N. 186 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 gennaio 1998

                                N.  186
  Ordinanza  emessa  il  28  gennaio  1998  dal  pretore di Padova nel
 procedimento civile  vertente  tra  Spollon  Bruno  ed  altri  contro
 l'Azienda territoriale edilizia residenziale
 Edilizia  popolare,  economica  e  sovvenzionata  -  Regione Veneto -
    Alloggi di edilizia residenziale pubblica -  Canone  di  locazione
    per   gli   assegnatari   collocati  nell'"area  di  decadenza"  -
    Determinazione  -  Prevista  possibilita',  in  attuazione   della
    delibera  CIPE  del  13  marzo  1995,  che il relativo importo sia
    superiore rispetto a quello previsto dalla legge n. 392 del 1978 -
    Lesione del principio che riserva alle  Camere  l'esercizio  della
    funzione  legislativa  - Violazione dei limiti posti all'esercizio
    delle competenze legislative regionali -  Richiamo  alle  sentenze
    della Corte costituzionale nn. 27/1996 e 155/1988.
 (Legge  regione  Veneto  2 aprile 1996, n. 10, art. 18; legge regione
    Veneto 2 aprile 1996, n. 10).
 (Cost., art. 3).
(GU n.13 del 1-4-1998 )
                              IL PRETORE
   Sciogliendo la riserva che precede, rileva che:
   1. - Si pone la questione della legittimita'  costituzionale  della
 normativa  regionale  che,  con  la  legge  n.  10 del 2 aprile 1996,
 modificata dalla legge n. 14 del 16 maggio 1997, ha disciplinato, tra
 l'altro, la fissazione dei  canoni  di  locazione  degli  alloggi  di
 edilizia  residenziale  pubblica.  Il  comune  di Padova, infatti, ha
 chiesto - applicando negli esatti termini la normativa e le fasce  di
 valutazione in essa stabilite - il pagamento di un canone superiore a
 quello che risulta dall'applicazione degli artt. 12-24 della legge n.
 392/1978. I ricorrenti contestano la legittimita' di tale risultato.
   Giova  precisare,  poi,  che  gli alloggi dei ricorrenti rientrano,
 pacificamente,  nell'ambito  di  applicazione  della  normativa   che
 ricomprende  (art.  1,  1  legge regionale citata) "tutti gli alloggi
 realizzati  o  recuperati  da  enti  pubblici,  comprese  le  aziende
 municipalizzate  dipendenti  dagli enti locali, a totale carico o con
 il concorso o contributo dello Stato o della regione, delle  province
 o   dei   comuni,  nonche'  agli  alloggi  acquistati,  realizzati  o
 recuperati da  enti  pubblici  non  economici  e  utilizzati  per  le
 finalita'  sociali proprie dell'edilizia residenziale pubblica" oltre
 a quelli specificamente indicati dal  comma  2  art.  1  della  legge
 citata.  Si  tratta,  infatti,  di  immobili  che  risultano  ab  ovo
 appartenenti all'Ater (gia' IACP)  con  destinazione  per  l'edilizia
 residenziale pubblica.
   2. - Appare opportuno, preliminarmente, individuare e delimitare la
 normativa rilevante per l'esame delle questioni. In particolare:
     Deliberazione  CIPE  del  13  marzo  1995  (in G.U. n. 122 del 27
 maggio 1995).
   Al punto 8, in  particolare,  viene  stabilito  che  il  canone  di
 locazione  "e'  diretto  a  compensare i costi di amministrazione, di
 gestione e di manutenzione nonche' nel  recupero  di  una  parte  del
 costo delle risorse impiegate".
   In  altri  termini,  quindi,  i  criteri  per la determinazione del
 canone  sono  funzionali  a  due  esigenze:  da  un  lato  quelle  di
 economicita'   della   gestione   da   parte  dell'ente  pubblico  e,
 dall'altro, quelle connesse al soddisfacimento  dei  bisogni  sociali
 legati all'abitazione.
   Per  la  realizzazione di tale finalita' la delibera CIPE individua
 tre tipi di canone (A: sociale, B: di riferimento, C:  di  locazione)
 applicabili  avuto  riguardo al reddito dell'intero nucleo familiare.
 Il canone di riferimento -B- poi, viene sostanzialmente identificato,
 quantomeno in via transitoria e suppletiva, in quello determinato  ai
 sensi  della  legge  n.  392/1978,  con  un  possibile incremento non
 superiore al 25%; mentre il canone  della  categoria  C  diviene,  in
 concreto,  pari  a  quello  di  riferimento  (ossia al "canone equo")
 maggiorato in misura non inferiore al 50%.
   Legge regionale n. 10 del 2 aprile 1996 (G.U. s. speciale n. 29 del
 27 luglio 1996).
   La legge regionale ha dato puntuale applicazione  alle  indicazioni
 contenute  nella  delibera  del  CIPE  identificando  la fascia A con
 l'"area di protezione" (con un canone determinato sul parametro della
 pensione minima INPS), la fascia B con  l'"area  sociale"  e  con  un
 canone  che  puo'  giungere  fino  ad  essere  pari  a  quello "equo"
 maggiorato  del  20%  e,  infine,  prevedendo,  per   la   fascia   C
 (identificata  con  l'"area  di decadenza") l'applicazione del canone
 come determinato ai sensi della legge n.  392/1978,  maggiorato,  per
 talune categorie, fino al 150%. (v. art. 18, legge citata).
   Deliberazione  CIPE  del  20  dicembre  1996  (in G.U. n. 37 del 14
 febbraio 1997).
   Il punto 8 viene modificato per cui  il  "canone  di  riferimento",
 lett.  B),  diviene,  in  via  definitiva  "quello determinato con le
 modalita' previste dagli artt. 12-24 legge 8 agosto 1978 n. 392"  con
 onere  per  la  regione  di  individuare  un  numero di fasce tali da
 assicurare progressivita'  rispetto  al  reddito  e  di  definire  un
 graduale  passaggio  tra il massimo canone della fascia A e il minimo
 della B.
   Per i nuclei familiari collocati nella fascia C - del c.d.  "canone
 di locazione" - poi, il canone e' determinato ai sensi della legge n.
 392/1978 e non puo' comunque essere inferiore all'"equo canone".
   Legge  regionale  n. 14 del 16 maggio 1997 (G.U. S. Speciale n.  36
 del 6 settembre 1997).
   La normativa regionale, pur sostanzialmente invariata, subisce  una
 importante  innovazione.  Il "canone equo" determinato ai sensi degli
 artt. 12-14 della legge n. 392/1978, infatti, diventa il fondamentale
 parametro di riferimento per tutti i tipi di  canone:  anche  per  la
 fascia  A  il canone non puo', in ogni caso, "essere superiore al 50%
 del canone determinato ai sensi degli artt. da 12 a  22  e  24  della
 legge 27 luglio 1978 n. 392".
   Per  la fascia C, poi, vengono aumentate le fasce (da due a tre) di
 reddito (che risultano concepite con una maggiore adesione al reddito
 del nucleo familiare) anche se permane la possibilita' di  un  canone
 pari a quello "equo" con una maggiorazione fino al 150%.
   Legge n. 513 dell'8 agosto 1977.
   L'art. 22 della legge n. 513 del 1977 stabilisce un raccordo tra la
 normativa  speciale  per  l'edilizia  residenziale  pubblica e quella
 locatizia:  in  particolare,  il   miglioramento   delle   condizioni
 economiche  dell'assegnatario  - tale da integrare un presupposto per
 la revoca ex art. 17 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.
 1035/1972 - comporta che quest'ultimo possa continuare a mantenere il
 godimento  dell'immobile  a  titolo  di locazione, che resta regolata
 "dalle norme sulla disciplina della locazione degli immobili  urbani"
 (art. 22, ultimo comma).
   Legge n. 457 del 5 agosto 1978:
   La  normativa  disciplina,  tra  l'altro,  la  potesta' del CIPE di
 determinare, con le proprie deliberazioni, i criteri generali per  le
 assegnazioni  e  per  la  fissazione  dei  canoni delle abitazioni di
 edilizia residenziale pubblica (art. 2, comma 2).
   3. - Tutto cio'  premesso,  si  deve  ritenere  non  manifestamente
 infondata  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 18
 della legge regionale Veneto n. 10/1996, come modificata dalla  legge
 regionale  n.  14/1997; nella parte in cui individua per la c.d. area
 sociale  e  per  la  c.d.  area  di  decadenza  la  possibilita'   di
 applicazione  di un canone aumentato rispetto a quello previsto dalla
 legge n. 392/1978.
   La questione sussiste per due differenti profili. In particolare:
     a)  Le  deliberazioni  del  CIPE  consentono  ed   impongono   la
 determinazione  di  canoni superiori a quelli previsti dalla legge n.
 392/1978 in contrasto con la previsione di cui all'art  2,  legge  n.
 457/1978  - che consente la determinazione di criteri all'interno del
 tetto massimo quale indicato nel canone ex lege n. 392/1978 - nonche'
 con il disposto di cui all'art.  22,  ultimo  comma  della  legge  n.
 513/1977.
   Ritiene  questo giudicante, poi, che la lettera dell'art. 22 citato
 importi un rinvio al regime della legge  n.  392/1978,  che  viene  a
 regolare  l'eventuale prosecuzione del rapporto una volta intervenute
 le condizioni per la revoca dell'assegnazione  per  il  miglioramento
 delle condizioni di reddito.
   In  ogni caso, peraltro, va escluso che sia operativo il meccanismo
 dei patti in deroga introdotti con  la  legge  n.  359/1992:  sia  le
 deliberazioni  del  CIPE  che la stessa legge regionale, infatti, non
 solo fanno rinvio alla legge n. 392/1978, ma, anzi,  introducono  dei
 criteri per determinare il canone in via unilaterale e autoritativa a
 prescindere  dalla  visione  "contrattuale"  che  caratterizza i c.d.
 patti in deroga e che, in ipotesi, dovrebbe assistere  quantomeno  la
 c.d. area di decadenza.
    Si  deve  dubitare, pertanto, del potere di modificare mediante le
 deliberazioni del CIPE una situazione normativa  statuita  con  legge
 ordinaria, con conseguente illegittimita' della legge regionale che a
 tali delibere si e' richiamata.
   Giova  poi  osservare  che  si deve comunque escludere una autonoma
 competenza della regione in materia poiche' -  come  precisato  dalla
 stessa  Corte  costituzionale  (sent.  27  del  5-12 febbraio 1996) -
 l'aspirazione dei singoli a vedere soddisfatta la pretesa di disporre
 di un'abitazione a prezzo sociale si deve confrontare con le esigenze
 della finanza pubblica ed i due  aspetti  si  caratterizzano  per  la
 dimensione generale (nazionale) degli interessi coinvolti.
   La   conclusione,  pertanto,  non  muta  anche  qualora  si  voglia
 assegnare autonomia alla legge regionale rispetto alla  deliberazione
 CIPE.
   Il   parametro  del  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  va
 individuato negli artt. 70, 115 e 117 Cost..
     b) Sussistono, in secondo luogo, ragioni oggettive che inducono a
 dubitare della costituzionalita' del  complessivo  assetto  normativo
 disegnato dalla legge regionale per il canone dell'area sociale.
   Giova   premettere  che  questo  giudicante  -  prescindendo  dalle
 considerazioni   sub   a)   -   non   ritiene   che   debba    essere
 aprioristicamente   considerata   illegittima   la   possibilita'  di
 applicare un canone superiore a quello  determinato  ai  sensi  della
 legge  n.  392/1978  a  coloro che, pur possedendo un reddito tale da
 poter locare un immobile sul mercato, occupino, invece,  un  alloggio
 pubblico,  sottraendolo, quindi, a soggetti che ne abbiano maggiori e
 piu' stringenti necessita'.
   Il corrispettivo richiesto  a  coloro  che  si  trovano  in  simili
 condizioni,  infatti,  persegue  anche  una  evidente  e giustificata
 funzione di  dissuasione  per  la  liberazione  dell'immobile,  fermo
 restando  -  una  volta  decorso  un  biennio  dall'insorgenza  delle
 condizioni  di  maggior  reddito  -   l'eventuale   declaratoria   di
 decadenza.
   In  tali ipotesi potrebbe suscitare perplessita', eventualmente, la
 previsione della possibilita' di stipulare, una volta intervenuta  la
 decadenza, un contratto di locazione alle stesse condizioni di canone
 previste  per  la  c.d.  area  di  decadenza  invece  che  secondo le
 disposizioni della legge n. 359/1992. La questione,  peraltro,  esula
 dal presente giudizio.
   Gli  assegnatari  che  si  trovano  nella  fascia a canone sociale,
 invece, sono  coloro  che  sono  titolari  di  un  reddito  che,  pur
 superiore  ai  limiti  di  accesso,  resta  inferiore  ai  limiti  di
 decadenza.
   Si tratta, quindi, di  soggetti  che  appartengono  ad  una  fascia
 medio-bassa  del  mercato  dell'alloggio, la cui posizione, pertanto,
 pur   non   richiedendo   una   tutela   eccezionalmente   rafforzata
 (caratteristica  dell'area  di  protezione,  il cui canone - ai sensi
 dell'art. 18, primo capoverso lett. A), legge  regionale  n.  10/1996
 come  modificato  dall'art.  9, legge regionale n. 14/1997 - non puo'
 superare il 50% del  canone  determinato  ai  sensi  della  legge  n.
 392/1978),   non  puo'  che  restare  ancorata  al  regime  ordinario
 (applicabile in assenza di una specifica contrattazione  nelle  forme
 della legge n. 359/1992) di cui alla legge n. 392/1978.
   La  situazione,  in altri termini, sembra debba essere ricondotta -
 per quanto  concerne  tale  fascia  -  ai  principi  affermati  dalla
 sentenza   della   Corte   Costituzionale  n.  155/1988  dichiarativa
 dell'illegittimita' dell'art. 26, 1 lett. c) della legge n.  392/1978
 nella parte in cui non dispone che il canone di locazione di immobili
 soggetti  alla  edilizia  convenzionata non deve comunque superare il
 canone risultante dalle disposizioni del titolo I capo I della citata
 legge.
   Va osservato, d'altra parte, che la stessa deliberazione  CIPE  del
 20  dicembre  1996  all'art.  2,  comma  2,  identifica il "canone di
 riferimento" con quello determinato ai sensi della legge n. 392/1978,
 al terzo comma si preoccupa di puntualizzare che  "la  regione  avra'
 cura  di  definire  un graduale passaggio tra il massimo canone della
 fascia A  e  il  minimo  canone  della  fascia  B",  mentre  appaiono
 eliminati  i  riferimenti  espliciti - presenti invece nella delibera
 del  13  maggio 1996 - a percentuali di incidenza superiori al canone
 "equo".
   Giova precisare, poi, che  l'assenza  di  una  finalita'  di  lucro
 propria del tipo di edilizia mal si concilia con l'applicazione di un
 canone  superiore,  mancando  altresi' una prospettiva di dissuasione
 dall'occupare un alloggio pubblico che, invece,  come  su  osservato,
 puo'  caratterizzare  la posizione di coloro che rientrano nella c.d.
 area di decadenza.
   I soggetti che  vengono  in  considerazione  nell'ambito  dell'area
 sociale, in altri termini, restano destinatari di una tutela avanzata
 che  non  sembra giustificare l'applicazione di un canone superiore a
 quello previsto dalla legge n. 392/1978.
   Il  parametro  del   giudizio   di   legittimita',   pertanto,   va
 individuato, in questo caso, nell'art. 3 della Costituzione.
   4.  -  Le  questioni esaminate sono rilevanti nel presente giudizio
 poiche' si controverte sull'applicazione del canone come  determinato
 dalla  normativa  regionale:  le  posizioni  di Spollon Bruno, Luongo
 Orlando e Schiavon Giorgio rientrano nella fascia C.1, mentre  quelle
 di  Scorzon  Luciano  e Cesaro Luigi sono ricondotte alla fascia B.3.
 La decisione della presente causa, pertanto, dipende dalla  soluzione
 dei problemi esposti.
                                P. Q. M.
   Il Pretore, visto l'art. 23, legge n. 87/1953;
   Dichiara  rilevante  nel  presente  giudizio  e  non manifestamente
 infondata la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  18
 della  legge  regionale  Veneto  n. 10/1996 e, comunque, della stessa
 nella parte in cui consente l'applicazione  di  canoni  di  locazioni
 superiori  a  quello  determinabile  ex  artt.  12-24  della legge n.
 392/1978 agli alloggi indicati all'art.  1,  primo  e  secondo  comma
 della legge regionale stessa.
   Sospende  il  giudizio  in corso e dispone l'immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina  la  comunicazione  della  presente  ordinanza  alle   parti
 costituite  ed  al  Presidente  del  Consiglio  regionale del veneto,
 nonche' la sua notifica al  presidente  della  Giunta  regionale  del
 Veneto.
     Padova, addi' 28 gennaio 1998
                     Il pretore: Fuochi Tinarelli
 98C0289