N. 692 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 maggio 1998
N. 692 Ordinanza emessa il 27 maggio 1998 dal pretore di Roma, sezione distaccata di Tivoli nel procedimento penale a carico di Campanale Luigi Ambiente (tutela dell') - Rifiuti - Smaltimenti di rifiuti urbani e speciali senza autorizzazione - Trattamento sanzionatorio - Depenalizzazione - Previsione, nel caso di procedimenti penali in corso, di trasmissione degli atti, da parte dell'autorita' giudiziaria, agli organi competenti per l'applicazione delle sanzioni amministrative - Dedotta introduzione di una forma di amnistia - Asserita esclusione del procedimento costituzionalmente prescritto - Disparita' di trattamento tra fattispecie identiche a seconda della fase procedimentale in cui si trovano. (D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 55). (Cost., artt. 3, primo e secondo comma, e 79).(GU n.40 del 7-10-1998 )
IL PRETORE A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 27 maggio l998; O s s e r v a Con decreto emesso il 14 luglio 1995 dal p.m. della procura della Repubblica presso la pretura circondariale di Roma, veniva citato Campanale Luigi dinanzi l'intestato pretore perche' ritenuto responsabile dei reati di cui: a) art. 25, primo comma d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915; b) commi 3, 5 e 9-octies, legge n. 475/1988; c) art. 3, comma 2, lett. b) e art. 14, d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 95; cosi' come accertati in Giudonia loc. "Il Cupo" il 28 aprile 1994 (peraltro, come meglio specificati nel fascicolo processuale allegato alla presente ordinanza). Al termine della fase della discussione, il pretore si ritirava per la fase della decisione e avendo accertato la responsabilita' dell'imputato in riferimento al reato di cui all'art. 25, primo comma, d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e dovendo applicare nella fattispecie l'art. 55, comma 3, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, rientrava in aula d'udienza, sollevando la questione di illegittimita' costituzionale del prefato art. 55 per i motivi che si esplicitano di seguito. Osservasi, infatti, che a seguito dell'emanazione del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, si e' verificata, anche in campo penale, per le disposizioni incriminatrici anteriormente contremplate dal d.P.R. n. 915/1992, oggetto di parziale riformulazione con il nuovo provvedimento normativo, un'ordinaria ipotesi di successione di leggi penali disciplinato e regolato in via generale dall'art. 2, c.p. entro la cornice costituita dalla superiore previsione costituzionale di cui all'art. 25 della Costituzione. La condotta, in rubrica specificata, contempla una delle ipotesi di successione di previsioni incriminatrici talche' il giudice dovrebbe al riguardo procedere secondo la surriferita stregua implicante il raffronto di gravita' tra le disposizioni penali in rapporto tra loro di successione temporale. Per contro, al punto 3, di cui all'art. 55, e' fissata la norma testualmente prescrivente che per "i procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto l'autorita' giudiziaria, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1, ai fini dell'applicazione delle sanzioni amministrative". La norma cosi' formulata, e secondo gli effetti dalla sua applicazione conseguenti, interferisce con il fenomeno successorio di leggi penali nel tempo, alterandone la funzionalita' nella sua generale prefigurazione, e porgendosi cosi' in conflitto con precisi disposti costituzionali. Invero, preposto che essa si riferisce a procedimenti penali suscettivi di definizione nel merito (come si evince dalla prospettata ipotesi che il giudice possa pervenire a pronuncia di proscioglimento) e, dunque, a casi nei quali non si e' realizzata un'abolitio criminis totale, bensi' solo una riformulazione del reato e delle conseguenze sanzionatorie legate ad una certa condotta, la previsione ivi contenuta, per l'ipotesi opposta in cui non siano raggiungibili i suddetti esiti (di archiviazione o proscioglimento) in forza della quale il giudice debba, anche in tale eventualita' limitarsi ad una pronuncia di sostanziale non liquet con trasmissione degli atti all'autorita' amministrativa, di fatto e surrettiziamente introduce una forma sui generis di amnistia generalizzata introdotta al di fuori del procedimento e delle competenze costituzionali previste in subiecta materia. E tale profitto non puo' intendersi superato da una piu' circoscritta lettura della norma limitandone l'ambito di rilevanza ai soli casi di abolitio criminis giacche', per un verso sia il lessico impiegato ("procedimento penale" e "sentenza di proscioglimento"), sia il profilo contenutistico ad esso sotteso, confermano vertersi in presenza di condotte anche attualmente a rilevanza penale; sia anche e soprattutto per la sostanziale inutilita' di una norma che - se cosi' interpretata - avrebbe la singolare funzione di dichiarare gli effetti correlati ad una ordinaria ipotesi di successione di leggi penali nel tempo, fenomeno questo gia' disciplinato in altre e piu' qualificate sedi (artt. 25 Cost. e 2, cod. pen.). Ne puo' preterirsi, ulteriormente, che, il richiamo testuale ai procedimenti penali - interpretabile nel senso di riferirsi ai soli casi di fattispecie ancora pendenti in fase di indagini preliminari prima cioe' del formale promovimento dell'azione penale che si determina nel rito pretorile con l'emissione del decreto di citazione a giudizio, con il passaggio, quindi dalla fase morfologicamente definibile procedimentale a quella processuale - introduce anch'esso, secondo l'opzione interpretativa teste' richiamata, dubbi di costituzionalita', giacche' identiche fattispecie, anche coeve quanto al tempo di consumazione, riceverebbero diverso trattamento dipendente solo dal fatto estrinseco e casuale, che solo per alcune sia stata superata la soglia procedimentale, ancorando cioe' gli esiti di improcedibilita' solo ai casi gravati da piu' lunghi tempi di definizione, come tali ancora insistenti nella fase procedimentale. E' in dubbio che l'illegittimita' del diverso trattamento, cosi' come evidenziato, non puo' trovare, per fattispecie identiche, valida spiegazione nella discrezionalita' del legislatore, per quante volte essa la si eserciti con modalita' e contenuti tali da palesarsi viziata da manifesta arbitrarieta' e disuguaglianza immotivata di trattamento normativo di casi in tutto e per tutto uguali. Tanto premesso la norma di cui all' art. 55, punto 3, del d.-l. in applicazione contrasta, ad avviso dello scrivente giudice con gli artt. 3, primo e secondo comma, 79 della Costituzione. La questione prospettata e' all'evidenza rilevante giacche' di tale norma il giudice remittente e' chiamato a fare applicazione nel presente caso, sul presupposto che essa si riferisca ai procedimenti penali in genere (dunque, anche a quelli pervenuti nella fase strettamente processuale) mentre, in diverse ipotesi, l'esclusione della sua applicazione nella fase processuale costituisce proprio l'oggetto di una delle specifiche doglianze segnalate.
P. Q. M. Visti gli artt. 1, legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953, n. 86; Solleva di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 55, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 per violazione degli artt. 3, primo e secondo comma, 79, della Costituzione; Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il processo in corso; Ordina che a cura della cancelleria l'ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. In Tivoli, cosi' pronunciata il 27 giugno 1998. Il pretore: Croce 98C1094