N. 281 SENTENZA 7 - 17 luglio 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale - Mancata previsione del provvedimento autorizzativo
 del  giudice  per  la  rilevazione  del  traffico  telefonico  e   la
 individuazione  delle  utenze  chiamate,  delle date e dell'ora delle
 conversazioni  -  Introduzione  di  un  frammento   della   specifica
 disciplina   dell'intercettazione  telefonica  nel  diverso  istituto
 dell'acquisizione dei tabulati - Richiesta  di  sentenza  additiva  -
 Inammissibilita'.
 
 (C.P.P., art. 267, comma 1).
 
 (Cost., art. 3, primo comma).
 
(GU n.34 del 26-8-1998 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof. Cesare MIRABELLI,   prof.
 Fernando SANTOSUOSSO,   avv. Massimo VARI,    dott.  Cesare  RUPERTO,
 dott.  Riccardo  CHIEPPA,   prof. Gustavo ZAGREBELSKY,  prof. Valerio
 ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido
 NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 267, comma 1,
 del codice di procedura penale promosso con ordinanza  emessa  il  28
 aprile  1997  dal  tribunale  di  Catanzaro nel procedimento penale a
 carico di B. R., iscritta al n. 469 del  registro  ordinanze  1997  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 30, prima
 serie  speciale, dell'anno 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  17 giugno 1998 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Nel corso di un procedimento penale il tribunale di Catanzaro
 ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  3,  primo   comma,   della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 267,
 comma  1,  del codice di   procedura penale "nella parte in cui detta
 norma non prevede la adozione  del  provvedimento  autorizzativo  del
 giudice   per   la   rilevazione   del   traffico   telefonico  e  la
 individuazione delle utenze chiamate, delle  date  e  dell'ora  delle
 conversazioni".
   Il  rimettente  premette che il pubblico ministero aveva formulato,
 ai sensi dell'art. 493 cod. proc. pen., richiesta di ammissione di un
 tabulato, attestante il traffico telefonico relativo  ad  una  utenza
 cellulare  intestata a persona diversa dall'imputato e "asseritamente
 in uso a  persona  imputata  di  procedimento  connesso";  che  detto
 tabulato  era  stato  acquisito  nel corso delle indagini in forza di
 decreto autorizzativo adottato dallo stesso pubblico ministero;  che,
 infine,  la  difesa  dell'imputato aveva eccepito l'inutilizzabilita'
 del documento sotto il profilo  del  difetto  di  autorizzazione  del
 giudice,  ritenuta  necessaria  in  base  ai principi affermati dalla
 giurisprudenza costituzionale.
   Al riguardo il rimettente osserva che, come  gia'  affermato  dalla
 Corte  costituzionale  nella  sentenza n. 81 del 1993, la rilevazione
 del traffico telefonico, con la individuazione delle utenze chiamate,
 dei relativi intestatari, delle date e delle ore delle conversazioni,
 incide sul valore costituzionalmente  protetto  della  segretezza  di
 ogni  forma  di  comunicazione,  da  intendersi  riferito non solo al
 contenuto  delle  comunicazioni,  ma  anche  ai  dati  esteriori   di
 individuazione di una determinata conversazione telefonica. Di qui la
 necessaria  estensione anche a questa ipotesi delle garanzie previste
 nell'art.  15 Cost.
   Sotto  tale  profilo,  l'adozione  ai  fini  dell'acquisizione  dei
 tabulati  del  decreto  autorizzativo da parte del pubblico ministero
 "soddisfa", a giudizio del rimettente, "il parametro  costituzionale,
 laddove  prescrive, nel secondo comma dell'art. 15, la necessita' del
 provvedimento  motivato  della  ''autorita'  giudiziaria'',  in  essa
 comprendendo  dunque  anche  il  pubblico ministero". Cio' nondimeno,
 considerata  la  maggiore  garanzia   dell'intervento   del   giudice
 apprestata   dall'art.   267,   comma  1,  cod.  proc.  pen.  per  le
 intercettazioni del contenuto delle conversazioni, la norma impugnata
 sarebbe  censurabile  in  riferimento  all'art. 3, primo comma, della
 Costituzione   "per   la   irrazionale    minore    tutela    offerta
 dall'ordinamento  in relazione alla compressione dell'identico valore
 della segretezza delle comunicazioni". Rileva infatti  il  rimettente
 che  il  diritto  alla  riservatezza,  "essendo sancito in termini di
 ''inviolabilita''',  non  appare  suscettibile  di  differenziate   e
 graduate guarentigie".
   2.  -  Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata infondata.
   L'Avvocatura  contesta l'assunto del giudice rimettente secondo cui
 nel caso di intercettazioni  del  contenuto  di  conversazioni  e  di
 rilevazione   del   traffico   telefonico   vi  sarebbe  compressione
 dell'"identico  valore   della   segretezza   delle   comunicazioni".
 Determinante  appare  invece alla difesa erariale la diversa "valenza
 probatoria"  degli  elementi   contenutistici   della   comunicazione
 telefonica  rispetto  agli  elementi  identificativi della stessa: in
 particolare, si osserva nell'atto di intervento, "oggetto della prova
 delle intercettazioni e'  anche  il  contenuto  della  comunicazione,
 quello  del documento relativo ai tabulati pertinenti una determinata
 utenza  e'  solo  la  rappresentazione  del   fatto   dell'intercorsa
 comunicazione  con  i dati temporali e spaziali del suo verificarsi".
 Di qui la "diversa  forza  invasiva  dei  due  mezzi  di  prova"  cui
 ragionevolmente  corrispondono  diversi  livelli  di  garanzia.    Le
 intercettazioni del contenuto delle conversazioni infatti, risultando
 per le ragioni anzidette notevolmente piu' intrusive della  sfera  di
 riservatezza    e    segretezza   delle   comunicazioni,   richiedono
 l'autorizzazione del giudice; per  l'acquisizione  dei  tabulati,  di
 evidente  minore  incisivita',  sarebbe invece sufficiente e comunque
 rispettoso della guarentigia costituzionale il provvedimento motivato
 dell'autorita' giudiziaria, tra cui evidentemente va ricompreso anche
 il pubblico ministero.
                         Considerato in diritto
   1. -  Il  tribunale  di  Catanzaro  ha  sollevato,  in  riferimento
 all'art.     3,  primo  comma,  della  Costituzione,    questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 267, comma  1,  del  codice  di
 procedura  penale,  nella  parte  in cui "non prevede la adozione del
 provvedimento  autorizzativo  del  giudice  per  la  rilevazione  del
 traffico  telefonico e la individuazione delle utenze chiamate, delle
 date e dell'ora delle conversazioni".
   Ad avviso del giudice rimettente,  il  provvedimento  autorizzativo
 del  pubblico  ministero  soddisfa, anche alla luce della sentenza di
 questa Corte n. 81 del 1993, la garanzia apprestata dal secondo comma
 dell'art. 15 Cost., che  prescrive,  a  tutela  della  inviolabilita'
 della  liberta'  e  della  segretezza  della corrispondenza e di ogni
 altra forma di  comunicazione,  la  necessita'  di  un  provvedimento
 motivato dell'autorita' giudiziaria, ma si pone, nel confronto con la
 disciplina dettata dall'art. 267, comma 1, cod. proc. pen. in tema di
 intercettazione  di  conversazioni  o  comunicazioni  telefoniche, in
 contrasto con l'art.  3, primo comma, della  Costituzione.  La  minor
 tutela   predisposta   per   l'acquisizione   dei  tabulati  rispetto
 all'intercettazione  del  contenuto  di   conversazioni,   sottoposta
 all'autorizzazione   del   giudice,   sarebbe   priva   di  razionale
 giustificazione, posto che l'identico valore della  segretezza  delle
 comunicazioni,  qualificato come inviolabile dalla Costituzione, "non
 appare suscettibile di differenziate e  graduate guarentigie".
   Sulla base di queste argomentazioni, il giudice  rimettente  chiede
 appunto  a questa Corte una sentenza additiva sull'art. 267, comma 1,
 cod. proc. pen., al fine di  assoggettare  anche  l'acquisizione  dei
 "tabulati" alla disciplina piu' garantita prevista da tale norma.
   2. - La questione e' inammissibile.
   L'intercettazione  del  contenuto  di conversazioni o comunicazioni
 telefoniche, telematiche o tra presenti e' disciplinata  dagli  artt.
 266  e  seguenti  cod.  proc.  pen.  -  nonche',  per  i  delitti  di
 criminalita' organizzata, dall'art. 13 del d.-l. 13 maggio  1991,  n.
 152,  convertito  nella legge 12 luglio 1991, n. 203, come modificato
 dall'art. 3-bis, comma 2, del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito
 nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - che prevedono condizioni,  limiti
 e  garanzie  particolarmente  rigorosi  a  tutela  della  sfera della
 riservatezza dei singoli.
   La normativa vigente mira a contemperare  il  potenziale  contrasto
 tra  i  due  valori  costituzionali espressi dal "diritto dei singoli
 individui alla liberta' e alla segretezza delle loro  comunicazioni",
 riconosciuto   come   inviolabile   dagli  artt.  2  e  15  Cost.,  e
 "l'interesse pubblico a reprimere i reati e a perseguire in  giudizio
 coloro  che  delinquono"  (sentenza n. 366 del 1991, nonche' sentenze
 nn. 63  e  463  del  1994).  Ne  sono  significativa  espressione  la
 disciplina  dei  limiti  di ammissibilita' delle intercettazioni, dei
 presupposti e delle forme del provvedimento del giudice,  dei  limiti
 di  durata delle operazioni e dei provvedimenti di proroga (artt. 266
 e 267, comma 3, cod. proc. pen.), nonche' la disciplina relativa allo
 stralcio  delle  conversazioni  manifestamente  irrilevanti  e  delle
 registrazioni di cui e' vietata l'utilizzazione, anche in vista della
 tutela  dei  terzi  di  cui siano state occasionalmente registrate le
 conversazioni nel corso delle  operazioni  di  intercettazione  (art.
 268,  comma  6,  cod.  proc.  pen.)  e la previsione dei limiti e dei
 divieti di utilizzazione dei risultati delle  intercettazioni  (artt.
 270 e 271 cod. proc. pen.).
   3.  -  Dal complesso delle norme previste negli articoli richiamati
 emerge - come gia' evidenziato dalla sentenza n. 81 del 1993 - che la
 disciplina e' modellata con esclusivo riferimento all'intercettazione
 del contenuto delle conversazioni e comunicazioni e non  e'  pertanto
 estendibile   ad   istituti  diversi,  quale  l'acquisizione  a  fini
 probatori di notizie riguardanti il mero fatto storico della avvenuta
 comunicazione telefonica.
   Invero la disciplina applicabile all'acquisizione  dei  "tabulati",
 nei  cui  confronti  opera la tutela che l'art. 15 della Costituzione
 appresta  alla  liberta'  e  alla  segretezza  di   ogni   forma   di
 comunicazione,  va  ricercata  -  come  e'  stato puntualizzato nella
 sentenza da ultimo citata - nell'art. 256 cod. proc.  pen.,  relativo
 al  dovere  di  esibizione  all'autorita'  giudiziaria  di  documenti
 riservati o segreti; disciplina alla quale sono peraltro  sottese  le
 irrinunciabili garanzie stabilite dall'art. 15, secondo comma, Cost.,
 secondo   cui   la   liberta'  e  la  segretezza  di  ogni  forma  di
 comunicazione possono essere limitate solo  con  atto  dell'autorita'
 giudiziaria, sorretto da adeguata e specifica motivazione.
   4.   -   Tenendo   conto   della   diversita'   di  discipline  che
 rispettivamente regolano i due istituti, nonche' dei diversi elementi
 di conoscenza alla cui acquisizione sono rispettivamente  finalizzati
 e delle differenti esigenze investigative che mirano a soddisfare, la
 pretesa  del  giudice  rimettente  di estendere la specifica garanzia
 dell'autorizzazione giurisdizionale, prevista  per  l'intercettazione
 del   contenuto   di   conversazioni,   all'acquisizione  documentale
 concernente  i  soli  dati  identificativi  di  tali   conversazioni,
 mediante  una  sentenza  additiva  sull'art. 267, comma 1, cod. proc.
 pen., deve essere dichiarata inammissibile.
   L'intervento richiesto comporterebbe infatti  il  trapianto  di  un
 frammento  della specifica disciplina dell'intercettazione telefonica
 al diverso  istituto  dell'acquisizione  dei  tabulati.  Quest'ultimo
 istituto    risulterebbe   cosi'   impropriamente   assimilato   alle
 intercettazioni  telefoniche,  e  si  aprirebbero  delicati  problemi
 interpretativi  in  ordine  all'applicazione  dei  presupposti  e dei
 limiti  funzionali  alle  specifiche   esigenze   di   garanzia   che
 sottostanno  alle  intercettazioni del contenuto di conversazioni, ma
 non tutti egualmente riconducibili alla diversa forma  di  intrusione
 nella   sfera   della   riservatezza   che   si   realizza   mediante
 l'acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico.
   Una sentenza additiva della Corte  -  che,  per  le  considerazioni
 sinora  svolte, dovrebbe intervenire non sull'art. 267, comma 1, cod.
 proc. pen., ma sull'art. 256, comma 1, cod. proc. pen., inserito  nel
 capo  relativo  ai  sequestri  -  verrebbe inoltre ad interferire con
 scelte, riservate alla discrezionalita' del  legislatore,  in  ordine
 alle  garanzie piu' idonee a contemperare la tutela della sfera della
 liberta' e della  segretezza  delle  comunicazioni,  coinvolta  anche
 dalla  acquisizione  dei  tabulati,  con  le  esigenze  sottese  alla
 investigazione e alla repressione dei reati.
   Basti pensare che, ove si riservasse  al  giudice  l'autorizzazione
 alla  acquisizione  dei tabulati, spetterebbe comunque al legislatore
 l'individuazione dei parametri di giudizio del relativo decreto,  ora
 definiti  dall'art. 267, comma 1, cod. proc. pen. (e per i delitti di
 criminalita' organizzata dall'art. 13 del d.-l.  n.  152  del  1991),
 limitandosi   l'art.   15,   secondo   comma,  della  Costituzione  a
 prescrivere  la  necessita'  di  un  atto   motivato   dell'autorita'
 giudiziaria nel rispetto delle garanzie stabilite dalla legge.
   Fermo  restando che il "livello minimo di garanzie" enunciato dalla
 sentenza n. 81 del 1993 (requisito  soggettivo  della  autorizzazione
 della  autorita'  giudiziaria  e  oggettivo  della sussistenza di una
 adeguata motivazione del provvedimento) risulta allo stato rispettato
 per  l'aspetto  specificamente  dedotto  della   autorizzazione   del
 pubblico  ministero  alla  acquisizione  dei  tabulati,  e'  peraltro
 auspicabile che  il  legislatore  provveda  a  disciplinare  in  modo
 organico   l'acquisizione   e  l'utilizzazione  della  documentazione
 relativa al traffico telefonico, in funzione  della  specificita'  di
 questo  particolare  mezzo  di  ricerca  della  prova,  che non trova
 compiuto sviluppo normativo nella disciplina  generale  prevista  dal
 codice  in  tema  di  dovere  di  esibizione di atti e documenti e di
 sequestro.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 267, comma 1, del codice di procedura penale, sollevata, in
 riferimento  all'art.  3,  primo  comma,  della   Costituzione,   dal
 tribunale di Catanzaro, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 7 luglio 1998.
                        Il Presidente: Vassalli
                      Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 17 luglio 1998.
                       Il cancelliere: Fruscella
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