N. 549 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 maggio 1998

                                N. 549
  Ordinanza  emessa  l'8  maggio  1998  dal  tribunale  di  Napoli nel
 procedimento penale a carico di Attanasio Ciro ed altri
 Processo penale - Dibattimento - Esame di  coimputato  o  di  persona
    imputata  in  procedimento  connesso - Esercizio della facolta' di
    non rispondere - Lettura dei verbali contenenti  le  dichiarazioni
    rese  da  detta  persona  nel  corso  delle indagini preliminari -
    Preclusione per il giudice salvo l'accordo delle parti - Lamentata
    dispersione di elementi di prova  -  Violazione  dei  principi  di
    obbligatorieta' dell'azione penale e di indipendenza del giudice -
    Disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto per gli altri
    atti irripetibili.
 (C.P.P. 1988, art. 513).
 (Cost., artt. 3, 101 e 112).
(GU n.34 del 26-8-1998 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza decidendo sulla questione di
 legittimita' costituzionale dell'art.  513  c.p.p.,  come  sostituito
 dall'art.  1,  legge  7  agosto  1997, n. 267, sollevata dal pubblico
 ministero nel processo penale n. 5846/17/97  a  carico  di  Attanasio
 Ciro piu' 8, in relazione agli artt. 3, 101, 112 Costituzione.
   Sentite le parti.
   La  questione  di  legittimita'  costituzionale di cui all'epigrafe
 appare rilevante ai  fini  della  decisione  nella  presente  vicenda
 processuale e non risulta manifestamente infondata.
                                Osserva
                             La rilevanza
   La  vicenda di cui all'attuale processo trae origine dalle indagini
 esperite dai C.C. di Sessa Aurunca nel corso del 1996 in ordine  alla
 esistenza  di  una  associazione  a  delinquere tesa al compimento di
 numerosi furti di gasolio per uso termico presso  edifici  scolastici
 al fine di rivendere lo stesso per uso autotrazione nella zona del
  Giuglianese.
   All'esito  della  istruttoria  dibattimentale  esperita, l'imputato
 Attanasio Ciro, alla udienza del 23 aprile 1998,  si  avvaleva  della
 facolta'  di  non  rispondere  e,  pertanto,  ai  sensi dell'art. 513
 c.p.p.,  il  p.m.   richiedeva   l'acquisizione   agli   atti   delle
 dichiarazione  rese  dallo  stesso, in data 17 aprile 1996, alla p.g.
 con l'assistenza del difensore di  fiducia.
   In tali dichiarazioni l'imputato riferiva con precisione di  alcuni
 specifici  episodi  di  sottrazione  di gasolio indicando i soggetti,
 alcuni  dei  quali  oggi  coimputati,  che  erano   coinvolti   nella
 commissione  di  questi  delitti  e di altri delitti aventi sempre lo
 stesso oggetto, inoltre egli forniva indicazioni  circa  la  illecita
 provenienza degli autocarri utilizzati per il trasporto del gasolio e
 le modalita' di occultamento degli stessi.
   Il  complesso  di tali dichiarazioni appare, a parere del collegio,
 sicuramente rilevante ai fini della decisione del processo, in quanto
 consente, valutato in riferimento alle altre  emergenze  processuali,
 di  esprimere  compiute valutazioni in ordine alla sussistenza o meno
 di mezzi comuni finalizzati al compimento dei furti oltre  che  sulla
 eventuale  adesione  di  ciascuno  dei  singoli imputati al programma
 criminoso perseguito dal sodalizio. Deve a  questo  punto  osservarsi
 che,  alla  luce  della  novella  introdotta dalla legge dall'art. 1,
 legge 7 agosto 1997, n. 267, modificativa  dell'art.  513,  comma  1,
 c.p.p.  il  collegio  dovendo pronunciare l'ordinanza di cui all'art.
 511  c.p.p.  dovrebbe  dichiarare  la   non   utilizzabilita'   delle
 dichiarazioni  rese  dall'imputato  "nei  confronti di altri senza il
 loro consenso" consenso che, nella fattispecie, non e' stato fornito.
   Appare dunque del tutto evidente che ai fini  della  decisione  del
 processo  il  collegio non puo' avvalersi, allo stato della normativa
 vigente, di quanto riferito alla p.g. dall'Attanasio Ciro allorquando
 vigeva altra disciplina normativa in tema  di  utilizzabilita'  delle
 dichiarazioni del coimputato.
   Il  complesso  di  tali  considerazioni induce dunque, affermata la
 rilevanza della  questione  nella  fattispecie  presa  in  esame  dal
 tribunale, di passare a valutare la fondatezza della stessa.
                     La non manifesta infondatezza
   La  novella  dell'art.  513 c.p.p., introdotta dalla legge 5 agosto
 1997, n. 267, ha inteso ripristinare il principio di formazione della
 prova  in  dibattimento,   basato   sul   pieno   dispiegamento   del
 contraddittorio, cardine fondamentale del nuovo processo penale.
   L'esigenza  dell'accertamento della verita', e' stato affermato dai
 relatori durante  i  lavori  parlamentari  per  l'approvazione  della
 legge,  non  puo'  comportare  una rinunzia a questo principio, cosi'
 come risulta dalla lettura dell'articolo 513 c.p.p., modificato dalla
 sentenza della Corte costituzionale n. 254/92.
   L'imputato che durante il dibattimento  sia  contumace,  assente  o
 rifiuti  di  sottoporsi all'esame, non consente che si dispieghi quel
 contraddittorio in relazione alle dichiarazioni da lui rese al  p.m.,
 alla  p.g.  su  delega del p.m. o al giudice nel corso delle indagini
 preliminari.
   La possibilita' dell'acquisizione con la vecchia  normativa,  delle
 dichiarazioni da lui rese in quella sede e della loro utilizzabilita'
 ai   fini'   della  decisione,  costituisce  non  solo  una  rinunzia
 all'oralita' del  processo  ma  viola  il  diritto  di  difesa  degli
 eventuali coimputati che egli abbia accusato.
   La modifica dell'art. 513 c.p.p., dunque, ha inteso correggere tale
 distorsione  e  consentire  il  dispiegarsi  della difesa da parte di
 coloro che da quelle dicharazioni  possono  essere  lesi  nell'ambito
 dello stesso processo.
   Sotto  questo  aspetto  il tribunale deve concordare con l'esigenza
 ispiratrice della normativa  introdotta  con  la  novella  del  1997,
 pienamente  aderente  ai  principi  ispiratori della legge delega del
 nuovo codice procedurale.
   Del resto il legislatore ha creato diversificati meccanismi perche'
 il p.m., durante le indagini preliminari, possa  salvaguardare  anche
 il   principio   di   non   dispersione  degli  elementi  di  accusa,
 introducendo la  possibilita'  ampliata  di  richiesta  di  incidente
 probatorio  (art.  4 legge 267/97), la possibilita' di interrogatorio
 dell'imputato con le  forme  del  contraddittorio  durante  l'udienza
 preliminare  (art.   2 legge citata) ed infine prevedendo nella norma
 transitoria di cui all'art. 6 la possibilita',  ove  non  sia  ancora
 intervenuto  il  rinvio  a  giudizio,  di  richiedere, entro sessanta
 giorni  dall'entrata  in  vigore  della  nuova  legge,  l'esperimento
 dell'incidente probatorio anche dopo l'esercizio dell'azione penale.
   Meccanismi  questi  tutti  tesi  alla  salvaguardia  del  principio
 dell'affidamento della prova e dell'esigenza, piu' volte ribadita sia
 dalla  Corte  di   cassazione   che   dalla   Corte   costituzionale,
 dell'accertamento  della  verita' in modo che la "verita' sostanziale
 aderisca, nella massima misura possibile, alla verita' processuale".
   Certo, anche con  questi  meccanismi  il  comma  1,  dell'art.  513
 c.p.p.,   come   novellato,  presenta  alcuni  problemi  applicativi,
 poiche',  ad  esempio,  lascia  all'imputato  la  facolta'   di   non
 rispondere  ogniqualvolta lo ritenga opportuno e dunque in relazione,
 ad esempio, all'incidente probatorio egli potra', pur dopo aver  reso
 dichiarazioni  accusatorie  nei  confronti  dei coimputati dinanzi al
 p.m. avvalersi della  facolta'  di  non  rispondere,  rendendo  vano,
 cosi',  quel  principio  di  affidamento  della  prova  che si voleva
 salvaguardare.
   Tale  discrepanze  potranno  in  futuro   essere   modificate   dal
 legislatore  ma  non possono allo stato essere oggetto di valutazione
 da parte di questo collegio. Ben diversa e' invece la  situazione  in
 cui  le  dichiarazioni  accusatorie  dell'imputato  nei  confronti di
 coimputati, siano state ritualmente assunte, con  le  garanzie  della
 difesa,  dal  p.m.  o  dalla  p.g. su delega del pubblico ministero o
 innanzi  al  giudice  delle  indagini  preliminari   o   nell'udienza
 preliminare,  sotto  la  vigenza  della  precedente  normativa  ed il
 procedimento, con il rinvio a giudizio, sia ormai pendente innanzi al
 tribunale per il dibattimento.
   In questo caso l'immediata  applicabilita'  dell'art.  513  c.p.p.,
 come  novellato, impedisce, quando l'imputato sia contumace o assente
 o si avvalga della facolta' di non rispondere, l'utilizzazione contra
 alios delle dichiarazioni predibattimentali, a meno che non vi sia il
 consenso degli altri coimputati.
   Analoga  situazione,  ai  sensi  dell'art.  513,  comma  2,  c.p.p.
 novellato,  viene a crearsi per l'imputato in procedimento connesso o
 collegato, ex art. 210 c.p.p., per cui e'  possibile  la  lettura  ed
 utilizzazione  delle  dichiarazioni  rese ritualmente dallo stesso in
 sede predibattimentale quando il dichiarante  si  sia  avvalso  della
 facolta'  di  non  rispondere durante il processo, solo con l'accordo
 delle parti.
   Qui la differenza, rispetto alla  situazione  oggetto  dell'odierna
 valutazione,  e'  data  solo dallo status del dichiarante e non dalla
 condizione oggettiva delle dichiarazioni o dalla natura del reato.
   Si impedisce cosi' l'utilizzabilita' delle dichiarazioni di  coloro
 che  si  siano  avvalsi  del  diritto  al  silenzio,  a meno che tale
 preclusione non sia rimossa dal consenso  di  coloro  che  da  quelle
 dichiarazioni accusatorie potrebbero essere lesi nella loro posizione
 processuale.
   Nella  relazione  alla novella n. 267/97 si legge che tale consenso
 esprime una  rinunzia  alla  oralita'  del  processo,  principio  non
 imprescindibile  (l'oralita'  anche  secondo  la sentenza della Corte
 costituzionale  n.  255/92  non  rappresenta,  nella  disciplina  del
 codice,   il  veicolo  esclusivo  della  formazione  della  prova  al
 dibattimento), ma non al contraddittorio, che si realizza con  quella
 sola espressione di volonta'.
   Con  tale  assunto  questo tribunale non puo' concordare, alla luce
 dei    principi    espressi    dalla    nostra     Costituzione     e
 dell'interpretazione  delle  norme  procedurali  espressa dalla Corte
 costituzionale con le successive pronunzie relative alla normativa in
 esame, tra le quali fondamentale e' la sentenza n.254/92.
   In primo luogo e' evidente che l'obbligatorieta' dell'azione penale
 prevista dall'art. 112 della Costituzione e la soggezione del giudice
 solo alla legge, prevista dall'art. 101 Cost., non  sono  compatibili
 con  il  mutamento di una regola procedurale che modifichi la valenza
 dell'attivita' del p.m. esplicatasi ritualmente nella vigenza di  una
 pregressa procedura.
   Invero  tali principi costituzionali, anche alla luce dell'art.  76
 della  legge  delega  per  il  nuovo  codice  di  procedura   penale,
 sanciscono il principio della non dispersione degli elementi di prova
 raccolti  dal  p.m.  nell'esercizio  della  sua attivita' d'indagine,
 soggetta solo al principio previsto  dalla  legge  del  tempus  regit
 actum  e creano, dunque, per l'organo della pubblica accusa, anche in
 relazione all'obbligo di esercitare l'azione penale, un principio  di
 affidamento  della  prova che non puo' essere modificato, quando egli
 non  e'  piu'  facultato  ad  adeguare  la  propria  attivita',  gia'
 ritualmente esplicatasi, all'intervenuto mutamento legislativo.
   In  secondo  luogo  viene violato l'equilibrio tra il principio del
 contraddittorio e quello della non dispersione dei  mezzi  di  prova,
 regola  di un giusto processo, teso all'accertamento della verita' in
 quanto, mentre viene pienamente salvaguardato il  primo,  non  vi  e'
 nessun meccanismo rimesso solo alla legge per evitare che l'attivita'
 del  p.m.  sia vanificata, sottraendo cosi' l'attivita' giudiziaria a
 quella soggezione alla  sola  legge,  prevista  dall'art.  101  della
 Costituzione.
   Lasciare  al  consenso  di  una  parte  la  validita',  rectius  la
 utilizzabilita', di un mezzo di prova appare del tutto  incompatibile
 con  tale  norma  costituzionale,  quando  non siano stati apprestati
 idonei meccanismi per il raggiungimento del fine del processo che  e'
 quello di adeguare nel massimo possibile, la verita' storica a quella
 processuale.
   Sul  punto  la  Corte  costituzionale  si e' piu' volte pronunziata
 (cfr., sentenza n. 111/93, n. 255/92, n. 258/91)  con  cui  e'  stato
 affermato   che  il  sistema  del  nuovo  codice  di  procedura  deve
 consentire al giudice di addivenire ad una giusta decisione,  che  fa
 salvo  il  principio  del  libero  convincimento  e  che ha come fine
 primario ed ineludibile quello della ricerca della verita', intesa in
 senso storico e non meramente processuale.
   Del pari non puo' sottacersi l'incostituzionalita' della norma, ove
 sia immediatamente  applicabile  anche  a  giudizi  le  cui  indagini
 preliminari   si   siano   svolte  con  la  precedente  normativa  in
 riferimento al principio di uguaglianza dei  cittadini  innanzi  alla
 legge.
   Va  qui,  infatti,  richiamato il principio fondamentale del codice
 che prevede la piena utilizzabilita' dell'atto divenuto  irripetibile
 (vedi anche la sentenza della Corte costituzionale n. 254/92).
   Questo  concetto non puo' essere differentemente valutato a secondo
 che  la  causa  di  irripetibilita'  sopravvenuta  sia   naturale   o
 riconducibile alla volonta' del coimputato.
   La  diversificazione  della  disciplina  vede  trattata  in maniera
 diseguale    le    diverse    cause    d'irripetibilita',     creando
 un'irragionevole  disparita'  di trattamento tra l'imputato raggiunto
 da fonti di prova acquisite prima del  dibattimento,  in  assenza  di
 contraddittorio,  divenute irripetibili per cause naturali (decesso o
 infermita' del dichiarante) che le rendono pienamente utilizzabili  e
 l'imputato   raggiunto   da   fonti  di  prova  acquisite  prima  del
 dibattimento, in assenza di  contraddittorio,  divenute  irripetibili
 per  la  propria  volonta'  (la mancata prestazione del consenso oggi
 prevista dal nuovo articolo 513 c.p.p.).
   E' evidente la situazione  di  minore  salvaguardia,  in  relazione
 all'art. 3 della Costituzione della prima situazione.
   La  valutazione  dell'irripetibilita',  come  concetto  unitario e'
 stata piu' volte ribadito dalla  Corte  costituzionale  che,  con  la
 sentenza  n.  179/94,  nel  respingere  una questione di legittimita'
 costituzionale, ha osservato  che  l'esercizio  in  dibattimento  del
 diritto  di  astenersi  dal  rispondere da parte del teste - prossimo
 congiunto  -  che  in  sede  d'indagini  aveva  reso   dichiarazioni,
 costituisce   un'oggettiva   e   non  prevedibile  impossibilita'  di
 ripetizione dell'atto dichiarativo, donde la sua acquisibilita'.
   Tale statuizione fissa un principio fondante in tema di  formazione
 della   prova   che   deve  essere  ribadito  in  ogni  evenienza  di
 irripetibilita' di dichiarazioni ritualmente  acquisite,  siano  esse
 provenienti  da  un  testimone (come nel caso della sentenza citata),
 dai  soggetti  di  cui  all'art  210 c.p.p., che assommano in loro la
 qualita' di imputato e testimone (art 513, comma 2,  c.p.p.),  quanto
 infine  dagli  stessi coimputati. Invero la formazione della prova e'
 principio  diverso  da  quello  della  sua   valutazione,   qui   si'
 diversificata  a  secondo  della  qualita'  soggettiva  di coloro che
 rendono dichiarazioni.
   Ancora con  riferimento  alla  contraddittorieta'  della  norma  in
 relazione all'art. 101 della Costituzione va osservato che appare poi
 del  tutto  irragionevole  lasciare  il  possibile accertamento della
 verita' ad una scelta arbitraria ed incontrollabile  del  coimputato,
 in nome della salvaguardia del principio del contraddittorio.
   Contraddittorio  solo  apparente  posto  che  la nuova formulazione
 dell'art. 513 c.p.p. afferma poi che e' sufficiente a realizzarlo  il
 mero     consenso     all'utilizzabilita'     delle     dichiarazioni
 predibattimentali  rese  dall'imputato  che  si  sia  avvalso   della
 facolta' di non rispondere.
   A questi principi si e ispirata la Corte costituzionale quando, con
 la  sentenza  del  giugno  1992,  ha  affermato l'incostituzionalita'
 dell'articolo 513, comma 2, c.p.p., in relazione all'articolo 3 della
 Costituzione, nella parte in cui, nella sua prima  formulazione,  non
 prevedeva   il   recupero  e  l'utilizzabilita'  delle  dichiarazioni
 predibattimentali dei soggetti di cui all'art.  210  c.p.p.,  che  si
 fossero  avvalsi  nel  dibattimento della facolta' di non rispondere.
 Nel corpo della sentenza la Corte costituzionale ribadiva che l'unico
 meccanismo possibile per la salvaguardia della parita' di trattamento
 tra i vari imputati era quello previsto dal comma  1,  dell'art.  513
 c.p.p. allora vigente per le dichiarazioni rese dall'imputato, sempre
 utilizzabili  quando questi, nel dibattimento, si fosse avvalso della
 facolta' di non rispondere.
   Questo collegio dunque ritiene la non manifesta infondatezza  della
 questione   sollevata  in  relazione  alla  immediata  applicabilita'
 dell'art.   513 c.p.p. ai processi le  cui  indagini  preliminari  si
 siano  svolte in costanza della previgente normativa, in relazione ai
 gia'  citati  articoli  3,  101  e  112  della  Costituzione  per  le
 motivazioni sopra svolte.
                               P. Q. M.
   Letti  gli  artt.  134 Cost., art. 1, legge costituzionale n. 1/48,
 art. 23, legge 87/53;
   Ritiene la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  513
 c.p.p.  in  relazione  agli  artt.  3,  101  e 112 della Costituzione
 rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata;
   Sospende il processo in corso;
   Manda  alla  cancelleria  per  la  notifica  della  ordinanza  agli
 imputati e difensori non presenti alla udienza dell'8 maggio 1998;
   Ordina  la  trasmissione degli atti e della presente ordinanza alla
 Corte costituzionale;
   Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza  al
 Presidente  del  Consiglio  di Ministri e, per la comunicazione della
 stessa ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
    Napoli, addi' 8 maggio 1998
                        Il presidente: Del Balzo
                                       I giudici: Acierno - Aschettino
 98C0859