N. 107 ORDINANZA 26 marzo - 6 aprile 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Patteggiamento - Richiesta di estinzione del reato
 -  Obbligo  per  il richiedente di provare di non aver commesso alcun
 delitto della stessa indole nel termine di cinque anni previsto dalla
 legge -  Erroneita'  dei  presupposti  interpretativi  da  parte  del
 giudice  rimettente  - Potere del giudice dell'esecuzione di chiedere
 alle  autorita'  competenti  tutti  i  documenti  e  le  informazioni
 necessarie - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., art. 445, comma 2).
 
 (Cost., art. 24).
 
(GU n.15 del 15-4-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,   prof. Fernando SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, avv. Fernanda CONTRI,  prof.  Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 445, comma 2,
 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa  il  27
 maggio  1997 dal Tribunale di Montepulciano nel procedimento penale a
 carico di L. B., iscritta al n. 501 del  registro  ordinanze  1997  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 35, prima
 serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 febbraio 1998 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona;
   Ritenuto che  il  Tribunale  di  Montepulciano,  nel  corso  di  un
 procedimento  di  esecuzione  nel  quale  la  persona a cui era stata
 applicata  una  pena  patteggiata  aveva  presentato   richiesta   di
 estinzione  del reato, ha sollevato, in riferimento all'art. 24 della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 445,
 comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui impone al
 richiedente di provare di non  avere  commesso  alcun  delitto  della
 stessa indole nel termine di cinque anni previsto dalla legge;
     che  il  giudice  a  quo  premesso  che  all'imputato  era  stata
 applicata la pena, condizionalmente sospesa, di  mesi  due  e  giorni
 venti  di  reclusione e di lire novecentomila di multa per il delitto
 di cui all'art. 73 del d.P.R. 309 del 1990, assume  che  l'art.  445,
 comma  2,  cod.  proc.  pen.  pone a carico del condannato l'onere di
 provare  di  non  avere commesso alcun delitto nel termine prescritto
 dalla legge;
     che, ad avviso del rimettente, tale prova non  puo'  essere  data
 ne'  con  il certificato del casellario giudiziale, ove sono iscritte
 solo le  sentenze  di  condanna  divenute  irrevocabili,  ne'  con  i
 certificati   dei   carichi  pendenti:  questi  ultimi,  infatti,  se
 rilasciati  dal  pubblico  ministero  del  luogo  di  residenza,  non
 contengono   eventuali   pendenze  in  altri  luoghi  del  territorio
 nazionale, mentre la produzione dei certificati dei carichi  pendenti
 rilasciati  da  tutti gli uffici del pubblico ministero esistenti sul
 territorio nazionale, oltre a tradursi in una probatio diabolica, non
 potrebbe escludere che il condannato  abbia  commesso  delitti  della
 stessa indole, non ancora prescritti e iscritti contro ignoti;
     che  ne  conseguirebbe  che  la  dichiarazione  di estinzione del
 reato, pur essendo espressamente prevista dalla  legge,  non  sarebbe
 concretamente   ottenibile   dal   condannato,   che   si  troverebbe
 nell'impossibilita' di fornire prova dei fatti che  sono  presupposto
 dell'estinzione del reato;
     che tale disciplina si porrebbe in contrasto con l'art. 24 Cost.,
 in  quanto  precluderebbe  al  condannato di ottenere - provando - il
 beneficio dell'estinzione del reato;
     che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la  questione  venga  dichiarata  infondata,  in
 quanto  la  prova  della avvenuta commissione di un reato puo' essere
 desunta solo dal passaggio in giudicato della  relativa  sentenza,  e
 non anche dall'esistenza di procedimenti eventualmente risultanti dai
 certificati dei carichi pendenti;
     che  pertanto, ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, al
 fine di ottenere la dichiarazione di  estinzione  del  reato  sarebbe
 sufficiente la produzione del certificato giudiziale.
   Considerato   che  il  rimettente  muove  dal  duplice  presupposto
 interpretativo  che  l'elemento  ostativo   alla   dichiarazione   di
 estinzione  del  reato consista nella mera commissione di un reato e,
 quindi, nella semplice esistenza di un procedimento penale pendente a
 carico del condannato e che l'onere di provarne  l'inesistenza  gravi
 sullo stesso condannato;
     che entrambi i presupposti sono palesemente erronei;
     che  e' del tutto incontroverso, anche alla luce del principio di
 cui all'art. 27,  secondo  comma,  Cost.,  che  l'effetto  preclusivo
 dell'estinzione  del  reato  non  consegue  al  mero  fatto  di avere
 commesso  un  delitto  entro  il   termine   di   cinque   anni,   ma
 all'accertamento  della  responsabilita'  contenuto  in  una sentenza
 irrevocabile di condanna;
     che il rimettente, per contro, non tiene conto della  distinzione
 tra  i  due  momenti  della commissione del reato entro il termine di
 cinque anni prescritto dall'art. 445, comma  2,  cod.  proc.  pen.  e
 dell'accertamento giudiziale della colpevolezza, che puo' intervenire
 anche dopo la scadenza di tale termine;
     che  tale  distinzione  sta  alla base della disciplina riservata
 all'istituto, affine  a  quello  oggetto  del  presente  giudizio  di
 costituzionalita',  dell'estinzione  del reato per il quale sia stata
 concessa la sospensione condizionale della pena (art. 167 cod. pen.),
 e della revoca di diritto  della  sospensione  nel  caso  in  cui  il
 condannato  commetta  un  delitto  ovvero  una  contravvenzione della
 stessa indole nei termini stabiliti (art. 168, comma primo, numero 1,
 cod. pen.); istituto nei  cui  confronti  giurisprudenza  e  dottrina
 pacificamente   distinguono  tra  commissione  del  nuovo  delitto  e
 relativo accertamento giudiziale, ricollegando solo a quest'ultimo la
 revoca della sospensione condizionale (e della conseguente estinzione
 del reato), a nulla rilevando che la sentenza irrevocabile sia  stata
 pronunciata oltre il termine stabilito;
     che   e'   comunque   erroneo   anche   il   secondo  presupposto
 interpretativo su cui  si  basa  il  rimettente,  assumendo  che  nel
 procedimento  di  esecuzione  sarebbe  posto  a carico del condannato
 l'onere  di  provare  l'inesistenza  di  elementi  impeditivi   della
 estinzione del reato;
     che, a contrario l'art. 666, comma 5, cod. proc. pen. attribuisce
 al  giudice  dell'esecuzione  il  potere  di  chiedere alle autorita'
 competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno;
     che al fine di provvedere sulla richiesta di  dichiarare  estinto
 il  reato  ex  art.  445,  comma  2,  cod. proc. pen. il giudice puo'
 limitarsi ad acquisire il certificato del casellario giudiziale,  per
 verificare  se  siano  o  meno  intervenute  sentenze irrevocabili di
 condanna relative a delitti commessi entro il termine di cinque anni;
     che pertanto la questione deve essere  dichiarata  manifestamente
 infondata.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  445,  comma  2,  del  codice  di procedura
 penale, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal
 Tribunale di Montepulciano, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 marzo 1998.
                        Il Presidente: Granata
                      Il redattore: Neppi Modona
                     Il cancelliere: Neppi Modona
   Depositata in cancelleria il 6 aprile 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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