N. 811 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 giugno 1997- 14 ottobre 1998

                                N. 811
  Ordinanza   emessa   il   12   giugno  1997  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il  14  ottobre  1998)  dal  tribunale  amministrativo
 regionale  per  la  Sicilia,  sezione staccata di Catania sul ricorso
 proposto da Pruiti Ciarello Rosario contro la provincia regionale  di
 Catania.
 Sicurezza  pubblica - Attivita' di consulenza per la circolazione dei
    mezzi di trasporto  -  Autorizzazione  provinciale  -  Inibizione,
    senza  limiti  temporali,  in  caso  di condanna per il delitto di
    emissione  di  assegni  a  vuoto   -   Omessa   previsione   della
    possibilita',  da  parte della p.a., di graduazione della sanzione
    in base alla gravita' del fatto -  Disparita'  di  trattamento  di
    situazioni  omogenee  con  riferimento  alla  giurisprudenza della
    Corte relativa a fattispecie analoghe - Incidenza sul  diritto  al
    lavoro  e sul principio della tutela del lavoro - Riferimento alle
    sentenze della Corte costituzionale  nn.    971/1988,  326/1995  e
    141/1996.
 ((Legge 8 agosto 1991, n. 264, art. 3, punto c)).
 (Cost., artt. 3, primo comma, 4, primo comma, e 35, primo comma).
(GU n.44 del 4-11-1998 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 2500/97,
 proposto  da  Pruiti  Ciarello  Rosario,  rappre-sentato   e   difeso
 dall'avv. Antonio Verde, presso il cui studio, in Catania, via Milano
 n. 97, e' elettivamente domiciliato;
   Contro la provincia regionale di Catania, in persona del presidente
 pro-tempore, costituita in giudizio, rappresentata e difesa dall'avv.
 Carmelo   Finocchiaro,  elettivamente  domiciliata  in  Catania,  via
 Umberto n. 265;
   Per  l'annullamento  dell'atto   di   diniego   dell'autorizzazione
 provinciale, in conversione di precedente licenza di P.S., per affari
 con disbrigo di pratiche automobilistiche, di cui alla legge 8 agosto
 1991, n.  264, adottato il 25 febbraio 1997, n. 139 prot., notificato
 l'indomani;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 provinciale di Catania;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Designato relatore per la camera di consiglio del 12 giugno 1997 il
 consigliere  Biagio  Campanella;  udito  l'avv.  A.  Verde   per   il
 ricorrente;
   Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Il  sig.  Pruiti  Ciarello Rosario, con istanza del 30 luglio 1996,
 chiedeva all'amministrazione provinciale di Catania  la  conversione,
 in autorizzazione provinciale, della licenza di P.S. con la quale era
 stato  abilitato alla gestione di un'agenzia d'affari con disbrigo di
 pratiche automobilistiche, in Misterbianco, a decorrere dal 25 luglio
 1988.
   Tale diniego, motivato  per  la  mancanza  dei  requisiti  previsti
 dall'art.    3, comma 1, punto c), della legge 8 agosto 1991, n. 264,
 essendo stato il sig. Pruiti condannato, in data  24  febbraio  1989,
 alla  pena  di  L.  1.000.000  di  multa per il reato di emissione di
 assegni a vuoto, viene impugnato con il presente ricorso,  notificato
 il 28 aprile 1997 e depositato il 28 maggio successivo.
   Il ricorso e' affidato ai seguenti motivi di censura:
   1.   -   Eccesso   di  potere  per  difformita'  di  valutazione  e
 contraddittorieta'   manifesta;   violazione   dell'art.   11   delle
 disposizioni sulla legge in generale.
   Si  afferma  che  il  provvedimento  impugnato  appare  lesivo  del
 principio di irretroattivita' della legge, fissato dall'art. 11 delle
 preleggi, il quale fa salvi gli effetti  delle  posizioni  giuridiche
 acquisite sotto l'impero della legge precedente.
   2.  -  Illegittimita'  costituzionale  della  disposizione  di  cui
 all'art.   3, comma 1, punto  c),  nell'inciso  "per  il  delitto  di
 emissione di assegno senza provvista di cui all'art. 2 della legge 15
 dicembre  1990,  n.  386",  in  relazione agli artt. 4, 29 e 30 della
 Costituzione.
   Con tale motivo di censura, proposto in via subordinata, si deduce,
 in particolare, l'incostituzionalita' della disposizione  epigrafata,
 nella  parte  in  cui non limita nel tempo l'efficacia impeditiva del
 "delitto di emissione di assegno senza provvista".
   Si sottolinea, in proposito,  che  tale  reato  non  suscita  alcun
 allarme  sociale,  che,  nel  caso  concreto,  e' limitato ad un solo
 episodio risalente nel tempo  a  circa  nove  anni  fa,  e  che  tale
 sanzione  si  tradurrebbe  in  una  sorta  di pena accessoria, in una
 capitis deminutio  permanente,  con  pregiudizio  irreparabile  della
 posizione   giuridica   conseguita  nella  vigenza  della  precedente
 normativa.
   La provincia regionale di Catania  si  e'  costituita  in  giudizio
 chiedendo la reiezione del ricorso.
                             D i r i t t o
   1.  -  Come  gia'  esposto  nelle premesse di fatto, con il ricorso
 indicato in epigrafe, notificato il 28 aprile 1997 e depositato il 28
 maggio successivo, il sig. Pruiti Ciarello Rosario impugna l'atto  di
 diniego dell'autorizzazione provinciale, in conversione di precedente
 licenza di P.S. per affari con disbrigo di pratiche automobilistiche,
 di  cui  alla  legge  8  agosto 1991, n. 264, adottato il 25 febbraio
 1997, n. 139 di  protocollo,  per  eccesso  di  potere  e  violazione
 dell'art.      11   delle   disposizioni   sulla  legge  in  generale
 (irretroattivita' della legge).
   In  via  subordinata,   il   ricorrente   deduce   l'illegittimita'
 costituzionale di cui all'art. 3, comma 1, punto c), nell'inciso "per
 il  delitto di emissione di assegno senza provvista di cui all'art. 2
 della legge 15 dicembre 1990, n. 386", in relazione agli artt. 4,  29
 e  30  della  Costituzione,  laddove  non  viene  limitata  nel tempo
 l'efficacia impeditiva del "delitto di  emissione  di  assegno  senza
 provvista".
   2.  - Questa terza sezione, con ordinanza n. 1552/1997, adottata il
 12 giugno 1997, valutando la sussistenza dei  presupposti  del  fumus
 boni  juris  e  del  danno grave ed irreparabile, richiesti dall'art.
 21, ultimo comma, della legge n.  1034/1971  per  l'erogazione  della
 tutela  cautelare nel processo amministrativo, ha ritenuto, quanto al
 primo, che alla luce dell'art. 3, comma 1, punto c),  della  legge  8
 agosto  1991,  n. 264 - della cui legittimita' costituzionale appunto
 si dubita - l'istanza cautelare avrebbe dovuto  essere  respinta  per
 carenza  del  prescritto  fumus  boni juris; quanto al secondo, ne ha
 ritenuto la sussistenza.
   Il collegio, riconosciuta  la  sussistenza  dei  presupposti  della
 rilevanza e della non manifesta infondatezza, ha deciso di sollevare,
 con  la  presente  separata  ordinanza,  deliberata  in pari data (12
 giugno 1997), la questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
 3, comma 1, punto c), legge 8 agosto 1991, n. 264, nella parte in cui
 non   limita   nel   tempo  l'efficacia  dell'inibizione  a  svolgere
 un'attivita' economica discendente dalla  commissione  del  reato  di
 emissione di assegno a vuoto.
   Pertanto  il  collegio  ha  accolto  temporaneamente  la domanda di
 sospensione dell'impugnato  provvedimento  negativo,  ordinando  alla
 provincia   regionale   di   Catania  di  riesaminare  la  situazione
 controversa regolandola nuovamente  a  titolo  provvisorio,  e  cioe'
 rilasciando la richiesta autorizzazione od anche, ove ne ricorressero
 i   presupposti,   negando   nuovamente  il  richiesto  provvedimento
 ampliativo qualora sussistessero altre legittime ragioni ostative non
 evidenziate con l'impugnato provvedimento negativo, e cio' non  oltre
 70   (settanta   )   giorni  dalla  notificazione  dell'ordinanza  di
 sospensione, rinviando l'ulteriore  e  definitiva  trattazione  della
 questione  cautelare  alla  prima  camera  di consiglio utile dopo la
 restituzione  degli  atti  del  giudizio   da   parte   della   Corte
 costituzionale dopo la decisione della questione di costituzionalita'
 suindicata.
   3.  -  Cio'  premesso,  deve  anzitutto  osservarsi che il collegio
 ritiene che la predetta questione di costituzionalita' sia  rilevante
 ai  fini  del  decidere e non manifestamente infondata ai sensi e per
 gli effetti dell'art. 1  della  legge  costituzionale  n.  1/1948,  e
 dell'art.  23/2  della  legge  n. 87/1953, e cio' nei limiti e per le
 considerazioni che seguono.
   4. - Quanto alla rilevanza della questione  indicata  al  punto  2,
 indubbiamente l'applicazione delle norme ivi richiamate comporterebbe
 il rigetto dell'istanza cautelare (e, poi, nel merito, il rigetto del
 ricorso).
   Alla   luce   di  dette  norme,  infatti,  dovrebbe  escludersi  la
 sussistenza di quel fumus boni juris necessario  per  la  concessione
 del  rimedio  cautelare,  in quanto gia' ad un primo esame le censure
 dedotte dovrebbero essere  ritenute  infondate,  ed  i  provvedimenti
 impugnati,  che  di quelle norme hanno fatto applicazione, dovrebbere
 essere ritenuti legittimi:   pur  in  presenza  del  danno  grave  ed
 irreparabile che ne deriverebbe al ricorrente, pertanto, l'esecuzione
 di essi non potrebbe essere sospesa.
   Non  potrebbe  essere accolto, infatti. il motivo di gravame con il
 quale si deduce il vizio di eccesso di potere in quanto la  norma  in
 questione  non  lascia  alcun  margine  d'apprezzamento  alla p.a. in
 presenza di condanna per emissione di assegno a vuoto, ed e' risaputo
 come un tale vizio non puo' concernere gli atti vincolati.
   Ne' potrebbe condividersi, poi, il motivo di censura con  il  quale
 si  deduce  la violazione dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge
 in generale, ossia del principio dell'irretroattivita' della legge.
   Rileva, invero, il collegio che l'irretroattivita' della legge  non
 costituisce un principio assoluto, salvo che per i rapporti giuridici
 gia' esauriti.
   Un tale principio riveste un valore inderogabile soltanto allorche'
 si  verta in materia di disposizioni di carattere penale, le quali si
 identificano tanto nelle disposizioni che configurano un nuovo reato,
 quanto in quelle che aggravano la pena  relativa  ad  un  reato  gia'
 previsto nell'ambito dell'ordinamento giuridico.
   Per  il  caso  di  specie,  il collegio osserva che la normativa in
 questione, almeno nei limiti che interessano  il  presente  giudizio,
 non  introduce  alcuna  pena  ne'  alcuna  misura  di prevenzione per
 comportamenti anteriori la sua entrata in vigore.
   Essa  si limita a fissare, con efficacia, peraltro, successiva alla
 sua entrata in vigore, dei limiti e delle  preclusioni  all'attivita'
 imprenditoriale;   tale   disposizione,  in  sostanza,  non  presenta
 un'efficacia  retroattiva,  ma  si  limita  a  stabilire  determinati
 effetti  in  relazione ad una situazione che si reputa ostativa a che
 possa svolgersi un'attivita' imprenditoriale,  di  indubbio  pubblico
 interesse.
   Del resto, non mancano i casi in cui la legge sopravvenuta richiede
 la  sussistenza  di  requisiti,  prima  non  richiesti,  perche'  sia
 possibile ottentere determinati benefici,  e  cio',  certamente,  non
 significa  dare  effetti  retroattivi  alla  legge,  ma semplicemente
 considerare certi status, anche se determinati da  eventi  interiori,
 attualmente rilevanti per l'applicazione di notevoli restrizioni alla
 libera attivita' imprenditoriale.
   Va,   infine,   osservato   che   soltanto   la   declaratoria   di
 illegittimita'  parziale  della  disposizione  di  legge   denunciata
 consentira'   al   collegio   di   pronunciarsi   definitivamente   e
 positivamente  sulla  domanda  cautelare  proposta   dal   ricorrente
 (temporaneamente  accolta,  come si e' gia' precedentemente accennato
 in narrativa, sino alla prima  camera  di  consiglio  utile  dopo  la
 restituzione   degli   atti   del   giudizio  da  parte  della  Corte
 costituzionale a seguito della decisione  in  ordine  alla  sollevata
 questione di costituzionalita';
   In proposito, poi, e' appena il caso di osservare:
     1)  che  il  requisito della rilevanza permane, ovviamente, anche
 nei casi (come quello in esame)  in  cui  il  giudice  amministrativo
 disponga con separata ordinanza - contemporaneamente all'ordinanza di
 rimessione  alla  Corte - la sospensione provvisoria e temporanea dei
 provvedimenti impugnati fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo
 l'incidente di costituzionalita', posto che una tale  pronuncia,  per
 la  sua  natura  meramente  temporanea  ed  interinali, non determina
 l'esaurimento del potere cautelare del giudice a quo  (cfr.,  fra  le
 altre,  Corte  costituzionale,  sentenza  n.  336/1991, punto 2 della
 motivazione, sentenza n. 444/1990, punto 3 della motivazione;
     2) e che la sussistenza della predetta rilevanza va valutata allo
 stato  degli  atti  al  momento  dell'emanazione  dell'ordinanza   di
 rimessione,   restando   quindi  ininfluenti  le  eventuali  pronunce
 adottande o adottate successivamente dal giudice  d'appello  (fra  le
 altre, la predetta sentenza n. 357/1991, ibidem).
   Per  tutte  le  considerazioni  ora  svolte,  la  questione  appare
 rilevante ai fini della definizione della fase cautelare del giudizio
 instaurato con il ricorso in epigrafe.
   5. - Quanto al requisito della  non  manifesta  infondatezza  della
 questione  di costituzionalita' di cui si discute, la normativa della
 quale l'amministrazione ha fatto applicazione  nella  fattispecie  si
 pone  in  contrasto,  ad  avviso  del  collegio,  con  l'art. 3 della
 Costituzione sotto il duplice profilo della violazione del  principio
 di  ragionevolezza  e  della violazione del principio di uguaglianza,
 nonche' con gli artt. 4/1  e  35/1  della  Costituzione  (tutela  del
 lavoro), come meglio sara' specificato in seguito.
   5.1.  -  Il collegio non ignora che, per una questione che presenta
 una notevole affinita' con la vicenda oggetto del presente  giudizio,
 la   Corte  costituzionale  si  e'  pronunciata  sulla  questione  di
 costituzionalita' del  combinato  disposto  degli  artt.  11,  ultimo
 comma,  e  138,  n.  4,  T.U.L.P.S. sollevata dal t.a.r. Campania con
 ordinanza del 24 marzo 1994,  concludendo  per  l'infondatezza  della
 questione stessa.
   Tuttavia,  ad  avviso  del  collegio,  la  questione specifica deve
 essere riconsiderata alla luce di  una  ricostruzione  globale  della
 problematica  dell'automatismo  sanzionatorio,  tenendo  conto  della
 coerenza complessiva dell'intero settore normativo di cui si tratta.
   La ragionevolezza, in generale, delle  disposizioni  che  prevedono
 riverberi  automatici  di  condanne  penali  sul  rapporto  di lavoro
 (subordinato  od  autonomo)  consiste  nella  mancata  previsione  di
 meccanismi che rendano possibile l'adeguamento (anche nel senso della
 limitazione   temporale)   della   reazione   dell'ordinamento   alla
 effettivita'  del  reato  commesso.  Tali  meccanismi,  in  astratto,
 possono funzionare in uno dei seguenti modi:
     a)  esclusione  normativamente  predefinita di ipotesi delittuose
 meno gravi, individuate attraverso la  fissazione  di  un  limite  di
 pena;
     b)  previsione di un potere di valutazione discrezionale da parte
 dell'autorita' di pubblica sicurezza;
     c) (soluzione intermedia)  fissazione  di  un  limite  (sotto  il
 profilo  della  misura  della pena o sotto il profilo della tipologia
 dei reati) al di sopra del  quale  la  reazione  dell'ordinamento  e'
 automatica,   e   al   di   sotto  del  quale,  invece,  e'  lasciato
 all'autorita' di  pubblica  sicurezza  un  margine  di  apprezzamento
 discrezionale.
   Tutte le soluzioni prospettate contengono un minimo o un massimo di
 modulazione  della  reazione dell'ordinamento in ragione dell'entita'
 della devianza dalla legalita'; e' invece del  tutto  irrazionale  la
 previsione  di  conseguenze  identiche  rispetto  a  fatti  di natura
 incommensurabilmente diversa sotto il  duplice  profilo  dell'allarme
 sociale  che  provocano  e della potenzialita' criminosa del soggetto
 che  esprimono  (si  pensi,  per  un'esemplificazione  degli  estremi
 opposti,  alla  partecipazione  a  banda armata, all'associazione per
 delinquere semplice e di stampo mafioso, all'omicidio doloso,  da  un
 lato, ed all'emissione di assegno a vuoto - come nel caso di specie -
 ovvero ai delitti colposi, dall'altro).
   5.2. - Peraltro, il contrasto di ogni automatismo sanzionatorio con
 il   principio   di   ragionevolezza   contenuto  nell'art.  3  della
 Costituzione e' stato a volte  posto  dalla  Corte  costituzionale  a
 fondamento   di  pronunce  con  le  quali  sono  state  eliminate  le
 disposizioni  che  -  a  fronte  di  un  fatto  illecito  dal   quale
 scaturissero  conseguenze  sanzionatorie  di  tipo disciplinare - non
 consentivano   di   adeguare   la   risposta   punitiva   all'entita'
 dell'illecito stesso.
   Per  una panoramica delle questioni incentrate sulla violazione del
 principio di  proporzione,  si  ricordano  la  sentenza  n.  971/1988
 (incostituzionalita'  dell'art. 85, lett. a), del t.u. n. 3/1957 - ed
 anche dell'art. 236 D.L.P.R.S. n. 6/1995 - per violazione degli artt.
 3, 4, 25 e 97 della Costituzione, relativamente alla previsione della
 destituzione  di  diritto   del   condannato   per   taluni   delitti
 specificamente indicati), la sentenza n. 40/1990 (incostituzionalita'
 dell'art.    139  della  legge n. 89/1913, per violazione dell'art. 3
 della Costituzione, nella parte in cui  prevede  l'inabilitazione  di
 diritto del notaio condannato per alcuno dei reati indicati nell'art.
 5, n. 3, della stessa legge notarile, con sentenza non ancora passata
 in giudicato), la sentenza n. 158/1990 (incostituzionalita' dell'art.
 38  della  legge  n.  1067/1953,  per  violazione  dell'art.  3 della
 Costituzione, nella parte in cui prevede la destituzione di  diritto,
 senza  apertura del procedimento disciplinare, in ipotesi di condanna
 per delitto previsto dall'ordinamento professionale), la sentenza  n.
 16/1991   (incostituzionalita',  per  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione, della destituzione di diritto contro la p.a.,  prevista
 dalla  legge della regione Lombardia n. 44/1983, art. 26/1, lett. a),
 la sentenza n. 197/1993 (illegittimita' dell'art. 15, comma 4-octies,
 della legge  n.  55/1990,  introdotto  dall'art.  1  della  legge  n.
 16/1992,  nella  parte  in cui, mediante rinvio al comma 4-quinquies,
 prevede la destituzione di  diritto,  anzicche'  lo  svolgimento  del
 procedimento  disciplinare  ai  sensi  dell'art.    9  della legge n.
 19/1990, nei confronti dei dipendenti pubblici condannati per  taluni
 reati),   la  sentenza  n.  220/1995  (incostituzionalita'  dell'art.
 1258/1 del codice della navigazione, per contrasto con gli artt.   3,
 4  e  35  della  Costituzione,  relativamente  alla  previsione della
 cancellazione dal  registro  dei  lavoratori  portuali  come  effetto
 automatico    di    una    condanna    che   comporti   l'incapacita'
 all'iscrizione).
   Il sistema sanzionatorio, come  delineato  dagli  interventi  della
 Corte costituzionale ora richiamati, deve essere ispirato ai principi
 di proporzione e del contraddittorio, strettamente connessi fra loro.
   Illuminante  in  proposito  appare  il passaggio della piu' recente
 pronuncia  fra  quelle  sopra  citate,  secondo  cui   "in   generale
 l'esercizio  di  un  potere disciplinare riferito allo svolgimento di
 qualsiasi rapporto di lavoro subordinato (di  diritto  privato  o  di
 pubblico  impiego) ovvero di lavoro autonomo o professionale - potere
 che  implica  un  rapporto  di  supremazia  per   cui   un   soggetto
 (normalmente,  ma non necessariamente, il datore di lavoro) puo', con
 un suo  atto  unilaterale,  determinare  conseguenze  in  senso  lato
 negative  (quali  quelle  insite  nelle  sanzioni disciplinari) nella
 sfera soggettiva di un altro soggetto (il prestatore  di  lavoro)  in
 ragione  di un comportamento negligente o colpevole di quest'ultimo -
 deve rispondere  al  principio  di  proporzione  e  alla  regola  del
 contraddittorio.
   Il  primo  -  che  rappresenta una diretta espressione del generale
 canone di ragionevolezza (ex art. 3  della  Costituzione),  coniugato
 alla  tutela del lavoro e della dignita' del lavoratore (artt. 4 e 35
 della Costituzione) - implica che il  potere  deve  estrinsecarsi  in
 modo  coerente  al  fatto  addebitato che quindi deve necessariamente
 essere valutato e ponderato, nel contesto delle  circostanze  che  in
 concreto hanno connotato il suo accadimento, per commisurare ad esso,
 ove ritenuto sussistente, la sanzione da irrogare parametrandola alla
 sua maggiore o minore gravita'.
   6.  -  La  normativa  in  esame  si  pone,  altresi', ad avviso del
 collegio, in contrasto con gli artt. 4/1 e  35/1  della  Costituzione
 (tutela    del    lavoro),   in   quanto   la   gravissima   sanzione
 dell'impossibilita'  di  intraprendere  l'esercizio  di  un'attivita'
 economica   puo'   conseguire  anche  a  comportamenti  illeciti  non
 particolarmente gravi, che non sono espressione  di  una  particolare
 potenzialita' criminosa del soggetto, comportando il sacrificio di un
 bene  ritenuto  di  preminente  importanza  dalla  Costituzione senza
 adeguata giustificazione  (giustificazione  che  potrebbe  rinvenirsi
 soltanto   nell'esigenza   di   tutelare   altri   valori   di  rango
 costituzionale).
   L'illegittimita' di ogni disposizione che non limiti nel  tempo  le
 sanzioni  che  si indentificano nella cancellazione dagli albi, nelle
 radiazioni,  ecc.,  e'  stata  anche  riconosciuta  dagli  organi  di
 giustizia  sportiva,  solitamente poco propensi ad adeguarsi ai nuovi
 principi, quali vengono di volta  involta  pronunciati  dagli  organi
 della  giustizia  ordinaria,  amministrativa  e  contabile;  cio'  e'
 avvenuto, praticamente per la prima volta, nei  confronti  di  alcuni
 calciatori coinvolti nello scandalo del c.d. calcioscommesse.
   7.  -  Qualche ulteriore spunto di riflessione, infine, puo' trarsi
 anche - in modo piu' indiretto, ma con argomentazioni per certi versi
 forse piu' vistose - dalla recente pronuncia con la quale  la  Corte,
 sulla  base  dei  principi  contenuti  negli  artt.  2, 3, e 51 della
 Costituzione, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 15/1, lett.  e), della legge n. 55/1990, come modificato dall'art.  1
 della   legge   n.  16/1992,  nella  parte  in  cui  prevede  la  non
 candidabilita'  alle  elezioni  regionali,  provinciali,  comunali  e
 circoscrizionali  per i quali, in relazione ai delitti indicati nella
 precedente lett.   a), e' stato  disposto  il  giudizio,  ovvero  per
 coloro  che sono stati presentati o citati a comparire in udienza per
 il giudizio, e dello stesso art. 15, lett. a), b),  c)  e  d),  nella
 parte  in cui prevede la non candidabilita' alle elezioni predette di
 coloro i quali siano stati condannati, per i  delitti  indicati,  con
 sentenza  non  ancora  passata  in giudicato, nonche' lett. f), nella
 parte in cui prevede la ripetuta incandidabilita' di coloro  nei  cui
 confronti  il tribunale ha applicato una misura di prevenzione quando
 il relativo provvedimento non abbia carattere definitivo.
   Non sfuggono al collegio gli elementi di profonda diversita' tra la
 fattispecie  prevista  dal  combinato  disposto   delle   norme   che
 interessano la controversia in trattazione.
   Pur  nella  consapevolezza di tutto cio', e senza, peraltro, volere
 instaurare improponibili parallelismi  fra  la  normativa  dichiarata
 incostituzionale  con la sentenza n. 141/1996, e quella oggetto della
 presente  questione  di  costituzionalita',   il   collegio   ritiene
 purtuttavia  che alcune conseguenze di ordine generale possano trarsi
 dalla sentenza della Corte appena richiamata.
   Innanzitutto, detta sentenza ben si colloca in un  clima  culturale
 meno influenzato dalle diverse "emergenze" succedutesi, come e' noto,
 nel  Paese  negli  ultimi anni, che', anzi, da tutti e' avvertita - e
 non soltanto nelle istituzioni, ma anche, diffusamente, dai cittadini
 - la necessita' di ridurre al minimo  gli  interventi  ispirati  alla
 logica,  appunto,  dell'emergenza,  che  implica  il ricorso a misure
 gravi, che certamente  si  giustificano  sul  piano  dell'urgenza  di
 tutelare  beni  e  valori  primari  (credibilita'  delle istituzioni,
 fiducia del cittadino nella  stessa  trasparenza  nell'esercizio  dei
 pubblici  poteri)  con  inevitabile sacrificio di altri beni e valori
 primari, sacrificio che, tuttavia, deve essere rigorosamente  ammesso
 "solo  nei limiti indispensabili a tutela di altri interessi di rango
 costituzionale" (sentenza n. 141/1996).
   Orbene,  ad  avviso  del  collegio,  nella fattispecie disciplinata
 dalla normativa  di  cui  si  sospetta  l'incostituzionalita',  nulla
 giustifica  il sacrificio dei diritti tutelati dagli artt. 3/1, 4/1 e
 35 della Costituzione.
   Pur nella consapevolezza, si  ripete,  delle  rilevanti  differenze
 strutturali  fra  le due ipotesi, non puo' non apparire irragionevole
 che l'essere stati condannati,  sia  pure  non  definitivamente,  per
 delitti di una certa gravita', non osti alla possibilita' di divenire
 consiglieri  regionali,  comunali  o provinciali, e di instaurare con
 l'amministrazione detto rapporto onorario,  mentre  l'aver  riportato
 condanna  ad  una  mite  pena pecuniaria impedisce invece di ottenere
 l'autorizzazione all'esercizio di un'agenzia d'affari per disbrigo di
 pratiche automobilistiche.
   8.  -  Conclusivamente,  atteso  che  le  descritte  questioni   di
 costituzionalita'  appaiono  rilevanti  per la decisione del ricorso,
 anche in sede cautelare, e non  manifestamente  infondate,  si  rende
 necessario  sospendere  il  presente giudizio, in atteso che la Corte
 costituzionale si  pronunci  sull'eccezione  d'anticostituzionalita',
 per  violazione  degli  artt.    3/1,  4/1 e 35/1 della Costituzione,
 dell'art. 3, comma 1, punto c), della legge 8 agosto  1991,  n.  264,
 laddove  prevede  che chi abbia riportato una condanna per delitto di
 emissione di assegno a vuoto non possa svolgere, senza  alcun  limite
 temporale, l'attivita' di consulenza per la circolazione dei mezzi di
 trasporto.
                               P. Q. M.
   Ritenuta  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 3,  punto  c),  della  legge  8
 agosto  1991,  n.  264,  laddove  viene  inibita,  senza alcun limite
 temporale, l'attivita' di consulenza per la circolazione dei mezzi di
 trasporto a chi ha riportato condanna per il delitto di emissione  di
 assegno  a  vuoto,  per contrasto con gli artt. 3/1, 4/1 e 35/1 della
 Costituzione, dispone, a norma dell'art.  23,  secondo  comma,  della
 legge  11 marzo 1953, n. 87, l'immediata trasmissione degli atti alla
 Corte costituzionale, sospendendo  conseguentemente  il  giudizio  in
 corso;
   Manda  alla segreteria di notificare copia della presente ordinanza
 alle parti, al presidente del Consiglio dei Ministri ed ai Presidenti
 dei due rami del Parlamento;
   Rinvia le parti all'ulteriore  trattazione  dell'istanza  cautelare
 per  la camera di consiglio immediatamente successiva alla data sotto
 la quale la Corte costituzionale avra' restituito  gli  atti  con  la
 relativa decisione.
     Cosi'  deciso in Catania, nella camera di consiglio del 12 giugno
 1997.
                        Il presidente: Zingales
                                               L'estensore: Campanella
 98C1238