N. 393 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 febbraio 1998

                                N. 393
  Ordinanza emessa il 9 febbraio 1998 dalla Corte  d'appello,  sezione
 minorenni  di Torino nel procedimento civile vertente tra S.P. e B.F.
 ed altra
 Adozione e affidamento - Adozione in casi particolari -  Decreto  del
    tribunale che dispone l'adozione - Impugnabilita' con reclamo alla
    Corte  d'appello  da  parte  dell'adottante,  dell'adottando e del
    pubblico  ministero  -  Mancata  previsione  della  legittimazione
    all'impugnazione  altresi'  del genitore naturale dell'adottando -
    Ingiustificato  deteriore  trattamento  del  genitore naturale con
    incidenza sul diritto di  difesa  in  giudizio  -  Violazione  del
    diritto  del  minore  ad  essere educato nell'ambito della propria
    famiglia.
 (C.C. art. 313; legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 56, comma quarto).
 (Cost., artt. 3, 24 e 30).
(GU n.23 del 10-6-1998 )
                          LA CORTE D'APPELLO
                           Premesso in fatto
   Ha pronunciato, ai sensi dell'art. 44, lett.  b),  della  legge  n.
 184/1983, l'adozione della minore S. X. da  parte di B. F.;
   La  minore  S.  X., nata a Ufa (Fed. Russa) il 23 dicembre 1982, e'
 figlia di S. P. S., redidente in Ufa, e di I. T., residente in Aosta;
   I genitori della minore sono divorziati (vedasi sentenza in data 17
 luglio 1992, del tribunale popolare della regione  Kalinisky,  citta'
 di  Ufa,  e  certificato  in  data  13 agosto 1992 di scioglimento di
 matrimonio dell'ufficio atti stato civile vistato in data  27  maggio
 1994 dall'Ambasciata d'Italia a Mosca;
   In  data  5  ottobre  1995  la  madre  della  minore  ha  contratto
 matrimonio con B. F., abitante in Aosta;
   Il 9 novembre  1995,  B.  F.  ha  presentato  al  tribunale  per  i
 minorenni  di  Torino  domanda  di adozione "in casi particolari", ai
 sensi dell'art.  44, lett. b), legge n. 184/1983;
   Il 22 novembre 1995, il padre  della  minore  ha  reso  innanzi  al
 notaio  moscovita  una  dichiarazione,  indirizzata  alla Questura di
 Aosta, con la quale egli da' il suo  consenso  per  la  vita  di  sua
 figlia  S.  K. P. nata il 23 dicembre 1982 a Ufa in Italia con la sua
 madre I.  T. G. che ha sposato un cittadino italiano";
   Il tribunale  per  i  minorenni  con  decreto  30  aprile  1996  ha
 pronunziato   l'adozione,  osservando,  fra  l'altro,  che  "c'e'  il
 consenso-assenso  della  madre  ed   anche   del   padre   che,   con
 dichiarazione  resa il 22 novembre 1995 al notaio Akhmetzianova della
 Repubblica di Bashkortostan, ha prestato il proprio consenso  per  la
 vita  di  sua figlia S. K. P.  in Italia con sua madre che ha sposato
 un cittadino italiano";
   Con lettera raccomandata 27 giugno 1996, pervenuta a  questa  Corte
 in  data  12 luglio 1996, e con successiva lettera 29 giugno 1996, lo
 S.  P.,  facendo  riferimento  alla  "lettera  del  tribunale  per  i
 minorenni di Torino del 12 giugno 1996, che afferma di avere ricevuta
 il  25  giugno  1996"  (trattasi,  evidentemente,  della notifica del
 decreto di adozione), dichiara di opporsi all'adozione della figlia;
   Il p.g.  in  data  25  settembre  1996  esprime  parere  favorevole
 all'accoglimento  del  reclamo,  osservando  che  "il  sig.  S. aveva
 consentito soltanto (ed in modo chiarissimo) che  la  moglie  tenesse
 seco  la figlia, nella convivenza della ex coniuge con il sig. B."; e
 con successivo parere osserva: "L'art. 313, comma  2,  c.c.,  esclude
 che   il  genitore  dell'adottando  possa  impugnare  il  decreto  di
 adozione; nemmeno nel caso in cui il suo dissenso impone  (art.  297,
 comma  2,  c.c.)  una particolare procedura.  Tale preclusione appare
 contraria ai principi costituzionali della tutela piena  dei  diritti
 (art.  24,  comma  1);  e  dell'eguaglianza  (art.    3),  nella  sua
 proiezione processuale,  della  parita'  fra  le  parti.    La  Corte
 valutera' se rimettere gli atti alla Corte costituzionale";
                         Osservato in diritto
   Prima   di  esaminare  il  merito  del  reclamo,  e'  pregiudiziale
 verificare la legittimazione dello S. all'impugnazione.
   Ai sensi dell'art. 313, c.c., come sostituito dall'art. 65, legge 4
 maggio 1983 n. 184, applicabile all'adozione, "in  casi  particolari"
 (art. 44, legge n. 184/1983) in forza del richiamo da parte dell'art.
 56,  comma  4,  stessa  legge,  "l'adottante,  il pubblico ministero,
 l'adottando,  entro  trenta  giorni  dalla   comunicazione,   possono
 impugnare  il decreto del tribunale con reclamo alla Corte d'appello,
 che decide in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero".
   Poiche'  il genitore dell'adottando non figura fra i soggetti sopra
 elencati, il  suo  reclamo  andrebbe  dichiarato  inammissibile,  con
 preclusione  di  ogni  valutazione sul merito dello stesso. Ed in tal
 senso si e' pronunciata la Suprema Corte (v. Cassazione  civile  sez.
 I, 10 giugno 1987, n. 5049, in Giust. civ. 1987, I, 2854).
   Per quanto sopra, e' anzitutto evidente la rilevanza, ai fini della
 decisione  da  parte di questa Corte, della questione di legittimita'
 costituzionale della norma predetta; o, piu' precisamente -  per  non
 trascendere  i  limiti  della  rilevanza della questione nel presente
 giudizio, che verte su una adozione "in  casi  particolari"  ex  art.
 44,  legge  n.  184/1983  -  della norma di cui all'art. 56, comma 4,
 legge 184/1983 nella parte  in  cui,  disponendo  che  alla  predetta
 adozione si applica l'art. 313, c.c., non contempla anche il genitore
 fra  i  soggetti  legittimati  ad  impugnare  il  decreto di adozione
 mediante reclamo alla Corte d'appello.
   Questione che questa Corte ritiene di sollevare,  giudicandola  non
 manifestamente  infondata,  sotto  il  profilo  di un contrasto della
 citata norma con gli artt. 3, 24 e 30 della Costituzione.
    In proposito si osserva:
     a parita' di rilevanza - ai fini della pronuncia dell'adozione  -
 delle  manifestazioni  di volonta' rese dall'adottante e dal genitore
 dell'adottando nel corso della procedura ex art. 44,  nell'ambito  di
 una  disciplina  ove l'interesse del minore e' comunque valutato come
 prioritario e preminente  rispetto  a  quello  degli  altri  soggetti
 chiamati  a  interloquire nella procedura di adozione; e a parita' di
 un  potenziale  interesse  dei  predetti  soggetti  ad  impugnare  il
 relativo  decreto, appare violare il principio di eguaglianza sancito
 dall'art. 3 della Costituzione la  norma  che  legittima  al  reclamo
 l'adottante e non, invece, il genitore dell'adottando.
   Una  tale disparita' di trattamento appare non ragionevole ed ancor
 piu' ingiustificata in relazione al fatto   che - fermo  restando  il
 suddetto  principio della preminenza finale dell'interesse del minore
 rispetto a quello  di  altri  soggetti  -  il  genitore  naturale  e'
 portatore di una posizione soggettiva di rilevanza costituzionale (il
 diritto-dovere   di   cui   all'art.   30   della  Costituzione)  non
 riconosciuta, invece, ad altri soggetti legittimati al reclamo di cui
 all'art. 313, c.c.
   Cosi', malgrado che l'assenso del genitore  rilevi  ai  fini  della
 pronuncia  del  decreto di adozione ex art. 44 legge citata, non solo
 quale espressione di un diritto, ma  anche  come  espressione  di  un
 "dovere"  (del che si dira' anche oltre), il genitore stesso viene ad
 essere irragionevolmente escluso dalla possibilita'  di  interloquire
 sull'adozione del figlio minore.
   Parimenti  ingiustificata  appare  la  diversita' di disciplina dei
 poteri d'impugnativa del genitore dell'adottando  ex  art.  44  legge
 citata,  rispetto  a  quella  concernente  il  genitore privato della
 potesta' in forza di provvedimento ex art. 330, c.c.
   La  diversa  natura  e  funzione  dei  due  tipi  di  provvedimenti
 (incidente  su  status  il  primo, incidente sul mero esercizio della
 potesta', e  soltanto  rebus  sic  stantibus  il  secondo)  non  puo'
 giustificare  una  diversa  regolamentazione,  nei  due  casi,  della
 legittimazione al reclamo,  atteso  che  trattasi,  in  entrambi,  di
 provvedimenti   di   volontaria  giurisdizione,  ispirati  al  comune
 principio della prioritaria valutazione dell'interesse del minore.
   Ne'   parrebbe   sostenibile   che   la   mancata   previsione   di
 un'impugnativa  dei  provvedimenti  ex  art. 44, legge n. 184/1983 da
 parte del genitore dell'adottando  corrisponda  all'esigenza  di  una
 rapida   definizione   dei   rapporti  giuridici  inerenti  a  status
 familiari: e cio' perche' una  tale  esigenza  avrebbe  giustificato,
 semmai,  la previsione della inoppugnabilita' del decreto, e non gia'
 una sua impugnabilita' ad opera di alcuni, e non di altri, soggetti.
   D'altronde,  una  siffatta  esigenza  non  ha  certo  impedito   al
 legislatore, in casi di provvedimenti analogamente vertenti su status
 (cfr.  la disciplina del procedimento per la declaratoria dello stato
 di adottabilita' di cui alla stessa legge n. 183/1984), di attribuire
 al genitore dell'adottabile ampie  possibilita'  di  interloquire  in
 merito  al  futuro  del  figlio,  senza  limitazioni  sul piano della
 legittimazione ad impugnare i provvedimenti emessi  nel  corso  della
 procedura.
   Tali    considerazioni    evidenziano    l'ulteriore   profilo   di
 illegittimita'  costituzionale  della  normativa  in  questione,   in
 riferimento agli artt. 24 e 30 della Costituzione.
   Con  la  gia' citata sentenza 10 giugno 1987, n. 5049 la Cass. sez.
 I, con riferimento peraltro a fattispecie in parte diversa da  quella
 oggetto del presente giudizio (il genitore naturale, sentito in primo
 grado e dissenziente rispetto all'adozione del figlio, aveva proposto
 reclamo,  dichiarato  inammissibile per difetto di legittimazione) ha
 giudicato  manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 65, legge 184/1983 sollevata con riferimento
 al  solo  art.  30  della  Costituzione, ritenendo che il prospettato
 contrasto non  era  ipotizzabile  "in  rapporto  all'esclusione,  dal
 novero  dei soggetti legittimati all'impugnazione accordata dall'art.
 65, del genitore naturale; il cui rifiuto di  assenso  dell'adozione,
 diretta  a  rimediare  alle carenze del nucleo familiare originario e
 dei genitori naturali, non  ha  effetto  vincolante  per  il  giudice
 sollecitato  dalla  legge  ad  aver  riguardo al prevalente interesse
 dell'adottando". Cio' la  Corte  ritenne,  dopo  aver  osservato  che
 "l'art. 46 ... richiede per l'adozione  l'assenso dei genitori (oltre
 quello  del  coniuge) dell'adottando: ma come espressione di volonta'
 non condizionante, visto che anche in caso di  rifiuto  quell'assenso
 ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando, il tribunale
 puo'  non  tenerne conto ed ugualmente pronunziare l'adozione. Il che
 fa escludere che solo in cosiderazione della richiesta di assenso  di
 cui  al  citato  art.  46  possa  riconoscersi  conferita al genitore
 naturale, nel procedimento di adozione in casi particolari (art. 44 e
 ss.) la qualifica e la posizione di parte".
   Questa  Corte  dissente  da  tale  impostazione,  osservando che il
 ridotto  rilievo   sostanziale   accordato   dal   legislatore   alla
 manifestazione  di volonta' del genitore (il quale, ove dissenziente,
 non puo' intralciare un'adozione utile agli interessi al minore)  non
 giustifica in alcun modo una contrazione dei suoi poteri processuali,
 e,   quindi,   la   sua   esclusione   dal   novero  dei  legittimati
 all'impugnazione del decreto di adozione.
   Tale conclusione appare ancor piu' ingiustificata laddove, come nel
 caso in ispecie, il genitore non sia stato per nulla sentito, sicche'
 non abbia  potuto  assumere  neanche  quella  limitata  "qualifica  e
 posizione di parte" di cui alla citata sentenza.
   Ma  -  si osserva incidentalmente - anche il genitore che sia stato
 sentito, ma abbia dissentito, puo' avere interesse  ad  impugnare  il
 decreto  di  adozione,  vuoi  per  contestare la valutazione data dal
 tribunale in merito alla pretesa  irragionevolezza  del  dissenso  di
 esso  genitore, vuoi, piu' in generale, per contestare che l'adozione
 corrisponda agli interessi  del  minore:  un'iniziativa  processuale,
 quindi,  non  solo  oggetto  di  diritto, ma anche costituzionalmente
 doverosa ex art. 30 della Costituzione.
   Per  cio'  che  concerne   l'ultimo   profilo   di   illegittimita'
 costituzionale,  gia' piu' volte richiamato, si rileva che proprio in
 applicazione dell'art. 30 della Costituzione, la legge n. 184/1983 ha
 stabilito il principio secondo cui il minore ha  "diritto  di  essere
 educato  nell'ambito della propria famiglia" (art. 1), ed ha poi dato
 concreta attua-zione a tale principio riconoscendo ampio spazio  alle
 possibilita'  di  intervento e di impugnativa del genitore del minore
 nei cui confronti si prospetti  una  soluzione  di  vita  diversa  da
 quella  programmaticamente  indicata  dall'art.  1  come  prioritaria
 rispetto ad altre (cfr. procedimento per la declaratoria di stato  di
 adottabilita').
   L'art. 313 c.c. rappresenta un'ingiustificata eccezione nell'ambito
 di  una normativa ispirata a principi di rilevanza costituzionale.  E
 seppure  il  diritto  di  cui  all'art.  30  della  Costituzione   si
 affievolisca  quando  il  preminente  interesse  del minore richieda,
 temporaneamente o definitivamente, la sostituzione del  genitore  nei
 suoi  compiti,  cio'  non  toglie  che  decidere  quando questo debba
 avvenire, significa risolvere  un  conflitto  rispetto  al  quale  il
 genitore   non   puo'   considerarsi   carente   di  interesse  e  di
 legittimazione (arg. ex Cass. 25 giugno 1987, n. 5592).
                                 P.Q.M.
   Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 313, c.c. - nei limitati sensi
 sopra precisati - e comunque della norma di cui all'art. 56, comma 4,
 legge  184/1983,  per  violazione  degli  artt.  3,  24  e  30  della
 Costituzione  nella  parte  in  cui,  disponendo che alla adozione in
 "casi particolari" ex art. 44 stessa legge  si  applica  l'art.  313,
 c.c.,  non contempla anche che il genitore fra i soggetti legittimati
 ad impugnare il decreto  di  adozione  mediante  reclamo  alla  Corte
 d'appello;
   Ordina    l'immediata    trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale e sospende il presente giudizio.
   Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza sia notificata alle
 parti, al Procuratore  Generale,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Torino, addi' 9 febbraio 1998
                  Il consigliere estensore: Vassallo
                                             Il presidente: Mancinelli
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