N. 556 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 settembre 1997- 8 luglio 1998

                                N. 556
  Ordinanza   emessa  il  26  settembre  1997  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale  l'8  luglio  1998)  dal  pretore   di   Brescia   nel
 procedimento penale a carico di Campisani Marcello
 Reato  in  genere  -  Reato di oltraggio a un magistrato in udienza -
    Lamentata sussistenza di tale reato nel caso di offesa al p.m.  da
    parte  del  difensore,  laddove  l'offesa  arrecata  dal  p.m.  al
    difensore integra il reato di ingiuria - Disparita' di trattamento
    - Lesione del diritto di difesa.
 Reato in genere - Offese in scritti e  discorsi  pronunciati  dinanzi
    alle  autorita'  giudiziarie  o  amministrative  -  Cause  di  non
    punibilita' -  Condizioni  per  l'applicabilita'  dell'esimente  -
    Mancata previsione di applicabilita' nel caso di offese al p.m. da
    parte  del  difensore  -  Disparita'  di trattamento - Lesione del
    diritto di difesa.
 (C.P., art. 343, in relazione al c.p., art. 594 e 598).
 (Cost., artt. 3 e 25).
(GU n.34 del 26-8-1998 )
                              IL PRETORE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale n.
 8881/97/f rg p.m. a carico di Campisani Marcello, imputato del  reato
 di cui all'art. 343 c.p.
   All'udienza  del  giorno  11  giugno  1998  la  difesa di Campisani
 Marcello, imputato del reato  di  cui  all'art.  343  c.p.  per  aver
 pronunciato  nel  corso  di  una arringa difensiva in un procedimento
 penale avanti alla Corte di assise di Como, nei confronti del p.m. di
 udienza che  gia'  aveva  concluso  la  sua  requisitoria,  le  frasi
 riportate   nel  capo  di  imputazione,  chiedeva  che,  ritenuta  la
 rilevanza  e  non   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.    343  c.p.  e del combinato
 disposto degli  artt.  343  e  598  c.p.,  illustrate  nella  memoria
 difensiva,  fosse  disposta  la  trasmissione  degli  atti alla Corte
 costituzionale  e  la   sospensione   del   procedimento   a   carico
 dell'imputato.
   Denuncia la difesa:
   1.  -  La  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  343  c.p. con
 riferimento agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, nella parte  in
 cui non prevede una specifica differenziazione edittale nella entita'
 della   pena   allorquando   autore   del   reato  sia  un  difensore
 nell'esercizio  della   attivita'   difensiva   nell'ambito   di   un
 procedimento penale.
   In  particolare,  sostiene  la difesa che "l'indagine e la verifica
 costanti circa la corrispondenza tra una  data  norma  penale  ed  un
 sistema  di  valori, armonico rispetto al contesto storico-sociale di
 riferimento, alla luce dei parametri di riferimento  contenuti  negli
 artt.  3,  24  e  27  della  Costituzione,  costituisce  non piu' una
 condizione ottimale auspicabile,  bensi'  la  condizione  cogente  di
 conformita'    all'imperativo    modello   costituzionale:   elemento
 indispensabile  ai  fini   della   accettabilita'   giuridica   della
 normativa".  La  mancata circostanziazione sanzionatoria nell'ipotesi
 in cui il reato sia stato commesso dal  difensore  nello  svolgimento
 del  proprio compito professionale violerebbe questo sistema armonico
 di valori, in considerazione delle qualita'  personali  del  soggetto
 agente  ("esercente  un  servizio  di  pubblica  necessita'") e delle
 connotazioni oggettive della condotta di colui che esplica la propria
 attivita' istituzionale e costituzionale.
   L'equiparazione sanzionatoria  di  posizioni  differenti  contenuta
 nell'art.  343  c.p. violerebbe l'art. 3 della Costituzione, ma anche
 il principio espresso dagli artt. 24 e 27  della  Costituzione  "essi
 stessi  intesi  quali  espressioni  del  diritto  costituzionale alla
 esplicazione  della   attivita'   difensiva   nell'alveo   di   norme
 sostanziali     e    processuali,    che,    nel    loro    contenuto
 descrittivo-sanzionatorio, rispettino il principio di  uguaglianza  e
 di giusto processo".
   2.  -  La  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  598  c.p. con
 riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in  cui
 non  estende  la  causa  di non punibilita' alle offese verso il p.m.
 contenute nei discorsi pronunciati dal difensore  nell'ambito  di  un
 procedimento penale.
   L'art.   598   c.p.   e'  stato,  infatti,  interpretato  come  non
 estensibile alle offese pronunciate dal difensore nei  confronti  del
 p.m.  ma  applicabile  alle offese pronunciate dal p.m. nei confronti
 del difensore. Sostiene la difesa che,  se  cio'  aveva  una  qualche
 giustificazione  nell'originario  contesto  processuale penale 1930 e
 fino alla nascita dell'assetto costituzionale, a seguito dei principi
 introdotti con  la  Carta  costituzionale  e  poi,  a  seguito  della
 modifica  del  codice  di procedura penale, questa non estensibilita'
 della causa di esclusione della punibilita' non ha  piu'  ragione  di
 essere e contrasta con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
   3.  -  La  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  343 c.p., con
 riferimento all'art. 594 c.p., per contrasto con gli  artt.  3  e  24
 della Costituzione, nella parte in cui qualifica "oltraggio" l'offesa
 arrecata  da  un  difensore  al  p.m.  procedente,  laddove  l'offesa
 arrecata dal p.m.  al difensore determina il reato di "ingiuria".
   Non  appare  al  difensore  coerente  con  il  sistema  dei  valori
 acquisiti  nell'attuale  contesto  sociale  che  l'offesa arrecata al
 difensore dal p.m. costituisca ingiuria e vada esente da pena ex art.
 598 c.p., mentre l'offesa arrecata dal difensore al p.m.  costituisca
 oltraggio e non possa andare esente da pena.
   Osserva  il  pretore  che  le  questioni sollevate ai punti 1, 2, 4
 appaiono rilevanti: l'istruttoria dibattimentale svolta ha consentito
 di accertare che nel corso dell'arringa difensiva l'odierno imputato,
 allora difensore in un procedimento penale pendente avanti alla Corte
 di assise di Como, ha pronunciato nei confronti del p.m. di  udienza,
 tra le altre, le frasi indicate nel decreto di citazione a giudizio e
 per  le  quali il p.m. ha disposto il rinvio a giudizio del Campisani
 per oltraggio a magistrato in udienza.
   Deve, pertanto, questo giudice accertare se le stesse integrino  il
 reato  di  oltraggio  a  magistrato  in udienza aggravato, cosi' come
 ritenuto dal p.m. che ha esercitato per tale titolo di reato l'azione
 penale.
   La rilevanza della questione  si  appalesa  dal  fatto  che  questo
 giudice   ritiene  di  dovere  aderire  all'orientamento  uniforme  e
 consolidato della giurisprudenza di  merito  e  di  legittimita'  che
 ricomprende  il  pubblico  ministero nella categoria dei "magistrati"
 cui l'art.   343 c.p. fa  riferimento  (v.  cass.,  6  ottobre  1969,
 Fiorentino  che  ha  ritenuto  che soggetto passivo del reato potesse
 essere annoverato anche colui che  svolge  le  funzioni  di  p.m.  in
 pretura).
   L'art.  4  dell'ordinamento  giudiziario,  in  parte modificato dal
 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 273, ha mantenuto  ferma  la  qualifica  di
 magistrato  del  p.m. (laddove stabilisce che l'ordine giudiziario e'
 costituito dai giudici di ogni grado  delle  preture,  dei  tribunali
 ordinari e delle corti e "dai magistrati del p.m.").
   Lo  stesso  codice di procedura penale attribuisce espressamente in
 piu' norme la qualifica di "magistrato" al p.m. (vedi artt. 52 e 53).
 Alla luce della dizione dell'art. 343 c.p., che  parla  genericamente
 di "magistrato in udienza" danneggiato del reato puo' essere anche il
 magistrato  onorario  e  dunque  il  vice procuratore ex art. 4, 2 c.
 r.d.30 gennaio 1941, n. 12.
   La  stessa  dottrina  uniformemente  ricomprende  il  p.m.  tra   i
 possibili  destinatari  dell'oltraggio (vedi Palazzo, Oltraggio, enc.
 del dir., XXIX 1979, 863;  Fiandaca-Musco,  Diritto  penale  -  Parte
 speciale).
   Ne consegue che il p.m. puo' essere il destinatario di un oltraggio
 e  che  nel  caso  di specie la questione appaia rilevante essendo le
 espressioni riportate nel capo di imputazione e di cui  si  prospetta
 il   carattere   oltraggioso   dirette   inequivocabilmente  al  p.m.
 procedente.
   Del pari rilevante e' la questione di  legittimita'  costituzionale
 riguardante l'art. 598 c.p., cosi' come 'sospeosata al punto 2).
   Infatti,  qualora  si  dovesse  ritenere conforme a Costituzione la
 inclusione, tra i soggetti passivi del reato di  oltraggio  ai  sensi
 dell'art.  343  c.p.,  del  pubblico  ministero  in  udienza  penale,
 apparirebbe   necessario,   nel   caso   di   specie,   valutare   la
 applicabilita' dell'esimente di cui all'art. 598 c.p. che prevede che
 "non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei
 discorsi  pronunciati  dalle  parti  o  dai  loro  patrocinatori  nei
 procedimenti davanti alla autorita' giudiziaria ... quando le  offese
 concernono l'oggetto della causa".
   Tuttavia,  la  norma in parola, che e' contenuta nel capo II titolo
 XII, libro II del codice penale,  concernente  i  delitti  contro  la
 persona  e  i delitti contro l'onore, per giurisprudenza costante non
 e' stata ritenuta applicabile in via analogica ai casi di  oltraggio,
 ma soltanto ai delitti di ingiuria e diffamazione.
   Depongono  in tale senso sia la relazione ministeriale sul progetto
 di codice penale (Relazione al progetto definitivo di un nuovo codice
 penale, in lav. prep., vol. V,  parte  II,  1929,  p.  406),  sia  la
 collocazione   della  norma,  sia  la  natura  della  c.d.  immunita'
 giudiziale, che e' "causa  di  liceita'  penale  eccezionale"  (cosi'
 cass.  sez.  V,  27  maggio  1969,  CED 11493). La stessa dottrina ha
 riconosciuto che una diversa interpretazione  si  fonda  soltanto  su
 principi  di  ragionevolezza,  e  non  su  adeguate basi ermeneutiche
 (Palazzo, v. Oltraggio, E.d.d.  XXIX, 875).
   Questo pretore ritiene condivisibile  e  fondata  l'interpretazione
 fatta  propria  dalla costante giurisprudenza, che costituisce quindi
 diritto vivente.
   Ne discende tuttavia che qualora si  ravvisasse  nelle  espressioni
 pronunciate dall'odierno imputato, nella sua qualita' di difensore in
 un  procedimento  penale,  la sussistenza del delitto di oltraggio al
 magistrato-p.m. in  udienza,  lo  stesso  non  potrebbe  invocare  la
 esimente in parola.
   Quanto  alla  non manifesta infondatezza delle questioni si ritiene
 che  quella  sub  1)  sia  manifestamente  infondata   spettando   al
 legislatore  il  potere  discrezionale  in  merito alla previsione di
 trattamenti sanzionatori e non rientrando tra i poteri della Corte il
 sindacato su tale potere discrezionale (art. 28, legge 87/53).
   Appaiono, invece, non manifestamente infondate, in riferimento agli
 artt. 3 e 24 della Costituzione, anche nel loro  combinato  disposto,
 le  questioni  di legittimita' costituzionale indicate in premessa ai
 punti 2) e 3).
   In particolare non e'  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 343 c.p., in relazione all'art.
 594  c.p.,  nella  parte  in  cui prevede che le offese, arrecate nel
 corso di una udienza penale, al p.m. dal difensore integrino il reato
 di oltraggio a magistrato in udienza, reato punito con la pena  della
 reclusione  da  uno a quattro anni e procedibile d'ufficio, mentre le
 offese pronunciata dal p.m. nel  corso  di  una  udienza  penale  nei
 confronti  del difensore integrano il reato di ingiuria, punibile con
 la  pena  alternativa  della reclusione fino a sei mesi o della multa
 fino a lire un milione, e procedibile a querela,  in  relazione  agli
 artt.  3  e  24, secondo comma della Costituzione, rivestendo p.m.  e
 difensore nell'udienza penale la medesima qualifica di  "parti",  che
 partecipano  alla  stessa  "su basi di parita'" in ogni stato e grado
 del procedimento (art. 2, punto 3 legge delega per il nuovo codice di
 procedura penale).
   Tale asserita parita' dovrebbe comportare un  medesimo  trattamento
 sanzionatorio in relazione a condotte identiche.
   Ne'  una  simile  e  macroscopica  differenziazione  di trattamento
 sanzionatorio puo' trovare  giustificazione  ragionevole  ex  art.  3
 della  Costituzione,  nella  qualifica  soggettiva del p.m., pubblico
 ufficiale, a fronte della qualifica di soggetto esercente un servizio
 di pubblica necessita' rivestita dal  difensore,  in  relazione  alla
 sostanziale  identita'  di  poteri  e  posizione  che  le  due figure
 rivestono nell'udienza penale.
   Se, poi, tale differenziazione dovesse ritenersi costituzionalmente
 legittima non manifestamente infondata apparirebbe  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 598 c.p. nella parte in cui non
 estende  la  causa  di  non  punibilita'  alle  offese  verso il p.m.
 contenute nei discorsi pronunciati  dal  difensore  nei  procedimenti
 avanti  ad  una autorita' giudiziaria, in relazione agli artt. 3 e 24
 della Costituzione.
   In relazione all'art. 3  della  Costituzione,  perche',  attesa  la
 equiparazione, sia pure solo nell'ambito ed ai fini dello svolgimento
 di  tipiche  attivita'  processuali  e  nella contestualita' del loro
 compimento, dei ruoli del p.m. e del difensore,  non  e'  ragionevole
 attuare    una    cosi'   rilevante   difformita'   di   trattamento,
 esclusivamente in base alla considerazione che il  p.m.  e'  pubblico
 ufficiale  e  l'avvocato  difensore  e' semplicemente un soggetto che
 svolge servizio di pubblica  necessita';  in  relazione  all'art.  24
 della  Costituzione,  in  quanto,  sempre  nell'ambito  ed ai fini di
 svolgimento di tipiche attivita' processuali e  nella  contestualita'
 del  loro svolgimento, la non applicabilita' della esimente in parola
 alle offese al p.m. contenute nei discorsi pronunciati dal  difensore
 nel  corso di una udienza penale, e' idonea ad incidere, riducendolo,
 sul diritto di difesa elevato a rango di  valore  costituzionale  dal
 predetto  art.  24; in relazione, infine, al combinato disposto degli
 artt. 3 e 24 costituzionale dai  quali  e'  desumibile  un  principio
 costituzionale  di  parita'  delle  parti  nella  udienza penale, che
 appare  non  osservato  quando  al  p.m.  e'  consentito  pronunciare
 affermazioni  lesive  dell'onore  dell'(imputato) o del difensore, se
 non altro a fini accusatori, godendo lo stesso della  c.d.  immunita'
 giudiziale,  mentre  il  difensore,  sempre  nell'ambito dell'udienza
 penale e nell'esercizio del suo mandato difensivo, pronunciando frasi
 offensive nei confronti del p.m. incorre nel reato di oltraggio e non
 puo' godere della esimente di cui all'art. 598 c.p.
   Il sistema cosi' delineato  appare  del  tutto  incoerente  laddove
 rinuncia alla tutela di due beni sicuramente di rango costituzionale,
 quali  sono  l'onore  e  la  reputazione  personale, per garantire un
 interesse solo strumentale alla difesa processuale, quale  e'  quello
 della  massima  liberta'  del  dibattito  giudiziale  (art. 598 c.p.)
 mentre non rinuncerebbe, per la tutela del medesimo  interesse,  alla
 protezione di un bene estraneo alla Costituzione, quale e' quello del
 prestigio della pubblica amministrazione.
   La  discriminazione  ingiustificata e' resa piu' evidente anche dal
 fatto che l'art. 598 c.p. ha una  portata  piu'  ampia  dell'art.  24
 della  Costituzione  (richiamato  dall'art. 51 c.p.), perche', mentre
 per il primo e' sufficiente che l'offesa sia "pertinente" all'oggetto
 della  causa,  invece,  perche'  il   comportamento   offensivo   sia
 scriminato  ex  art.  24  della  Costituzione  devono ricorrere altri
 requisiti (verita' dei  fatti  disonorevoli  addebitati,  motivazione
 razionale dell'offesa, forma che non trascenda le esigenze difensive,
 necessita'  o quantomeno utilita' dell'offesa alla difesa), requisiti
 che non paiono ricorrere nel caso in esame. Pure  piu'  ampia  e'  la
 portata dell'art. 598 c.p.  rispetto all'art. 21 Costituzione (cass.,
 sez.  VI,  Pedulla')  in  quanto  perche' sia ravvisabile la causa di
 giustificazione  del  diritto  di  critica  e'  necessario   che   le
 espressioni,  attraverso  le  quali  si  esercita tale diritto, siano
 direttamente percepibili come un giudizio che investa la legittimita'
 o l'opportunita' del  provvedimento  in  se'  considerato  e  non  la
 persona del pubblico ufficiale, come e' nel caso concreto in esame.
   Per  le  argomentazioni  che  precedono  il pretore, a scioglimento
 della riserva, ritiene rilevanti e non manifestamente  infondate  nei
 termini  di  cui  sopra  le  questioni di legittimita' costituzionale
 evidenziate.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n.  1
 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Ritenute rilevanti e non manifestamente infondate le  questioni  di
 legittimita' costituzionale:
     a)  dell'art.  343  c.p.,  in  relazione all'art. 594 c.p., nella
 parte in cui prevede che le offese arrecate nel corso di una  udienza
 penale  al  p.m.  dal  difensore  integrino  il  reato di oltraggio a
 magistrato  in  udienza,  mentre  le  offese  arrecate  dal  p.m.  al
 difensore  nel  corso  di  una  udienza  penale integrano il reato di
 ingiuria, in relazione agli artt. 3 e 24 Costituzione;
     b) dell'art. 598 c.p. nella parte in  cui  non  estende  la  c.d.
 immunita'   giudiziale   alle  condotte  di  cui  all'art.  343  c.p.
 limitatamente alle  offese  verso  il  p.m.  contenute  nei  discorsi
 pronunciati dal difensore nel corso di una udienza penale avanti alla
 autorita'  giudiziaria, in relazione agli artt. 3 e 24, secondo comma
 Costituzione ed al loro combinato disposto;
   Sospende il procedimento penale in corso;
   Manda alla cancelleria di provvedere  alla  immediata  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
   Manda  alla  cancelleria  di  notificare la presente ordinanza alle
 parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Manda alla cancelleria  di  comunicare  la  presente  ordinanza  ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
     Brescia, addi' 26 settembre 1997
                           Il pretore: Milesi
 98C0866