N. 250 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 dicembre 1997

                                N. 250
  Ordinanza emessa il 2 dicembre 1997 dal  tribunale  di  Sondrio  nel
 procedimento penale a carico di Tempra Michele ed altro
 Reato in genere - Reati contro la pubblica amministrazione - Abuso di
    ufficio  - Disciplina previgente - Asserita indeterminatezza della
    fattispecie  incriminatrice  -   Violazione   del   principio   di
    legalita'.
 (C.P., art. 323).
 (Cost., art. 25).
(GU n.16 del 22-4-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel processo penale contro
 Tempra Michele e Leusciatti Giuseppe, rinviati a giudizio con decreto
 del g.i.p. in data 20 novembre 1996 per rispondere del reato  di  cui
 all'art. 361 c.p. (capo A) per avere, il primo quale tecnico comunale
 ed  il  secondo  quale  sindaco del comune di Montagna in Valtellina,
 omesso di denunciare all'autorita' giudiziaria - nonostante ordinanza
 di sospensione lavori  -  l'abuso  edilizio  commesso  da  Bernardini
 Giorgio consistito in una demolizione di un vecchio fabbricato rurale
 e  costruzione  di  un  nuovo  fabbricato  in zona soggetta a vincolo
 ambientale di  inedificabilita',  in  violazione  dell'autorizzazione
 edilizia  del  21 novembre 1989 che assentiva il solo risanamento del
 vecchio fabbricato.
   Accertato il 14 marzo 1995; nonche' del reato di cui  all'art.  323
 c.p. (capo B) per avere, nelle qualita' e circostanze sub capo A), il
 Tempra  predisponendo  il  progetto  ed  esprimendo parere favorevole
 all'allargamento della sede stradale nel tratto antistante il vecchio
 fabbricato del Bernardini per interesse pubblico,  mentre  lo  stesso
 favoriva  il  Bernardini  perche' di fatto autorizzava lo spostamento
 del fabbricato; il secondo facendo approvare la delibera della giunta
 comunale  del  3  agosto  1992  n.  344,  alla quale partecipava come
 presidente,  che  riconosceva  il  carattere  di  pubblico  interesse
 all'intervento   di   allargamento  della  strada  suddetta  ed  alle
 conseguenti opere sull'edificio adiacente del Bernardini, che  invece
 era  gia'  stato demolito e ricostruito con altra ubicazione, abusato
 del  loro  ufficio  al  fine  di  procurare  un  ingiusto   vantaggio
 patrimoniale  al  Bernardini  e  cioe'  per consentire al medesimo di
 sanare dal  punto  di  vista  edilizio  ed  ambientale  l'abuso  gia'
 commesso,   non   altrimenti   sanabile,   dato   che   la   relativa
 autorizzazione ambientale richiesta dall'interessato il 26  settembre
 1991  era stata negata ai sensi della legge n. 1497/1939 dal Servizio
 beni ambientali della regione Lombardia con nota del 28 ottobre  1991
 diretta  al  sindaco di Montagna in Valtellina. Accertato il 14 marzo
 1995;  il  collegio,  in  relazione  alle  questioni  proposte   alla
 discussione   delle   parti  dal  presidente  in  sede  di  questioni
 preliminari,
                             O s s e r v a
   A norma dell'art. 129, comma 1, c.p.p. "in ogni stato e  grado  del
 processo,  il  giudice,  il  quale  riconosce che ... il fatto non e'
 previsto dalla legge come  reato  ...  lo  dichiara  di  ufficio  con
 sentenza".
   Prima  di  procedere  nell'ulteriore  corso del processo, pertanto,
 occorre verificare se, in seguito alla  modifica  normativa  de  qua,
 ricorrono i presupposti per pronunciare sentenza di n.d.p. perche' il
 fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato.
   Siffatta   verifica,   ovviamente,  deve  precedere  l'esame  della
 eventuale questione di legittimita' costituzionale  prospettata  alle
 parti  in  sede  di  questioni  preliminari  giacche'  -  in  caso di
 riscontro positivo - la questione stessa difetterebbe  del  requisito
 della rilevanza.
   Ed  invero,  non  avendo  lo  jus superveniens operato una abolitio
 criminis del reato di cui all'art. 323 c.p., bensi'  la  sostituzione
 dell'originaria  fattispecie  incriminatrice  con  altra,  di diversa
 formulazione ed ampiezza ("salvo che il  fatto  costituisca  un  piu'
 grave  reato,  il  pubblico  ufficiale  o  l'incaricato  di  pubblico
 servizio che, nello svolgimento delle funzioni  o  del  servizio,  in
 violazione  di  norme  di legge o di regolamento, ovvero omettendo di
 astenersi in presenza di  un  interesse  proprio  o  di  un  prossimo
 congiunto  o  negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a
 se' o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale  ovvero  arreca  ad
 altri  un  danno  ingiusto  e'    punito  ..."),  non puo' tout court
 ritenersi che il reato  contestato  sub  capo  B)  al  Tempra  ed  al
 Leusciatti   (di   cui  all'art.  323  c.p.  nel  testo  antevigente)
 costituisca fatto non (piu') previsto dalla legge come reato, ma deve
 verificarsi se il medesimo possa essere sussunto  anche  nella  nuova
 fattispecie incriminatrice.
   Nella  specie,  dunque,  opera il disposto di cui all'art. 2, cpv.,
 c.p., in forza del quale "nessuno puo' essere  punito  per  un  fatto
 che,  secondo  una  legge  posteriore,  non  costituisce  reato":  ne
 consegue che la verifica che le condotte ascritte agli  imputati  non
 possano  essere  inquadrate  nella  fattispecie  incriminatrice  come
 attualmente vigente - neppure in astratto,  e  fatta  salva  la  piu'
 penetrante  verifica  in sede di decisione all'esito dell'istruttoria
 dibattimentale,  in  caso  di  esito  negativo  di  siffatta verifica
 delibativa operata ai sensi e per gli effetti  di  cui  all'art.  129
 cit.  -  implicherebbe  l'immediata  pronuncia  di sentenza di n.d.p.
 perche' il fatto non e' (piu') previsto dalla legge come reato.
   Soltanto  nell'ipotesi  di  verifica  della  sussumibilita'  -   in
 astratto  -  delle  condotte ascritte agli imputati anche nella nuova
 fattispecie incriminatrice (e peraltro anche  dell'insussistenza  dei
 presupposti per pronunciare sentenza di n.d.p. - ex art. 129, commi 1
 e 2, c.p.p.  - per estinzione del reato per intervenuta prescrizione,
 stante  la  diminuzione  dei  termini di prescrizione conseguita alla
 modifica normativa de qua), acquisterebbe eventualmente rilevanza nel
 presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale de qua.
 Ed invero in siffatta ipotesi, giusta il disposto di cui all'art.  2,
 comma  1, c.p. ("nessuno puo' essere punito per un fatto che, secondo
 la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva  reato")  e  di
 cui  all'art.  2,  comma  3,  c.p.  ("se la legge del tempo in cui fu
 commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella  le
 cui  disposizioni  sono piu' favorevoli al reo ..."), la norma di cui
 all'art. 323 c.p.   antevigente troverebbe  necessaria  applicazione,
 dovendo  in tale ipotesi il collegio rispettivamente verificare se la
 condotta ascritta  agli  imputati  rientri  anche  nella  antevigente
 fattispecie incriminatrice e, in caso positivo, quale delle due norme
 sia  piu'  favorevole  per i rei. In tale ipotesi, e soltanto in tale
 ipotesi,  la  questione  diventerebbe  rilevante,  poiche'   il   suo
 eventuale   accoglimento   (con   conseguente   espunzione   ex  tunc
 dall'ordinamento giuridico dell'art.  323 c.p. nel testo antevigente)
 determinerebbe - a norma del richiamato  art.  2,  comma  1,  c.p.  -
 l'emanazione  di  sentenza di n.d.p. perche' il fatto non e' previsto
 dalla legge come reato.
   L'opzione ermeneutica accolta dal  collegio  trova  conforto  nella
 giurisprudenza  di  legittimita',  che  ha  affermato  - nell'analoga
 circostanza dell'abrogazione dell'art. 324 c.p. operata con legge  n.
 86/1990  -  che anche dopo l'abrogazione "la condotta che prima della
 suddetta  novella  veniva  punita  come  interesse  privato  in  atti
 d'ufficio,  conserva  rilevanza,  sul piano penale,   se ed in quanto
 comprenda tutti gli estremi per la configurabilita'  del  delitto  di
 abuso  di ufficio, cosi' come descritti nel nuovo testo dell'art. 323
 c.p." (cosi' Cass.  6587 del 13 giugno 1991).
   Come gia'  osservato,  nella  presente  sede  detta  verifica  deve
 necessariamente  essere  operata in astratto, al fine di accertare se
 tutti gli elementi costitutivi dell'illecito  penale  come  descritto
 nel  nuovo  testo  dell'art.    323  c.p.  "siano  stati  ritualmente
 descritti  nell'imputazione  o  altrimenti  contestati  all'imputato"
 (cosi'  Cass.  553  del  25  gennaio  1993), o comunque se gia' dalla
 stessa formulazione del capo d'imputazione si evinca  l'insussistenza
 di almeno un elemento costitutivo del nuovo reato in oggetto.
   Ritenuto  che, nel caso di specie, non sussistono i presupposti per
 l'emanazione della sentenza di NDP suddetta, poiche'  dall'esame  del
 capo  di  imputazione  sub  B)  risulta  che  nello stesso sono state
 contestate agli imputati condotte di abuso astrattamente  sussumibili
 nel nuovo testo dell'art. 323 c.p. essendo la condotta descritta come
 avvenuta  nell'esercizio  delle  funzioni  rispettivamente di tecnico
 comunale e di sindaco, non potendosi escludere  nella  presente  sede
 che l'abuso come contestato sia consistito anche in una violazione di
 legge  (legge n. 1497/1939), ed avendo la condotta descritta nel capo
 di  imputazione  asseritamente  cagionato   un   ingiusto   vantaggio
 patrimoniale a terzi (Bernardini Giorgio).
   Essendosi, poi, il reato come contestato consumato in data 3 agosto
 1992,   non  sussistono  neppure  i  presupposti  per  dichiarare  la
 sopravvenuta prescrizione del reato.
   Risulta evidente pertanto - giusta quanto sopra  argomentato  -  la
 rilevanza  della questione di legittimita' costituzionale in oggetto,
 osservando ulteriormente che  la  norma  di  cui  all'art.  323  c.p.
 antevigente trova necessaria applicazione sin dalla presente fase del
 giudizio  (ad  esempio  ai  fini della valutazione circa la rilevanza
 delle prove).
   In relazione  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,
 osserva il collegio:
     che  il  principio  di  tassativita'  cui,  a norma dell'art. 25,
 secondo comma, Cost.,  devono  conformarsi  le  norme  incriminatrici
 penali,    esprime    l'esigenza    di    evitare   la   genericita',
 l'indeterminatezza della fattispecie astratta, in modo tale  che  sia
 assicurata l'individuazione, a mezzo degli usuali metodi ermeneutici,
 della condotta penalmente rilevante;
     che  l'interpretazione  corrente  della  norma de qua ricomprende
 nella  condotta  dell'abuso  ogni  "violazione   del   parametro   di
 doverosita'   come  risulta  dalle  regole  normative  improntate  ai
 principi di legalita' imparzialita'  e  buon  andamento  della  p.a."
 (cosi'   Cass.  n.  9730/1992),  e  "qualsivoglia  comportamento  del
 pubblico ufficiale esplicantesi in una illecita deviazione  dai  fini
 istituzionali  della  p.a."  (cosi'  Cass. n. 5340/1993), nonche' gli
 atti viziati da eccesso di potere;
     che la suddetta interpretazione, che costituisce diritto vivente,
 non  consente  di   escludere   dubbi   sull'indeterminatezza   della
 fattispecie  penale di cui trattasi, stante la aleatorieta' di figure
 quali "parametro di doverosita'" e "fini istituzionali", e  l'assenza
 di  una  definizione normativa della figura dell'eccesso di potere, i
 cui contenuti sono stati individuati soltanto ex post dalla  dottrina
 e  dalla  giurisprudenza amministrativa ed e' figura il cui contenuto
 e' in costante evoluzione e cambiamento;
     che  conseguentemente  appare  non  manifestamente  infondata  la
 questione  di  legittimita' costituzionale come sopra prospettata, da
 sollevare d'ufficio;
   Ritenuta la riunione dei reati  sub  capi  A)  e  B)  assolutamente
 necessaria ai fini dell'accertamento dei fatti.
                               P. Q. M.
   Visto  l'art.  23  legge n. 87/1953, dichiara d'ufficio rilevante e
 non   manifestamente   infondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  323  c.p.  - formulazione antevigente - in
 relazione all'art.  25, secondo comma, Cost.;
   Sospende il presente processo,  disponendo  la  trasmissione  degli
 atti alla Corte costituzionale;
   Dispone  che  la  presente  ordinanza  sia notificata, a cura della
 cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al
 Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della  Camera
 dei deputati.
     Sondrio, addi' 2 dicembre 1997
                       Il presidente: Fanfarillo
                                      I giudici: Camnasio - De Sabbata
 98C0379