N. 373 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 marzo 1998

                                N. 373
  Ordinanza  emessa  il  26  marzo  1998  dal  pretore  di  Torino nel
 procedimento civile vertente tra Banca Brignone S.p.a. e l'I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Contributi previdenziali -  Mancato
    versamento,  da  parte  dei  datori  di  lavoro,  relativamente al
    periodo contributivo 1 settembre 1985-30 giugno 1991 - Obbligo  di
    effettuare  il  relativo pagamento nella misura del 15 per cento -
    Irragionevolezza  della  deroga  alla  disciplina  generale,   che
    stabilisce  termini  di prescrizione per i crediti previdenziali -
    Lesione del principio della certezza del diritto -  Richiamo  alla
    sentenza della Corte costituzionale n. 421/1995.
 (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 194).
 (Cost., art. 3).
(GU n.22 del 3-6-1998 )
                              Il PRETORE
   Ha    pronunciato  la seguente ordinanza nella causa iscritta al n.
 14715/97 r.g.l. promossa dalla Banca  Brignone S.p.a., in persona del
 presidente  dott.  Alberto  Brignone,  elettivamente  domiciliato  in
 Torino, via  Avogadro, 26, presso lo studio dell'avv. Moreno Martini,
 contro  l'I.N.P.S.  - Istituto nazionale della previdenza sociale, in
 persona del presidente,  elettivamente  domiciliato  in  Torino,  via
 Roma,   222,   presso   l'ufficio   legale   della  sede  provinciale
 dell'istituto;
   Premesso  che  con  ricorso  depositato  in data 22 settembre 1997,
 ritualmente  notificato,  la  ricorrente  ha    evocato  in  giudizio
 l'I.N.P.S.   per ivi sentire dichiarare, previa rimessione degli atti
 alla   Corte   costituzionale,   l'illegittimita'    dell'imposizione
 contributiva  sui  versamenti  ai fondi integrativi e la condanna del
 convenuto alla restituzione di quanto versato a tale titolo;
     che   la   parte    convenuta,    costituitasi,    ha    eccepito
 l'inammissibilita'  dell'eccezione  di incostituzionalita'  in quanto
 proposta in via principale ed ha comunque dedotto l'irrilevanza e  la
 manifesta infondatezza della  questione;
     che all'udienza del 18 marzo 1998 il procuratore della ricorrente
 ha  discusso  la  causa chiedendo la rimessione degli atti alla Corte
 costituzionale ed  il  procuratore  della  convenuta  ha  chiesto  la
 reiezione della domanda;
   Ritenuto  che  e'  necessario  esaminare separatamente le questioni
 controverse afferenti la ammissibilita' della domanda, la rilevanza e
 la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
 sollevata osserva quanto segue.
                            Ammissibilita'
   Contrariamente  a  quanto  sostenuto  dall'I.N.P.S.,  la domanda di
 rimessione  alla  Corte  costituzionale  e'  ammissibile   ai   sensi
 dell'art.  1, legge costituzionale 9  febbraio 1948, n. 1 e dell'art.
 23,  legge  11  marzo 1953, n. 87, in quanto proposta non gia' in via
 principale, bensi' in via preliminare,  in  un  giudizio  che  ha  un
 proprio  petitum  in merito (e precisamente la condanna dell'I.N.P.S.
 alla restituzione  delle  somme  versate),  sorretto  da  un  preciso
 interesse   ad   agire,   conseguenza   della   richiesta   da  parte
 dell'I.N.P.S. del pagamento dei contributi.
                               Rilevanza
   La questione, sollevata sotto  diversi  profili  attinenti  sia  la
 legittimita'  della  previsione  del  contributo  sia  la  decorrenza
 dell'imposizione medesima, e' rilevante, avendo ad oggetto  la  norma
 che sta a base della richiesta in merito ed a cui il giudice si trova
 a dover dare applicazione. L'I.N.P.S. ha contestato in particolare la
 rilevanza  della  questione  afferente  la  identificazione dell'arco
 temporale all'interno del quale  il  contributo  del  15%  e'  dovuto
 deducendo  la  mancata proposizione dell'eccezione di prescrizione; e
 lamentando il fatto che le ricorrenti non  avrebbero  "provato  quale
 sia  il  periodo  contributivo  in questione, cosicche' non esiste il
 necessario  rapporto  diretto   fra   la   sollevata   questione   di
 costituzionalita'  e  l'incidenza  della  soluzione  della stessa nel
 giudizio  a  quo".  L'assunto  difensivo  non  puo'  peraltro  essere
 condiviso   posto   che   la   prospettazione   della   questione  di
 illegittimita'costituzionale   della   modificazione   del    termine
 prescrizionale contiene in se' necessariamente la proposizione
  dell'eccezione  di  prescrizione non essendo prescritta alcuna forma
 particolare per la proposizione dell'eccezione e  potendo  la  stessa
 essere dedotta in modo generico.
   Al  fine  dell'accertamento  della  sussistenza del requisito della
 rilevanza il punto nodale  e'  quindi  quello  di  stabilire  se  sia
 sufficiente  la  mera  applicabilita'  della norma impugnata o se sia
 invece  necessaria  una  concreta  influenza   della   decisione   di
 accoglimento sull'esito del giudizio a quo.
   La  Corte  costituzionale,  dopo  aver a lungo aderito alla seconda
 impostazione, ha cambiato giurisprudenza agli inizi degli  anni  '80,
 allorche'  ha  dato  vita  (con  la sentenza n. 148/1983) ad un nuovo
 indirizzo, frutto di decisioni relative, soprattutto, a norme  penali
 di  favore,  che,  pur  se  dichiarate incostituzionali, continuano a
 rimanere applicabili nel giudizio a quo in forza  del  principio  che
 preclude  la  retroattivita' delle norme incriminatrici (art. 2 c.p.;
 art. 25 Cost.).
   Ebbene, secondo il nuovo indirizzo della Corte, cio' che conta  non
 e' piu' - come accadeva per l'antico filone restrittivo - l'influenza
 della   propria   pronuncia   sul   contenuto   del   giudizio   reso
 dall'autorita' rimettente, ma solo l'influenza  sul  modo  (in  senso
 ampio)  con  cui  questa  raggiunge le proprie conclusioni, sull'iter
 logico che a queste la conduce.
   Se cosi' e', non vi e' dubbio che nel caso di specie  la  questione
 sia rilevante, non potendo questo giudice prescindere, nel deliberare
 le  richieste  delle ricorrenti, dall'applicazione dell'art. 1, comma
 194, legge n. 662/1996.
   Ma la soluzione non cambia neppure se si considera la rilevanza  in
 concreto.
   Da  un  lato  infatti,  come si e' gia' detto, quando la ricorrente
 deduce  la  questione  di  legittimita'  in  ordine  ai  termini   di
 prescrizione,  solleva, molto piu' che implicitamente, l'eccezione di
 prescrizione anche in merito; il fatto, poi,  che  nell'attuale  fase
 processuale  non abbia ancora provato a quale periodo la prescrizione
 si riferisca, non esclude la possibilita', nonostante le  preclusioni
 proprie  del  rito  del  lavoro,  che  la  prova  venga  data in modo
 ammissibile,  ad  esempio  mediante  la   produzione   di   documenti
 precostituiti.
   Dall'altro,  deve  considerarsi - anche indipendentemente da quanto
 appena detto, e quindi in modo assorbente - che la ricorrente  chiede
 la  condanna  dell'I.N.P.S.  "alla restituzione di tutte le somme che
 risultino versate ai titoli di cui trattisi"; una eventuale decisione
 di accoglimento della Corte, facendo venir meno  i  termini  previsti
 dall'art. 1, comma 194 cit., renderebbe applicabile al caso di specie
 l'ordinaria  prescrizione dei crediti previdenziali dettata dall'art.
 3, commi 9 e 10, legge n.  335/1995,  e  cio'  non  solo  per  quanto
 concerne  il  lato  temporale,  ma  anche per la complessa disciplina
 relativa alle contribuzioni di periodi precedenti l'entrata in vigore
 della  stessa  legge,  disciplina  che  rende  applicabili  le  nuove
 disposizioni  anche  a tali contributi "fatta eccezione per i casi di
 atti interruttivi gia' compiuti o di procedure iniziate nel  rispetto
 della normativa preesistente". L'applicazione della legge n. 335/1995
 imporrebbe  quindi  all'I.N.P.S.,  nel  contrastare  le  richieste di
 restituzione avanzate dalla ricorrente, l'onere di  provare  di  aver
 posto  in essere atti interruttivi o procedure amministrative tali da
 escludere la prescrizione dei crediti nei termini di cui alla  stessa
 legge n.  335/1995, piu' brevi rispetto alla disciplina  previgente.
   La  decisione  della  Corte  costituzionale  avrebbe  pertanto  una
 concreta influenza sull'esito del giudizio.
                        Manifesta infondatezza
   E' necessario ripercorrere brevemente l'iter legislativo in tema di
 contributi  di  previdenza  ed  assistenza  sulle  somme  versate   o
 accantonate a finanziamento della previdenza privata.
   I  commi  193  e  194, dell'art. 1, legge 23 dicembre 1996, n. 662,
 dispongono:
     193. (modificativo dell'art. 9-bis comma 1, del  d.-l.  29  marzo
 1991,  n.  103,  convertito,  con modificazioni, dalla legge 1 giugno
 1991, n. 166): "Salvo  quanto  disposto  dai  commi  seguenti,  dalla
 retribuzione  imponibile  di  cui  all'art.  12 della legge 30 aprile
 1969, n. 153, sono escluse le contribuzioni  e  le  somme  versate  o
 accantonate,  anche  con il sistema della mancata trattenuta da parte
 del datore di lavoro nei confronti del lavoratore, a finanziamento di
 casse, fondi, gestioni o forme  assicurative  previsti  da  contratti
 collettivi  o  da  accordi  o  da  regolamenti  aziendali, al fine di
 erogare  prestazioni  integrative  previdenziali  o  assistenziali  a
 favore del lavoratore e suoi familiari, nel corso del rapporto o dopo
 la sua cessazione (...)".
     194.  "Limitatamente al periodo contributivo dal 1 settembre 1985
 al 30 giugno 1991, in deroga alle disposizioni  di  cui  all'art.  3,
 commi  9 e 10, della legge 8 agosto 1995, n. 335, i datori di lavoro,
 per i periodi per  i  quali  non  abbiano  versato  i  contributi  di
 previdenza  ed  assistenza sociale sulle contribuzioni e somme di cui
 all'art.  9-bis, comma 1, del d.-l. 29 marzo 1991 n. 103, convertito,
 con modificazioni, dalla legge 1 giugno 1991, n. 166, come sostituito
 dal comma 193 del presente articolo, sono  tenuti  al  pagamento  dei
 contributi  previdenziali  nella misura del 15 per cento sui predetti
 contributi e somme (...)".
   Tali norme sono giunte a disciplinare una materia  che  aveva  gia'
 registrato numerosi interventi giurisprudenziali e legislativi. Negli
 anni  '80  la  giurisprudenza della Corte di cassazione si oriento' a
 ritenere che le somme versate o  accantonate  a  finanziamento  della
 previdenza  privata  dovevano  rientrare nella base imponibile di cui
 all'art. 12, legge n. 153/1969, cosicche' i datori di lavoro  vennero
 condannati  a  versare  anche  su  di  esse  gli  ordinari contributi
 previdenziali.
   La Corte costituzionale, con la sentenza 3 ottobre  1990,  n.  427,
 respinse  l'eccezione  di incostituzionalita' sollevata nei confronti
 dell'art. 12 cit. "interpretato nel senso che non sono esclusi  dalla
 base  imponibile  per  il  calcolo  dei contributi di previdenza e di
 assistenza sociale i contributi versati dal datore di lavoro a favore
 di regimi di previdenza complementare".
   Intervenne  l'art.  9-bis  del  d.-l.  29  marzo  1991,   n.   103,
 convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  1 giugno 1991, n. 166
 (norma definita di interpretazione autentica dell'art. 12 cit.),  che
 escluse  tali  somme  dalla  base  imponibile,  stabilendo che per il
 passato  nulla  era  dovuto,  salvi  restando   i   versamenti   gia'
 effettuati,  mentre  per  il  futuro  era  dovuto  un  "contributo di
 solidarieta'" pari al 10%.
   La Corte costituzionale, con la sentenza 8 settembre 1995, n.  421,
 dichiaro'   l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  contenuta
 nell'art.  9-bis cit., comma 1, primo periodo, che esonerava  per  il
 passato dal versamento di qualsiasi contributo.
   A  questo  punto,  fermo  il contributo di solidarieta' del 10% dal
 luglio 1991 in poi, per il passato ritornava  ad  essere  applicabile
 l'art.  12,  legge n. 153/1969, come costantemente interpretato dalla
 giurisprudenza di legittimita', con conseguente sottoposizione  delle
 somme a contribuzione intera, nei limiti dei termini di prescrizione,
 disciplinati dall'art. 3, commi 9 e 10, della legge 8 agosto 1995, n.
 335.
   E'  qui  che  si  inserisce  l'art. 1, comma 194, legge 23 dicembre
 1996, n. 662 - della cui legittimita' costituzionale si dubita - che,
 nel prevedere per il  periodo  ante  luglio  1991  una  contribuzione
 previdenziale  ridotta,  deroga agli ordinari termini di prescrizione
 per operare nel "periodo contributivo dal  1  settembre  1985  al  30
 giugno 1991".
   La  parte  ricorrente  ha  dedotto la illegittimita' della predetta
 imposizione contributiva sotto vari  profili  che  appaiono  peraltro
 tutti manifestamente infondati.
   Per  quanto  riguarda  l'asserito  contrasto  con  l'art. 136 della
 Costituzione e' sufficiente rilevare che la Corte costituzionale, con
 la  sentenza  n.  421/1995,  ha  adottato  una  decisione   di   puro
 accoglimento  e  non additiva o manipolativa; conseguenza e' stata il
 venir meno dell'art.  9-bis, comma 1, primo periodo  d.-l.  29  marzo
 1991,  n.  103; si legge in motivazione che il contrasto con le norme
 costituzionali si e' posto in quanto la detta norma "concede(va)  una
 sanatoria  totale  senza alcuna contropartita analoga al ''contributo
 di solidarieta''' imposto per il futuro  dal  comma  successivo";  da
 cio'  si  deduce  che  la  Corte  non avrebbe tollerato un successivo
 intervento legislativo che disponesse o una nuova sanatoria totale  o
 una  contropartita non analoga al contributo di solidarieta' del 10%;
 con l'art. 1, comma 194, legge n.  662/1996,  il  legislatore  si  e'
 perfettamente  adeguato  al  dettato  della  Corte,  esercitando, nei
 limiti indicatigli di "analogia", il potere discrezionale che gli  e'
 proprio;
   In  ordine  al dedotto contrasto con l'art. 3 della Costituzione la
 questione e' manifestamente infondata posto  che  l'aver  fissato  la
 misura  del  contributo nel 15% non viola i principi di eguaglianza e
 di ragionevolezza per le seguenti ragioni:
     1) il paragone con il contributo del 10% previsto per il  periodo
 successivo  al 30 giugno 1991 conferma il pieno rispetto dell'art.  3
 Cost., che impone di trattare  in  modo  uguale  solo  le  situazioni
 uguali ed invece in modo proporzionalmente diverso quelle differenti;
 nel  caso  di  specie,  la  piu'  alta  percentuale per il passato si
 giustifica (ed  anzi  si  impone),  considerando  che  si  tratta  di
 pagamenti  che  avrebbero dovuto effettuarsi anni prima e per i quali
 lo stesso  legislatore  ha  rinunciato  ad  oneri  aggiuntivi  ed  ha
 concesso  una  rateizzazione  triennale  e che i detti versamenti, in
 mancanza  di  intervento   legislativo,   avrebbero   dovuto   essere
 effettuati  nella  misura  intera,  alla  luce dell'art. 12, legge n.
 153/1969, come interpretato dalla Corte di cassazione;
     2) il paragone con la contribuzione intera, ben maggiore, non  fa
 che confermare la natura di vero e proprio contributo di solidarieta'
 dell'imposizione in misura del 15%, anche per quanto appena detto;
     3)  il  paragone  con  le  norme  che  disciplinano la misura dei
 versamenti  per  i  fondi  integrativi  dell'editoria  e'  del  tutto
 inconferente, trattandosi di ambito settoriale, inidoneo a fungere da
 tertium comparationis;
   Non  vi e' contrasto con gli artt. 47 e 53 Cost., non rilevando, ai
 fini del giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  le  motivazioni
 (peraltro,  nella  specie,  neppure individuabili) che hanno mosso il
 legislatore;
   Rimane  da  esaminare la questione relativa alla illegittimita' del
 mutamento del regime prescrizionale. L'art. 1, comma  194,  legge  23
 dicembre  1996,  n.  662,  nella parte in cui dispone che i datori di
 lavoro sono tenuti al pagamento  di  contributi  previdenziali  sulle
 somme  versate  a  finanziamento  di  fondi privati "limitatamente al
 periodo contributivo dal 1 settembre  1985  al  30  giugno  1991,  in
 deroga alle disposizioni di cui all'art. 3, commi 9 e 10, della legge
 8 agosto 1995, n. 335", fa emergere piu' di un dubbio di legittimita'
 costituzionale.
   La  norma sembra in primo luogo violare il principio della certezza
 del diritto, riconducibile, secondo la Corte costituzionale, all'art.
 3 Cost.
   La  deroga  disposta  rispetto  alla  generale   disciplina   della
 prescrizione dei crediti previdenziali, con indicazione di un termine
 iniziale  di  esigibilita'  (1  settembre  1985)  di oltre dieci anni
 anteriore alla propria entrata in vigore, comporta la  riapertura  di
 rapporti  ormai  chiusi  per  effetto  della  prescrizione  decennale
 maturata in base all'art. 3, commi 9 e 10, legge 8  agosto  1995,  n.
 335,   applicabile   anche  alle  contribuzioni  relative  a  periodi
 precedenti.
   Prima ancora, pero', e' la stessa individuazione di  termini  fissi
 di  esigibilita'  a  violare il principio della certezza del diritto,
 giacche'  l'espressa  deroga  alle  norme  sulla  prescrizione  rende
 evidente  come  il  legislatore  abbia  voluto  concedere  agli  enti
 previdenziali di richiedere in ogni tempo le  contribuzioni  relative
 al  periodo  indicato,  cosi'  disponendo l'imprescrittibilita' di un
 diritto di credito.
   In  secondo  luogo,  emerge  una  violazione   del   principio   di
 uguaglianza stabilito dallo stesso art. 3 della Costituzione.
   I  datori  di lavoro che nello stesso periodo considerato dal comma
 194 cit. sono rimasti inadempienti nel  pagamento  di  contributi  di
 previdenza   e   di   assistenza   obbligatoria   diversi  da  quelli
 disciplinati nello stesso comma 194 non sono tenuti al pagamento  dei
 loro  debiti  qualora  si sia compita la prescrizione prevista, anche
 retroattivamente, dall'art. 3, legge n. 335/1995. Viceversa i  datori
 (magari  gli  stessi  di  cui si e' appena detto) che abbiano (anche)
 debiti contributivi  per  somme  versate  a  finanziamento  di  fondi
 privati,   non   possono   mai  sottrarsi  alle  richieste  dell'ente
 previdenziale,  benche'  la  natura  di  questi  ultimi  debiti   non
 differisca da quella dei primi tanto da giustificare la diversita' di
 trattamento.
   L'art.  3  Cost.  pare  esser  stato violato anche sotto il profilo
 della ragionevolezza. La legge  8 agosto 1995, n.  335,  all'art.  1,
 comma  9,  nello  stabilire  i  casi di prescrizione decennale, aveva
 espressamente ricompreso  "il  contributo  di  solidarieta'  previsto
 dall'art.   9-bis,  comma  2,  del  d.-l.  29  marzo  1991,  n.  103,
 convertito, con modificazioni, dalla legge 1 giugno 1991, n. 166".
   E' pur vero  che  il  detto  contributo  di  solidarieta'  e'  solo
 relativo al periodo successivo al giugno 1991, ma non v'e' dubbio che
 anche  il  versamento imposto, per il periodo anteriore, dall'art. 1,
 comma 194, legge n. 662/1996, sia da qualificarsi come contributo  di
 solidarieta',  cosicche'  non  si intravede nessun motivo ragionevole
 nella fissazione, quale termine iniziale di esigibilita', della  data
 del  1  settembre  1985, di oltre dieci anni anteriore all'entrata in
 vigore della legge.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23, legge 11  marzo  1953,
 n. 87;
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata, nei termini di
 cui in parte motiva,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  1,  comma  194,  legge  23  dicembre  1996,  n.  662  - in
 riferimento all'art. 3  Cost.  -  nella  parte  in  cui  sottopone  a
 contribuzione   i   datori   di   lavoro  "limitatamente  al  periodo
 contributivo dal 1 settembre 1985 al  30 giugno 1991, in deroga  alle
 disposizioni  di  cui all'art.  3, commi 9 e 10, della legge 8 agosto
 1995, n. 335";
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone che la presente ordinanza  sia  notificata  alle  parti  in
 causa  ed  al  Presidente  del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, a
 cura della cancelleria.
    Torino, addi' 26 marzo 1998
                          Il pretore: Fierro
 98C0585