N. 180 ORDINANZA 8 - 20 maggio 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Fallimento  e  procedure  concorsuali  in  genere  - Dichiarazione di
 fallimento di una  societa'  in  accomandita  semplice  e  del  socio
 accomandatario  -  Esenzione  temporale  dal  fallimento  -  Esigenza
 dell'esaurimento della liquidazione di ogni rapporto passivo  per  la
 cessazione  dell'impresa societaria - Differenza, del trattamento tra
 l'impresa individuale e quella collettiva, dovuta al diverso modo  in
 cui  e'  disciplinata  la  cessazione  dell'impresa  con  conseguente
 maggiore tutela di alcuni senza pregiudizio per altri - Insussistenza
 della lesione delle facolta' di difesa - Manifesta infondatezza.
 
 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 10).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.21 del 27-5-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof. Fernando   SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 10 del regio
 decreto 16 marzo 1942,  n.  267  (Disciplina  del    fallimento,  del
 concordato   preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
 liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il
 26 novembre 1996, 17 dicembre 1996 e 4 febbraio 1997,  dal  tribunale
 di  Bologna  sull'istanza  proposta da Perdomi Gabriele nei confronti
 della Nuova Blitz s.a.s. e altra, iscritta al  n.  452  del  registro
 ordinanze   1997   e   pubblicata   nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica, n. 29, prima serie  speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  25  marzo 1998 il giudice
 relatore Francesco Guizzi.
   Ritenuto che nel corso del procedimento  per  la  dichiarazione  di
 fallimento  di  una  societa'  in  accomandita  semplice  e del socio
 accomandatario,  il  tribunale  di  Bologna,   acquisita   la   prova
 dell'avvenuta cancellazione
  della  societa' debitrice dal registro delle imprese, il 31 dicembre
 1994,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  24   della
 Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 10
 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina  del  fallimento,
 del  concordato  preventivo, dell'amministrazione controllata e della
 liquidazione coatta amministrativa), nella parte in cui esige che sia
 esaurita la liquidazione di ogni rapporto passivo per  la  cessazione
 dell'impresa   societaria   ai   fini  dell'esenzione  temporale  dal
 fallimento;
     che, tuttavia, secondo  l'orientamento  della  giurisprudenza  di
 legittimita',  gli accertati presupposti di fatto dovrebbero condurre
 alla dichiarazione di fallimento della societa';
     che, invece, l'articolo 10 della legge  fallimentare,  nella  sua
 interpretazione   letterale,   stabilirebbe   che   la  pronuncia  di
 fallimento  intervenga  per  tutti  i  debitori  entro  l'anno  dalla
 cessazione dell'attivita';
     che,  al  contrario, l'interpretazione censurata comporterebbe la
 pratica  inapplicabilita'  della  preclusione  temporale,  con   cio'
 ponendo in essere un'interpretazione abrogativa della disposizione;
     che,  al  fine  di  superare  questa ingiustificata disparita' di
 trattamento, s'imporrebbe una pronuncia della  Corte  costituzionale,
 dovendosi   escludere  che  una  societa'  diventata  inattiva  possa
 fallire;
     che, del resto, la dottrina avrebbe avvertito come  le  posizioni
 dei  terzi,  in  caso  di  sopravvenienze  passive,  trovino  la loro
 garanzia  nella  responsabilita'   sussidiaria   dei   soci   e   dei
 liquidatori,  anche se limitata, ai sensi degli artt. 2456 e 2312 del
 codice civile;
     che la cancellazione dal registro delle imprese allargherebbe  la
 responsabilita'   ai  liquidatori  e  sarebbe  in  contrasto  con  il
 postulato di una societa' commerciale che, per la mancata  estinzione
 di tutti i rapporti passivi, non si estinguerebbe mai;
     che,  nella  specie,  la  questione sarebbe rilevante, poiche' la
 societa' debitrice,  in  seguito  alla  denuncia  di  fine  attivita'
 presentata presso la Camera di commercio, e' gia' cessata da oltre un
 anno rispetto al deposito dell'istanza di fallimento;
     che  essa sarebbe anche non manifestamente infondata, per lesione
 degli artt. 3 e  24  della  Costituzione,  perche'  l'interpretazione
 adottata  eliminerebbe, dall'ambito della norma, l'elemento oggettivo
 della fallibilita'  dell'impresa societaria;
     che la norma si conformerebbe  a  Costituzione  solo  cancellando
 siffatta  presunzione  assoluta,  in  base  alla  quale  la  societa'
 continuerebbe a vivere pur dopo l'espletamento della formalita' della
 cancellazione dal registro delle imprese richiesta dal codice  civile
 per  fondare una traslazione delle responsabilita' da un ente cessato
 ad altri soggetti;
     che e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per
 l'inammissibilita' o, comunque, per l'infondatezza;
     che, ad avviso dell'Avvocatura, la differenza di trattamento  fra
 l'impresa  individuale  e  quella  collettiva non discenderebbe dalla
 norma contenuta nell'art. 10 della legge fallimentare, ma dal diverso
 modo in cui e'  regolata la cessazione dell'impresa;
     che solo per le societa' sarebbe infatti  obbligatoria,  dopo  lo
 scioglimento, la fase della liquidazione;
     che  i  soci  debbono redigere il bilancio finale di liquidazione
 nella ipotesi, considerata fisiologica, che  spetti  loro  una  parte
 dell'attivo;
     che, nel caso, patologico, che i fondi siano insufficienti per il
 pagamento  dei debiti sociali, e non sia  possibile ottenere dai soci
 il  pagamento  delle  somme  occorrenti,  i  liquidatori   dovrebbero
 richiedere il fallimento della societa';
     che   la   diversita'   di   trattamento   non  sarebbe  pertanto
 ingiustificata, atteso che le  due  situazioni  sarebbero  differenti
 nella realta' delle cose e nella loro disciplina giuridica;
     che  non  avrebbe  fondamento  la  pretesa lesione del diritto di
 difesa, dal momento che sia la societa' sia i soci potrebbero,  nella
 debita sede, contestare la richiesta di fallimento.
   Considerato  che  viene  all'esame della Corte, in riferimento agli
 artt. 3  e  24  della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 10 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267,
 che, secondo l'interpretazione prevalente, esige la  liquidazione  di
 ogni  rapporto  passivo  per  affermare  la  cessazione  dell'impresa
 societaria ed esentarla dal fallimento;
     che la questione  e'  stata  sollevata  sulla  base  di  siffatta
 interpretazione  giurisprudenziale - ritenuta, ormai, diritto vivente
 - che offre peraltro ai creditori  sociali  piu'  ampie  garanzie  di
 tutela  rispetto a quelle stabilite per i creditori dell'imprenditore
 individuale;
     che la lamentata disparita' di trattamento  del  ceto  creditorio
 non  e',  di  per  se', in contrasto con il principio di uguaglianza,
 quando produce, come nella specie, maggior  tutela  di  alcuni  senza
 pregiudizio per altri;
     che nessuna lesione delle facolta' difensionali puo' fondatamente
 assumersi   al   riguardo,   venendo  al  piu'  in  rilievo  soltanto
 difficolta' di mero fatto, quando  la  societa'  si  sia  sciolta  da
 tempo;
     che,   pertanto,   la   questione  va  dichiarata  manifestamente
 infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 10 del regio decreto  16 marzo 1942, n.  267
 (Disciplina  del  fallimento,  del   concordato   preventivo,   della
 amministrazione    controllata    e    della    liquidazione   coatta
 amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 3  e  24  della
 Costituzione, dal tribunale di Bologna, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 maggio 1998.
                         Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Guizzi
                        Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 20 maggio 1998.
                Il direttore della cancelleria: Di Paola
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