N. 655 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 1998

                                N. 655
  Ordinanza  emessa  il  25  giugno  1998  dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Sondrio nel procedimento penale  a
 carico di Piasini Lorenzo ed altro
 Reati  contro  la  pubblica  amministrazione  -  Abuso  di  ufficio -
    Disciplina   previgente   -   Asserita   indeterminatezza    della
    fattispecie  incriminatrice - Violazione dei principi di legalita'
    e di buon andamento della pubblica amministrazione -  Lesione  del
    diritto di difesa.
 (C.P., art. 323, form. ant.).
 (Cost., artt. 24, secondo comma, 25 secondo comma e 97).
(GU n.39 del 30-9-1998 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Nel  processo  n.  1440/95  r.g.n.r.  (370/1996  r.g.  g.i.p.)  nei
 confronti di Piasini Lorenzo, nato a Poggiridenti  (Sondrio),  il  14
 settembre 1948, ivi residente, via Masoni, 10/A, difeso di fiducia da
 avv.ti  Marco Bonomo e Giovanna Bongiorni di Sondrio, domiciliatari e
 Zani Sergio, nato a Poggiridenti (Sondrio), il 25 novembre 1932,  ivi
 residente,  via  Panoramica,  64, difeso di fiducia da avv. Piermaria
 Corso di Milano, imputati;
   Il primo:
     a) del reato di cui all'art. 323 c.p., per avere, in qualita'  di
 sindaco   del   comune  di  Poggiridenti,  pubblico  ufficiale  nello
 svolgimento delle sue  funzioni,  internazionalmente  procurato  alla
 soc.  "Giulia  S.r.l.", legalmente rappresentata da Triacca Domenico,
 un ingiusto vantaggio patrimoniale,  consistito  nel  rilascio  della
 concessione   edilizia   n.   45/1994  del  5  agosto  1994,  per  la
 realizzazione di un edificio ad uso commerciale in Poggiridenti, loc.
 Conforti-Pignotti, in zona "D produttiva", destinata  dal  p.r.g.  ed
 accogliere  insediamenti  produttivi,  in  violazione delle norme del
 p.r.g. del comune di Poggiridenti ed in particolare degli  artt.  55,
 57  e  5  delle  norme  tecniche  di  attuazione,  che  regolamentano
 rispettivamente le aree destinate ad insediamenti produttivi,  quelle
 destinate  ad  attrezzature direzionali, ricettive e commerciali e le
 deroghe alle prescrizioni di piano, e nonostante il parere  contrario
 dell'ufficio  tecnico che qui si riporta integralmente: "l'intervento
 proposto non e' autorizzabile, in quanto rientra in  zona  di  p.r.g.
 ''D'',  che  non  prevede  edifici commerciali". In Poggiridenti il 5
 agosto 1994.
   Il secondo:
     b) del reato di cui all'art. 323 c.p., perche' nella qualifica di
 componente della commissione edilizia  del  comune  di  Poggiridenti,
 pubblico  ufficiale  nello  svolgimento delle sue funzioni, procurava
 alla  soc.  "Giulia  S.r.l."  legalmente  rappresentata  da   Triacca
 Domenico, un ingiusto vantaggio patrimoniale, consistito nel rilascio
 della  concessione  edilizia  n.  45/1994  del  5 agosto 1994, per la
 realizzazione dell'edificio ad uso commerciale di  cui  al  capo  che
 precede,  omettendo  di  astenersi  dal prendere parte alla seduta di
 commissione  edilizia  del  24  novembre  1993,  nella  quale  veniva
 esaminata  la  pratica  inerente il rilascio della stessa concessione
 edilizia, e di esprimere parere favorevole sul progetto allegato alla
 richiesta di concessione edilizia, avendo egli stesso collaborato con
 l'arch. Gianola di Montagna in Valtellina, progettista  per  la  soc.
 "Giulia  S.r.l.", alla realizzazione del progetto mediante rilievi in
 qualitia' di topografo. In Poggiridenti il 24 novembre 1993.
   Nella udienza preliminare del 25 giugno 1998;
                             O s s e r v a
   1. - Premessa.
   In  sede  di  udienza preliminare il giudice ha il potere/dovere di
 pronunciare sentenza di non  doversi  procedere  o  di  non  luogo  a
 procedere  nel caso in cui "il fatto non e' previsto dalla legge come
 reato" (vedi artt. 129 e 425 c.p.p.).
   Primo compito del giudice e' pertanto quello di verificare  se,  in
 seguito  alla  modifica  normativa  dell'art.  23 c.p., apportata con
 legge 16 luglio 1997, n. 234, ricorrano i presupposti per pronunciare
 sentenza di proscioglimento (n.d.p. o n.l.p.) perche' il fatto non e'
 (piu') previsto dalla legge come reato.
   1.1. - Ove tale riscontro dia esito positivo (ossia si  ritenga  la
 non   riconducibilita'   della   condotta   contestata  nel  precetto
 dell'attuale  art.  323  c.p.),  il  giudice   dovra'   prosciogliere
 l'imputato  in  base  all'art. 2, comma 2, c.p., trattandosi di fatto
 che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato.
   In  tale  ipotesi  una  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.     323  vecchio  testo  c.p.  sarebbe  di  tutta  evidenza
 irrilevante ai sensi dell'art. 23, secondo comma, legge n. 87/1953.
   1.2.  -  Qualora  invece  la  condotta  ascritta  all'imputato  sia
 astrattamente  sussumibile nella nuova fattispecie incriminatrice, la
 norma  di  cui  all'art.  323   antevigente   troverebbe   necessaria
 applicazione  in  virtu' dei principi di cui all'art. 2, commi 1 e 3,
 c.p., dovendo il giudice verificare se la  condotta  de  qua  rientri
 anche  nella  precedente  fattispecie  incriminatrice,  in  vigore al
 momento della commissione del fatto.   Il che ripropone  i  dubbi  di
 legittimita'  costituzionale  gia'  sollevati dallo scrivente come da
 numerosi altri giudici di merito e rimasti tuttora  insoluti,  avendo
 la  Corte costituzionale restituito gli atti ai giudici a quibus, per
 accertare se la questione di legittimita' costituzionale sia  tuttora
 rilevante alla luce della sopravvenuta legge n. 234/1997 (ordinanza 7
 novembre 1997, n. 327).
   Non sfugge allo scrivente che la giurisprudenza della suprema Corte
 formatasi  in  seguito alla entrata in vigore della legge n. 234/1997
 ha costantemente affermato essersi creata una  successione  normativa
 tra  il  vecchio  art. 323, c.p., ed il nuovo (art. 2, comma 3, c.p.,
 quindi) ed ha precisato che "la nuova fattispecie di abuso di ufficio
 risultante dalla legge 16 luglio 1997, n. 234, costituisce legge piu'
 favorevole  -  sia  in  quanto  retringe  l'area  dei   comportamenti
 sanzionati  alle  violazioni di legge o di regolamento o alle ipotesi
 di mancata astensione  in caso di interesse personale, sia in  quanto
 costruisce  una  figura  di reato di evento, sia in quanto prevede un
 trattamento sanzionatorio piu' mite - e trova  pertanto  applicazione
 anche  ai fatti commessi sotto il vigore della precedente normativa".
 (sul punto Cass. pen., sez. VI, 15 dicembre 1997, n. 11483; sez.  VI,
 15 dicembre 1997, n. 11520; sez. VI, 22 dicembre 1997, n. 11984; sez.
 VI, 4 dicembre 1997, n. 11204; sez. VI, 29 gennaio 1998,  n.    1192;
 sez. VI, 23 dicembre 1998, n. 2328).
   Ma  questo  orientamento, quand'anche condivisibile, non risolve il
 problema  -  che  e'  a  monte  -  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 323 previgente.
   Si  osserva  infatti che, in base all'art. 30, terzo e quarto comma
 della legge n. 87/1953, "le  norme  dichiarate  incostituzionali  non
 possono  avere  applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione
 della decisione.  Quando,  in  applicazione  della  norma  dichiarata
 incostituzionale,  e'  stata  pronunciata  sentenza  irrevocabile  di
 condanna, ne  cessano  l'esecuzione  e  tutti  gli  effetti  penali".
 Pertanto,  nel  caso in cui la Consulta si esprimesse nel senso della
 incostituzionalita' dell'art.   323 (come novellato  dalla  legge  26
 aprile 1990, n. 86), si verrebbe a creare una vera e propria abolitio
 criminis (analogamente a quanto previsto dall'art. 2, comma 2, c.p.),
 con  la  conseguenza che il giudice per l'udienza preliminare - lungi
 dal poter  prendere  in  considerazione  la  suddetta  norma  per  la
 comparazione  con  quella  di  cui  al  testo  vigente  al fine della
 individuazione e applicazione della norma piu' favorevole al  reo  ai
 sensi  dell'art. 2, comma 3, (attivita' che presuppone la sussistenza
 di due norme costituzionalmente legittime) - dovra':
     emettere sentenza di proscioglimento perche' il fatto non e' piu'
 previsto  dalla  legge  come  reato  in  ossequio  al  principio   di
 irretroattivita'  della  legge penale, che gli impedira' di applicare
 la norma di cui al nuovo art. 323;
     ovvero, qualora si ritenesse che a seguito  della  illegittimita'
 costituzionale  della norma di cui all'art. 323 cosi' come introdotta
 dalla legge n. 86/1990 tornino a rivivere quelle ancor prima  vigenti
 (ed in particolare gli originari artt. 323 e 324 c.p.), raffrontare e
 comparare  queste  ultime  con  la  norma  attuale ai sensi e per gli
 effetti di cui all'art. 2, comma 3, c.p.
   Soltanto nel caso in cui la  Corte  costituzionale  dichiarasse  la
 legittimita'  dell'art.  323  del  testo  del  1990, la norma in esso
 contenuta  potra'  essere  presa  in  considerazione  ai  fini  della
 valutazione   e   comparazione  di  cui  all'art.  2,  comma  3,  con
 possibilita' di applicazione della giurisprudenza della suprema Corte
 dianzi citata.
   In sostanza, qualora il fatto contestato,  commesso  nella  vigenza
 dell'art.  323  c.p.,  testo  del  1990, sia riconducibile anche alla
 fattispecie dell'art.  323  nuovo  testo  c.p.,  la  questione  della
 legittimita'   costituzionale   delle   prima   norma  e'  certamente
 rilevante, laddove,  in  caso  contrario,  il  giudizio  puo'  essere
 definito senza ricorrere all'intervento della Corte costituzionale.
   2. - Quanto in rilevanza.
   Fatta  questa  premessa  si  deve quindi procedere alla verifica in
 astratto della riconducibilita' dei fatti  contestati  agli  imputati
 nella  fattispecie  normativa  del  nuovo  art. 323, c.p., al fine di
 accertare se tutti gli elementi costitutivi dell'illecito penale come
 individuato nella vigente norma "siano  stati  ritualmente  descritti
 nell'imputazione  o  altrimenti contestati all'imputato" (cosi' Cass.
 25  gennaio  1993,  n.  553),  o  comunque  se  gia'   dalla   stessa
 formulazione  del  capo  d'imputazione  si  evinca l'insussistenza di
 almeno un elemento costitutivo del nuovo reato in oggetto.
   Si ritiene che, nel caso di specie, non  sussistano  i  presupposti
 per  l'emanazione  di  una  sentenza  di  n.d.p. o di n.l.p., poiche'
 dall'esame dei capi a) e b) d'imputazione risulta  che  negli  stessi
 sono  state  contestate agli imputati condotte di abuso astrattamente
 sussumibili nel nuovo testo dell'art. 323 c.p., essendo, le  condotte
 descritte,  avvenute nell'esercizio delle funzioni di sindaco (quanto
 Piasini) e di componente la commissione edilizia (quanto allo  Zani).
 Inoltre  non  puo'  escludersi che l'abuso come contestato al capo a)
 sia consistito anche in violazione di legge o di regolamento  (tenuto
 presente    che   la   giurisprudenza   prevalente   qualifica   come
 "regolamento" il piano regolatore generale), mentre l'abuso di cui al
 capo b) appare avvenuto in violazione di un dovere di astensione.
   Essendosi, poi, i reati contestati, consumato il 24  novembre  1993
 ed  il  5  agosto  1994,  non  sussistono  neppure  i presupposti per
 dichiarare la sopravvenuta prescrizione del reato.
   Risulta   pertanto   rilevante   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale in oggetto.
   3. - Quanto alla non manifesta infondatezza.
   3.1. - Violazione dell'art. 25 Cost.
   Si  ritiene  al  riguardo  che  il principio di tassativita' cui, a
 norma dell'art. 25, secondo comma, Cost., devono conformarsi le norme
 incriminatrici penali, esprima l'esigenza di evitare la genericita' e
 l'indeterminatezza  della  fattispecie  astratta,  in  modo  che  non
 soltanto  sia assicurata al giudice la possibilita' di individuare, a
 mezzo  degli  usuali  metodi  ermeneutici,  la  condotta   penalmente
 rilevante,  ma  anche  per  consentire  ai  consociati  di  conoscere
 preventivamente cio' che e' reato da cio' che non lo e'.
   Cio' posto, l'interpretazione corrente della norma di cui  all'art.
 323  testo  previgente  ricomprende  nella  condotta dell'abuso "ogni
 violazione del parametro di doverosita'  come  risulta  dalle  regole
 normative  improntate  ai principi di legalita', imparzialita' e buon
 andamento  della  p.a."  (cosi'  Cass.  9730/1992),  e  "qualsivoglia
 comportamento  del  pubblico  ufficiale  esplicantesi in una illecita
 deviazione dai fini istituzionali della p.a. (cosi' Cass. 5340/1993),
 nonche' gli atti viziati da eccesso di potere.
   La suddetta interpretazione, che costituisce diritto  vivente,  non
 consente  di  escludere dubbi sull'indeterminatezza della fattispecie
 penale di cui  trattasi,  stante  la  aleatorieta'  di  figure  quali
 "parametro  di doverosita'" e "fini istituzionali" e l'assenza di una
 definizione normativa della figura  dell'eccesso  di  potere,  i  cui
 contenuti  sono  stati  individuati soltanto ex post dalla dottrina e
 dalla giurisprudenza amministrativa ed e' figura il cui contenuto  e'
 in costante evoluzione e cambiamento.
   3.2.  -  Si  ritiene  inoltre  che la incertezza della norma di cui
 all'art. 323 non  permetta  un  efficace  esercizio  del  diritto  di
 difesa, costituzionalmente garantito (art. 24, secondo comma, Cost.).
   3.3. - Violazione dell'art. 97 Cost.
   La  fattispecie  di  cui  all'art.  323 c.p., si caratterizza per i
 termini del tutto evanescenti della nozione di abuso d'ufficio, e per
 il ruolo centrale del dolo specifico, che finisce per decidere  della
 stessa  illeceita'  di  una  condotta  di per se' neutra, in evidente
 conrasto con le esigenze di  tassativita'  sottese  al  principio  di
 legalita'  in  materia  penale. Tale insufficiente determinatezza del
 delitto di  abuso  d'ufficio  compromette  il  buon  andamento  della
 pubblica  amministrazione,  poiche'  le incursioni del giudice penale
 nella sfera amministrativa, in assenza di univoci  criteri  oggettivi
 idonei  a  delimitare il confine tra lecito ed illecito, rischiano di
 paralizzare  anche  le  piu'   ordinarie   attivita'   dei   pubblici
 funzionari. (cosi' tribunale Piacenza, 16 aprile 1996).
   Pertanto  non  appare  manifestamente  infondata  la  questione  di
 legittimita' costituzionale come sopra sollevata d'ufficio.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23, legge n. 87/1953;
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art.  323  formulazione  antevigente
 del  codice  penale,  in  relazione agli artt. 24, secondo comma, 25,
 secondo comma e 97 della Costituzione.
   Sospende il presente processo,  disponendo  la  trasmissione  degli
 atti alla Corte costituzionale;
   Dispone   che   questa  ordinanza  sia  notificata,  a  cura  della
 cancelleria, al pubblico ministero in sede, agli imputati ed ai  loro
 difensori  ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri e che sia
 comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente
 della Camera dei deputati.
     Sondrio, addi' 25 giugno 1998
            Il giudice per le indagini preliminari: De Rosa
 98C1055