N. 351 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 marzo 1998

                                N. 351
  Ordinanza  emessa  l'11  marzo  1998  dal  Tribunale  di  Locri  nel
 procedimento penale a carico di Mesiti Vincenzo Claudio e altri
  Processo  penale  -  Dibattimento  - Esame di coimputato - Esercizio
    della facolta' di non rispondere - Lettura dei verbali  contenenti
    le  dichiarazioni  rese  nel  corso  delle  indagini preliminari -
    Preclusione  per   il   giudice   di   utilizzabilita'   di   tali
    dichiarazioni  nei  confronti  di  altri  senza il loro consenso -
    Disparita' di trattamento tra imputati - Violazione del  principio
    di   non  dispersione  delle  prove  -  Lesione  dei  principi  di
    obbligatorieta' dell'azione penale e di indipendenza del giudice.
 (C.P.P. 1988, art. 513, comma 1).
 (Cost., artt. 3, 101, 111 e 112).
(GU n.21 del 27-5-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata  dal  p.m.
 in  relazione  all'art.  513,  comma  1, c.p.p. cosi' come modificato
 dall'art. 1, legge 267/1997, per violazione degli artt. 2, 3,  101  e
 112  della Costituzione nonche' degli artt. 1 e 6, commi 1 e 5, legge
 n. 267/1997 per violazione degli artt. 101 e 112 della Costituzione;
   Sentite le altre parti;
                                Osserva
   In data 4 marzo  1997,  l'imputato  Palmiere  Marco  dichiarava  di
 avvalersi  della facolta' di non rispondere all'esame in dibattimento
 ed il p.m. chiedeva l'acquisizione e la lettura  ai  sensi  dell'art.
 513,  c.p.p.  dei  verbali  degli  interrogatori  resi  dal  predetto
 imputato al p.m. nella fase delle indagini  preliminari  anche  nella
 parte  riguardante  le  dichiarazioni  indizianti valutabili a carico
 degli altri coimputati;
   La difesa tutta non ha prestato il consenso di  cui  all'art.  513,
 comma 1, c.p.p.;
   Il   p.m.,   a  tal  punto,  sollevava  questione  di  legittimita'
 costituzionale nei termini di cui  in  epigrafe,  sottolineandone  la
 rilevanza  nell'ambito  del  presente procedimento e la non manifesta
 infondatezza;
   Quanto alla rilevanza, il tribunale ne ritiene la  sussistenza  con
 riferimento  esclusivo  all'art. 513, comma 1, c.p.p., essendo questa
 l'unica  norma  applicabile   in   concreto   nella   presente   fase
 dibattimentale  ed  evidenziando  in  proposito che la prospettazione
 accusatoria si fonda quasi esclusivamente  sulle  dichiarazioni  rese
 dal   coimputato   Palmiere   Marco,   di   modo   che,  la  parziale
 inutilizzabilita' delle stesse, comporterebbe un radicale pregiudizio
 per la ricostruzione dei fatti oggetto di decisione, incidendo  sulla
 res judicanda, dal momento che i residuali elementi di prova, fungono
 prevalentemente da riscontro alle dichiarazioni in questione;
   Con  riferimento,  poi, alla non manifesta infondatezza dei profili
 di incostituzionalita' dell'art. 513, comma 1,  c.p.p,  la  norma  in
 questione  si  appalesa  in  contrasto,  in primo luogo, con l'art. 3
 della Costituzione: ed infatti, l'attuale regime normativo -  facendo
 divieto   di   utilizzazione,   nei   confronti  dei  coimputati  non
 consenzienti, delle dichiarazioni  rese,  nel  corso  delle  indagini
 preliminari,  dal  coimputato  che  in  dibattimento, poi, si avvalga
 della facolta' di non rispondere - crea una  evidente  disparita'  di
 trattamento  in  rapporto  alla  medesima  situazione  che  pero'  si
 presenti allorche', pur essendo, come nel caso di specie, in corso il
 procedimento di primo grado all'entrata in  vigore  della  disciplina
 novellata,  sia stata, pero', gia' disposta la lettura, nei confronti
 degli altri imputati  e  senza  il  loro  consenso,  dei  verbali  di
 dichiarazioni  rese  dalle persone indicate dall'art. 513, c.p.p., al
 p.m., alla polizia giudiziaria da questi delegata o  al  giudice  nel
 corso  delle  indagini  preliminari  o  dell'udienza  preliminare; ed
 invero l'art.  6,  legge  n.  267/1997  consente,  ove  le  parti  lo
 richiedano, la citazione di coloro che tali dichiarazioni hanno reso,
 ma   senza   prevedere   alcuna   comminatoria  di  inutilizzabilita'
 allorquando  tali  soggetti  si  avvalgano  della  facolta'  di   non
 rispondere  ovvero  non si siano presentati, purche' l'attendibilita'
 delle dichiarazioni rese nel corso  delle  indagini  preliminari  sia
 confermata  da  altri elementi di prova, non desunti da dichiarazioni
 rese al p.m., alla  polizia  giudiziaria  da  questi  delegata  o  al
 giudice   nel   corso   delle  indagini  preliminari  o  nell'udienza
 preliminare, di cui sia stata data lettura ai  sensi  dell'art.  513,
 c.p.p.,  nel  testo  previgente.  Disparita' che appare piu' evidente
 nelle  ipotesi,  come  nel  caso  di  specie,  non  ricadenti   nella
 previsione  del  comma  2,  dell'art. 6 della citata legge, in cui il
 p.m.  non  ha  nemmeno  la  possibilita'  di  richiedere  l'incidente
 probatorio, ai sensi dell'art. 6, comma 1, legge n. 267/1997, essendo
 il processo gia' nella fase dibattimentale al momento dell'entrata in
 vigore della nuova normativa;
   Altro  profilo  di  contrasto  con  il  citato  art.  3 e 111 della
 Costituzione, per irragionevolezza della  disposizione  normativa  in
 esame,   puo'   individuarsi   nel  divieto  di  utilizzazione  della
 dichiarazione resa, nei confronti dei  coimputati  non  consenzienti,
 dall'imputato  che  in dibattimento non sia comparso o si sia avvalso
 della facolta' di non rispondere, in quanto preclude  al  giudice  di
 valutare,  con cognizione di causa, gli elementi di prova esistenti a
 carico del chiamato in correita'; infatti, data la  natura  di  prova
 complessa  (dichiarazioni  +  riscontro) che la chiamata in correita'
 assume ex art. 192, comma 3,  c.p.p.,  la  sottrazione  dell'elemento
 basilare    costituito   dalla   dichiarazione   accusatoria,   rende
 probatoriamente  insignificanti   gli   elementi   "satellitari"   di
 riscontro,   resi   "orfani"  della  prova  dichiarativa  alla  quale
 accedono,  e  fatti  oggetto  di  valutazione  isolata  dal  contesto
 dichiarativo  entro  il  quale, soltanto, assumono significazione; in
 tal modo  viene  preclusa  al  giudice  ogni  possibilita'  di  reale
 apprezzamento  delle  prove a carico, complessivamente esistenti agli
 atti del procedimento, valutabili appieno invece solo con riferimento
 alla posizione del chiamante in correita'; va,  percio',  evidenziato
 che  la  vigente  normativa  contrasta  con il principio, individuato
 dalla Corte costituzionale, di non  dispersione  della  prova  -  nel
 quale  il  pur  rilevante principio di oralita' trova il suo limite -
 imponendo,  appunto, di derogare al metodo dialettico quando la prova
 non possa, di fatto, prodursi oralmente, vale a dire quando  non  sia
 compiutamente e genuinamente acquisibile col metodo orale;
   Quanto   alla   non   manifesta  infondatezza  della  questione  di
 legittimita' dell'art. 513, comma 1,  c.p.p.,  con  riferimento  agli
 artt.  101,  111  e  112  Costituzione,  occorre  evidenziare  che la
 disposizione normativa che si assume  in  contrasto  con  i  suddetti
 principi  costituzionali  rende le dichiarazioni confessorie rese non
 solo al p.m. ma anche al giudice  delle  indagini  preliminari  nella
 forma  dell'interrogatorio  ex  artt.  64  e  65,  c.p.p., pienamente
 utilizzabili  in  senso   autoaccusatorio   mentre   per   la   parte
 eteroaccusatoria,   la   valenza  processuale  viene  subordinata  al
 consenso all'utilizzazione in dibattimento prestato dal  chiamato  in
 correita'  ed,  in  quanto  tale,  portatore dell'interesse contrario
 all'utilizzazione della prova, creando una evidente sperequazione tra
 le parti processuali che va ad incidere pesantemente sulla conoscenza
 del giudicante, cui viene impedita una  valutazione  complessiva  del
 materiale  probatorio,  fatto  conoscere  ad libitum ora nell'una ora
 nell'altra  parte  ed   impedendo   cosi',   facendo   dipendere   la
 disponibilita'  di  una  prova dalla volonta' del coimputato, il fine
 primario ed ineludibile del processo penale che non puo' che rimanere
 quello della ricerca della verita'.
                                P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Ritiene rilevante e non manifestamente infondata in relazione  agli
 artt.   3,  101,  111  e  112  della  Costituzione  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 513, comma  1,  c.p.p.,  per  i
 profili di cui in parte motiva;
   Sospende il presente procedimento;
   Manda   alla   cancelleria  per  la  notificazione  della  presente
 ordinanza alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  e  per  la
 comunicazione ai Presidenti delle Camere del Parlamento;
   Dispone  la  trasmissione  degli  atti  del  procedimento  e  della
 presente ordinanza alla Corte costituzionale,  previa  estrazione  di
 copia da mantenere agli atti dell'ufficio.
     Locri, addi' 11 marzo 1998
                  Il presidente: (firma illeggibile)
 98C0543