N. 604 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 dicembre 1997- 31 luglio 1998
N. 604 Ordinanza emessa il 5 dicembre 1997 (pervenuta alla Corte costituzionale il 31 luglio 1998) dalla Corte dei conti sezione giurisdizionale per la regione Lazio sul ricorso proposto da Biagini Celestino contro la Direzione provinciale del tesoro di Roma. Pensioni - Pensioni lavoratori dipendenti - Divieto di cumulo, per tutti i trattamenti liquidati dal 30 settembre 1996, limitatemente alla quota di pensione liquidata con il sistema retributivo, della pensione di anzianita' con i redditi di lavoro autonomo di qualsiasi natura - Disparita' di trattamento rispetto ai lavoratori autonomi pensionati - Ingiustificata deroga al principio della irretroattivita' della legge - Incidenza sul diritto al lavoro e sui principi di tutela del lavoro, di retribuzione proporzionata ed adeguata, di garanzia prevedenziale di formazione della legge e di decadenza dei decreti-legge non convertiti. (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 189). (Cost., artt. 3, 4, primo comma, 35 e 36, primo comma, 38, 70 e 77).(GU n.37 del 16-9-1998 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 07841/C del registro di segreteria, proposto dal sig. Celestino Biagini, residente in Roma ed ivi elettivamente domiciliato in piazza Dante n. 12, presso gli avvocati Tommaso e Federico Rafti che lo rappresentano e difendono per procura a margine del ricorso, avverso la Direzione provincale del tesoro di Roma. F a t t o A favore del dott. Celestino Biagini, gia' consigliere di Stato cessato dal servizio, per dimissioni, a decorrere dal 30 novembre 1996, e' stato riconosciuto il trattamento di quiescenza provvisorio di L. 97.500.000 annue lorde sulla base degli elementi forniti dal Segretariato generale del Consiglio di Stato con nota n. 5340/SG del 13 dicembre 1996 (stipendio pensionabile L. 141.394.194 corrispondente alla qualifica di Presidente di sezione, classe 8, quarto a.b.; servizio utile anni 29). L'interessato, che ha fatto presente di aver iniziato a svolgere la professione forense dal momento del collocamento a riposo, ha quindi proposto ricorso a questa Sezione giurisdizionale per la regione Lazio per sentir "dichiarare il proprio diritto alla pensione di anzianita', in misura integrale, nonostante sia titolare di redditi di lavoro autonomo"; in via subordinata, ha chiesto che venga indicato "se, ed eventualmente in quale misura, tale pensione debba essere ridotta, in relazione all'anzidetta titolarita' di redditi di lavoro autonomo". In proposito ha dedotto che l'art. 1, comma 189, legge 23 dicembre 1996, n. 662 (entrata in vigore dal 1 gennaio 1997) ha stabilito, per i lavoratori dipendenti, il divieto di cumulo, limitatamente alla quota di pensione liquidata con il sistema retributivo, della pensione di anzianita' con i redditi di lavoro autonomo di qualsiasi natura, prevedendo altresi' l'operativita' di tale disposizione per tutti i trattamenti liquidati dal 30 settembre 1996. In realta', fa rilevare il ricorrente, il divieto di cumulo introdotto con la riferita norma non e' parziale ma totale, perche' l'art. 1, comma 13, legge 8 agosto 1995 n. 335, ha assoggettato interamente al sistema retributivo la pensione del dipendente (pubblico o privato) che alla data del 31 dicembre 1995 possa far valere un'anzianita' contributiva di almeno 18 anni; con la conseguenza, pero', in questo modo, di penalizzare proprio le aspettative di chi ha maturato una anzianita' maggiore. L'operativita', poi, del divieto di cumulo a far tempo dal 30 settembre 1996 trae origine dal fatto che il citato art. 1, comma 189, legge n. 662 del 1996 ha recepito, con effetto retroattivo, il contenuto di un decreto-legge (30 settembre 1996, n. 508), decaduto per mancata conversione nel termine previsto dall'art. 77, terzo comma Cost. Il ricorrente prospetta l'illegittimita' costituzionale della disposizione sopra indicata sotto molteplici profili, che possono sintetizzarsi come appresso: a) con la sentenza n. 360 del 24 ottobre 1996, la Corte costituzionale ha statuito il principio dell'illegittimita' della reiterazione di decreti-legge decaduti per mancata conversione; ma tale principio verrebbe aggirato ove una legge successiva recuperi retroattivamente il contenuto di un decreto-legge non convertito, con effetto dalla data dello stesso decreto; b) la retroattivita' della disposizione in esame comporta che a carico del ricorrente, a riposo dal 30 novembre 1996, si applica una disciplina successiva che determina la perdita totale della prestazione pensionistica, quando invece la diversa disciplina vigente alla data suddetta prevedeva (per chi, come il ricorrente, aveva raggiunto i requisiti contributivi minimi al 31 dicembre 1994) il conseguimento dell'intera prestazione pensionistica (ai sensi dell'art. 10, comma 8, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, come sostituito dall'art. 11, comma 10, legge 24 dicembre 1993, n. 537) : il che contrasta con l'esigenza, primaria e fondamentale in uno Stato di diritto, dell'affidamento del cittadino sulle norme in vigore. Nella fattispecie, peraltro, il contrasto risulterebbe ancora piu' evidente e grave, dato che lo stesso dott. Biagini, in relazione ad un precedente collocamento in quiescenza seguito da riammissione in servizio, aveva gia' fruito di un trattamento pensionistico di anzianita' pur svolgendo attivita' di lavoro autonomo; e tale diritto non dovrebbe venir meno. Ancora, la previsione retroattiva al 30 settembre 1996 riguarda solo i lavoratori dipendenti, giacche' per i lavoratori autonomi (comma 190, dell'art. 1, legge n. 662 del 1996 cit.) la normativa anticumulo ha effetto solo "sui trattamenti liquidati dalla data di entrata in vigore della presente legge" (e cioe' dal 1 gennaio 1997) : la differenziazione sarebbe irrazionale ed in contrasto con l'art. 3 Cost., anche perche' neppure in linea con i precedenti normativi specifici (commi 6 e 6-bis d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 11, comma 9, legge 24 dicembre 1993, n. 537) e con le previsioni dello stesso decreto-legge non convertito (n. 508 del 1996), che invero per i lavoratori autonomi e per quelli dipendenti stabilivano una identica decorrenza, ingiustificatamente ora diversificata; c) la nuova disciplina finisce comunque col comportare, per tutti coloro che hanno una anzianita' maggiore di anni diciotto e quindi (a sensi dell'art. 1, comma 13, legge 8 agosto 1995, n. 335) hanno diritto alla pensione calcolata integralmente con il sistema retributivo, la totale perdita della prestazione pensionistica per tutto il periodo di svolgimento di una attivita' produttiva di reddito: il che, considerato il carattere di retribuzione differita proprio della pensione e la sua natura di diritto patrimoniale autonomo ed irrinunciabile, contrasterebbe con gli artt. 36 e 38 Cost. stravolgendo anche i criteri introdotti dalla legge di riforma n. 335 del 1995 cit. che ha accentuato la connotazione assicurativa e quindi la commisurazione del trattamento pensionistico ai contributi versati. Il sistema, poi, non prevedendo alcuna misura correttiva in relazione al reddito effettivamente prodotto dal pensionato, e' in grado di determinare la perdita completa di tutta la pensione senza prendere in alcuna considerazione la misura del nuovo reddito (anche minimo) prodotto, con evidente violazione degli artt. 36 e 38 Cost. Per l'odierna pubblica udienza l'avv. Rafti, per il ricorrente, ha depositato memoria in cui illustra ulteriormente le sopra evidenziate questioni anche con riferimento ai principi espressi nella pronuncia della Corte costituzionale n. 211 del 2 luglio 1997 (concernente le pensioni di vecchiaia degli spedizionieri doganali da cui si ricaverebbe un principio di intangibilita' della prestazione pensionistica gia' concessa. La Direzione provinciale del tesoro, con nota in data 3 dicembre 1997, senza intervenire sul merito delle questioni prospettate, per le quali si protesta incompetente, ha comunicato che "la pensione di cui e' titolare il dott. Biagini e' in regolare corso di pagamento": in udienza, il rappresentante della stessa Amministrazione ha assunto l'inammissibilita' del gravame, in assenza (allo stato) di un atto della stessa Direzione provinciale del tesoro riduttivo del trattamento pensionistico. D i r i t t o I. - Non sembra possano sussistere dubbi sull'ammissibilita' del gravame e, soprattutto, sull'interesse diretto ed attuale del ricorrente alla pronuncia giurisdizionale. La domanda tende infatti all'accertamento del regime pensionistico applicabile nella fattispecie sin dal momento del collocamento a riposo dell'avente diritto: e poiche' tale regime incide (ed e' idoneo ad incidere) sia sull'an che sul quantum del trattamento da corrispondere, l'assenza di un provvedimento riduttivo del trattamento pensionistico non preclude la proponibilita' dell'azione innanzi al giudice delle pensioni una volta chiarito che la domanda ha per oggetto l'accertamento definitivo della consistenza di un diritto soggettivo a contenuto patrimoniale determinato direttamente dalla legge, ne' rileva la provvisorieta' dell'erogazione quando il diritto alla medesima e' condizionato ab origine ed in atto dalle disposizioni sopra indicate e il ricorrente chiede che sia accertato il trattamento pensionistico cui ha diritto nel caso di produzione di reddito professionale e per il periodo di tale produzione. Nessun dubbio, inoltre, sulla legittimazione passiva esclusiva della Direzione provinciale del tesoro, quale ente o ufficio pagatore della pensione e competente a ricevere la dichiarazione di cui all'art. 10, comma 4, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 e adottare i conseguenti provvedimenti. Le considerazioni che precedono consentono altresi' di ritenere rilevanti le prospettate questioni di costituzionalita'. Il collegio deve pertanto darsi carico di accertare la non manifesta infondatezza delle questioni stesse; e nei limiti che vengono appresso precisati, ritiene di doverle sottoporre al vaglio della Corte costituzionale. II. - Il fatto che il dott. Biagini abbia gia' fruito di un trattamento pensionistico, senza limitazione alcuna, per un lungo periodo di tempo e pur svolgendo attivita' di lavoro autonomo, non sembra possa comportare lesione alcuna di diritti asseritamente quesiti: non puo' infatti istituirsi alcun raffronto tra la situazione normativa esistente al momento del primo collocamento a riposo e la piu' restrittiva evoluzione normativa successiva: il diritto a pensione e' indisponibile e, nel caso in esame, risulta che il secondo periodo di servizio ha concorso a determinare il trattamento pensionistico complessivo; ma la liquidazione effettuata in precedenza, sia pure con trattamento definitivo, non rappresenta per cio' stesso un quantum intangibile, nel senso che comunque debba restare ferma o essere quanto meno ripristinata quando l'interessato, per propria volontaria scelta, ha optato per la riassunzione in servizio assoggettandosi alla possibile diversa disciplina pensionistica in vigore al momento del nuovo collocamento a riposo. Una diversa soluzione potrebbe anzi determinare manifeste illogicita' ed ingiustizie, perche' penalizzerebbe proprio i dipendenti che hanno invece prestato la propria opera senza alcuna soluzione di continuita': in ogni caso, per quanto concerne la particolare posizione del ricorrente, non si ravvisano profili di incostituzionalita' con riguardo ad una tematica di carattere generale che coinvolge la successione nel tempo di diverse discipline pensionistiche. III. - Non manifestamente infondata ritiene invece il collegio la questione relativa all'operativita' retroattiva dell'art. 1, comma 189, legge n. 662 in esame. Non e' dubbio che la norma abbia recuperato i contenuti di un decreto legge decaduto; ma se cosi' e', manifestamente non sono state tratte tutte le conseguenze derivanti dal precetto costituzionale, che fa decadere fin dall'inizio i decreti legge non convertiti; ne' sembra, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 360 del 24 ottobre 1996, che tali conseguenze possano essere violate o indirettamente aggirate. Per la verita' proprio dalla sentenza n. 211 del 1997 (richiamata per altro verso dallo stesso ricorrente) si ricaverebbe indirettamente l'ammissibilita' di una operativita' retroattiva della legge (nella specie ivi esaminata, di conversione) fino al primo dei decreti-legge che aveva previsto la disposizione piu' volte poi reiterata fino alla conversione: ma la sentenza stessa era ancora riferita ad un'epoca in cui la reiterazione era "tollerata", cosa certamente non piu' possibile dopo il severo e rigoroso richiamo alla normalita' costituzionale di cui alla sentenza n. 360 del 1996. E tale aspetto (sia pure solo formale, ma in materia la forma acquista rilevanza sostanziale) sembra anche superare la possibilita', certamente riconosciuta al legislatore, di disporre limitazioni di diritti patrimoniali anche con effetto retroattivo, purche' non sia superato il principio della ragionevolezza: questa infatti diventa questione attinente ad una valutazione di merito della normativa, non piu' alla sua intrinseca legittimita' riferita alla fonte e alle forme dell'emanazione. Inoltre, sul piano della certezza attuale del diritto si otterrebbe un risultato deteriore per il cittadino proprio come conseguenza della non piu' consentita reiterazione di decreti-legge: infatti, mentre in presenza di un decreto-legge reiterato il cittadino avrebbe pur sempre la possibilita' di conoscere la normativa di riferimento al momento di operare le proprie scelte (sia pure sotto l'incertezza della futura conversione o meno), l'uso di norme ad efficacia retroattiva, tali anche da cancellare diritti a prestazioni pensionistiche sostanzialmente acquisite, lascerebbe il cittadino privo della possibilita' di orientare le proprie scelte in relazione al quadro normativo esistente. Di qui la possibile violazione dell'art. 77 della Costituzione e delle altre norme costituzionali (artt. 70 segg.) che disciplinano il procedimento di formazione delle leggi, nonche' dell'art. 3 Cost., per la diversificazione, quanto alla prevista operativita' retroattiva della norma, tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi e per il contrasto con l'esigenza primaria di tutelare l'affidamento del cittadino, elemento fondamentale nello Stato di diritto. IV. - Non manifestamente infondata e' pure la questione relativa alla disciplina del cumulo, quale risultante dalla nuova normativa. Se e' certamente condivisibile l'orientamento sempre piu' deciso del legislatore di scoraggiare i trattamenti anticipati di anzianita', non sembra che la limitazione introdotta con la norma in esame si riduca ad un semplice mezzo tecnico come tale non censurabile sotto il profilo della discrezionalita' legislativa. Si e' invero in presenza di un sistema combinato di disposizioni di cui occorre verificare il nesso logico di collegamento, sotto il profilo della razionalita'. La riforma pensionistica mira tra l'altro (e giustamente) a superare il sistema di liquidazione delle pensioni col metodo retributivo, per introdurre, gradualmente, il metodo contributivo, allo scopo di garantire l'effettiva copertura nel tempo della spesa previdenziale: corollario del principio e' la personalizzazione delle prestazioni, nel senso che queste debbono essere - in qualche misura - commisurate ai contributi richiesti sia al lavoratore sia al datore di lavoro. Con il sistema in esame, si scambia il criterio di liquidazione del trattamento con la qualificazione del trattamento stesso: col risultato che una norma indubbiamente di favore nei confronti di posizioni giuridiche ritenute acquisite ad una certa data (qual e' quella che a diciotto anni di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995 consente la liquidazione della pensione interamente secondo il sistema retributivo), viene poi a svuotarsi di contenuto perche' ne e' penalizzata o impedita la realizzazione attraverso limitazioni idonee a divenire discriminatorie sia con riguardo ad alcune categorie di dipendenti, sia con riguardo al momento del collocamento a riposo dei medesimi. Il comma 13, dell'art. 1, legge n. 335 del 1995, assicura la liquidazione della pensione interamente secondo il sistema retributivo; il comma 189, dell'art. 1, legge n. 662 del 1996, anche se limitatamente ai trattamenti anticipati di anzianita', vanifica del tutto tale aspettativa con riguardo ad ogni tipo di attivita' lavorativa del pensionato. In sostanza, la censura va rivolta non alla ratio della disposizione ed al principio del criterio limitativo in se', ma alla omessa previsione di ogni meccanismo correttivo (con riguardo ad una quota sicuramente contributiva e sicuramente corrisposta dal dipendente e in parte anche a carico del datore di lavoro) con effetto di totale esclusione della prestazione pensionistica e senza alcun limite minimo di mantenimento della prestazione stessa. Per una parte almeno, non sembra dubitabile che diciotto anni e piu' di contribuzione debbano consentire la determinazione di un trattamento intangibile almeno in parte rapportato alla contribuzione stessa; diversamente, non possono non sussistere dubbi sulla razionalita' di un sistema che comportando il sostanziale annullamento di un diritto, non e' piu' giustificabile neppure in base a principi solidaristici di richiesta di un piu' forte aiuto a categorie economicamente piu' forti di altre, venendo in realta' azzerato o ignorato ogni criterio di proporzionalita' tra contributi, retribuzioni e pensioni. Deve considerarsi, inoltre, che la perdita completa di tutta la pensione semplicemente in presenza di un reddito di lavoro autonomo prodotto anche in minima entita' (e dunque non sufficiente a soddisfare bisogni primari), appare difficilmente conciliable con il principio, confermato in numerose anche recenti pronunce della Corte costituzionale, di adeguatezza della pensione alle esigenze di vita del pensionato e di proporzionalita' della pensione medesima alla quantita' e qualita' del lavoro prestato durante il servizio attivo. V. - Di piu', penalizzando cosi' gravemente l'attivita' del pensionato, si lede il principio costituzionale della tutela del diritto al lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, diritto che e' riconosciuto (artt. 4, primo comma e 35, primo comma della Costituzione) a tutti i cittadini e riguarda anche il pensionato che comunque conserva il diritto inviolablle e irrinunciabile del libero esplicarsi della sua personalita' anche sul piano economico. La materia e' certamente delicata perche' e' vero che debbono scoraggiarsi i pensionamenti anticipati di anzianita', ma non sembra neppure (in attesa del superamento del criterio retributivo per realizzare un sistema legato esclusivamente alla rivalutazione dei contributi accreditati e quindi ad una effettiva copertura della spesa) che il lavoratore (dipendente o autonomo) sia a sua volta scoraggiato nell'adozione di scelte che coinvolgono la sua liberta' lavorativa: ben vero che a tal riguardo gia' operano da tempo leggi che consentono la ricongiunzione dei periodi assicurativi, senonche' il problema che qui si pone non e' tanto di misura della tutela previdenziale, quanto di garanzia e di effettivita' della stessa tutela in se', effettivita' che viene fortemente ridotta e (nella fattispecie) addirittura annullata quando si impongono limitazioni di carattere generale e assoluto come quella in esame. VI. - L'evoluzione normativa (in realta' altalenante) pone in evidenza il travaglio del legislatore di ricercare una soluzione ragionevole del problema: sta di fatto che il comma 6, dell'art. 10, decreto legislativo n. 503 del 1992, imponeva addirittura al pensionato di anzianita' "la cessazione del lavoro autonomo quale risulta dalla cancellazione degli elenchi di categoria"; la legge n. 537 del 1993 (art. 11, comma 9) ha fatto cadere tale imposizione, per la verita' assai grave e neppure in linea con il principio di commisurazione dei trattamenti alla contribuzione; il qui censurato comma 189, dell'art. 1, legge n. 662 del 1996, ha introdotto il diverso criterio della non cumulabilita' della (sola) quota di pensione liquidata col sistema retributivo, ma questo criterio puo' valere come norma a regime per le nuove posizioni previdenziali, non gia' applicarsi senza alcun limite a situazioni pregresse diversamente disciplinate e che scontano un assetto sempre piu rigido vai via che aumenta l'anzianita' di lavoro e contributiva. Quanto alla disciplina in materia di cumulo, non sembra inutile osservare che il lavoro autonomo e' fondato su presupposti diversi dal lavoro dipendente, sicche' non sembra possibile ne' operare un raffronto (comunque ed in ogni caso) tra i due tipi di attivita', ne' porre sullo stesso piano le limitazioni attinenti alla materia in esame. Nell'un caso il cumulo interviene piu' propriamente tra pensione e redditi del soggetto, nel secondo tra pensione e nuova retribuzione (ed e' altresi' diversa la disciplina normativa in tema di eventuale riunione o ricongiunzione dei diversi periodi ai fini di un unico trattamento pensonistico). Come significativamente ha pure osservato la Corte costituzionale (sentenza n. 433 del 20 febbraio 1994), sono diversificate le posizioni dei pensionati che svolgono lavoro autonomo rispetto a quelli che prestano attivita' retribuita alle dipendenze di terzi, per la stessa diversita' dei rispettivi rapporti che danno causa al reddito percepito oltre la pensione e specificamente per la diversita' dei relativi sistemi contributivi anche a prescindere dalla considerazione, pur di non lieve momento, che lo scopo di disincentivare l'attivita' lavorativa prestata, successivamente al collocamento a riposo, in posizione subordinata, potrebbe costituire l'espressione di un indirizzo di politica legislativa, inteso a rimuovere ostacoli all'accesso dei giovani ad occasioni lavorative: ostacoli che quasi sempre non sono costituiti dall'espletamento di un'attivita' libero professionale, dato il carattere della relativa prestazione che normalmente implica l'impiego di risorse specifiche al soggetto che la fornisce e, quindi, non attuabile da parte di qualsiasi soggetto. VII. - I dubbi di costituzionalita' che si prospettano in ordine al citato art. 1, comma 189, legge n. 662 del 1996, sembrano trovare indiretta conferma nelle ulteriori modificazioni in materia introdotte dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449. L'art. 59, comma 14, di tale legge, prevede il divieto di cumulo tra pensione e redditi di lavoro autonomo solo limitatamente alla quota del 50% eccedente l'ammontare corrispondente al trattamento minimo del fondo pensioni lavoratori dipendenti, introducendo in tal modo un correttivo che almeno esclude qualsiasi possibilita' di perdita completa della pensione di anzianita'. VIII. - La modificazione introdotta dal richiamato art. 59, comma 14, legge 27 dicembre 1997, n. 449, non incide (o incide solo parzialmente, ad avviso di questo collegio), sulla rilevanza, nel caso in esame, delle questioni prospettate. Essa, come gia' visto, stabilisce bensi' che i trattamenti pensionistici di anzianita' eccedenti l'ammontare del trattamento minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti non sono cumulabili con i redditi da lavoro autonomo nella misura del 50% fino a concorrenza dei redditi stessi: ma, in realta', il divieto totale permane (a danno del ricorrente) per tutto il periodo dal collocamento a riposo fino al 1 gennaio 1998 (entrata in vigore della piu' favorevole previsione); non e' chiarito, poi, se tale disposizione vale solo per la gestione lavoratori dipendenti o comunque per tutti i lavoratori pubblici o privati (e quindi, anche per il ricorrente, a decorrere dal 1 gennaio 1998), tenuto presente che nella pensionistica pubblica e' principio generale per cui la prestazione pensionistica (sia per le condizioni di insorgenza del diritto, sia del regime normativo applicabile), si determina (e cristallizza) con riguardo alla disciplina vigente al momento del collocamento a riposo; se tale fermo orientamento, costituente garanzia di immutabilita' della posizione quiescibile acquisita, debba o meno essere riesaminato in relazione ad una concezione piu' dinamica della prestazione pensionistica quale sembra emergere anche da pronunce del giudice delle leggi (v. sentenza n. 417 del 27 dicembre 1996) che hanno ammesso la possibilita' in determinate circostanze che il legislatore modifichi in pejus il quantum in godimento, e' questione allo stato prematura e che potra' eventualmente essere affrontata in relazione al giudizio di costituzionalita' che con la presente ordinanza si va a sollevare sulla complessa problematica.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la regione Lazio, ritiene rilevante ai fini della decisione del ricorso e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 189, legge 23 dicembre 1996, n. 662, con riferimento agli artt. 77, 70 e segg., e 3 della Costituzione, per quanto concerne l'operativita' retroattiva della disposizione stessa fino alla data di emanazione del decreto-legge decaduto e solo limitatamente ad alcune categorie di lavoratori; con riferimento inoltre agli artt. 4, primo comma, 35, primo comma, 3, 36 e 38 della Costituzione, per la parte in cui stabilisce il totale divieto di cumulo del trattamento pensionistico di attivita' con ogni tipo di reddito da attivita' autonoma libero-professionale; Sospende il giudizio ed ordina alla segreteria di trasmettere gli atti alla Corte costituzionale, nonche' di notificare la presente ordinanza alle parti in giudizio ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, e darne comunicazione ai Presidenti, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 5 dicembre 1997. Il presidente: Ranucci 98C0983