N. 321 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 novembre 1997

                                N. 321
  Ordinanza emessa il 18 novembre 1997 dal  tribunale  di  Milano  nel
 procedimento penale a carico di Barcia Franco Maria Antonio ed altri
 Processo  penale - Dibattimento - Valutazione delle prove - Modifiche
    normative - Disciplina transitoria - Esame di persona imputata  in
    procedimento connesso - Esercizio della facolta' di non rispondere
    -  Dichiarazioni  predibattimentali  -  Previsione  di limiti alla
    valutazione con prova  di  dette  dichiarazioni  -  Disparita'  di
    trattamento  rispetto all'ipotesi in cui il pubblico ministero non
    abbia richiesto una nuova  citazione  -  Lesione  del  diritto  di
    difesa.
 (Legge 7 agosto 1997, n. 267, art. 6, commi 2 e 5).
 (Cost., artt. 3 e 24, secondo comma).
(GU n.19 del 13-5-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   sulle  questioni  di
 legittimita' costituzionale, sollevate dal pubblico ministero,  degli
 artt.  192,  comma 3, c.p.p., 197 c.p.p., 210 c.p.p., 513 c.p.p., nel
 testo modificato dalla legge 7 agosto 1997 n. 267,  6, legge 7 agosto
 1997 n. 267 per violazione  degli  artt.  2  (per  il  richiamo  alla
 Convenzione europea dei diritti dell'uomo), 3, 24, secondo comma, 25,
 secondo  comma,  101,  102, 111, 112 della Costituzione nonche' sulla
 questione  di  legittimita'   costituzionale,   sollevata   dall'avv.
 Fariselli difensore di Belletti Giuseppe, degli artt. 210 c.p.p. e 6,
 comma  5,  legge  7  agosto  1997 n. 267 per violazione dell'art. 24,
 secondo comma della Costituzione.
   In esito a quanto sopra, il tribunale osserva quanto segue.
   Nel corso dell'istruttoria dibattimentale  nel  procedimento  sopra
 indicato,   anteriormente   all'entrata  in  vigore  della  legge  n.
 267/1997, il tribunale ha  acquisito  -  su  richiesta  del  pubblico
 ministero  -  numerosi verbali di dichiarazioni, rese nel corso delle
 indagini preliminari da persone imputate di reati connessi, a seguito
 della loro manifestata volonta', in sede dibattimentale, di avvalersi
 della facolta' di non rispondere.
   Successivamente  all'entrata  in  vigore  della  citata  legge,  il
 pubblico  ministero e l'avv.ssa Pesce hanno chiesto, in conformita' a
 quanto previsto dall'art. 6, comma 2, legge n. 267/1997, la citazione
 di ventitre imputati ex art. 210 c.p.p. tra quelli che in  precedenza
 si erano avvalsi della facolta' di non rispondere.
   Di  questi, Costanzo Giuseppe, Costanzo Vincenzo, Ferraris Roberto,
 Marchiorello  Dino,  Panetta  Antonio,  Perasso   Giuseppe,   Pisante
 Giuseppe,   Romanengo  Emanuele,  Tronci  Romano,  Valente  Fabrizio,
 Zucchini Carlo F. si sono ulteriormente avvalsi della facolta' di non
 rispondere, dopo che ne erano gia' stati acquisiti  i  verbali  delle
 dichiarazioni precedentemente rese.
   Inoltre,  i  difensori  di  tutti  gli  imputati  hanno manifestato
 opposizione  all'utilizzabilita'   dei   verbali,   acquisiti   prima
 dell'entrata  in  vigore  della  legge  n.  267/1997,  relativi  alle
 dichiarazioni di imputati ex art. 210 c.p.p. e per  i  quali  non  e'
 stata richiesta nuova citazione.
    La   questione   di  legittimita'  proposta  dalle  parti  ha  una
 configurazione di ampia portata  che,  in  parte,  e'  manifestamente
 infondata,  in  parte,  non  e'  direttamente  rilevante nel presente
 processo.
   Rileva ancora il tribunale che, tuttavia, e' possibile pervenire ad
 un'area residua di dubbio  di  costituzionalita'  relativamente  alla
 norma   transitoria  di  cui  all'art.  6,  legge  n.  267/1997,  con
 particolare  riferimento  al  disposto  del  comma  5  ed  alla   sua
 compatibilita',  oltre  che  con i principi costituzionali, anche con
 altre norme del codice di procedura  penale,  quali  gli  artt.  192,
 comma 3, e 210 c.p.p.
   In  particolare, manifestamente infondata e la prospettazione delle
 parti richiedenti con riferimento  a  quelle  norme  del  c.p.p.  che
 presidiano la distinzione tra imputato, testimone e imputato di reato
 connesso.
   Tale  questione,  che  viene  proposta  anche  con riferimento alla
 valutazione sotto il profilo probatorio delle dichiarazioni  rese  in
 dibattimento   dai   suddetti   protagonisti  del  processo,  non  e'
 suscettibile ad avviso del collegio a radicare discrasie  nell'ambito
 del disegno costituzionale, posto che il legislatore ha ripetutamente
 offerto  una valutazione diversificata dei ruoli assunti nel processo
 con particolare riferimento alle figure dell'imputato,  dell'imputato
 di  reato  connesso e del testimone, nascenti da oggettive situazioni
 di non omogeneita', in punto di fatto ancor prima  che  in  punto  di
 diritto,   che   non   consentono   di   ravvisare  alcun  dubbio  di
 costituzionalita' ne' sotto il  profilo  della  irragionevolezza  ne'
 sotto  quello  della  disparita'  di  trattamento,  ne'  infine sotto
 nessuno degli  aspetti  evidenziati  dal  pubblico  ministero  e  dal
 difensore,  trattandosi  di  scelta insindacabile del legislatore che
 sfugge  a  censure  di  incostituzionalita'  cosi'  come   tutta   la
 disciplina, autonomamente considerata, che presidia la partecipazione
 al processo di dette persone.
   Esorbita  invece dall'ambito della situazione processuale emergente
 nel dibattimento, qualsiasi possibilita' di  riferimento  alla  nuova
 formulazione  dell'art.  513  c.p.p.,  posto che il dibattito in sede
 processuale si e' sviluppato in ordine a situazioni  di  imputati  di
 reato  connesso  sentiti  anteriormente  all'entrata  in vigore della
 legge n. 267/1997.
   Il  collegio  ritiene  di  integrare  d'ufficio  le  questioni   di
 legittimita'  costituzionale  sollevate  dalle  parti,  ritenendo non
 manifestamente  infondata  sotto  il  profilo  della   illegittimita'
 costituzionale,  la questione concernente la norma transitoria di cui
 all'art. 6, con particolare riferimento a quanto disposto ai commi  2
 e   5,   in  relazione  agli  artt.  3  e  24,  secondo  comma  della
 Costituzione.
   In particolare, i dubbi di costituzionalita' vengono  espressi  dal
 collegio  con  riferimento  alla  valutazione  a fini probatori delle
 dichiarazioni rese da imputati ex art. 210  c.p.p.  ed  acquisite  al
 fascicolo  del  dibattimento  attraverso  la  lettura a seguito della
 dichiarata volonta' di avvalersi della  facolta'  di  non  rispondere
 ovvero della non presentazione degli originari dichiaranti.
   Come  e' noto, la norma transitoria prevede un'efficacia probatoria
 limitata di queste dichiarazioni nel senso che la loro attendibilita'
 non puo' essere ulteriormente desunta da  altre  dichiarazioni  dello
 stesso  tipo  di  cui  sia  stata data lettura ai sensi dell'art. 513
 c.p.p. previgente.
   Tale disciplina, oltre a porsi in evidente divaricazione con quella
 prevista dall'art. 513 c.p.p. attualmente vigente,  e'  connotata  da
 un'evidente   anomalia  anche  rispetto  al  testo,  non  oggetto  di
 modifica, dell'art. 192, comma 3, c.p.p.
   Sempre  facendo  riferimento  alla   situazione   processuale   del
 procedimento  in  esame,  si  rileva  come erano stati legittimamente
 acquisiti nella fase dibattimentale verbali di dichiarazioni rese  da
 imputati  ex art. 210 c.p.p. - che si erano avvalsi della facolta' di
 non rispondere - per i quali, successivamente all'entrata  in  vigore
 della  legge  suddetta,  il  p.m.  non  ne  aveva richiesta una nuova
 citazione ai sensi dell'art. 6, comma 2, della legge medesima.
   Il collegio non ignora che sulla valutazione ai fini  probatori  di
 queste  ultime dichiarazioni sussistono divergenze interpretative per
 avere omesso  il  legislatore  una  espressa  disciplina  sul  punto.
 Infatti,  le contrastanti posizioni in caso di omessa nuova citazione
 per un nuovo esame comportano  conseguenze,  non  solo  tra  di  loro
 inconciliabili,  ma anche entrambe in insanabile contrasto con quanto
 previsto al comma 5 della norma transitoria.
   In particolare, sia che si voglia seguire l'indirizzo per il  quale
 nessuna    rilevanza   probatoria   deve   essere   attribuita   alle
 dichiarazioni  acquisite  attraverso  la  lettura  nei   casi   sopra
 indicati,   sia   invece  che  si  voglia  attribuire  alle  medesime
 dichiarazioni l'efficacia probatoria delineata dall'art.  192,  comma
 3,  c.p.p, si avrebbe sempre e comunque una diversa valutazione sotto
 il profilo probatorio rispetto a quanto previsto dal  comma  5  della
 norma transitoria e cio' pure in presenza di situazioni identiche dal
 punto di vista processuale.
   Rileva  il  tribunale,  in  sintesi  e  conclusivamente che, pur in
 presenza di verbali di  dichiarazioni  acquisite  in  dibattimento  a
 seguito della manifestata volonta' di avvalersi della facolta' di non
 rispondere,  la  valutazione  ai  fini  probatori,  secondo l'attuale
 formulazione della norma transitoria in esame, e' diversa  unicamente
 in  funzione  del  tempo nel quale si colloca la manifestazione della
 volonta' di non rispondere dell'imputato di reato connesso.
   Tale  assetto   configura   discrasie   non   superabili   in   via
 interpretativa   in   ordine   a  situazioni  di  identico  contenuto
 processuale ed idonee ad alterare l'iter  formativo  della  decisione
 con  grave  pregiudizio  del  principio di uguaglianza, posto che non
 sussiste alcun ragionevole motivo di  trattamento  diversificato  per
 situazioni  sostanzialmente  e  processualmente  identiche  con grave
 lesione  anche  del  diritto  di  difesa  potendo  dar  luogo,   tale
 diversita'   di   valutazione   ai   fini   probatori,  a  situazioni
 ingiustamente   pregiudizievoli   per   l'imputato   non   emendabili
 nell'ambito della normale esplicazione del diritto di difesa.
   In esito a quanto sopra esposto, va dichiarata a non manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale dei commi 2 e 5
 dell'art. 6, legge 7 agosto 1997 n. 267, nella parte in cui prevedono
 una  diversita' di trattamento, ai fini della valutazione probatoria,
 per le identiche situazioni sopra enunciate.
   Va al contrario dichiarata manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 5, legge 7 agosto 1997
 n.  267  cosi'  come  sollevata dalla difesa di Belletti Giuseppe, in
 quanto non e' dato rinvenire  dall'esposizione  del  difensore  alcun
 elemento   idoneo   a   rappresentare   contrasti   con   i  principi
 costituzionale invocati, e neppure chiariti in modo esauriente  dalla
 stessa difesa.
                                P. Q. M.
   Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23, legge 11 marzo 1953 n.
 87, ritenutane la rilevanza e non manifesta infondatezza;
   Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi
 2  e 5, legge 7 agosto 1997 n. 267 per violazione degli artt. 3 e 24,
 secondo comma della Costituzione;
   Dispone l'immediata trasmissione degli atti del  procedimento  alla
 Corte costituzionale;
   Ordina  che  la  presente  ordinanza  sia  notificata, a cura della
 cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al
 Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della  Camera
 dei deputati;
   Sospende il presente procedimento;
   Dichiara  irrilevante e manifestamente infondata, per le ragioni di
 cui in narrativa, ogni altra questione di legittimita' costituzionale
 sollevata dalle parti.
   Cosi' deciso in Milano, il 18 novembre 1997.
                       Il presidente: Serangeli
                                        I giudici: Brambilla - Massari
 98C0502