed   anteriore
 procedimento   anche  extrapenale,  dove  essa  integri  un  elemento
 costitutivo della fattispecie extrapenale.  Esempio tipico e'  quello
 del  giudizio  a quo, nei termini gia' approfonditi dalla sentenza n.
 308 della Corte (par. 3), che quindi e' superfluo richiamare.
   E mentre l'ipotesi qui in esame potrebbe forse rientrare  nel  caso
 residuale  delle  "gravi  ragioni  di  convenienza", che giustificano
 l'astensione del giudice secondo la lett. h) del comma  1,  dell'art.
 36  c.p.p.,  nessuna  ipotesi  tipica  soccorre  invece  laddove  sia
 un'iniziativa  di  parte   nelle   forme   della   dichiarazione   di
 ricusazione,  a  sollecitare la sostituzione della persona fisica del
 giudice. Infatti l'art.  37 c.p.p. non richiama la lett. h) dell'art.
 36,  comma  1,  ne'  il  caso   ora   commentato   puo'   assimilarsi
 analogicamente  a  quello  della  lett.  b)  dell'art.  37,  dove ben
 diverso,  ed  anzi  incompatibile  e'   il   presupposto   "indebito"
 dell'effetto  pregiudicante,  come  decritto dalla norma in discorso,
 laddove  il  caso  non  descritto,  qui   oggetto   di   censura   di
 costituzionalita',  e'  al  contrario  quello  -  si e' visto - di un
 previo, fisiologico, "debito" esercizio della giurisdizione,  ma  che
 tuttavia    coinvolga   l'apprezzamento   meritale   della   medesima
 fattispecie.
   Vi e' quindi un vuoto di tutela,  non  disponendo  le  parti  dello
 strumento  della  ricusazione  in  un caso in cui l'imparzialita' del
 giudice viene necessariamente meno.
   E questa lacuna, ad  avviso  del  remittente,  comporta  violazione
 dell'art.  24 Cost., sia per la ingiustificata limitazione dei poteri
 difensivi delle  parti,  sia  per  la  ingiusta  prospettiva  che  si
 aprirebbe,  laddove  si  ammettesse  la  celebrazione del processo da
 parte di un organo giudicante di riconosciuta non imparzialita'.
   Violato e' anche  l'art.  3  Cost.,  per  l'irrazionale  differenza
 rispetto  al  caso di cui all'art. 37 lett. b) c.p.p., il quale, come
 detto, si differenzia per il solo  tratto,  non  determinante,  della
 natura  "indebita" della precedente affermazione di convincimento del
 giudice, rispetto a quella "debita", che  si  ha  quando  il  giudice
 abbia  legittimamente  conosciuto la medesima fattispecie in un altro
 processo.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87,  solleva
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  37,  comma 1,
 c.p.p., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in  cui
 non  prevede come motivo di ricusazione del giudice, l'ipotesi in cui
 questi si sia pronunciato sui fatti oggetto  di  imputazione  in  una
 sentenza emessa in un altro procedimento anche non penale;
   Ordina la notificazione della presente ordinanza all'imputato, alla
 difesa e al p.m.;
   Dispone  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte Costituzionale,
 nonche' la notificazione a cura della Cancelleria al  Presidente  del
 Consiglio  dei Ministri, nonche' la comunicazione ai Presidenti della
 Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica;
   Dichiara sospeso il processo.
     Cles, addi' 7 gennaio 1998
                    Il pretore: (firma illeggibile)
 98C0287