N. 426 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 febbraio 1998
N. 426 Ordinanza emessa il 4 febbraio 1998 dal tribunale amministrativo regionale per il Piemonte sul ricorso proposto da Giglio Nicolina contro l'I.N.P.S. Previdenza e assistenza sociale - Pensioni INPS - Previsto pagamento dei rimborsi in sei annualita' e mediante emissioni di titoli di Stato - Estinzione dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della normativa impugnata - Esclusione degli interessi e della rivalutazione monetaria - Lesione dei principi di uguaglianza e del giudice naturale - Incidenza sul diritto di azione e sul potere giurisdizionale. (Legge 28 novembre 1996, n. 608, art. 1, comma 6). (Cost., artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 101, 102 e 104).(GU n.24 del 17-6-1998 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1798 del 1997 proposto da Giglio Nicolina, rappresentata e difesa dall'avv. Umberto Giardini e dall'avv. Alessandro Mazza ed elettivamente domiciliata in Torino, via Piffetti n. 7-bis; Contro l'Istituto nazionale della previdenza sociale, in persona del presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Pier Luigi Tomaselli ed elettivamente domiciliato in Torino, via Roma, 222; Per l'esecuzione del giudicato derivante dalle decisioni n. 2353/93 del 1 aprile 1993 del pretore di Torino, sezione lavoro, e n. 2073 del 14 aprile 1995 del tribunale di Torino, sezione lavoro; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'I.N.P.S.; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore il dott. Italo Caso; Udito alla camera di consiglio del 4 febbraio 1998 l'avv. Mangano, in sostituzione dell'avv. Mazza, per la ricorrente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Riferisce la ricorrente che con sentenza n. 2353/1993 del 1 aprile 1993 il pretore di Torino, sezione lavoro, ne riconosceva il diritto ad ottenere, a far tempo dal 1 ottobre 1983, l'importo della "pensione di reversibilita' in misura pari a quello percepito il mese precedente con la perequazione automatica successiva", e conseguentemente condannava l'I.N.P.S. a corrisponderle le differenze rispetto alle somme effettivamente erogate, oltre agli interessi di legge dal 121 giorno successivo alla domanda amministrativa, con rifusione delle spese di lite (liquidate in L. 600.000); che, in sede di appello proposto dall'I.N.P.S, il tribunale di Torino dichiarava cessata la materia del contendere sull'appello, stante l'avvenuto riconoscimento del diritto controverso da parte della medesima amministrazione, e condannava l'appellante al pagamento della meta' delle spese processuali, liquidate per l'intero in L. 1.200.000 (sentenza n. 2073 del 14 aprile 1995); che le sentenze suindicate passavano in giudicato il 14 aprile 1996 e venivano notificate all'I.N.P.S. il 4 aprile 1997; che, nonostante l'atto di messa in mora del 27 giugno 1997, detta amministrazione non ha tuttora provveduto a dare esecuzione al giudicato; che, in ragione di tale inerzia, si rende necessaria l'adozione delle misure necessarie a garantire l'ottemperanza alla decisione del giudice ordinario, compresa la nomina di un Commissario ad acta. Si e' costituito in giudizio l'I.N.P.S., opponendosi all'accoglimento del ricorso. In particolare, con memoria del 28 settembre 1997, e' stata eccepita la carenza del giudicato, in quanto le decisioni invocate ricadrebbero nell'ambito di operativita' dei decreti-legge n. 166/1996, n. 295/1996, n. 396/1996 e n. 499/1996 (non convertiti in legge, ma i cui effetti sono stati fatti salvi dall'art. 1, comma 6, della legge n. 608/1996), a norma dei quali - per le controversie del tipo di quella instaurata dalla ricorrente - sarebbero inefficaci le sentenze non ancora passate in giudicato; in ogni caso, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 662 del 1996, l'amministrazione avrebbe gia' liquidato alla ricorrente, fin dal 1 gennaio 1996 (e con riferimento ai ratei maturati dal gennaio 1991), una pensione piu' favorevole di quella ora richiesta, e comunque difetterebbero i presupposti di legge per la corresponsione di quanto preteso relativamente al periodo successivo al 31 dicembre 1986. Con memoria del 30 gennaio 1998 la ricorrente ha controdedotto alle osservazioni dell'amministrazione. Ha rilevato come, al venir meno dell'ultimo dei decreti-legge della serie (con conseguente decadenza ex tunc), la decisione che la riguarda sia regolarmente passata in giudicato, sicche' la norma di sanatoria ha inciso retroattivamente sulla decisione stessa privandola di ogni effetto; e cio' in violazione degli artt. 77, 25, 53 e 3 della Costituzione, a meno di non voler privilegiare un'interpretazione della normativa di sanatoria che la sottragga ad una censura di incostituzionalita', nel senso di ritenerla limitata alle ipotesi in cui l'I.N.P.S. abbia adottato "atti" o "provvedimenti", si' da lasciar sopravvivere i giudicati medio tempore formatisi. Alla camera di consiglio del 4 febbraio 1998, ascoltato il rappresentante della ricorrente, la causa e' passata in decisione. D i r i t t o Assumendo l'avvenuto passaggio in giudicato della decisione n. 2353/1993 con cui il pretore di Torino le aveva riconosciuto il diritto alla c.d. "cristallizzazione" del trattamento pensionistico di reversibilita' in godimento dal 1 ottobre 1983 e aveva condannato l'I.N.P.S. alla corresponsione delle competenze conseguentemente maturate e dei relativi interessi legali (pronuncia non riformata in appello da tribunale di Torino, sez. lavoro, 14 aprile 1995, n. 2073), la ricorrente ha promosso il giudizio di ottemperanza ex art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, al fine di veder coattivamente attuato quanto statuito dal giudice ordinario e non portato ad esecuzione dall'ente previdenziale. Secondo quest'ultimo, pero', non si sarebbe formato il giudicato - e quindi difetterebbe la pretesa dedotta -, in quanto alla data del 14 aprile 1996 era in vigore il decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166 (i cui effetti sono stati poi fatti salvi dall'art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608), che dichiarava inefficaci i provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato, se inerenti la materia della "cristallizzazione" dei trattamenti pensionistici integrati al minimo (v. art. 1, comma 3); per espressa volonta' del legislatore, allora, la pronuncia ottenuta dalla ricorrente non avrebbe acquisito l'autorita' di cosa giudicata, cosi' da precluderne il diritto in questa sede azionato. L'eccezione dell'amministrazione resistente e' fondata. Con sentenza n. 240 del 1994 la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 22, della legge n. 537 del 1993, in materia di disciplina dell'integrazione delle pensioni al trattamento minimo, ripristinando il principio della c.d. "cristallizzazione" della pensione erogata alla data di cessazione del diritto all'integrazione (30 settembre 1983), ovvero riconoscendo il diritto alla conservazione di detto trattamento (comprensivo di un'integrazione non piu' spettante, perche' riferita ad un soggetto gia' titolare di altra pensione integrata al minimo), fino al riassorbimento derivante dalla perequazione automatica della pensione-base; in tal modo, rilevava il giudice di costituzionalita', si consente un passaggio graduale al trattamento pensionistico meno favorevole, salvaguardando la necessita' di distribuire nel tempo gli effetti della compressione delle esigenze di vita cui era precedentemente commisurata la prestazione previdenziale, in ossequio al principio di solidarieta' (sotteso all'art. 38 Cost.) coordinato con il principio di razionalita'-equita' (art. 3 Cost.). Per far fronte ai conseguenti oneri finanziari e' stata quindi emanata un'apposita normativa (art. 1 del decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166), che ha previsto un rimborso scaglionato in sei annualita' delle somme maturate fino al 31 dicembre 1985, mediante assegnazione di titoli di Stato (comma 1), l'esclusione di interessi e rivalutazione monetaria (comma 2), l'estinzione dei giudizi pendenti e l'inefficacia dei provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato (comma 3); stante la mancata conversione in legge, la disciplina d'urgenza e' stata reiterata tre volte (v. decreti-legge n. 295/1996, n. 396/1996 e 499/1996), e quindi sanata nei suoi effetti dall'art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608 ("Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge 28 marzo 1996, n. 166, 27 maggio 1996, n. 295, e 26 luglio 1996, n. 396 ... e del decreto-legge 24 settembre 1996, n. 499"), per essere infine assunta a regime dall'art. 1, commi 181, 182 e 183, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (nel testo modificato dall'art. 3-bis del decreto-legge 28 marzo 1997, n. 79, che ha sostituito il pagamento a mezzo di titoli di Stato con quello in contanti). Per quel che concerne in particolare la posizione della ricorrente, va rilevato che la sentenza del giudice di appello era stata pubblicata il 14 aprile 1995 e, in assenza di notificazione della stessa, il termine annuale ex art. 327 cod. proc. civ. era venuto a spirare il 14 aprile 1996, ovvero nella vigenza del decreto-legge 28 marzo 1996, n. 166 (il primo della serie), il cui art. 1, comma 3, statuiva: "I giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto aventi ad oggetto le questioni di cui al presente articolo sono dichiarati estinti d'ufficio con compensazione delle spese fra le parti. I provvedimenti giudiziali non ancora passati in giudicato restano privi di effetto". Solo con la decadenza del decreto-legge n. 499/1996 (il quarto della serie), non ulteriormente reiterato, si ripristinava ex tunc la disciplina ordinaria, con l'effetto di far acquisire finalmente autorita' di cosa giudicata alla decisione di condanna dell'I.N.P.S. Ma il sopraggiunto art. 1, comma 6, della legge n. 608 del 1996 interveniva a sanatoria delle situazioni disciplinate dai decreti-legge non convertiti e ne faceva integralmente salvi gli effetti prodotti, ricostituendo - per l'arco temporale corrispondente - quell'assetto normativo che aveva gia' precluso la formazione del giudicato sulla controversia promossa dalla ricorrente; pertanto la normativa di sanatoria ripristinava la situazione quo ante, ovvero faceva venir meno ex tunc la pronuncia favorevole ottenuta dall'interessata presso il giudice ordinario ("i provvedimenti giudiziali ... restano privi di effetto"). Tali essendo nella circostanza i risultati prodotti dalla normativa di sanatoria dei decreti-legge non convertiti, ritiene il Collegio che sussistano i presupposti per investire la Corte costituzionale della cognizione dell'art. 1, comma 6, della legge n. 608 del 1996. Come e' noto, ai sensi dell'art. 77, terzo comma, della Costituzione la mancata conversione in legge dei decreti determina la perdita di efficacia ab initio delle disposizioni in essi contenute, essendo tuttavia consentito al legislatore intervenire a posteriori per disciplinare gli effetti provvisoriamente prodotti; si e' rilevato, in particolare, che attraverso la tecnica della "sanatoria" le Camere sono abilitate a dettare una regolamentazione retroattiva dei rapporti, senza altri limiti se non quelli rappresentati dal rispetto delle altre norme e principi costituzionali (v. Corte cost. 29 ottobre 1985, n. 243 e 21 marzo 1996, n. 84), e che, nel regolare gli effetti dei decreti-legge non convertiti, le Camere hanno normali poteri legislativi, sicche' possono disciplinare con effetto retroattivo, nell'esercizio della loro discrezionalita' legislativa, tutte le situazioni regolate dal decreto non convertito, purche' detta retroattivita' non sia vietata da particolari disposizioni costituzionali (v. Cass., sez. I, 24 giugno 1995, n. 7165). Ove, quindi, come nella fattispecie, si adotti una clausola di salvezza che concerne nella sua interezza il decreto-legge non convertito, introducendo con effetto ex tunc disposizioni che disciplinano situazioni sorte nel periodo di vigenza del medesimo decreto, assume rilievo l'eventuale incidenza di tale regolamentazione retroattiva su altri beni costituzionalmente rilevanti. E allora emerge, relativamente alla posizione della ricorrente, che il giudicato formatosi sulla pronuncia che le riconosceva il diritto reclamato e' stato travolto dalla sopraggiunta normativa di sanatoria, in ragione del disposto ripristino della situazione anteriore alla decadenza dei decreti-legge che ne avevano provvisoriamente impedito il costituirsi; in altri termini, la norma di convalida dei decreti-legge ha provveduto a disciplinare, ora per allora, le situazioni regolate dalla decretazione d'urgenza, precludendo quella formazione del giudicato che la ricorrente invoca quale presupposto della pretesa dedotta. Il legislatore, pertanto, pur nell'esercizio del potere di sanatoria ex art. 77, terzo comma, della Costituzione, e quindi incidendo solo indirettamente sulla fattispecie concreta, e' intervenuto su rapporti oramai coperti da giudicato, per i quali non poteva esercitare le proprie funzioni senza incorrere in preclusioni di ordine costituzionale; appaiono violati, in particolare, gli articoli 101, 102 e 104 della Costituzione, intesi nel loro insieme come fondamento del principio di intangibilita' della funzione giurisdizionale, e cio' in quanto non e' consentito sostituire all'accertamento definitivo del giudice una diversa disciplina del rapporto, cosi' disattendendo sia il fondamentale canone della intangibilita' del giudicato - quale lex specialis del caso concreto e fonte incontestabile del diritto - sia quello della separazione tra le funzioni dello Stato, che preclude al legislatore di invadere la sfera di attribuzioni della funzione giudiziaria, privandola della potestas iudicandi. Risultano al contempo violati l'art. 24, primo e secondo comma, e l'art. 25, primo comma, della Costituzione, il primo in ragione dell'intervenuto venir meno degli effetti della tutela giurisdizionale conseguita con la pronuncia definitiva di riconoscimento del diritto azionato, il secondo in relazione all'avvenuta sottrazione agli organi preposti all'amministrazione della giustizia di una controversia - gia' decisa in maniera definitiva ed irretrattabile - ai medesimi istituzionalmente spettante quali giudici naturali della pretesa sostanziale dedotta in giudizio. Peraltro, anche a ritenere connaturata al potere di sanatoria la capacita' di incidere su rapporti giuridici esauriti (compresi quelli coperti da giudicato), purche' pendenti durante il periodo di vigenza dei decreti-legge oggetto di convalida, e quindi non censurabile l'intervenuta caducazione del giudicato relativo alla ricorrente, sussistono tuttavia fondati motivi per dubitare della legittimita' costituzionale di una norma che rende inefficaci i provvedimenti giudiziali non definitivi; in effetti, assumendo a riferimento i medesimi parametri costituzionali sin qui esaminati, va rilevato come il legislatore sia intervenuto successivamente all'esercizio dell'azione con disposizioni preclusive intese a vanificare la tutela giurisdizionale, senza peraltro accompagnare tali misure con una satisfattiva disciplina delle posizioni degli interessati, posto che viene consentito all'ente tenuto al rimborso di estinguere il proprio debito in sei annualita' con esclusione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria. Si menoma allora in maniera significativa il diritto di difesa degli interessati e si sottraggono indebitamente le controversie al controllo giurisdizionale. Non e' invece condivisibile l'assunto della ricorrente, che denuncia un contrasto con l'art. 77, terzo comma, della Costituzione, in relazione alla circostanza che le Camere avrebbero in tal modo provveduto alla conversione in legge dei decreti oltre il termine di sessanta giorni dalla loro pubblicazione; in realta', quello della sanatoria degli effetti del decreto non convertito e' ontologicamente diverso, anche per le conseguenze giuridiche, dal potere di conversione in legge, in quanto riguarda i rapporti giuridici sorti nel periodo di vigenza del decreto la cui provvisoria efficacia e' venuta meno ex tunc, ed in tali soli limiti esplica la sua operativita' (v. Corte cost. 18 luglio 1997, n. 244, e 30 dicembre 1994, n. 464). Ne' appaiono invocabili l'art. 25, secondo comma, l'art. 53 e l'art. 3 della Costituzione, in relazione alla presunta natura sanzionatoria della disciplina retroattiva adottata dal legislatore e alla irragionevolezza degli effetti sfavorevoli che si determinerebbero per gli interessati, in quanto non si ricade in materia penale e non emergono questioni di natura tributaria, ne' l'avvenuta limitazione ad un determinato arco temporale della disciplina speciale cosi' introdotta e' di per se' motivo di illegittimita' costituzionale, trattandosi di valutazioni discrezionali operate dal legislatore nel contesto di misure finalizzate a graduare gli esborsi a carico della finanza pubblica. Non e' poi fondata la tesi interpretativa prospettata in alternativa dalla ricorrente, che vorrebbe circoscrivere l'operativita' della clausola di salvezza agli atti e ai provvedimenti adottati dall'INPS nella vigenza dei decreti-legge poi decaduti, sicche' non dovrebbero ritenersi travolti i giudicati formatisi medio tempore; tale assunto muove dalla considerazione che la sanatoria ex art. 77, terzo comma, della Costituzione puo' investire solo le determinazioni e i comportamenti assunti in applicazione dei decreti non convertiti, laddove - in realta' - non esistono preclusioni di principio alla tipologia di effetti che possono essere fatti salvi con la norma di sanatoria, tanto che nella prassi il legislatore fa uso di questo potere con una formula generale di convalida, il che equivale ad una conferma del decreto per il periodo in cui esso e' stato in vigore, con tutte le conseguenze che ne possono discendere in sede applicativa. In conclusione, allora, la questione di costituzionalita' e' rilevante e non manifestamente infondata. E' rilevante, perche' l'espunzione dall'ordinamento della normativa di sanatoria farebbe rivivere il giudicato sulla pronuncia recante la condanna dell'INPS alla corresponsione del trattamento pensionistico di reversibilita' nella misura "cristallizzata" al 30 settembre 1983 e consentirebbe all'interessata di veder coattivamente attuata tale pretesa nel presente giudizio di ottemperanza, mentre lo ius superveniens abiliterebbe l'ente all'estinzione del proprio debito in sei annualita' e senza corresponsione di interessi legali (per gli importi maturati fino al 31 dicembre 1995), e quindi incidendo concretamente sul contenuto del diritto patrimoniale accertato dal giudice ordinario. Non e' manifestamente infondata, perche' l'art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608, nella parte in cui - facendo salvi gli effetti prodotti dai decreti-legge nn. 166, 295, 396 e 499 del 1996 - travolge le pronunce che medio tempore hanno conseguito valore di cosa giudicata, o comunque ne preclude il formarsi, viola il principio di intangibilita' della funzione giurisdizionale e vanifica il diritto di difesa, in relazione agli artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 101, 102 e 104 della Costituzione. Cio' stante, si deve disporre l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale degli atti del giudizio, dichiarandone nelle more la sospensione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 6, della legge 28 novembre 1996, n. 608, in relazione agli artt. 24, primo e secondo comma, 25, primo comma, 101, 102 e 104 della Costituzione, nei limiti e nei sensi di cui in motivazione; Sospende il giudizio in corso e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della segreteria della sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Torino, nella Camera di Consiglio del 4 febbraio 1998. Il presidente: Montini L'estensore: Caso 98C0650