N. 691 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 1998

                                N. 691
  Ordinanza  emessa  il  19  giugno  1998 dal tribunale amministrativo
 regionale per la Lombardia sul  ricorso  proposto  da  casa  di  cura
 "Villa Letizia" S.r.l. contro la regione Lombardia
 Giustizia  amministrativa  -  Procedimento innanzi al T.A.R. - Potere
    del giudice di accordare la tutela ante  causam  -  Preclusione  -
    Lesione   del   diritto  di  difesa  e  del  diritto  alla  tutela
    giurisdizionale nei confronti della p.a. - Violazione degli  artt.
    6  e  13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
    dell'uomo - Riferimento alle sentenze della  Corte  costituzionale
    nn. 190/1985 e 183/1997.
 In  subordine:  Giustizia  amministrativa  -  Potere  del  giudice di
    accordare la tutela ante causam, a favore del titolare di  diritti
    soggettivi  e  non  anche per il titolare di interessi legittimi -
    Lesione del principio di eguaglianza  Violazione  del  diritto  di
    difesa  e  del  diritto  alla tutela giurisdizionale nei confronti
    della p.a. - Riferimento alle sentenze della Corte  costituzionale
    nn. 165/1998 e 326/1997.
 (Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 21; c.p.c., art. 700).
 (Cost.,  artt.  3,  24 e 113; Convenzione europea per la salvaguardia
    dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,  artt.  6  e
    13).
(GU n.40 del 7-10-1998 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso ex art. 700 c.p.c.
 proposto  da  casa  di  cura  "Villa  Letizia" S.r.l. rappresentata e
 difesa dagli avv.ti Fausto Maniaci, Aldo Bozzi  e  Claudia  Gatti  ed
 elettivamente  domiciliata  presso  lo  studio  degli  ultimi  due in
 Milano, largo Ildefonso Schuster;
   Contro la regione Lombardia, in persona del presidente della Giunta
 regionale in carica,  costituitasi  in    giudizio,  rappresentata  e
 difesa dall'avv. Pio Dario Vivone ed elettivamente domiciliata presso
 lo stesso in Milano, via Fabio Filzi 22;
   Per  la  sospenione del decreto n. 61476, n. 643 di settore, emesso
 dal presidente della Giunta regionale   Lombardia in  data  5  giugno
 1988 e di tutti gli atti connessi;
   Visto  il  ricorso depositato in data 18 giugno 1998 dalla societa'
 istante, contenente la richiesta di provvedimento ex art. 700  c.p.c.
 avverso  la determinazione in epigrafe, con cui l'assessore regionale
 alla sanita' ha sospeso, a decorrere dalla data di notifica  di  essa
 intervenuta  in  data  12  giugno  1998,  l'esercizio  dell'attivita'
 sanitaria nella Casa di cura privata "Villa Letizia" S.r.l., con sede
 in Milano, via Donizetti,  12,  per  un  periodo  di  trenta  giorni,
 subordinando  l'autorizzazione  alla  ripresa  della stessa attivita'
 all'accertata eliminazione di ogni irregolarita';
   Uditi i procuratori delle parti convocati a mezzo fax  in  data  18
 giugno 1998;
                               F a t t o
   Con  ricorso  depositato  in  data  18  giugno 1998 la casa di cura
 "Villa Letizia", con sede in Milano, via Donizetti, 12  ha  richiesto
 la sospensione ante causam del provvedimento 5 giugno 1998, n. 61746,
 con  cui  il presidente della Giunta regionale della Lombardia, e per
 esso l'Assessore regionale alla sanita', ha disposto  la  sospensione
 dell'esercizio  dell'attivita'  sanitaria  della suddetta clinica per
 trenta giorni  a  decorrere  dal  giorno  di  notifica  dello  stesso
 provvedimento, intervenuta in data 12 giugno 1998.
   A  sostegno  della  introdotta  domanda  l'istante ha integralmente
 riprodotto il contenuto di ricorso in sede giurisdizionale  in  corso
 di notificazione, denunciando sotto piu' profili sia l'illegittimita'
 della  indicata  determinazione  regionale  sia  il  gravissimo danno
 arrecato dalla sua immediata esecuzione.
   In particolare la ricorrente, dopo  aver  premesso  di  essere  una
 societa'  di  servizi  e  di porre in quanto tale   a disposizione di
 sanitari liberi professionisti le proprie sale operatorie e le stanze
 di degenza per i pazienti di questi ultimi, ha allegato la violazione
 del principio generale di  partecipazione  stabilito  dalla  legge  7
 agosto 1990,n. 241 e, nella specie, anche dalla l.r. 6 febbraio 1990,
 n.  7,  nonche'  difetto  di  motivazione:  la nota informativa della
 Guardia di finanza - Nucleo di polizia tributaria di Milano, peraltro
 non  allegata  al  provvedimento   regionale,   avrebbe   evidenziato
 l'esistenza di una sotto fatturazione di alcuni interventi chirurgici
 effettuati  dal dott. Angelo Emilio Villa e la conseguente irregolare
 compilazione delle relative cartelle cliniche negli  anni  1995-1996,
 altrettanto  arbitrariamente trascritte nel registro degli interventi
 chirurgici della casa di cura.
   L'ordine di sospensione, che contesta la violazione degli artt.  22
 e 32 dell'all. 1, parte III, della menzionata legge regionale  e  che
 si  giustifica  sul  piano  amministrativo per la correlata incisione
 "dell'aspetto fiduciario e di buona fede che dovrebbe  caratterizzare
 il  rapporto  fra  regione  ed  ogni struttura sanitaria", sarebbe ad
 avviso  dell'istante illegittimo, oltre che  per  i  gia'  illustrati
 profili,  anche  per  l'affermata  estraneita'  della casa di cura ai
 fatti contestati al libero professionista e per  il  mancato  inoltro
 della  previa  diffida  ad  eliminare  le contestate   irregolarita',
 prescritta dalla stessa legge regionale.
   Un'ulteriore illegittimita' sarebbe poi concretata dalla illustrata
 violazione del  principio  di  proporzionalita',  tenuto  conto  che,
 ammessa per mera ipotesi la sussistenza delle indicate irregolarita',
 queste  hanno  indotto  un  ordine  di  sospensione dell'attivita' in
 essere  per  tutti  i  reparti  chirurgici  e  di  degenza e non gia'
 soltanto per quello interessato all'appurato  illecito  tributario  e
 sanitario.
   Per   l'aspetto  del  danno  patito  dall'istante  e'  stata,  poi,
 denunciata una situazione di gravissimo ed  irreparabile  pregiudizio
 anche  in relazione al fatto che il calendario delle udienze di tutte
 le sezioni del t.a.r. Lombardia non consentirebbe  l'immediato  esame
 dell'istanza  incidentale,  verificandosi  cosi'  un "vuoto di tutela
 giurisdizionale cautelare ingiustificato ed inammissibile  alla  luce
 dei principi costituzionali".
   Lo stesso giorno del deposito delll'anzidetta istanza le parti sono
 state convocate per il giorno successivo a mezzo telefax davanti alla
 sez. III di questo t.a.r.
   La regione Lombardia si e' costituita nel procedimento in questione
 in  data  19  giugno 1998, depositando fascicolo con memoria e con la
 nota  7  maggio  1998  della  Guardia  di  finanza,  richiamata   nel
 provedimento
  regionale.  Nel  corso  dell'udienza l'avv. Pio Dario Vivone ha dato
 atto a verbale della notificazione medio    tempore  intervenuta  del
 ricorso  in sede giurisdizionale, il cui esame era stato affidato dal
 presidente  del  t.a.r.  alla  sez.  III  in  sede  di   decreto   di
 abbreviazione  dei termini per l'esame della richiesta incidentale di
 sospensione della determinazione impugnata. E'  seguita  largomentata
 illustrazione  dei  termini  in  fatto  e diritto della controversia,
 insistendo entrambi i difensori nelle gia' precisate conclusioni.
   Con ordinanza presidenziale in data 19 giugno 1998 il provvedimento
 regionale e' stato sospeso in base  all'art.  669-sexies  c.p.c.  nel
 concorso  del  fumus boni iuris del ricorso e della sussistenza degli
 illustrati danni gravi  ed  irreparabili.  L'anzidetta  pronuncia  e'
 stata,  tuttavia, emessa in via meramente provvisoria alla luce della
 necessita' di  previamente  definire  le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale di cui alla seguente motivazione.
                             D i r i t t o
   1.  -  In  sede  di  appello avverso due decreti emessi ex art. 700
 c.p.c., nonche' di una susseguente ordinanza collegiale il  Consiglio
 di  Stato si e' recentemente pronunciato circa la possibilita' di una
 tutela ante causam davanti al giudice amministrativo con ordinanze 28
 aprile  1998,  n.  781  e  784,  il   cui   orientamento   e'   stato
 successivamente  fatto  proprio  anche dalla sez. IV con ordinanza 19
 maggio  1998,  n.    814.  In  dette  occasioni   il   consiglio   ha
 analiticamente affermato:
     che  nell'ordinamento  vigente il potere decisorio non compete al
 presidente degli organi  giurisdizionali  amministrativi,  bensi'  al
 collegio del quale egli fa parte;
     che  l'azione  cautelare  prevista  dall'art.  700  c.p.c. non e'
 esperibile davanti  al  giudice  amministrativo,  il  quale  emana  i
 provvedimenti  urgenti secondo la disciplina posta dall'art. 21 della
 legge 6 dicembre 1971, n. 1034;
     che l'applicazione dell'art. 700 c.p.c. non  e'  giustificata  da
 quanto  statuito  dalla  Corte  costituzionale  nella sentenza del 27
 giugno 1985, n. 190, posto che: a) la questione dedotta  in  giudizio
 concerne,  nella  parte in cui  rientra nella sfena di cognizione del
 giudice  amministrativo,  una  posizione  soggettiva   di   interesse
 legittimo;  b)  la  predetta pronunzia della Corte costituzionale non
 implica deroghe alla disciplina di cui al citato art. 21 della  legge
 n. 1034 del 1971, salvo che per l'ampliamento dei poteri decisori del
 tribunale   amministrativo  regionale  in  materia  di  provvedimenti
 urgenti;
     che e' improprio il richiamo agli artt. 6 e 13 della  Convenzione
 europea  per  la salvaguardia dei diritti  dell'uomo e delle liberta'
 fondamentali, ratificata e resa  esecutiva  in  Italia  con  legge  4
 agosto  1955,  n.  848  perche'  "la  specifica  procedura  stabilita
 dall'art.  21 della legge n. 1034 del 1971 non pregiudica di per se',
 tenuto conto della natura del danno che la parte  ricorrente  intende
 neutralizzare, la compiutezza e l'efficacia della tutela  cautelare";
     che il decreto emesso ex art. 700 c.p.c. avrebbe conseguentemente
 carattere   abnorme,   il   che   giustificherebbe   il   regime   di
 impugnabilita'.
   2. - In relazione alle indicate affermazioni, indubbiamente fondate
 sulla scorta del diritto vivente, quale integrato dalle  acquisizioni
 della    dottrina   italiana   e   dalla   concorde   interpretazione
 giurisprudenziale, il Consiglio di Stato  ha  dunque  negato  che  il
 giudice amministrativo possa fornire una tutela cautelare con forme e
 modalita' tali da consentirgli di provvedere immediatamente di fronte
 ad  un  danno  grave ed imminente, non altrimenti ovviabile in capo a
 soggetti incisi dall'azione  amministrativa:  deve  dunque  ritenersi
 superata la possibilita' di richiamare la sentenza 28 giugno 1985, n.
 190  della  Corte  costituzionale,  che pure ha introdotto l'art. 700
 c.p.c.  nel  tessuto  della  giurisdizione  esclusiva   del   giudice
 amministrativo,  espressamente  qualificandola come "necessaria norma
 di chiusura".
   Resta egualmente interdetta la valorizzazione in termini concreti e
 attuali di quanto allora meditatamente affermato dalla  stessa  Corte
 costituzionale,  quando  sottolineava  che  "le  quante volte diritto
 assistito dal fumus boni iuris e' minacciato da pregiudizio imminente
 e irreparabile provocato dalla cadenza dei tempi necessari per  farlo
 valere  in  via  ordinaria,  spetta al giudice il potere di emanare i
 provvedimenti d'urgenza che appaiono, secondo  le  circostanze,  piu'
 idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul
 merito".  La  natura  additiva  della  indicata  sentenza della Corte
 costituzionale risulta, infatti, esplorata  dalla  dottrina  e  dalla
 giurisprudenza  solo  con  riferimento  alla  novazione introdotta al
 potere di mera sospensione del provvedimento amministrativo impugnato
 e dunque in  chiave  esclusivamente  incidentale,  essendone  rimasta
 esclusa  una  piu' estesa  lettura, si da autorizzare forme di tutela
 ante causam in sede di giurisdizione amministrativa.
   Secondo un'ulteriore  affermazione  del  Consiglio  di  Stato  deve
 ritenersi,  infine,  ininfluente  il richiamo agli artt. 6 e 13 della
 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
 liberta' fondamentali e conseguentemente interdetta  la  conclusione,
 pur  fatta  propria da parte della dottrina in ordine all'intervenuto
 effetto conformativo introdottosi nel nostro  ordinamento  in  virtu'
 della  recezione  e  ratifica  della  stessa  convenzione con legge 4
 agosto 1955, n. 848: dal che implicitamente si desume che  la  stessa
 non avrebbe rilievo di fonte rinforzata nella gerarchia delle fonti e
 che   non  avrebbe  direttamente  inciso  con  un  immediato  effetto
 abrogativo  o  comunque  poziore  su  ogni   norma   dell'ordinamento
 nazionale   non   conforme  con  il  diritto  al  giusto  processo  e
 all'effettivita' della tutela giurisdizionale.
   3.  -  Prendendosi  quindi  atto  del  predetto  orientamento   del
 Consiglio  di  Stato,  cui  il giudicante non intende sottrarsi deve,
 tuttavia, osservarsi che, a fronte   di  danni  gravi,  che  incidano
 immediatamente  sia  sulla  posizione  di diritto soggettivo e sia su
 quella di interesse legittimo senza che ad essi possa recare  rimedio
 il ricorso alla
  normale  via  giudiziaria,  divengono rilevanti e non manifestamente
 infondate le seguenti questioni di legittimita' costituzionale:
     a) Sotto il primo profilo puo'  osservarsi  che  la  potesta'  in
 concreto   esercitata  con  la  coeva  ordinanza    presidenziale  di
 sospensione del decreto del  presidente  della  Giunta  regionale  e'
 stata  tratta  direttamente    dall'art.  669-sexies  c.p.c.,  la cui
 applicazione e' avvenuta peraltro a titolo meramente  provvisorio  ed
 al  solo  fine  di  garantire  medio tempore la richiesta tutela, con
 conseguente necessita' di un riesame da  parte  del  giudicante  alla
 stregua  della  stessa norma dopo la emananda sentenza da parte della
 Corte costituzionale (cfr.  da ultimo Corte cost. 18 giugno 1997,  n.
 183).
     b)  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza delle questioni di
 legittimita' costituzionale di seguito esposte puo' premettersi  che,
 sotto  il  profilo  della  tutela giurisdizionale, gli artt. 24 e 113
 della Costituzione non la  prefigurano  con  connotazioni  diverse  a
 seconda  della  posizione  soggettiva  di  volta  in  volta coinvolta
 dall'azione amministrativa: il principio di effettivita',  che  nella
 giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  integra  un  essenziale
 predicato della  tutela  giurisdizionale  pare  dunque  destinato  ad
 operare con eguale intensita' a favore sia dei diritti soggettivi sia
 degli  interessi  legittimi (Corte costituzionale 7 novembre 1997, n.
 326).
   Il sospetto che l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, che
 prevede esclusivamente una tutela cautelare in forma incidentale e in
 sede collegiale pare dunque non manifestamente infondato.
   Davanti a danni caratterizzati dal  requisito  della  imminenza  ed
 assistiti dal fumus boni iuris la necessita' della introduzione di un
 ricorso  in  sede  giurisdizionale,  sia pure nei limiti strettamente
 necessari per pervenire davanti al collegio, pare, infatti, strumento
 non sempre idoneo ad assicurare in concreto una tutela adeguata  alla
 vicenda  di  volta  in  volta  all'esame,  il  che  pare postulare la
 necessita'  di  far  ricorso  ad  una   disposizione   di   chiusura,
 preordinata  a consentire in via generale una protezione immediata ed
 ante causam per tutte  le  posizioni  soggettive  incise  dall'azione
 amministrativa.
   4.  - L'art. 21 citato sembra, poi, opporsi non solo all'ipotesi di
 una tutela che possa necessariamente intervernire secondo il  modello
 processuale  dell'art.  700 c.p.c., ma anche all'efficce esercizio di
 essa in sede monocratica: ove, infatti, la domanda sia avanza davanti
 al tribunale ordinario,  l'eventuale  misura  provvisoria  non  viene
 fornita  dal  collegio, ma da un giudice designato dal presidente del
 tribunale. Le ragioni sottese a siffatta scelta processualcivilistica
 sembrano un mero corollario delle stesse modalita' di esercizio di un
 servizio giudiziario, che non tollera, proprio di fronte a danni  del
 tipo  considerato,  alcun  intervallo  temporale  non strettamente ed
 esclusivamente  finalizzato  all'esame  della  vicenda  ed  alla  sua
 immediata definizione da parte del singolo giudice.
   In tale puntuale accezione il ricorso all'art. 700 c.p.c.  potrebbe
 essere  stato del resto gia' autorizzato in  materia di diritti dalla
 Corte costituzionale con la sentenza 27 giugno 1985, n. 190 sia  pure
 limitatamente ai diritti soggettivi nel pubblico impiego.
   5.  -  La  natura  di  norma  di  chiusura  dell'art.  700 e la sua
 peculiare finalita' sembrano, tuttavia, autorizzarne l'applicabilita'
 anche alla contermine area degli interessi  legittimi,  tenuto  conto
 che,  a  prescindere  dalla funzione che detta figura ha storicamente
 assolto nel  quadro  del  riparto  della  giurisdizione  fra  giudice
 ordinario  e  amministrativo,  dottrina  e  giurisprudenza  non hanno
 mancato  di  porre  in  evidenza  che  provvedimenti   amministrativi
 illegittimi  possono  integrare,  in  disparte restando il tralatizio
 effetto  degradatorio,  profili  di   danno   immediato,   grave   ed
 irreparabile,  oggettivamente  non  contestabile quanto meno sotto il
 profilo  della  integrita'  patrimoniale  del  soggetto  direttamente
 inciso:  dell'evoluzione  di  tale  problematica  si  coglie meditato
 riferimento in una recente ordinanza della  Corte  costituzionale  (8
 maggio  1998,  n.  165)  quanto alla necessita' di prudenti soluzioni
 normative relativamente alla responsabilita'  civile  della  pubblica
 amministrazione.
   Corollario  del  suesposto  ordine  di  idee  sembra,  peraltro, la
 necessita' che un tempestivo intervento del giudice possa contenere e
 comunque il piu' possibile limitare, nel concorso dei presupposti  di
 legge,  proprio  il successivo rischio di un risarcimento che la piu'
 vigile coscienza civile pare prospettarsi come ineludibile, sia  pure
 in   termini   e   con   modalita'   discrezionalmente  vagliate  dal
 legislatore.
   6. - Detta interpretazione  pare,  altresi,  conforme  alla  stessa
 evoluzione  legislativa indotta dalle direttive europee in materia di
 appalti pubblici di lavori,  di  servizi  e  di  forniture;  sul  cui
 fondamento  la  tradizionale  dicotomia  tra  diritto  soggettivo  ed
 interesse legittimo assume rilivo totalmente recessivo  ai  fini  del
 risarcimento del danno (cfr. in proposito Corte del Lussemburgo, sez.
 V,  19 settembre 1996 in causa C. n. 236/1995 - Commissione CE contro
 Governo della Grecia).
   Opponendosi dunque l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971,  n.  1034
 ad  una  siffatta  interpretazione, si rende necessario sottoporre la
 relativa questione alla  Corte  costituzionale  per  conseguirne  una
 pronuncia,  che  possa  riaffermare  o  meno  il  valore  di norma di
 chiusura del ridetto art. 700 c.p.c. e con esso la generale idoneita'
 del codice di rito a suppletivamente apprestare sussidio anche a quei
 processi che, come quello amministrativo,  non  prevedano,  anche  in
 relazione  alla  remota  origine  legislativa  e  regolamentare delle
 relative  norme,  alcuna  adeguata  disciplina  in  talune  evenienze
 processuali, come sembra ricorrere nel caso di specie e come e' stato
 recentemente  deciso  dalla stessa Corte costituzionale in materia di
 opposizione di terzo.
   7. - In via subordinata, e per la sola ipotesi che possa  ritenersi
 che   il   letterale   tenore   dell'art.  700  c.p.c.  debba  essere
 circoscritto sia contenutisticamente sia teleologicamente  alla  sola
 area   dei   diritti  soggettivi,  si  prospetta  con  riferimento  a
 quest'ultimo una distinta questione di  legittimita'  costituzionale,
 avuto  riguardo  agli  artt.    3, 24 e 113 della Costituzione, nella
 parte in cui esso non accorda una medesima tutela urgente anche  agli
 interessi legittimi: e cio' sulla base delle identiche argomentazioni
 piu'  sopra  svolte,  rincarate dalla disuguaglianza che, quanto alla
 possibile  tutela  cautelare,  privilegerebbe  i  diritti  soggettivi
 rispetto   agli  interessi  legittimi,  pur  a  fronte  di  una  loro
 costituzionale parita' di fronte alla legge.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo  1953,  n.  87  il  giudicante
 rinvia  dunque  le  sollevate  questioni  di  legittimita' alla Corte
 costituzionale allo scopo di conoscere:
     1) se l'art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte
 in cui esclude la tutela ante causam e la conseguente  applicabilita'
 dell'art.  700 e degli artt. 669 e seguenti c.p.c. davanti al giudice
 amministrativo, sia  costituzionalmente  legittimo  alla  luce  degli
 artt. 24 e 113 della Costituzione, avuto anche riguardo agli artt.  6
 e  13  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia dei diritti
 dell'uomo e delle liberta' fondamentali;
     2) se lo stesso art. 700 c.p.c.,  laddove  espressamente  prevede
 che la tutela cautelare ante causam sia accordabile, nel concorso dei
 presupposti di legge, solo ai diritti soggettivi e non agli interessi
 legittimi,  sia  legittimo  alla  luce  degli artt. 3, 24 e 113 della
 Costituzione;
   Ordina alla segreteria della sez. III  di  notificare  la  presente
 ordinanza  alle  parti  in causa, nonche' al Presidente del Consiglio
 dei Ministri e che sia comunicata ai Presidenti delle due Camere  del
 Parlamento.
     Milano, addi' 19 giugno 1998
                          Francesco Mariuzzo
 98C1093