N. 604 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 dicembre 1997- 31 luglio 1998

                                N.  604
  Ordinanza   emessa   il   5  dicembre  1997  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 31 luglio  1998)  dalla  Corte  dei  conti  sezione
 giurisdizionale  per la regione Lazio sul ricorso proposto da Biagini
 Celestino contro la Direzione provinciale del tesoro di Roma.
 Pensioni - Pensioni lavoratori dipendenti - Divieto  di  cumulo,  per
    tutti i trattamenti liquidati dal 30 settembre 1996, limitatemente
    alla quota di pensione liquidata con il sistema retributivo, della
    pensione  di  anzianita'  con  i  redditi  di  lavoro  autonomo di
    qualsiasi  natura  -  Disparita'  di   trattamento   rispetto   ai
    lavoratori   autonomi   pensionati   -  Ingiustificata  deroga  al
    principio della  irretroattivita'  della  legge  -  Incidenza  sul
    diritto  al  lavoro  e  sui  principi  di  tutela  del  lavoro, di
    retribuzione proporzionata ed adeguata, di garanzia  prevedenziale
    di  formazione  della  legge  e di decadenza dei decreti-legge non
    convertiti.
 (Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 189).
 (Cost., artt. 3, 4, primo comma, 35 e 36, primo comma, 38, 70 e 77).
(GU n.37 del 16-9-1998 )
                          LA CORTE DEI CONTI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul  ricorso  n.  07841/C  del
 registro   di   segreteria,  proposto  dal  sig.  Celestino  Biagini,
 residente in Roma ed ivi elettivamente domiciliato in piazza Dante n.
 12, presso gli avvocati Tommaso e Federico Rafti che lo rappresentano
 e difendono per procura a margine del ricorso, avverso  la  Direzione
 provincale del tesoro di Roma.
                               F a t t o
   A  favore  del  dott.  Celestino Biagini, gia' consigliere di Stato
 cessato dal servizio, per dimissioni, a  decorrere  dal  30  novembre
 1996,  e' stato riconosciuto il trattamento di quiescenza provvisorio
 di L. 97.500.000 annue lorde sulla base degli  elementi  forniti  dal
 Segretariato  generale del Consiglio di Stato con nota n. 5340/SG del
 13   dicembre   1996   (stipendio   pensionabile    L.    141.394.194
 corrispondente  alla  qualifica  di  Presidente di sezione, classe 8,
 quarto a.b.; servizio utile anni 29).
   L'interessato, che ha fatto presente di aver iniziato a svolgere la
 professione  forense dal momento del collocamento a riposo, ha quindi
 proposto ricorso a questa  Sezione  giurisdizionale  per  la  regione
 Lazio  per  sentir  "dichiarare  il  proprio diritto alla pensione di
 anzianita', in misura integrale, nonostante sia titolare  di  redditi
 di  lavoro  autonomo";  in  via  subordinata,  ha  chiesto  che venga
 indicato "se, ed eventualmente in quale misura, tale  pensione  debba
 essere  ridotta, in relazione all'anzidetta titolarita' di redditi di
 lavoro autonomo".
   In proposito ha dedotto che l'art. 1, comma 189, legge 23  dicembre
 1996, n. 662 (entrata in vigore dal 1 gennaio 1997) ha stabilito, per
 i  lavoratori  dipendenti,  il  divieto di cumulo, limitatamente alla
 quota  di  pensione  liquidata  con  il  sistema  retributivo,  della
 pensione  di anzianita' con i redditi di lavoro autonomo di qualsiasi
 natura, prevedendo altresi' l'operativita' di tale  disposizione  per
 tutti i trattamenti liquidati dal 30 settembre 1996.
   In  realta',  fa  rilevare  il  ricorrente,  il  divieto  di cumulo
 introdotto con la riferita norma non e' parziale ma  totale,  perche'
 l'art.  1,  comma  13,  legge  8  agosto 1995 n. 335, ha assoggettato
 interamente  al  sistema  retributivo  la  pensione  del   dipendente
 (pubblico  o  privato)  che  alla data del 31 dicembre 1995 possa far
 valere  un'anzianita'  contributiva  di  almeno  18  anni;   con   la
 conseguenza,  pero',  in  questo  modo,  di  penalizzare  proprio  le
 aspettative di chi ha maturato una anzianita' maggiore.
   L'operativita', poi, del divieto di  cumulo  a  far  tempo  dal  30
 settembre  1996  trae  origine  dal fatto che il citato art. 1, comma
 189, legge n. 662 del 1996 ha recepito, con effetto  retroattivo,  il
 contenuto  di  un decreto-legge (30 settembre 1996, n. 508), decaduto
 per mancata conversione nel  termine  previsto  dall'art.  77,  terzo
 comma Cost.
   Il   ricorrente  prospetta  l'illegittimita'  costituzionale  della
 disposizione sopra indicata sotto  molteplici  profili,  che  possono
 sintetizzarsi come appresso:
     a)  con  la  sentenza  n.  360  del  24  ottobre  1996,  la Corte
 costituzionale ha statuito  il  principio  dell'illegittimita'  della
 reiterazione  di  decreti-legge  decaduti per mancata conversione; ma
 tale principio verrebbe aggirato ove una  legge  successiva  recuperi
 retroattivamente il contenuto di un decreto-legge non convertito, con
 effetto dalla data dello stesso decreto;
     b)  la  retroattivita' della disposizione in esame comporta che a
 carico del ricorrente, a riposo dal 30 novembre 1996, si applica  una
 disciplina   successiva   che   determina  la  perdita  totale  della
 prestazione  pensionistica,  quando  invece  la  diversa   disciplina
 vigente  alla  data  suddetta prevedeva (per chi, come il ricorrente,
 aveva raggiunto i requisiti contributivi minimi al 31 dicembre  1994)
 il  conseguimento  dell'intera  prestazione  pensionistica  (ai sensi
 dell'art. 10,  comma  8,  d.lgs.  30  dicembre  1992,  n.  503,  come
 sostituito  dall'art. 11, comma 10, legge 24 dicembre 1993, n. 537) :
 il che contrasta con l'esigenza, primaria e fondamentale in uno Stato
 di diritto, dell'affidamento del cittadino sulle norme in vigore.
   Nella fattispecie, peraltro, il contrasto risulterebbe ancora  piu'
 evidente  e  grave, dato che lo stesso dott. Biagini, in relazione ad
 un precedente collocamento in quiescenza seguito da  riammissione  in
 servizio,  aveva  gia'  fruito  di  un  trattamento  pensionistico di
 anzianita' pur svolgendo attivita' di lavoro autonomo; e tale diritto
 non dovrebbe venir meno.
   Ancora,  la  previsione  retroattiva  al 30 settembre 1996 riguarda
 solo i lavoratori dipendenti,  giacche'  per  i  lavoratori  autonomi
 (comma  190,  dell'art.  1,  legge n. 662 del 1996 cit.) la normativa
 anticumulo ha effetto solo "sui trattamenti liquidati dalla  data  di
 entrata  in vigore della presente legge" (e cioe' dal 1 gennaio 1997)
 : la differenziazione sarebbe irrazionale ed in contrasto con  l'art.
 3  Cost.,  anche  perche' neppure in linea con i precedenti normativi
 specifici (commi 6 e 6-bis d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, nel testo
 risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 11, comma 9, legge 24
 dicembre 1993, n. 537) e con le previsioni dello stesso decreto-legge
 non convertito (n.  508  del  1996),  che  invero  per  i  lavoratori
 autonomi e per quelli dipendenti stabilivano una identica decorrenza,
 ingiustificatamente ora diversificata;
     c) la nuova disciplina finisce comunque col comportare, per tutti
 coloro che hanno una anzianita' maggiore di anni diciotto e quindi (a
 sensi  dell'art.  1,  comma  13,  legge  8 agosto 1995, n. 335) hanno
 diritto  alla  pensione  calcolata  integralmente  con   il   sistema
 retributivo,  la  totale  perdita della prestazione pensionistica per
 tutto il periodo  di  svolgimento  di  una  attivita'  produttiva  di
 reddito:  il  che, considerato il carattere di retribuzione differita
 proprio della pensione  e  la  sua  natura  di  diritto  patrimoniale
 autonomo  ed  irrinunciabile,  contrasterebbe  con  gli artt. 36 e 38
 Cost. stravolgendo anche i criteri introdotti dalla legge di  riforma
 n. 335 del 1995 cit. che ha accentuato la connotazione assicurativa e
 quindi  la commisurazione del trattamento pensionistico ai contributi
 versati. Il sistema, poi, non prevedendo alcuna misura correttiva  in
 relazione  al  reddito  effettivamente prodotto dal pensionato, e' in
 grado di determinare la perdita completa di tutta la  pensione  senza
 prendere  in alcuna considerazione la misura del nuovo reddito (anche
 minimo) prodotto, con evidente violazione degli artt. 36 e 38 Cost.
   Per l'odierna pubblica udienza l'avv. Rafti, per il ricorrente,  ha
 depositato memoria in cui illustra ulteriormente le sopra evidenziate
 questioni  anche con riferimento ai principi espressi nella pronuncia
 della Corte costituzionale n. 211 del 2 luglio 1997  (concernente  le
 pensioni   di  vecchiaia  degli  spedizionieri  doganali  da  cui  si
 ricaverebbe  un  principio  di   intangibilita'   della   prestazione
 pensionistica gia' concessa.
   La  Direzione  provinciale  del tesoro, con nota in data 3 dicembre
 1997, senza intervenire sul merito delle questioni  prospettate,  per
 le  quali si protesta incompetente, ha comunicato che "la pensione di
 cui e' titolare il dott. Biagini e' in regolare corso di  pagamento":
 in udienza, il rappresentante della stessa Amministrazione ha assunto
 l'inammissibilita'  del  gravame,  in assenza (allo stato) di un atto
 della  stessa  Direzione  provinciale  del   tesoro   riduttivo   del
 trattamento pensionistico.
                             D i r i t t o
   I.  -  Non  sembra possano sussistere dubbi sull'ammissibilita' del
 gravame  e,  soprattutto,  sull'interesse  diretto  ed  attuale   del
 ricorrente alla pronuncia giurisdizionale.
   La  domanda tende infatti all'accertamento del regime pensionistico
 applicabile nella fattispecie sin  dal  momento  del  collocamento  a
 riposo  dell'avente  diritto:  e  poiche'  tale  regime incide (ed e'
 idoneo ad incidere) sia sull'an che sul quantum  del  trattamento  da
 corrispondere,   l'assenza   di   un   provvedimento   riduttivo  del
 trattamento pensionistico non preclude la proponibilita'  dell'azione
 innanzi  al  giudice delle pensioni una volta chiarito che la domanda
 ha per oggetto l'accertamento  definitivo  della  consistenza  di  un
 diritto  soggettivo a contenuto patrimoniale determinato direttamente
 dalla legge, ne' rileva la provvisorieta' dell'erogazione  quando  il
 diritto  alla  medesima  e'  condizionato ab origine ed in atto dalle
 disposizioni sopra indicate e il ricorrente chiede che sia  accertato
 il trattamento pensionistico cui ha diritto nel caso di produzione di
 reddito professionale e per il periodo di tale produzione.
   Nessun  dubbio,  inoltre,  sulla  legittimazione  passiva esclusiva
 della Direzione provinciale del tesoro, quale ente o ufficio pagatore
 della pensione e  competente  a  ricevere  la  dichiarazione  di  cui
 all'art.    10, comma 4, d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 e adottare i
 conseguenti provvedimenti.
   Le considerazioni che precedono  consentono  altresi'  di  ritenere
 rilevanti le prospettate questioni di costituzionalita'.
   Il  collegio  deve  pertanto  darsi  carico  di  accertare  la  non
 manifesta infondatezza delle  questioni  stesse;  e  nei  limiti  che
 vengono  appresso  precisati, ritiene di doverle sottoporre al vaglio
 della Corte costituzionale.
   II. - Il fatto che  il  dott.  Biagini  abbia  gia'  fruito  di  un
 trattamento  pensionistico,  senza  limitazione  alcuna, per un lungo
 periodo di tempo e pur svolgendo attivita' di  lavoro  autonomo,  non
 sembra  possa  comportare  lesione  alcuna  di  diritti asseritamente
 quesiti:  non  puo'  infatti  istituirsi  alcun  raffronto   tra   la
 situazione  normativa  esistente  al momento del primo collocamento a
 riposo e la piu'  restrittiva  evoluzione  normativa  successiva:  il
 diritto a pensione e' indisponibile e, nel caso in esame, risulta che
 il   secondo  periodo  di  servizio  ha  concorso  a  determinare  il
 trattamento pensionistico complessivo; ma la liquidazione  effettuata
 in  precedenza,  sia pure con trattamento definitivo, non rappresenta
 per cio' stesso un quantum intangibile, nel senso che comunque  debba
 restare ferma o essere quanto meno ripristinata quando l'interessato,
 per  propria  volontaria  scelta,  ha  optato  per la riassunzione in
 servizio   assoggettandosi   alla   possibile   diversa    disciplina
 pensionistica  in  vigore al momento del nuovo collocamento a riposo.
 Una diversa soluzione potrebbe anzi determinare manifeste illogicita'
 ed ingiustizie, perche' penalizzerebbe proprio i dipendenti che hanno
 invece  prestato  la  propria  opera  senza   alcuna   soluzione   di
 continuita':  in  ogni  caso,  per  quanto  concerne  la  particolare
 posizione   del   ricorrente,   non   si   ravvisano    profili    di
 incostituzionalita'   con  riguardo  ad  una  tematica  di  carattere
 generale che coinvolge la successione nel tempo di diverse discipline
 pensionistiche.
   III. - Non manifestamente infondata ritiene invece il  collegio  la
 questione  relativa  all'operativita'  retroattiva dell'art. 1, comma
 189, legge n. 662  in  esame.  Non  e'  dubbio  che  la  norma  abbia
 recuperato  i contenuti di un decreto legge decaduto; ma se cosi' e',
 manifestamente non sono state tratte tutte le  conseguenze  derivanti
 dal  precetto  costituzionale,  che  fa  decadere  fin  dall'inizio i
 decreti legge non convertiti; ne'  sembra,  dopo  la  sentenza  della
 Corte costituzionale n. 360 del 24 ottobre 1996, che tali conseguenze
 possano essere violate o indirettamente aggirate.
   Per  la  verita' proprio dalla sentenza n. 211 del 1997 (richiamata
 per   altro   verso   dallo   stesso   ricorrente)   si   ricaverebbe
 indirettamente l'ammissibilita' di una operativita' retroattiva della
 legge  (nella specie ivi esaminata, di conversione) fino al primo dei
 decreti-legge che aveva  previsto  la  disposizione  piu'  volte  poi
 reiterata  fino  alla  conversione:  ma la sentenza stessa era ancora
 riferita ad un'epoca in cui la  reiterazione  era  "tollerata",  cosa
 certamente non piu' possibile dopo il severo e rigoroso richiamo alla
 normalita' costituzionale di cui alla sentenza n. 360 del 1996.
   E  tale  aspetto  (sia  pure  solo  formale, ma in materia la forma
 acquista   rilevanza   sostanziale)   sembra   anche   superare    la
 possibilita',  certamente  riconosciuta  al  legislatore, di disporre
 limitazioni di diritti patrimoniali anche  con  effetto  retroattivo,
 purche'  non  sia  superato il principio della ragionevolezza: questa
 infatti diventa questione attinente  ad  una  valutazione  di  merito
 della  normativa,  non piu' alla sua intrinseca legittimita' riferita
 alla fonte e alle forme dell'emanazione.  Inoltre,  sul  piano  della
 certezza attuale del diritto si otterrebbe un risultato deteriore per
 il  cittadino  proprio  come  conseguenza  della  non piu' consentita
 reiterazione di decreti-legge: infatti,  mentre  in  presenza  di  un
 decreto-legge   reiterato   il   cittadino   avrebbe  pur  sempre  la
 possibilita' di conoscere la normativa di riferimento al  momento  di
 operare  le  proprie scelte (sia pure sotto l'incertezza della futura
 conversione o meno), l'uso di norme ad  efficacia  retroattiva,  tali
 anche    da   cancellare   diritti   a   prestazioni   pensionistiche
 sostanzialmente  acquisite,  lascerebbe  il  cittadino  privo   della
 possibilita'  di  orientare  le proprie scelte in relazione al quadro
 normativo esistente.
   Di qui la possibile violazione dell'art. 77  della  Costituzione  e
 delle altre norme costituzionali (artt. 70 segg.) che disciplinano il
 procedimento  di  formazione  delle leggi, nonche' dell'art. 3 Cost.,
 per  la   diversificazione,   quanto   alla   prevista   operativita'
 retroattiva  della  norma,  tra  lavoratori  dipendenti  e lavoratori
 autonomi e per il  contrasto  con  l'esigenza  primaria  di  tutelare
 l'affidamento  del  cittadino,  elemento  fondamentale nello Stato di
 diritto.
   IV. - Non manifestamente infondata e' pure  la  questione  relativa
 alla disciplina del cumulo, quale risultante dalla nuova normativa.
   Se  e'  certamente  condivisibile l'orientamento sempre piu' deciso
 del  legislatore  di  scoraggiare   i   trattamenti   anticipati   di
 anzianita',  non sembra che la limitazione introdotta con la norma in
 esame  si  riduca  ad  un  semplice  mezzo  tecnico  come  tale   non
 censurabile sotto il profilo della discrezionalita' legislativa.
   Si e' invero in presenza di un sistema combinato di disposizioni di
 cui  occorre  verificare  il  nesso  logico di collegamento, sotto il
 profilo della razionalita'.
   La  riforma  pensionistica  mira  tra  l'altro  (e  giustamente)  a
 superare  il  sistema  di  liquidazione  delle  pensioni  col  metodo
 retributivo, per introdurre, gradualmente,  il  metodo  contributivo,
 allo  scopo  di garantire l'effettiva copertura nel tempo della spesa
 previdenziale:    corollario  del  principio  e' la personalizzazione
 delle prestazioni, nel senso che queste debbono essere -  in  qualche
 misura - commisurate ai contributi richiesti sia al lavoratore sia al
 datore di lavoro.
   Con il sistema in esame, si scambia il criterio di liquidazione del
 trattamento   con  la  qualificazione  del  trattamento  stesso:  col
 risultato che una norma indubbiamente  di  favore  nei  confronti  di
 posizioni  giuridiche  ritenute  acquisite ad una certa data (qual e'
 quella che a diciotto anni di contribuzione alla data del 31 dicembre
 1995 consente la liquidazione della pensione interamente  secondo  il
 sistema  retributivo),  viene poi a svuotarsi di contenuto perche' ne
 e' penalizzata o impedita  la  realizzazione  attraverso  limitazioni
 idonee   a  divenire  discriminatorie  sia  con  riguardo  ad  alcune
 categorie di dipendenti, sia con riguardo al momento del collocamento
 a riposo dei medesimi.
   Il comma 13, dell'art. 1,  legge  n.  335  del  1995,  assicura  la
 liquidazione   della   pensione   interamente   secondo   il  sistema
 retributivo; il comma 189, dell'art. 1, legge n. 662 del 1996,  anche
 se  limitatamente  ai  trattamenti anticipati di anzianita', vanifica
 del tutto tale aspettativa con riguardo ad  ogni  tipo  di  attivita'
 lavorativa del pensionato.
   In   sostanza,   la   censura  va  rivolta  non  alla  ratio  della
 disposizione ed al principio del criterio limitativo in se', ma  alla
 omessa  previsione di ogni meccanismo correttivo (con riguardo ad una
 quota  sicuramente  contributiva  e   sicuramente   corrisposta   dal
 dipendente  e  in  parte  anche  a  carico  del datore di lavoro) con
 effetto di totale esclusione della prestazione pensionistica e  senza
 alcun limite minimo di mantenimento della prestazione stessa. Per una
 parte  almeno,  non  sembra  dubitabile  che  diciotto anni e piu' di
 contribuzione debbano consentire la determinazione di un  trattamento
 intangibile  almeno  in  parte  rapportato alla contribuzione stessa;
 diversamente, non possono non sussistere dubbi sulla razionalita'  di
 un sistema che comportando il sostanziale annullamento di un diritto,
 non  e'  piu' giustificabile neppure in base a principi solidaristici
 di richiesta di un piu' forte aiuto a categorie  economicamente  piu'
 forti  di altre, venendo in realta' azzerato o ignorato ogni criterio
 di proporzionalita' tra contributi, retribuzioni e pensioni.
   Deve considerarsi, inoltre, che la perdita  completa  di  tutta  la
 pensione  semplicemente  in presenza di un reddito di lavoro autonomo
 prodotto  anche  in  minima  entita'  (e  dunque  non  sufficiente  a
 soddisfare  bisogni primari), appare difficilmente conciliable con il
 principio, confermato in numerose anche recenti pronunce della  Corte
 costituzionale,  di  adeguatezza della pensione alle esigenze di vita
 del pensionato e di proporzionalita'  della  pensione  medesima  alla
 quantita' e qualita' del lavoro prestato durante il servizio attivo.
   V.  -  Di  piu',  penalizzando  cosi'  gravemente  l'attivita'  del
 pensionato, si lede il  principio  costituzionale  della  tutela  del
 diritto  al lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni, diritto che
 e' riconosciuto (artt.  4,  primo  comma  e  35,  primo  comma  della
 Costituzione)  a tutti i cittadini e riguarda anche il pensionato che
 comunque conserva il diritto inviolablle e irrinunciabile del  libero
 esplicarsi della sua personalita' anche sul piano economico.
   La  materia  e'  certamente  delicata  perche'  e' vero che debbono
 scoraggiarsi i pensionamenti anticipati di anzianita', ma non  sembra
 neppure  (in  attesa  del  superamento  del  criterio retributivo per
 realizzare un sistema legato esclusivamente  alla  rivalutazione  dei
 contributi  accreditati  e  quindi  ad  una effettiva copertura della
 spesa) che il lavoratore (dipendente o  autonomo)  sia  a  sua  volta
 scoraggiato  nell'adozione  di scelte che coinvolgono la sua liberta'
 lavorativa: ben vero che a tal riguardo gia' operano da  tempo  leggi
 che  consentono la ricongiunzione dei periodi assicurativi, senonche'
 il problema che qui si pone non  e'  tanto  di  misura  della  tutela
 previdenziale,  quanto  di  garanzia  e  di effettivita' della stessa
 tutela in se', effettivita' che viene  fortemente  ridotta  e  (nella
 fattispecie) addirittura annullata quando si impongono limitazioni di
 carattere generale e assoluto come quella in esame.
   VI.  -  L'evoluzione  normativa  (in  realta'  altalenante) pone in
 evidenza il travaglio del  legislatore  di  ricercare  una  soluzione
 ragionevole  del problema: sta di fatto che il comma 6, dell'art. 10,
 decreto  legislativo  n.  503  del  1992,  imponeva  addirittura   al
 pensionato  di  anzianita'  "la  cessazione del lavoro autonomo quale
 risulta dalla cancellazione degli elenchi di categoria"; la legge  n.
 537 del 1993 (art. 11, comma 9) ha fatto cadere tale imposizione, per
 la  verita'  assai  grave  e  neppure  in  linea  con il principio di
 commisurazione dei trattamenti alla contribuzione; il  qui  censurato
 comma  189,  dell'art.    1,  legge n. 662 del 1996, ha introdotto il
 diverso criterio  della  non  cumulabilita'  della  (sola)  quota  di
 pensione  liquidata  col sistema retributivo, ma questo criterio puo'
 valere come norma a regime per le nuove posizioni previdenziali,  non
 gia'   applicarsi   senza   alcun   limite   a  situazioni  pregresse
 diversamente disciplinate e che scontano un assetto sempre piu rigido
 vai via che aumenta l'anzianita' di lavoro e contributiva.
   Quanto alla disciplina in materia di  cumulo,  non  sembra  inutile
 osservare  che  il  lavoro autonomo e' fondato su presupposti diversi
 dal lavoro dipendente, sicche' non sembra possibile  ne'  operare  un
 raffronto (comunque ed in ogni caso) tra i due tipi di attivita', ne'
 porre  sullo  stesso  piano  le limitazioni attinenti alla materia in
 esame. Nell'un  caso  il  cumulo  interviene  piu'  propriamente  tra
 pensione  e  redditi  del  soggetto, nel secondo tra pensione e nuova
 retribuzione (ed e' altresi' diversa la disciplina normativa in  tema
 di eventuale riunione o ricongiunzione dei diversi periodi ai fini di
 un unico trattamento pensonistico).
   Come  significativamente  ha pure osservato la Corte costituzionale
 (sentenza n.  433  del  20  febbraio  1994),  sono  diversificate  le
 posizioni  dei  pensionati  che  svolgono  lavoro autonomo rispetto a
 quelli che prestano attivita' retribuita alle  dipendenze  di  terzi,
 per  la  stessa diversita' dei rispettivi rapporti che danno causa al
 reddito  percepito  oltre  la  pensione  e  specificamente   per   la
 diversita'  dei  relativi  sistemi  contributivi  anche a prescindere
 dalla considerazione, pur di non  lieve  momento,  che  lo  scopo  di
 disincentivare  l'attivita'  lavorativa  prestata, successivamente al
 collocamento a riposo, in posizione subordinata, potrebbe  costituire
 l'espressione  di  un  indirizzo  di  politica  legislativa, inteso a
 rimuovere ostacoli all'accesso dei giovani ad  occasioni  lavorative:
 ostacoli  che  quasi  sempre non sono costituiti dall'espletamento di
 un'attivita' libero professionale, dato il carattere  della  relativa
 prestazione  che  normalmente implica l'impiego di risorse specifiche
 al  soggetto  che  la  fornisce  e, quindi, non attuabile da parte di
 qualsiasi soggetto.
   VII. - I dubbi di costituzionalita' che si prospettano in ordine al
 citato art. 1, comma 189, legge n. 662  del  1996,  sembrano  trovare
 indiretta   conferma   nelle   ulteriori   modificazioni  in  materia
 introdotte dalla legge 27 dicembre 1997, n. 449.
   L'art. 59, comma 14, di tale legge, prevede il  divieto  di  cumulo
 tra  pensione  e  redditi  di lavoro autonomo solo limitatamente alla
 quota del 50% eccedente  l'ammontare  corrispondente  al  trattamento
 minimo  del fondo pensioni lavoratori dipendenti, introducendo in tal
 modo un correttivo  che  almeno  esclude  qualsiasi  possibilita'  di
 perdita completa della pensione di anzianita'.
   VIII.  -  La modificazione introdotta dal richiamato art. 59, comma
 14, legge 27 dicembre  1997,  n.  449,  non  incide  (o  incide  solo
 parzialmente,  ad  avviso  di  questo collegio), sulla rilevanza, nel
 caso in esame, delle questioni prospettate.
   Essa,  come  gia'  visto,  stabilisce  bensi'  che  i   trattamenti
 pensionistici  di  anzianita'  eccedenti  l'ammontare del trattamento
 minimo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti non  sono  cumulabili
 con  i  redditi  da  lavoro  autonomo  nella  misura  del  50% fino a
 concorrenza dei redditi stessi: ma, in  realta',  il  divieto  totale
 permane   (a   danno   del  ricorrente)  per  tutto  il  periodo  dal
 collocamento a riposo fino al 1 gennaio 1998 (entrata in vigore della
 piu'  favorevole  previsione);  non  e'  chiarito,   poi,   se   tale
 disposizione  vale  solo  per  la  gestione  lavoratori  dipendenti o
 comunque per tutti i lavoratori pubblici o privati (e  quindi,  anche
 per  il  ricorrente, a decorrere dal 1 gennaio 1998), tenuto presente
 che nella pensionistica pubblica e' principio  generale  per  cui  la
 prestazione  pensionistica  (sia  per le condizioni di insorgenza del
 diritto, sia del  regime  normativo  applicabile),  si  determina  (e
 cristallizza)  con  riguardo  alla  disciplina vigente al momento del
 collocamento  a  riposo;  se  tale  fermo  orientamento,  costituente
 garanzia  di  immutabilita'  della  posizione  quiescibile acquisita,
 debba o meno essere riesaminato in relazione ad una  concezione  piu'
 dinamica  della prestazione pensionistica quale sembra emergere anche
 da pronunce del giudice delle  leggi  (v.  sentenza  n.  417  del  27
 dicembre  1996)  che  hanno  ammesso  la  possibilita' in determinate
 circostanze che il legislatore  modifichi  in  pejus  il  quantum  in
 godimento,   e'   questione   allo   stato  prematura  e  che  potra'
 eventualmente  essere  affrontata  in  relazione   al   giudizio   di
 costituzionalita'  che  con  la  presente ordinanza si va a sollevare
 sulla complessa problematica.
                               P. Q. M.
   Visti  gli  artt.   134   della   Costituzione,   1   della   legge
 costituzionale  9  febbraio 1948, n 1 e 23 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87, la Corte dei conti, Sezione  giurisdizionale  per  la  regione
 Lazio,  ritiene  rilevante  ai fini della decisione del ricorso e non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.  1,  comma  189,  legge  23  dicembre  1996,  n.  662,  con
 riferimento agli artt.  77, 70 e segg., e 3 della  Costituzione,  per
 quanto  concerne l'operativita' retroattiva della disposizione stessa
 fino alla data  di  emanazione  del  decreto-legge  decaduto  e  solo
 limitatamente  ad  alcune  categorie  di  lavoratori; con riferimento
 inoltre agli artt. 4, primo comma, 35, primo comma, 3, 36 e 38  della
 Costituzione,  per  la  parte  in cui stabilisce il totale divieto di
 cumulo del trattamento pensionistico di attivita' con  ogni  tipo  di
 reddito da attivita' autonoma libero-professionale;
   Sospende  il  giudizio ed ordina alla segreteria di trasmettere gli
 atti alla Corte costituzionale, nonche'  di  notificare  la  presente
 ordinanza  alle  parti in giudizio ed al Presidente del Consiglio dei
 Ministri, e darne  comunicazione  ai  Presidenti,  della  Camera  dei
 deputati e del Senato della Repubblica.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  Camera di consiglio del 5 dicembre
 1997.
                         Il presidente: Ranucci
 98C0983