N. 408 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 febbraio 1998

                                N. 408
  Ordinanza  emessa  il  13 febbraio 1998 dal tribunale di Potenza nel
 procedimento civile vertente tra Laraia Teresa ed altri e  comune  di
 Laurenzana
 Espropriazione per pubblica utilita' - Criterio per la determinazione
    delle  indennita'  espropriative  per la realizzazione di opere da
    parte o per conto dello Stato o di altri enti pubblici (media  tra
    il  valore dei terreni ed il reddito dominicale rivalutato, con la
    riduzione dell'importo cosi' determinato del quaranta per cento) -
    Estensione di detto criterio di valutazione anche alla misura  dei
    risarcimenti  dovuti  per illegittime occupazioni acquisitive, con
    l'aumento dell'importo stesso del 10 per cento  in  considerazione
    della  incostituzionalita'  del precedente criterio dichiarata con
    sentenza n. 369/1996 - Ritenuta  persistente  inadeguatezza  della
    nuova  misura  del  risarcimento  -  Incidenza  sul  principio  di
    uguaglianza,  sul  diritto  di  proprieta'  e  sui   principi   di
    imparzialita' e buon andamento della p.a.
 (Legge  8  agosto  1992,  n.  359,  art. 5-bis, comma 7-bis; legge 23
    dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65).
 (Cost., artt. 3, primo comma, 42, secondo comma, e 97, primo comma).
(GU n.24 del 17-6-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile in  primo  grado
 iscritta,  in  data  15  giugno  1989, col. n. 1176 al ruolo generale
 dell'anno 1989 vertente  tra  Laraia  Teresa,  Laraia  Maria,  Laraia
 Antonia,  Laraia  Francesco  Saverio  e  Laraia  Rocco, elettivamente
 domiciliati in Potenza,  alla  via  Vaccaro,  31,  presso  lo  studio
 dell'avv.  Vincenzo  Laurita  che  li  rappresenta  e difende come da
 mandato a  margine  dell'atto  di  citazione,  attori,  e  comune  di
 Laurenzana,  elettivamente  domicilato in Potenza, alla via Viggiani,
 8, presso lo studio dell'avv. Michele Romano  che  lo  rappresenta  e
 difende come da delibera della giunta municipale n. 240 del 18 luglio
 1989  e conseguente mandato a margine della comparsa di costituzione,
 convenuto.
                                Premesso
     che con di atto di citazione notificato il  13  giugno  1989  gli
 attori  Laraia Teresa, Laraia Maria, Laraia Antonia, Laraia Francesco
 Saverio e Laraia Rocco convenivano dinanzi al tribunale di Potenza in
 comune  di  Laurenzana,  in  persona  del  suo  sindaco  pro-tempore,
 chiedendo  il  pagamento  dell'indennita' di occupazione di urgenza e
 dell'importo loro spettante per risarcimento  del  danno  conseguente
 all'interversione nel possesso e nella proprieta' di un fondo gia' di
 loro   proprieta'  ed  occupato  dal  comune  di  Laurenzana  per  la
 costruzione di un fabbricato da destinare a caserma dei Carabinieri;
     che non appare controversa la titolarita' dell'originario diritto
 di proprieta' del bene occupato in testa agli attori e che l'opera in
 questione   risulta   essere    stata    effettivamente    realizzata
 successivamente  alla scadenza dei termini dell'occupazione legittima
 (attuata con decreto n. 1/1984, prot. n. 2365, dell'8 maggio 1984)  e
 senza  che  mai  intervenisse il decreto di espropriazione del fondo,
 determinandosi quindi l'occupazione acquisitiva dello stesso;
     che nelle more del giudizio e' intervenuta la nuova normativa  in
 materia   di  liquidazione  del  danno  da  occupazione  illegittima,
 contenuta nel comma 7-bis, dell'art.  5-bis,  della  legge  8  agosto
 1992, n. 359, aggiunto dall'art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre
 1996, n. 662, a norma del quale "n caso di occupazioni illegittime di
 suoli per causa di pubblica utilita', intervenute anteriormente al 30
 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno i criteri
 di   determinazione  dell'indennita'  di  cui  al  primo  comma,  con
 esclusione della riduzione del 40 per cento. In  tal  caso  l'importo
 del risarcimento e' altresi aumentato del 10 per cento";
     che  tale  disposizione si applica anche ai procedimenti in corso
 non ancora definiti con sentenza passata in giudicato.
                             O s s e r v a
   La norma in questione risulta emanata dal legislatore dopo  neppure
 due  mesi  dalla declaratoria di incostituzionalita' della previgente
 disciplina della liquidazione del danno  da  occupazione  illegittima
 contenuta nel comma 6, dell'art. 5-bis, della legge 8 agosto 1992, n.
 359.
   A  parere di questo tribunale, peraltro, neppure la nuova normativa
 in esame  si  sottrae  da  fondati  dubbi  di  costituzionalita'  che
 impongono  quindi la rimessione della questione al vaglio del giudice
 delle leggi.
   A  questo  fine  appare  positiva la verifica dei presupposti della
 rilevanza nel presente giudizio della norma in questione e della  non
 manifesta  infondatezza  della  questione  di costituzionalita' della
 medesima.
   Sotto il primo profilo deve, infatti, rilevarsi  che  nel  caso  di
 specie  risulta  venuta  all'esame  di  questo  tribunale  una tipica
 fattispecie  di  occupazione   appropriativa   caratterizzata   dalla
 sussistenza  di  tutti  i  requisiti  che  la  denotano  (intervenuta
 dichiarazione di pubblica utilita'  implicita  nell'approvazione  del
 progetto dell'opera da eseguire; mancata emanazione del provvedimento
 di  espropriazione; realizzazione dell'opera pubblica con conseguente
 irreversibile trasformazione ed incorporazione del fondo).
   Quanto poi alla non manifesta infondatezza essa risulta,  a  parere
 di questo tribunale, dai rilievi che seguono:
     1)  preliminarmente  va osservato che, secondo l'assunto espresso
 dallo stesso giudice delle leggi con la sentenza 2 novembre 1996,  n.
 369,  la disciplina della misura del risarcimento del danno derivante
 da accessione invertita si pone quale risultante di un  bilanciamento
 di interessi sostanzialmente diverso da quello caratterizzante invece
 la  determinazione  dell'entita'  dell'indennizzo  da liquidare nelle
 fattispecie  in  cui   la   procedura   ablatoria   si   sia   svolta
 legittimamente.
   Piu' precisamente, mentre nel primo caso la misura del risarcimento
 dovrebbe realizzare il punto di equilibrio  "tra l'interesse pubblico
 al  mantenimento  dell'opera  pubblica  gia' realizzata e la reazione
 dell'ordinamento a tutela della legalita' violata per  effetto  della
 manipolazione-distruzione  illecita  del  bene  privato", nel secondo
 alla base della quantificazione dell'indennizzo sarebbe l'equilibrato
 componimento "tra interesse pubblico alla realizzazione dell'opera  e
 interesse del privato alla conservazione del bene".
   Di   qui   l'illegittimita'   della   parificazione   del   quantum
 risarcitorio  alla  misura  dell'indennizzo   sancita   dalla   Corte
 costituzionale  con la sentenza 2 novembre 1996, n. 369, sia sotto il
 profilo della ragionevolezza intrinseca ex art. 3 della  Costituzione
 (risultando nella occupazione appropriativa l'interesse pubblico gia'
 essenzialmente soddisfatto dalla non restituibilita' del bene e dalla
 conservazione  dell'opera  pubblica),  sia sotto quello dell'art. 42,
 comma 2, Cost., evidentemente vulnerato dalla perdita di garanzia che
 al diritto di proprieta' deriverebbe laddove tale equiparazione fosse
 accolta.
   Tanto premesso, deve  tuttavia  rilevarsi  come  il  meccanismo  di
 determinazione del risarcimento del danno introdotto dal comma 7-bis,
 dell'art.    5-bis,  della  legge  8  agosto  1992,  n. 359, aggiunto
 dall'art. 3, comma 65, della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662,  a
 seguito  della  declaratoria  di  illegittimita' costituzionale della
 precedente disciplina, appaia sostanzialmente  elusivo  dei  principi
 posti  dalla  Corte alla base della sua pronuncia e si esponga quindi
 alle medesime censure gia' formulate in precedenza.
   In particolare, il persistente riferimento  ai  criteri  (semisomma
 tra  il  valore  venale ed il reddito dominicale rivalutato) previsti
 dal comma 1, dell'art. 5-bis, della legge 8 agosto 1992, n. 359,  per
 la quantificazione dell'indennita' di espropriazione, pur se corretto
 con  l'esclusione  della  detrazione  del  40  per  cento prevista in
 relazione  a  questa  e  con l'aumento del 10 per cento rispetto alla
 somma  cosi'  ottenuta,  non  vale  evidentemente  ne'  ad  esprimere
 coerentemente  la  "radicale  diversita'  strutturale  e  funzionale"
 dell'obbligazione risarcitoria rispetto a quella indennitaria, ne'  a
 realizzare  quella  riparazione  adeguata  che,  anche  a prescindere
 dall'attuazione  della  regola  generale   della   integralita'   dei
 risarcimento  del  danno da illecito, deve comunque essere assicurata
 in tali ipotesi dal legislatore.
   In questo senso va infatti sottolineato come  l'unico  elemento  di
 novita'   introdotto   dalla   norma   in   esame  sia  rappresentato
 dall'aumento del 10 per cento sancito per le ipotesi di  risarcimento
 conseguente   ad  occupazione  appropriativa  rispetto  all'ammontare
 ordinario dell'indennizzo, dovendosi infatti dubitare che l'ulteriore
 detrazione del 40 per  cento  avrebbe  potuto  essere  effettivamente
 applicata   a   fattispecie   che   come  quelle  in  esame  appaiono
 sostanzialmente   incompatibili   con   l'istituto   della   cessione
 volontaria.
   La  stessa  affermazione  fatta  dalla  Corte  costituzionale nella
 citata pronuncia n. 369/1996  secondo  cui  anche  nelle  ipotesi  di
 occupazione  privativa  sarebbe  possibile  al  proprietario del bene
 accettare in via transattiva l'offerta del valore mediato del suolo e
 quindi, in mancanza di tale accettazione, applicare al danneggiato la
 detrazione del 40 per cento,  appare,  infatti,  chiaramente  fondata
 sull'estensione  a  tale  caso degli effetti dell'intervento additivo
 operato sul testo dell'art. 5-bis, della legge 8 agosto 1992, n. 359,
 dalla pronuncia della  Consulta  del  10  giugno  1993,  n.  283,  in
 relazione   all'indennita'   di  esproprio  e  conseguentemente  deve
 ritenersi vada intesa come limitata alle sole  occupazioni  privative
 perfezionatesi  anteriormente  all'entrata  in  vigore della legge n.
 359/1992.
   Eccezion fatta per tali casi  di  diritto  transitorio,  l'istituto
 della   cessione   volontaria   deve  invece  considerarsi  non  solo
 astrattamente incompatibile sotto  il  profilo  funzionale  con  ogni
 ipotesi  di occupazione acquisitiva, risultando la sua applicabilita'
 indissolubilmente  connessa  con  lo  svolgimento  di   un   regolare
 procedimentoespropriativo,  ma  neppure concretamente utilizzabile in
 tali casi, in quanto essendo gia' intervenuto  un  titolo  traslativo
 della proprieta' del bene (l'occupazione appropriativa da parte della
 p.a.  appunto)  l'operativita' della fattispecie negoziale rimarrebbe
 comunque preclusa.
   Da cio' la  conseguenza  che  l'unico  elemento  differenziale  tra
 ammontare  dell'indennizzo  e  quantum  risarcitorio introdotto dalla
 norma   denunciata   rispetto   alla   previgente   disciplina    sia
 effettivamente  costituito  dal  menzionato  aumento del 10 per cento
 che, sebbene pari ad una somma di poco superiore al 5 per  cento  del
 valore  venale  del  bene  (stante  la  particolare  esiguita'  della
 componente  di   calcolo   rappresentata   dal   reddito   dominicale
 rivalutato),  negli intenti del legislatore dovrebbe esprimere sia la
 "radicale  diversita'  strutturale  e  funzionale"   ritenuta   dalla
 pronuncia  n.  369/1996  tra  l'obbligazione  risarcitoria  e  quella
 indennitaria, sia attuare quell'intervento normativo "ragionevolmente
 riduttivo della misura della riparazione" dovuta in questi casi dalla
 pubblica amministrazione.
   L'ammontare   palesemente  irrisorio  della  somma  rende  tuttavia
 evidente la sua inadeguatezza allo scopo e la portata sostanzialmente
 elusiva dei  principi  affermati  dalla  Corte  costituzionale  nella
 sentenza   n.   369/1996   caratterizzante  il  nuovo  meccanismo  di
 determinazione del risarcimento del  danno,  nei  cui  confronti  non
 possono  quindi  non  riproporsi  le  medesime  censure relative alla
 violazione degli artt. 3, comma primo, 42, comma secondo, e 97, comma
 primo, della Costituzione gia' positivamente apprezzate  dal  giudice
 delle  leggi  in  relazione alla previgente disciplina legislativa in
 materia.
   Peraltro, deve osservarsi che la norma denunciata non sembra idonea
 a realizzare la ragionevole riduzione dell'ammontare del risarcimento
 ritenuta ammissibile dalla Corte nella citata sentenza n. 369/1996 in
 relazione alle ipotesi di  c.d.  accessione  invertita  non  solo  in
 ragione  dell'ammontare  previsto,  ma  per  gli  stessi parametri di
 riferimento e commisurazione assunti a tale fine  dal  legislatore  e
 che,  coincidendo  con  quelli utilizzati per la determinazione della
 misura dell'indennizzo espropriativo, non appaiono tali da  esprimere
 adeguatamente   la   diversa  struttura  e  funzione  caratterizzante
 l'obbligazione risarcitoria.
   La semplice maggiorazione percentuale disposta  su  di  un  importo
 derivante  dall'applicazione  al  caso  concreto del criterio mediato
 (semisomma tra il valore venale ed il reddito dominicale rivalutato)
  previsto dal comma 1, dell'art. 5-bis, della legge 8 agosto 1992, n.
 359, per la determinazione  dell'indennita'  di  espropriazione,  non
 puo'  infatti  essere  in grado di riportare nell'ambito della logica
 risarcitoria un meccanismo di calcolo rispondente ad esigenze diverse
 ed in cui la  discrezionalita'  legislativa  trova  ampio  ambito  di
 esplicazione, potendo tenere conto delle stesse ragioni della finanza
 pubblica.
   D'altronde,   se   la   ragionevolezza   dell'intervento  normativo
 limitativo  della  misura  del  risarcimento  dipende  effettivamente
 dall'equilibrato   componimento   di   un   complesso   di  interessi
 sostanzialmente diversi  da  quelli  caratterizzanti  le  fattispecie
 espropriative   (quello   dell'amministrazione   alla   conservazione
 dell'opera   di   pubblica   utilita'   assieme    al    contenimento
 dell'incremento di spesa correlativa e quello del privato ad ottenere
 la  riparazione  del danno subito), la ragionevole attuazione di tale
 bilanciamento  postula  necessariamente  un  autonomo  meccanismo  di
 determinazione e limitazione della somma da risarcire che, fondato su
 specifici  criteri,  sia appunto idoneo ad assicurare il contenimento
 del sacrificio dell'interesse privato  alla  totale  riparazione  del
 danno  nei  limiti della stretta strumentalita' alla realizzazione di
 quello pubblico.
   Cio' emerge con ancora maggiore evidenza se si consideri gli  esiti
 controintuitivi   derivanti   dall'utilizzazione  del  meccanismo  di
 determinazione  dell'indennizzo   dovuto   nei   casi   di   regolare
 espropriazione   in  relazione  ad  ipotesi  in  cui  la  misura  del
 risarcimento imposto  alla  p.a.,  seppure  compressa,  sembra  dover
 rispondere  oltre  che  a  una funzione riparatoria anche a quella di
 sanzione per la violazione del  principio  di  legalita'  dell'azione
 amministrativa;
     2)  sotto  altro profilo deve invece rilevarsi l'irragionevolezza
 dei  risultati  che  l'art.  7-bis  determina  riferendosi  in   modo
 onnicomprensivo  alle  "occupazioni illegittime di suoli per cause di
 pubblica utilita'".
   Con  tale  previsione  vengono infatti ad essere accomunate ai soli
 fini  della  determinazione  della  misura  del   risarcimento   aree
 (edificabili,  agricole,  non edificabili) aventi vocazione diversa e
 rispetto alle quali il criterio dell'art. 5-bis non opera  egualmente
 nell'ambito  del  procedimento  di commisurazione della indennita' di
 esproprio  (essendo  infatti  la  sua   operativita'   esplicitamente
 limitata alle aree edificabili).
   Alla  pluralita' di criteri indennitari viene cosi' a far riscontro
 l'unitarieta' del parametro assunto ai fini della determinazione  del
 risarcimento  dovuto  in caso di occupazione acquisitiva delle stesse
 aree, del tutto coincidente peraltro (salvo la maggiorazione  del  10
 per cento e la non operativita' della riduzione del 40 per cento) con
 quello  preordinato alla commisurazione dell'indennizzo espropriativo
 per i suoli edificabili.
   Il che, pure ammettendo che  in  relazione  alle  aree  edificabili
 possa  rispondere  ad  una  logica conforme ai principi enucleati dal
 giudice delle leggi nella  sua  pronuncia  n.  369/1996  (conclusione
 peraltro  da  rigettarsi  alla luce di quanto in precedenza esposto),
 determinerebbe comunque un'irragionevole  disparita'  di  trattamento
 tra  le  ipotesi di espropriazione legittima dei suoli agricoli o non
 edificabili, rispetto a  cui  l'indennizzo  verrebbe  commisurato  ai
 sensi  del  comma  4,  dell'art. 5-bis, della legge 8 agosto 1992, n.
 359, sulla base  del  valore  agricolo  medio  e  quindi  secondo  un
 criterio  prossimo  a quello venale ed i casi di occupazione illecita
 degli stessi in cui, in conseguenza dell'applicazione della norma  di
 cui  all'art.  7-bis,  l'ammontare del risarcimento dovuto dalla p.a.
 verrebbe ad essere quantificato ad un livello inferiore.
   Tali le considerazioni che inducono  il  collegio  a  ritenere  non
 manifestamente  infondata  la questione di costituzionalita' relativa
 al comma 7-bis, dell'art. 5-bis, della legge 8 agosto 1992,  n.  359,
 aggiunto  dall'art.  3,  comma  65,  della legge 23 dicembre 1996, n.
 662, sotto il profilo della violazione degli artt. 3, comma primo,
  42,  comma  secondo,  e  97,  comma  primo,  della  Costituzione  e,
 conseguentemente, a sollevarla d'ufficio.
                                P. Q. M.
   Sospende  il  giudizio,  disponendo  l'immediata trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale;
   Dispone che la presente ordinanza venga  notificata  a  cura  della
 cancelleria  alle  parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri,
 nonche' comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
     Potenza, addi' 13 febbraio 1998
                        Il presidente: Borraccia
 98C0632