N. 486 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 aprile 1998

                                N. 486
 Ordinanza  emessa  il  25  aprile 1998 dal tribunale di Mistretta nel
 procedimento civile vertente tra Bono Rosario e comune di Tusa
 Espropriazione per pubblica utilita' - Area  utilizzata  sine  titulo
    per la costruzione di opera pubblica - Acquisizione del terreno da
    parte  dell'ente  proprietario dell'opera pubblica (cd. accessione
    invertita) - Previsione in favore del proprietario espropriato  di
    un  indennizzo  pari a circa la meta' del valore venale del bene -
    Ingiustificato eccessivo deteriore  trattamento  del  proprietario
    espropriato  da  ente  pubblico  rispetto  a quello espropriato da
    privato, cui spetta un indennizzo pari al doppio  del  valore  del
    suolo, oltre al risarcimento del danno.
 (C.C.,  art.  938;  d.-l.  11  luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma
    7-bis, convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359).
 (Cost., art. 3).
(GU n.27 del 8-7-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa tra Bono  Rosario,
 avv. Biagio Riolo, contro comune di Tusa, avv. Andrea Cuva.
   Letti  gli  atti,  sentiti  i procuratori delle parti, il tribunale
 osserva quanto segue in fatto e in diritto.
   La  presente  controversia  presenta  ad  oggetto  la  domanda   di
 risarcimento  avanzata  da  Rosario  Bono nei confronti del comune di
 Tusa con atto di citazione del 23 ottobre 1993.
   Parte  attrice  allega  che  detto  ente,  in   presenza   di   una
 dichiarazione  di  p.u. di una costruenda opera pubblica, consistente
 nel primo  stralcio  della  strada  "G.M.  Pellegrini-Logo",  avrebbe
 irreversibilmente trasformato, a fini espropriativi, il gia' occupato
 fondo sito in Tusa (particella 9, foglio 25 del N.C.T.) di proprieta'
 attorea,  omettendo  di  provvedere  all'emissione  di  un tempestivo
 decreto di esproprio.
   Il convenuto ha resistito, costituendosi in giudizio.
   Nel corso dell'istruttoria,  l'espletata  C.T.U.  ha  accertato  la
 irreversibile  trasformazione  del  fondo  attoreo,  finalizzata alla
 realizzazione dell'opera dichiarata di pubblica utilita'.
   E'   risultato   altresi'   che,   malgrado   tale    irreversibile
 trasformazione, il comune non ha provveduto, entro i limiti temporali
 di legge, ad emettere il rituale decreto di esproprio.
   Coerentemente all'indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, la
 vicenda  in  oggetto  appare rientrare nell'ambito di applicazione di
 quell'istituto  chiamato  "accessione  invertita"   od   "occupazione
 appropriativa",  in virtu' del quale, come e' noto, la p.a. occupante
 acquista la proprieta' del suolo irreversibilmente manipolato.
   Orbene,  l'art.  5-bis,  del d.-l. 11 luglio 1992, convertito dalla
 legge 8 agosto 1992, n. 359, come recentemente  modificato  dall'art.
 3,  comma  65,  della  legge n. 662/1996, che vi ha aggiunto il comma
 7-bis,   nel   presupporre   detta    elaborazione    dottrinale    e
 giurisprudenziale,  prevede,  in  caso  di occupazioni illegittime di
 suoli per causa di pubblica  utilita',  il  diritto  del  privato  ad
 ottenere,   a   titolo   di   liquidazione   del   danno,  una  somma
 corrispondente alla indennita' di esproprio (senza  abbattimento  del
 40%), maggiorata del 10%.
   Il  tribunale,  dovendo  fare  applicazione  nel caso di specie del
 suddetto   criterio   di    liquidazione    del    danno,    sospetta
 l'incostituzionalita',  sotto il profilo della violazione dell'art. 3
 Cost.: del combinato disposto degli artt.  5-bis,  comma  7-bis,  del
 d.-l.  11  luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto 1992,
 n. 359, e 938 cod.   civ.    Il  tribunale  rileva  come  il  diritto
 vivente,   al   fine  di  giustificare  l'istituto  della  accessione
 invertita in  favore  della  p.a.  costruttrice,  abbia  rintracciato
 nell'ordinamento  "un  principio generale in base al quale regola per
 la composizione del conflitto (tra  costruttore  e  proprietario  del
 fondo)  e'  l'attribuzione  della  proprieta' sia del suolo sia della
 costruzione al soggetto portatore dell'interesse ritenuto prevalente,
 secondo  una  valutazione  d'ordine  economico-sociale  correlata  al
 livello di sviluppo della societa' civile" (Cass. s.u.  1464 del 1983
 e  Cass.  s.u.  3940 del 1988).  In particolare, la giurisprudenza ha
 identificato  nell'ente   pubblico-costruttore,   che   persegue   un
 interesse  (non  egoistico,  ma)  comune  a  tutti  i  consociati, il
 "soggetto  portatore  dell  'interesse  ritenuto   prevalente",   con
 conseguente  riconoscimento,  in  capo  ad  esso  ente,  anche  della
 proprieta' del suolo.   Nel dettaglio, e' l'art.  938  cod.  civ.  ad
 esplicitare  il  citato  principio  generale  e  a costituire il piu'
 diretto fondamento positivo dell'istituto  dell'accessione  invertita
 in  favore  della p.a., secondo la consolidata interpretazione che ne
 ha dato la  Corte  di  cassazione  in  termini  di  diritto  vivente.
 Infatti  e'  esclusivamente sulla base della norma contenuta in detto
 articolo che si rende possibile, nel conflitto tra proprietario di un
 fondo   e   costruttore,   l'inversione   della   ordinaria    regola
 dell'accessione,  che  privilegia,  com'e'  noto, il proprietario del
 fondo.
   Rintracciato quindi  nel  contenuto  dell'art.  938  cod.  civ.  il
 fondamento   positivo   di  un'accessione  "invertita"  per  pubblica
 utilita',  questo   collegio   sospetta   l'incostituzionalita'   del
 combinato  disposto  degli  artt.  5-bis,    comma 7-bis del d.-l. 11
 luglio 1992, n. 333, convertito dalla legge 8 agosto 1992, n. 359,  e
 938   cod.   civ.,   rispetto   al  principio  di  eguaglianza  e  di
 ragionevolezza sancito dall'art. 3 Cost., laddove ingiustificatamente
 discrimina il proprietario del fondo in  conflitto  con  un  soggetto
 pubblico  (costruttore di un'opera di pubblica utilita'), rispetto al
 proprietario del fondo in conflitto con un soggetto privato,  in  una
 situazione analoga.
   Infatti,  nei  rapporti  tra costruttore privato e proprietario, le
 conseguenze economiche previste  dal  codice  civile,  a  carico  del
 costruttore,  beneficiario  dell'accessione invertita, sono quelle di
 cui all'art.  938 cod. civ., e cioe':
     corresponsione del doppio del valore del suolo occupato;
     risarcimento del danno.
   Assolutamente  differenti,  nei rapporti tra costruttore pubblico e
 proprietario, sono le conseguenze economiche che l'art. 5-bis,  comma
 7-bis,  del  cit.  d.-l.,  pone  a  carico della p.a., per accessione
 invertita,  e  cioe'  la  somma  corrispondente   all'indennita'   di
 espropriazione (legittima), con maggiorazione del 10%.
   In  termini meramente contabili, le conseguenze riferibili alle due
 distinte fattispecie descritte  si  appalesano  macroscopicamente  ed
 ingiustificatamente sperequate e dispari.  Infatti mentre nel caso di
 conflitto tra privati il proprietario ha diritto al doppio del valore
 del  fondo  occupato,  oltre  al  risarcimento del danno, nel caso di
 conflitto con un ente pubblico-costruttore il proprietario del  fondo
 non  ha  diritto  ad  alcun  trattamento  indennitario,  ma  solo  al
 risarcimento del  danno  (impropriamente  compensativo  della  stessa
 perdita  della  proprieta'),  per di piu' quantificato ex lege in una
 somma corrispondente alla indennita'  di  esproprio,  maggiorata  del
 10%, e cioe' (visto il richiamo alla legge n. 2892 del 1885 di cui al
 comma  1  del citato art. 5- bis), a circa la meta' del valore venale
 del fondo occupato.  In sintesi, nell'ultima  fattispecie  descritta,
 il  proprietario  ha  diritto  a  circa  un  quarto della somma a cui
 avrebbe diritto nell'ipotesi in cui il soggetto costruttore fosse  un
 privato.
   Tale    macroscopica   differenza   di   trattamento   non   appare
 giustificabile alla luce delle diversita' pur esistenti  tra  le  due
 vicende.
   Non  lo  e',  certo, sulla scorta del riferimento operato dall'art.
 938  cod.  civ.,  alla  buona  fede,  elemento  ritenuto  invece  non
 coessenziale  nella  ricostruzione dell'accessione invertita per p.u.
 operata dalla Corte di cassazione.
    Infatti, se qualche rilievo potesse essere attribuito  alla  buona
 fede   del  costruttore,  esso  dovrebbe  giustificare,  quanto  agli
 effetti, un trattamento di favore Al contrario e paradossalmente,  al
 soggetto   costruttore   privato   in  buona  fede  e'  riservato  un
 trattamento di evidente disfavore rispetto  al  soggetto  costruttore
 pubblico,  il  quale  (non  importa  se in mala o buona fede) risulta
 obbligato  a  versare   al   proprietario   del   suolo   una   somma
 corrispondente  a  circa  un  quarto di quanto risulta dovuto dal suo
 omologo  privato.      Quanto   alla   circostanza   della   avvenuta
 dichiarazione  di    p.u. dell'opera costruita dall'ente pubblico, il
 Tribunale ritiene che siffatto elemento pubblicistico non sia idoeo a
 giustificare la rilevata disparita' di trattamento.   Invero solo  la
 ritualita'  del procedimento ablatorio attualizza la funzione sociale
 della proprieta' e ne legittima il sacrificio a condizioni eque,  non
 necessariamente  corrispondenti  al  controvalore  del  bene  ablato.
 Purche' il ristoro del pregiudizio economico subito dal  privato  non
 sia  fissato in misura irrisoria o meramenie simbolica, come e' stato
 affermato in piu' di un'occasione dalla  Corte  costituzionale  (cfr.
 Corte  cost.  n.  5/1980,  Corte  cost.  n. 22/1965, Corte cost.   n.
 741/1963).
   E questo principio vale tanto piu' nel caso  di  espropriazione  di
 fatto,  che  incontra  un  parametro di disciplina nell'art. 938 cod.
 civ. Da cio'  discende  che  l'ablazione  a  fini  espropriativi  del
 diritto  di  proprieta'  con  le  modalita' dell'accessione invertita
 potra' si' comportare un riconoscimento non integrale del diritto che
 al  proprietario  sarebbe  riconosciuto  ove  il costruttore fosse un
 soggetto privato (e cioe' il doppio del valore piu' il risarcimento),
 ma mai potra' determinare la compressione di tale diritto a un quarto
 circa dello stesso, atteso che la compressione nella misura indicata,
 del diritto del proprietario deve  essere  evidentemente  qualificata
 come ristoro "non serio" o meramente "simbolico".
                               P. Q. M.
   Visto  l'art.  23  della  legge  11  marzo 1953, n. 87, ritiene non
 manifestamente infondata, in relazione all'art. 3 della Costituzione,
 la questione di legittimita' costituzionale  del  combinato  disposto
 degli  artt.  938 cod. civ. (nella consolidata interpretazione che ne
 ha dato la Corte di cassazione  in  termini  di  diritto  vivente)  e
 5-bis,  comma  7-bis,  del  d.-l.  11 luglio 1992, n. 333, convertito
 dalla  legge  8  agosto  1992,  n.  359,  nella  parte  in  cui,  nel
 disciplinare gli effetti della c.d. accessione invertita per pubblica
 utilita',  prevedono  in favore del privato, espropriato di fatto, un
 trattamento economico pressocche' pari al valore venale dimezzato del
 bene e percio' manifestamente sperequato e dispari rispetto a  quello
 disciplinato  dallo  stesso  art. 938 cod. civ. che, nei rapporti tra
 privati, riconosce al proprietario sacrificato il diritto  al  doppio
 del valore del suolo occupato, oltre al risarcimento del danno;
   Dispone   la   sospensione   della  presente  causa  e  l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina altresi' che la presente ordinanza sia  notificata,  a  cura
 della  cancelleria,  alle  parti  ed  al Presidente del Consiglio dei
 Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti del Senato e della  Camera
 dei deputati.
     Mistretta, addi' 25 aprile 1998
                         Il presidente: Fazio
 98C0736