N. 234 SENTENZA 1 - 23 giugno 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Fallimento - Inefficacia dei pagamenti ricevuti dal fallito  dopo  la
 pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento nei confronti
 dei  creditori anche prima dell'affissione alla porta del tribunale -
 Irrilevanza della eventuale buona fede del solvens -  Questione  gia'
 dichiarata  non  fondata  dalla Corte con sentenza n.  228 del 1995 -
 Giustificazione della norma nell'esigenza di tutela della  massa  dei
 creditori   -   Ragionevolezza   della   scelta   del  legislatore  -
 Disomogeneita' delle situazioni a raffronto per il differente rilievo
 che assume lo stato soggettivo di coloro che hanno avuto rapporti con
 il  fallito  prima della dichiarazione del fallimento e di coloro che
 tali  rapporti  abbiamo  avuto  dopo  detta   dichiarazione   -   Non
 fondatezza.
 
 (R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 44).
 
 (Cost., art. 3, primo comma).
 
(GU n.26 del 1-7-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,    prof.
 Cesare  MIRABELLI,   avv. Massimo VARI,  dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo CHIEPPA,  prof. Valerio ONIDA,  prof. Carlo MEZZANOTTE,
  avv. Fernanda CONTRI,   prof.  Guido  NEPPI  MODONA,    prof.  Piero
 Alberto CAPOTOSTI,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 44 del regio
 decreto 16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del  fallimento,  del
 concordato   preventivo,  dell'amministrazione  controllata  e  della
 liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il
 18 novembre 1996 dalla Corte di cassazione  nel  procedimento  civile
 vertente  tra  la  CIT Turin s.r.l. e il Fallimento Di Perna Leonardo
 iscritta al n. 79 del registro  ordinanze  1997  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  10, prima serie speciale,
 dell'anno 1997.
   Visto l'atto di costituzione della CIT Turin s.r.l;
   Udito  nell'udienza  pubblica del 24 marzo 1998 il giudice relatore
 Annibale Marini;
   Udito l'avvocato Stefano Traldi per la CIT Turin s.r.l.
                            Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un giudizio avente ad oggetto la  inefficacia  di
 un  pagamento  eseguito  nei  confronti  di  un  fallito, la Corte di
 cassazione, con ordinanza del 18  novembre  1996,  ha  sollevato,  in
 riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 44 del regio decreto 16 marzo
 1942, n. 267 (legge fallimentare).
    2. -  Secondo  la  Corte  rimettente,  la  norma  denunciata,  nel
 disporre  che  i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la pubblicazione
 (attraverso il deposito in cancelleria) della  sentenza  dichiarativa
 di  fallimento  sono  immediatamente  inefficaci  nei  confronti  dei
 creditori  anche  prima  dell'affissione  (alla  porta  esterna   del
 Tribunale) ai sensi dell'art. 17 della legge fallimentare e senza che
 rilevi  l'eventuale  buona fede del solvens, si porrebbe in contrasto
 con l'art. 3 della Costituzione in quanto:   a) non  discriminerebbe,
 quanto  meno  nel  periodo  tra la pubblicazione e l'affissione della
 sentenza dichiarativa di fallimento, tra  coloro  che  abbiano  avuti
 rapporti  con  il fallito quelli consapevoli e quelli non consapevoli
 di detta dichiarazione; b) discriminerebbe, senza ragionevole motivo,
 coloro che abbiano avuti rapporti col fallito dopo  la  dichiarazione
 di  fallimento e coloro i quali abbiano avuti rapporti con il fallito
 prima della dichiarazione di fallimento. E'  ben  vero,  aggiunge  la
 Corte,  "che  tra  le  due categorie si interpone la dichiarazione di
 fallimento, ma appare analoga  la  posizione  di  entrambe  sotto  il
 profilo  psicologico - l'una rispetto alla consapevolezza dello stato
 di   insolvenza   l'altra   rispetto   alla   consapevolezza    della
 dichiarazione  di  fallimento  -  e solo nei confronti della prima si
 prende in considerazione (ai fini della revocatoria fallimentare)  lo
 stato psicologico soggettivo del terzo".
   2.1  -  La questione viene infine ritenuta rilevante in quanto solo
 l'eventuale  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  della
 disposizione   denunciata   potrebbe  consentire  l'accoglimento  del
 ricorso.
   3. - E' intervenuta la parte privata, CIT Turin s.r.l.,  ricorrente
 per   cassazione,  che,  facendo  propria  la  motivazione  contenuta
 nell'ordinanza di rimessione, ha concluso  per  l'accoglimento  della
 questione.
   3.1  - Evidenzia la interveniente di aver acquistato in buona fede,
 ignorando la situazione economica del  venditore,  partite  di  carni
 dopo  la  dichiarazione di fallimento ma prima della affissione della
 relativa sentenza ex art. 17 della legge fallimentare. Trattandosi di
 contratti di vendita di merce deperibile con una quasi contestualita'
 tra "l'offerta,  la  consegna  (della  merce)  ed  il  pagamento  del
 prezzo",    l'acquirente   potrebbe   solo   verificare   l'effettiva
 appartenenza del venditore  agli  usuali  operatori  commerciali  del
 settore,  nonche'  il legittimo possesso delle merce venduta. Ma cio'
 solo su basi intuitive o di esperienze settoriali essendogli  inibita
 -  per  le  esigenze  stesse di tale attivita' imprenditoriale - ogni
 possibilita' di accertare l'eventuale incapacita' del venditore e  la
 conseguente  invalidita' ed inefficacia del pagamento. L'accertamento
 dell'intervenuto  fallimento  del  venditore sarebbe dunque possibile
 per l'acquirente solo dopo l'affissione - ai sensi dell'art. 17 della
 legge fallimentare - della relativa sentenza, restando invece il mero
 deposito della stessa non conoscibile.
   Su tali premesse la parte privata sottolinea:
  come sia pacifico in giurisprudenza che i  pagamenti  effettuati  in
 buona  fede  dall'imprenditore  al  creditore apparente comportino la
 liberazione   del   debitore   il   cui   comportamento   sia   stato
 caratterizzato,  oltre  che  dalla  ignoranza  della  difformita' tra
 realta' ed apparenza, anche  dalla  scusabilita'  ed  incolpevolezza;
 come la norma denunciata ignori i principi della buona fede del terzo
 e  dell'affidamento,  diversamente  da quanto disposto dall'art.   67
 della stessa legge fallimentare per i  pagamenti  compiuti  nell'anno
 anteriore  alla dichiarazione di fallimento; come la norma censurata,
 nel determinare la inefficacia dei  pagamenti  ricevuti  dal  fallito
 dopo   la   pubblicazione   -  mediante  deposito  -  della  sentenza
 dichiarativa di fallimento  indipendentemente  dal  compimento  delle
 formalita'  previste  dall'art.  17  della legge fallimentare e dalla
 buona o mala fede del solvens, discrimini ingiustamente la  posizione
 dei  terzi  in  buona  fede  rispetto  ad  altre  identiche posizioni
 tutelate dall'ordinamento;
     come del tutto negative, sotto il  profilo  economico,  sarebbero
 per  gli imprenditori commerciali, operanti nel mercato a pronti o al
 minuto, le conseguenze di un mancato  accoglimento  della  questione,
 dovendo   costoro   fare   necessario   affidamento   sul   principio
 dell'apparenza.
                        Considerato in diritto
   1. - La Corte di cassazione dubita -  in  riferimento  all'art.  3,
 primo  comma,  della Costituzione - della legittimita' costituzionale
 dell'art. 44 della legge fallimentare nella parte in cui non  esclude
 che   gli   effetti   del   fallimento  -  quanto  meno  nel  periodo
 intercorrente tra la  pubblicazione  e  l'affissione  della  relativa
 sentenza  -  si  riflettano sui terzi che, in buona fede, siano stati
 destinatari degli atti compiuti dal fallito  o  autori  di  pagamenti
 ricevuti dallo stesso.
   2. - La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44 della
 legge  fallimentare  e'  stata dichiarata non fondata da questa Corte
 per la non pertinenza del parametro di riferimento allora individuato
 nell'art. 24 della Costituzione (sentenza n. 228 del 1995). La stessa
 norma  viene  ora  denunciata  per  contrasto  con  l'art.  3   della
 Costituzione,    prospettandosi,   in   tal   modo,   una   questione
 sostanzialmente diversa da quella gia' esaminata e decisa.
   3. -  Come  ribadito  dalla  giurisprudenza  di  legittimita',  nel
 sistema  della  legge  fallimentare  l'inopponibilita' alla massa dei
 creditori dei pagamenti ricevuti dal fallito  dopo  la  pubblicazione
 della    sentenza    dichiarativa    di    fallimento,   diversamente
 dall'inefficacia   conseguente   all'utile   esercizio    dell'azione
 revocatoria  fallimentare, si ricollega al principio generale secondo
 cui la dichiarazione di fallimento priva il fallito,  dalla  data  di
 deposito  della  relativa  sentenza,  dei poteri di amministrazione e
 disposizione del  suo  patrimonio  trasferendoli  agli  organi  della
 procedura  fallimentare.  Principio finalizzato nella sua assolutezza
 ad una efficace e diretta tutela della massa dei creditori.
   L'irrilevanza,  agli  effetti  dell'inopponibilita'  alla massa dei
 creditori dei pagamenti ricevuti dal fallito, dello stato  soggettivo
 di  conoscenza  del  solvens,  proprio  in quanto necessario riflesso
 dell'assolutezza   del    suddetto    principio,    trova,    dunque,
 giustificazione  nell'esigenza  di  tutela della massa dei creditori.
 Trattasi,  all'evidenza,  di   una   scelta   del   legislatore   non
 manifestamente  irragionevole  e, percio' stesso, non censurabile sul
 piano della legittimita' costituzionale.
   4. - Infondata e' anche la censura di  violazione  dell'articolo  3
 della Costituzione formulata in base al differente rilievo che assume
 lo  stato  soggettivo  di coloro che hanno avuto rapporti col fallito
 prima della dichiarazione di fallimento e di coloro che tali rapporti
 hanno avuto dopo detta dichiarazione.
   La  non   omogeneita'   delle   situazioni   poste   a   raffronto,
 caratterizzate,   come   riconosce   la   stessa   Corte  rimettente,
 rispettivamente  dalla  mancanza  e  dall'esistenza  della   sentenza
 dichiarativa   di   fallimento,   vale,  infatti,  a  legittimare  la
 diversita' di disciplina che il legislatore detta in  relazione  alle
 stesse.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 44 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina  del
 fallimento,    del    concordato   preventivo,   dell'amministrazione
 controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata in
 riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione, dalla  Corte
 di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1998.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Marini
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 23 giugno 1998.
                       Il cancelliere: Fruscella
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