N. 843 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 giugno 1998
N. 843 Ordinanza emessa il 23 giugno 1998 dal tribunale amministrativo regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania sul ricorso proposto da Euro Tour Viaggi di Ferro Giuseppe contro il Ministero dei trasporti e della navigazione Giustizia amministrativa - Giudizio dinanzi al t.a.r. - Istanza di regolamento di competenza presentata dalla parte resistente o interveniente - Obbligatoria sospensione del giudizio, in assenza di accordo delle parti sul t.a.r. indicato come territorialmente competente, e trasmissione degli atti al Consiglio di Stato - Mancata previsione della delibazione del giudice adito circa la manifesta inammissibilita' e/o infondatezza della istanza, come stabilito dall'art. 367, primo comma, cod. proc. civ. per il regolamento di giurisdizione e dall'art. 42 e ss. cod. proc. civ. per il regolamento di competenza nel processo civile - Incidenza sul principio di difesa in giudizio e sull'uguaglianza processuale delle parti - Violazione del principio del doppio grado di giudizio. (Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 31, quinto comma). (Cost., artt. 3, primo comma, 24, primo comma, e 125, secondo comma).(GU n.47 del 25-11-1998 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza a scioglimento della riserva formulata all'udienza monocratica del 23 giugno 1998, in sede di comparizione delle parti nella fase preliminare del procedimento per regolamento di competenza proposto dal Ministero dei trasporti e della navigazione nel ricorso n. 5213/1997 proposto dalla ditta Euro Tour Viaggi di Ferro Giuseppe, con sede in Mirabella Imbaccari (CT), in persona del titolare sig. Ferro Giuseppe, rappresentata e difesa dal prof. avv. Italo Andolina, presso il cui studio in Catania, corso Sicilia n. 10, e' elettivamente domiciliata; Contro il Ministero dei trasporti e della navigazione, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura dello Stato; Per l'annullamento del provvedimento del Ministero dei trasporti e della navigazione d.c. III - div. 32, prot. n. 4591 AI/07 del 15 settembre 1997, con il quale si respinge nuovamente la domanda, avanzata dalla Euro Tour Viaggi, di autorizzazione per l'istituzione di un servizio regolare CEE con autobus tra l'Italia (Sicilia) e Germania "Mirabella Imbaccari - Daghersheim". Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata; Vista l'istanza per regolamento di competenza proposta dall'Avvocatura dello Stato di Catania per la predetta amministrazione; Vista la memoria depositata dalla ricorrente per controdedurre al proposto regolamento di competenza; Visti gli atti tutti della causa; Udito in data 22 aprile 1998 e 23 giugno 1998, in sede di comparizione delle parti (ritualmente convocate) in relazione al predetto regolamento di competenza, il prof. avv. Italo Andolina, difensore della ricorrente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue, in esito allo scioglimento della predetta riserva: F a t t o Con ricorso notificato il 10 novembre 1997 e depositato il 12 novembre 1997, la ditta Euro Tour Viaggi di Ferro Giuseppe ha chiesto l'annullamento del provvedimento del Ministero dei trasporti e della navigazione d. c. III - Div. 32 prot. n. 4591 AI/07 del 15 settembre 1997, con il quale si respinge nuovamente la domanda, avanzata dalla predetta Euro Tour Viaggi, di autorizzazione per l'istituzione di un servizio regolare CEE con autobus tra l'Italia (Sicilia) e Germania "Mirabella Imbaccari - Daghersheim". A sostegno del ricorso ha dedotto i seguenti motivi: 1. - Violazione del dovere - nella fattispecie avente "titolo" nell'ordinanza cautelare n. 1155/1977 di questo tribunale - di ottemperare alla pronunzia del giudice amministrativo, provvedendo a regolare ex novo interinalmente la situazione oggetto dell'assetto di interessi disposto con l'originario provvedimento negativo; 2. - Eccesso di potere, reso manifesto dall'omessa motivazione e, comunque, dalla pseudomotivazione del nuovo provvedimento di diniego. L'amministrazione intimata si e' costituita in giudizio con atto meramente formale. Con ordinanza n. 3267 del 13 dicembre1997, la 3 sezione del t.a.r. Sicilia, Catania accoglieva la domanda di sospensione cautelare del provvedimento negativo impugnato, ordinando al resistente Ministero dei Trasporti di rilasciare, con riserva dell'esito del giudizio, l'autorizzazione richiesta. Il predetto Ministero ottemperava a tale pronunzia cautelare con provvedimento del 5 gennaio 1998, prot. n. 001, senza peraltro interporre appello al C.G.A. Frattanto, in data 19 dicembre 1997, l'Avvocatura dello Stato di Catania notificava istanza al Consiglio di Stato per regolamento di competenza ai sensi dell'art. 31, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, chiedendo che venisse dichiarata la competenza del t.a.r. Lazio a decidere sul ricorso in esame. Pertanto, il Presidente della 3 Sezione del t.a.r. Sicilia, Catania fissava per il 22 aprile 1998 la comparizione delle parti davanti a se' ai fini dell'emanazione dei provvedimenti prescritti, nella fase preliminare del procedimento per regolamento di competenza, dal predetto art. 31, quarto e quinto comma, della legge n. 1034/1971. In tale udienza monocratica, il difensore della ricorrente si opponeva al proposto regolamento di competenza, sollevando una serie di eccezioni nel rito e nel merito che si proponeva di illustrare con apposita memoria da depositare successivamente, e chiedendo a tale fine un congruo rinvio. Il presidente, tenuto conto della rilevanza e dell'importanza delle eccezioni sollevate, accoglieva la predetta richiesta di rinvio disponendo l'ulteriore convocazione delle parti davanti a se' per il giorno 23 giugno 1998. In tale ulteriore udienza, il difensore della ricorrente insisteva nelle eccezioni gia' formulate genericamente a verbale alla precedente udienza del 22 aprile 1998, e successivamente precisate ed illustrate con memoria frattanto depositata il 12 giugno 1998. Il Presidente si riservava di decidere con ordinanza su tali eccezioni sollevate dalla ricorrente avverso il regolamento di competenza proposto dall'Avvocatura dello Stato per il resistente Ministero. D i r i t t o 1. - Come gia' esposto in epigrafe e nelle premesse di fatto che precedono, l'impugnativa proposta e' rivolta avverso il provvedimento del Ministero dei trasporti e della navigazione - Dir. gen. della M.C.T.C. - prot. n. 4591 del 15 settembre 1997, con il quale si respinge nuovamente la domanda presentata dalla ricorrente ditta Euro Tour Viaggi di Ferro Giuseppe, con sede in Mirabella Imbaccari (CT), per ottenere l'autorizzazione alla istituzione di un servizio regolare CEE con autobus tra l'Italia (Sicilia) e la Germania "Mirabella Imbaccari - Daghersheim". 2. - La 3 sezione del t.a.r. Sicilia, Catania, come pure si e' esposto in narrativa, con ordinanza n. 3267 del 13 dicembre 1997 accoglieva la domanda di sospensione cautelare del provvedimento negativo impugnato, ordinando al resistente Ministero dei trasporti di rilasciare, con riserva dell'esito del giudizio, l'autorizzazione in questione. L'Amministrazione ottemperava a tale pronunzia cautelare con provvedimeno del 5 gennaio 1998, prot. n. 001, senza peraltro interporre appello al C.G.A. 3.1. - Frattanto, in data 19 dicembre 1997 (e quindi subito dopo il deposito della predetta ordinanza cautelare e pochi giorni prima della sua esecuzione da parte del resistente Ministero), l'Avvocatura dello Stato di Catania notificava, come gia' detto, istanza al Consiglio di Stato per regolamento di competenza ai sensi dell'art. 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (depositato presso la Segreteria del t.a.r. in data 3 gennaio 1998), chiedendo che venisse dichiarata la competenza del t.a.r. Lazio a decidere sul predetto ricorso proposto dalla Euro Tour Viaggi. 3.2. - Come pure accennato nelle premesse di fatto, con memoria depositata il 12 giugno 1998 la ricorrente Euro Tour Viaggi ha controdedotto avverso il proposto regolamento di competenza eccependone, innanzi tutto, l'inammissibilita' e, in subordine, l'infondatezza, e chiedendo, conseguentemente: 1) che il t.a.r. (recte: il presidente in sede di accertamento dei presupposti per la sospensione del giudizio e la trasmissione dagli atti al Consiglio di Stato, ai sensi dell'art. 31, quinto comma, legge n. 1034/1971) accerti e dichiari che tale regolamento non sospende il giudizio di merito in atto pendente innanzi a questo t.a.r. e contrassegnato dal n. 5213/1997; 2) e - in ulteriore subordine - per la denegata ipotesi che non venga ritenuta applicabile al presente giudizio la norma dell'art. 367, comma 1, c.p.c., che venga sollevata eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 31, quinto comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, nella parte in cui non prevede che la sospensione del giudizio possa essere negata dal t.a.r. (innanzi al quale pende il giudizio all'interno del quale sia sollevata, nelle forme del regolamento di competenza, l'eccezione di incompetenza) in esito all'apprezzamento della manifesta inammissibilita' e/o manifesta infondatezza della relativa istanza, e cio' per evidente contrasto della norma in questione con le norme degli artt. 3, primo comma, (principio di uguaglianza), e 24, primo comma, (diritto alla tutela giurisdizionale), della Costituzione. A sostegno di tali eccezioni e delle conseguenti richieste sopra riportate la ricorrente ha dedotto vari motivi, i cui profili essenziali possono cosi riassumersi: A) Del thema decidendum del giudizio de quo (legittimita' o meno del provvedimento rejettivo della chiesta autorizzazione all'istituzione di un servizio regolare CEE con autobus tra la Sicilia e la Germania "Mirabella Imbaccari-Daghersheim") il t.a.r. Sicilia, Catania ha gia' conosciuto per ben due volte in occasione dell'esame di istanze cautelari (entrambe puntualmente accolte), delibando - in entrambe le occasioni - la fondatezza dei "motivi" addotti a supporto della proposta impugnazione. Il secondo giudizio (instaurato col presente ricorso n. 5213/1997 avverso il "secondo" provvedimento del 15/19 settembre 1997) e' sostanzialmente identico al primo (introdotto con ricorso n. 1691/1997, del quale ricalca puntualmente l'"oggetto" (e vertente, ovviamente, tra le medesime parti). Conseguentemente, non avendo la p.a. sollevato tempestivamente (all'interno del primo" giudizio) la eccezione di incompetenza territoriale, non potrebbe piu' farlo adesso. In caso contrario, sarebbe disattesa ed elusa la ratio della decadenza comminata (a pena di nullita') dalla norma dell'art. 31, secondo comma, legge n. 1034/1971, in forza della quale, appunto, si e' inteso datare in limine litis, entro spazi temporali assolutamente rigorosi, l'eventuale esame della questione di competenza (territoriale), ed - in ogni caso - prima dell'esame della meritevolezza del ricorso. B) La "inammissibilita'" del regolamento de quo risalterebbe poi, sotto altro profilo. Una lettura sistematica dell'art. 31, legge n. 1034/1971, che tenga conto delle forti analogie che legano il regolamento in parola al regolamento di giurisdizione di cui all'art. 41 c.p.c. (in considerazione, segnatamente, della funzione preventiva, e non impugnatoria, comune ad entrambi i rimedi), impone infatti di ritenere: a) che l'adozione di una qualsivoglia decisione sulla causa precluda la proposizione (anche) del regolamento di competenza in parola (sull'esempio di quanto e' stato gia' statuito dalla Corte di cassazione, sez. un., con sentenza 22 marzo 1996, n. 2466, in tema di regolamento di giurisdizione); b) che identico effetto preclusivo (della proposizione del regolamento di competenza, di cui all'art. 31, legge n. 1034/1971) vada ricollegato anche alla ordinanza cautelare (a fortiori, se passata in giudicato: siccome e' avvenuto nella specie), attesa la sicura natura decisoria ad essa riconosciuta fin dal 20 gennaio 1978 (in forza della nota pronuncia dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato) C) In subordine, sarebbe comunque evidente la manifesta infondatezza della eccezione di incompetenza territoriale sollevata ex adverso. Ed infatti, la "autorizzazione" (di cui si discute) e' destinata a spiegare la propria efficacia limitatamente all'area siciliana (e, piu' esattamente, all'area ricadente nelle province di Catania e Messina): stante che i punti di imbarco dei passeggeri si collocano esclusivamente a Mirabella Imbaccari, Caltagirone, Catania e Messina, mentre i punti di arrivo (e poi di ritorno) si collocano esclusivamente in territorio tedesco (in prossimita' di Stuttgart). Che e' quanto dire: che il restante territorio nazionale (dalla Sicilia alla Germania) viene in considerazione soltanto quale attraversamento a porte chiuse (senza possibilita' alcuna, quindi, ne' di imbarco, ne' di sbarco di passeggeri). Non a caso, peraltro, - siccome evidenziato dallo stesso provvedimento ministeriale - la "autorizzazione" in parola risulta integrata da statuzioni amministrative adottate da organi regionali, quali appunto l'Assessorato turismo e trasporti della regione siciliana. D) La segnalata chiara analogia esistente tra il regolamento di competenza nel processo amministrativo ed il regolamento di giurisdizione imporrebbe di riconoscere anche al t.a.r. (sull'esempio di quanto dettato ora dal novellato art. 367 c.p.c.) il potere-dovere di conoscere (quanto meno, in via delibativa) della "manifesta inammissibilita'" e/o della "manifesta infondatezza" dell'istanza di regolamento di competenza, al fine di adottare o non il provvedimento di sospensione del giudizio pendente innanzi a se'. Una diversa conclusione sul punto non soltanto stravolgerebbe il sistema - introducendo irragionevoli discriminazioni sul terreno della normazione di istituti pur sorretti dalla eadem ratio - ma violerebbe brutalmente fondamentali guarentigie costituzionali. Ed infatti: per un verso, sarebbe dato ad una sola delle parti il potere (assoluto³) di arrestare ad libitum il regolare svolgimento del giudizio merce' la mera proposizione di una qualsivoglia (e comunque - motivata, od immotivata) istanza di regolamento di competenza: alterando cosi' (in ispregio al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.) la c.d. "parita' delle armi"; per altro verso, (ove si riconoscesse alla mera proposizione del regolamento de quo l'effetto automatico e necessario della sospensione del giudizio) si menomerebbe gravemente, quanto ingiustificatamente, il diritto alla tutela giurisdizionale (inteso, anche, quale diritto ad una tutela effettiva, e pero' tempestiva), pur solennemente consacrato nell'art. 24 Cost. Una lettura dell'art. 31, legge n. 1034/1971, rispettosa del "sistema" e (ancor prima) del dettato costituzionale, imporrebbe quindi di ritenere che spetti anche al t.a.r. il potere-dovere di vagliare (sia pure ai soli fini della statuizione adottanda in merito alla sospensione del giudizio: e quindi in esito a sommaria cognitio) la ammissibilita' e fondatezza della eccezione di incompetenza (dedotta in via di regolamento); e, conseguentemente, di negare la sospensione del giudizio, quante volte risulti manifesta la inammissibilita' e/o la infondatezza della relativa istanza. 4.1. - Le suesposte eccezioni (recte: "controeccezioni") di inammissibilita' e/o di infondatezza dell'istanza di regolameno di competenza, e la conseguente richiesta principale di accertamento dell'impossibilita' di sospendere il giudizio di merito ai sensi e per gli effetti dell'.art. 31, quinto comma, legge n. 1034/1971 (e quindi sostanzialmente di rigetto o diniego della richiesta di sospensione e di trasmissione degli atti contenuta nella istanza di regolamento di competenza), si appalesano, allo stato, inammissibili per un duplice ordine di ragioni preliminarmente ostative su di un piano generale, che non consentono al t.a.r. adito, nel vigente quadro normativo, di esaminare l'intrinseca fondatezza di alcuna eccezione (o "contro-eccezione") di rito o di merito avverso il proposto regolamento di competenza. 4.2. - Innanzi tutto, tale asserita possibilita' giuridica per il presidente del t.a.r., o di una sezione dello stesso, di applicare analogicamente l'invocato art. 367, primo comma, c.p.c., che attribuisce al giudice il potere-dovere di delibazione sommaria dell'ammissibilita' e della fondatezza del ricorso per regolamento di giurisdizione, risulta preclusa in radice proprio dall'esistenza della apposita normativa processuale, contenuta nel contestato art. 31 della legge n. 1034/1971, che disciplina integralmente la materia del regolamento di competenza nel processo amministrativo, e che non contempla in alcun modo un analogo potere di delibazione sommaria; sicche' viene a mancare il presupposto negativo della assenza di una "precisa disposizione" disciplinante la materia, cosi' come espressamente richiesto dall'art. 12, secondo comma, Disp - prel. c.c. affinche' possa procedersi all'integrazione od applicazione analogica con altre "disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe". 4.3. - Ne' poi, a prescindere dalla rilevata impossibilita' di utilizzare la risorsa giuridica dell'analogia legis, l'interprete potrebbe comunque procedere sostitutivamente, come pure sostanzialmente sostiene la ricorrente Euro Tour Viaggi (punto 4 della memoria del 12 giugno 1998), ad una lettura del ripetuto art. 31, quinto comma, della legge n. 1034/1971 conforme al dettato costituzionale ed al sistema, in guisa tale, cioe', da poter ritenere ed affermare che spetti anche al Presidente del t.a.r., o di una sezione dello stesso, il cennato potere - dovere di vagliare (sia pure ai soli fini della statuizione adottanda in merito alla sospensione del giudizio, e quindi in esito a sommaria cognitio l'ammissibilita' e la fondatezza della eccezione di incompetenza territoriale, dedotta in via di regolamento preventivo, e conseguentemente il potere-dovere di negare la sospensione del giudizio quante volte risulti manifesta l'inammissibilita' e/o l'infondatezza della relativa istanza. Vero e' che, alla stregua dei noti principi enucleati ed elaborati in dottrina e giurisprudenza in tema di regole legali e dottrinali del procedimento ermeneutico, nell'interpretazione giuridica ci si deve costantemente uniformare al canone fondamentale secondo cui, se una norma si presti in astratto a due o piu' possibili letture o risultati interpretativi, il significato precettivo e la specificazione di valore che l'interprete deve preferire e prescegliere sono quelli conformi, rispondenti o comunque piu' aderenti alle norme ed ai principi costituzionali (c.d. interpretazione adeguatrice), perche questi, investendo e permeando l'intero ordinamento, funzionano come criteri ermeneutici di tutte le norme di rango inferiore (cfr., ex plurimis: Corte cost., 14 luglio 1988, n. 823; Cass., 3 febbraio 1986, n. 661, 3 gennaio 1984, n. 7, 27 gennaio 1978, n. 393, 12 giugno 1975, n. 2342, 10 marzo 1971, n. 674; C.S. V, 18 gennaio 1988, n. 8; IV, 23 giugno 1972, n. 575, C.S., A.P., 14 aprile 1972, n. 5; t.a.r. Sicilia - Catania, 22 dicembre 1986, n. 1292; t.a.r. Basilicata, 19 novembre 1983, n. 138). Ma e' altrettanto incontrovertibile che l'interpretazione secondo Costituzione, od interpretazione adeguatrice, presuppone appunto la possibilita' astratta di scelta fra due o piu' possibili significati precettivi, dei quali uno conforme e gli altri contrastanti con i valori costituzionali, sicche' non e' possibile effettuarla allorche' - come nella specie - si riscontri che una norma e' oggettivamente insuscettibile di piu' risultati od esiti interpretativi. In tale insuscettibilita' e nella conseguente assenza di scelta fra piu' significati, l'interpretazione adeguatrice trova, quindi, un limite intrinseco ed insormontabile. Si e', pertanto, costantemente affermato che il predetto criterio ermeneutico di privilegiare l'interpretazione piu' rispondente ai principi costituzionali e' utilizzabile soltanto nei casi in cui vi sia effettiva incertezza sulla reale intenzione del legislatore, e non anche quando la mens legis traspariva chiaramente dalla formulazione letterale della norma, in correlazione logica con il complesso normativo nel quale e', sistematicamente, inserita, perche' in tal caso l'unico rimedio offerto dall'ordinamento e' costituito dal giudizio incidentale di legittimita' (cfr., ex plurimis, C.S., VI, 13 maggio 1985, n. 163, e t.a.r. Lazio, I, 26 gennaio 1987, n. 164). In ultima analisi, la possibilita' della lettura costituzionale della norma di legge deve necessariamente arrestarsi in presenza di un dato testuale caratterizzato da espressioni linguistiche univoche o perentorie che, soprattutto se organicamente o indissolubilmente inserite in una peculiare disciplina normativa, precludono all'interprete ogni margine di opinabilita' tale da consentire, col solo ausilio degli strumenti della logica giuridica e del procedimento ermeneutico, di adeguare e ricondurre armonicamente il contenuto precettivo della norma nell'ambito segnato dai principi e valori costituzionali. Ora, nel delineato quadro di presupposti teorici che, da un lato, consentono l'operazione intellettuale dell'interpretazione adeguatrice, e che, dall'altro, ne delimitano ontologicamente il raggio di operativita', e tenuto conto dei canoni interpretativi codificati dall'art. 12, primo comma, disp. prel. c.c., non puo' non ritenersi che la precisa e perentoria espressione lessicale utilizzata dal legislatore - per disciplinare la sospensione in sede di regolamento di competenza - nella proposizione normativa contenuta nel quinto comma dell'art. 31 in questione ("... i processi ... sono sospesi e gli atti devono immediatamente essere trasmessi di ufficio ... al Consiglio di Stato"), configurando una ipotesi di sospensione obbligatoria, precluda necessariamente ogni alternativa adeguatrice all'interprete. E' indubitabile, infatti, che, cosi' come nell'analisi logica (o sintattica) della lingua, italiana, anche nel lessico giuridico il verbo. "essere" (verbo ausiliare nelle forme della coniugazione passiva dei verbi) esprime, fra altre varie accezioni, il concetto di "esistere", "sussistere" "accadere", "divenire", "avvenire", "aver luogo", "diventare", e quindi di "dover essere", di guisa che l'espressione "sono sospesi" (indicativo presente della forma passiva del verbo "sospendere") e' equivalente alla (o costituisce sinonimo della) espressione "devono essere sospesi" o "vengono ad essere sospesi", dal cui ambito semantico, diversamene dalle ipotesi di sospensione contemplate dall'art. 367, primo comma, e dall'art. 295 c.p.c., che consentono margini di apprezzamento del giudice davanti a cui pende la causa, esula ogni idea od ogni possibile riferimento (sia pure implicito e generico) alla subordinazione di tale obbligo assoluto a contrarie valutazioni discrezionali dell'organo giurisdizionale a quo. Non puo', quindi, revocarsi in dubbio che la sospensione de qua costituisce una vicenda o modificazione processuale che deve essere dichiarata (o, se si vuole, disposta) con ordinanza presidenziale che ha natura di atto dovuto o vincolato al mero accertamento del presupposto contemplato dal combinato disposto del quinto e del quarto comma del ripetuto art. 31. 5. - L'evidenziata inammissibilita', nel vigente quadro normativo, di tutte le eccezioni di inammissibilita' e/o di infondatezza del regolamento di competenza, e della conseguente richiesta principale di rigetto o diniego della sospensione del processo prescritta come atto dovuto dall'art. 31, comma, della legge n. 1034/1971, rende gia' di per se' rilevante ai fini del decidere, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, e dell'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'eccezione subordinata di illegittimita' costituzionale - che appare non manifestamente infondata, come prescritto dalle stesse norme - del predeto quinto comma dell'art. 31 nella parte in cui, imponendo siffatta sospensione obbligatoria ("... i processi... sono sospesi..."); nei casi di proposizione di regolamento di competenza sul quale non si raggiunga l'accordo di tutte le parti, preclude al Presidente del t.a.r., o di una Sezione dello stesso, la possibilita' di denegare tale sospensione allorche' reputi il regolamento proposto manifestamente inammissibile e/o manifestamente infondato. Ma in realta', nella fattispecie, i prescritti requisiti di rilevanza e di non manifesta infondatezza, ai fini della proponibilita' della questione incidentale di costituzionalita', non ineriscono soltanto al frammento precettivo concernente la sospensione obbligatoria imposta dal censurato quinto comma dell'art. 31 della legge n. 1034/1971, ma si estendono necessariamente, come emergera' dalle considerazioni che seguono, a tutto l'istituto del regolamento di competenza disciplinato dal ripetuto art. 31, di guisa che il giudicante ritiene di dover sollevare d'ufficio la questione di costituzionalita' di tutto il predetto articolo, ad eccezione della seconda parte del primo comma (in base al quale "l'incompetenza per territorio non e' rilevabile d'ufficio"). Questione che, risultando oggettivamente connotata dal carattere della generalita' e quindi da una piu' ampia latitudine di contorni, viene cosi' ad assumere rilievo preminente ed assorbente rispetto a quella particolare e conseguentemente piu' limitata dedotta dalla ricorrente Euro Tour Viaggi e che con la presente ordinanza viene quindi sollevata soltanto in via subordinata. 6.1. - In ordine al requisito (o condizione di proponibilita') della rilevanza di tale questione, occorre appena osservare, innanzi tutto, che la sua preventiva risoluzione si pone assolutamente ed incontrovertibilmente, a norma del gia' richiamato art. 23, secondo comma, legge n. 87/1953, quale necessaria pregiudiziale per stabilire se - come ritiene il giudicante e come si specifichera' in sede di esame del requisito della non manifesta infondatezza - l'eccezione di incompetenza territoriale debba essere conosciuta e decisa dal t.a.r. adito in primo grado (ovviamente nella sua istituzionale composizione collegiale) e non gia', secondo il sistema attuale delineato dal ripetuto art. 31, dal Consiglio di Stato in unico grado ed in sede di definizione di apposita istanza di regolamento di competenza; o comunque, ed invia assolutamente subordinata, per stabilire se al Presidente del t.a.r., o di una Sezione dello stesso, residua almeno il potere-dovere (in analogia al disposto dell'art. 367, primo comma, in tema di regolamento di giurisdizione) di denegare la sospensione del processo prescritta dal quinto comma dell'art. 31 allorche' la relativa istanza, appaia manifestamente inammissibile e/o infondata. Soltanto, quindi, la declaratoria di illegittimita' costituzionale di tutte le disposizioni che disciplinano il regolamento di competenza, o, in subordine del quinto comma dell'art. 31 nella parte in cui non prevede il suddetto potere-dovere di delibazione sommaria dell'ammissibilita' e della fondatezza del regolamento di competenza, potra' consentire al giudice amministrativo di primo grado (il collegio del t.a.r. adito, nell'auspicata ipotesi di declaratoria di incostituzionalita' totale, o il Presidente dello stesso t.a.r., o di una sezione dello stesso, nella subordinata ipotesi di pronunzia di incostituzionalita' parziale del quinto comma dell'art. 31 di decidere in merito all'eccezione di incompetenza territoriale (ed alle relative "controeccezioni", e di riappropriarsi quindi di un potere "naturale" di cognizione irrazionalmente sottrattogli dal legislatore del 1971 con l'anomala costruzione dell'istituto del regolamento di competenza codificato nell'art. 31 in questione. 6.2. - Giova inoltre precisare in proposito che costituisce jus receptu il principio secondo cui e' rilevante, ai sensi e per gli effetti del menzionato art. 23, secondo comma, legge n. 87/1953, non soltanto la questione che riguarda la legge la cui applicazione e', direttamente o indirettamente, necessaria per la definizione del giudizio, e quindi la legge che regola nel merito i rapporti dedotti in causa, bensi' anche quella che riguarda la premessa maggiore (cioe' la regola giuridica) di tutti gli innumerevoli sillogismi attraverso i quali si snoda l'attivita' del giudice sino alla definizione della controversia, con decisione processuale o di merito. Tale concetto articolato di rilevanza e' stato, in particolare, precisato dalla Corte costituzionale, a quanto risulta, sin dal 1983 con la sentenza n. 137, nella quale, fra l'altro, si afferma che "la pregiudizialita' necessaria della questione di legittimita' costituzionale rispetto alla decisione del giudizio a quo va intesa considerando tale decisione come conclusione di un itinerario logico, ciascuno dei cui passaggi necessari puo' dar luogo a un incidente di costituzionalita', ogni qual volta il giudice dubita della legittimita' costituzionale delle disposizioni normative che, in quel momento, e' chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o la definizione del giudizio". Conseguentemente, poiche' ogni questione di costituzionalita' non puo' che essere sollevata ed esaminata dal giudice adito subito prima dell'applicazione della norma di legge che ne e' oggetto, la questione di costituzionalita' di norme di legge concernenti determinate modalita' di svolgimento dell'attivita' processuale in una determinata fase del giudizio deve essere necessariamente esaminata e sollevata (ad istanza di parte o d'ufficio) dal giudice adito prima che tali norme processuali vengano applicate dallo stesso organo giurisdizionale, e non gia' al termine del giudizio, con la decisione finale, allorche' le norme della cui costituzionalita' si dubita abbiano gia' (e, quindi, irrimediabilmente) trovato piena applicazione; e cio' soprattutto nelle ipotesi (come in quella, appunto, del regolamento di competenza nel processo amministrativo, del regolamento di giurisdizione, ecc.) in cui l'ordinameno prevede la possibilita' di innesto nel processo di questioni incidentali o "incidenti" (che provocano la sospensione del giudizio) la cui cognizione viene inderogabilmente demandata ad organi giurisdizionali diversi da quello adito, e che potrebbero altresi' essere definite con pronunzie che sottraggono a quest'ultimo la competenza o la giurisdizione, e quindi il potere di decidere, in ordine a quella determinata controversia su cui si e' innestata la questione incidentale. Nella specie, quindi, la questione di costituzionalita' in esame deve essere necessariamente sollevata dal giudicante - quale Presidente della sezione del t.a.r. (dinanzi alla quale pende il ricorso indicato in epigrafe) al quale spetta l'emanazione dell'ordinanza di sospensione prescritta dal piu' volte citato quinto comma dell'art. 31 - prima della emanazione della predetta ordinanza e della conseguente trasmissione degli atti al Consiglio di Stato, e quindi prima di spogliarsi dell'unica competenza (del tutto marginale e vincolata) attribuitagli in tale fase incidentale dall'ordinamento processuale, E' ovvio infatti, ed occorre appena rilevarlo, che e' questo l'unico momento processuale utile nel quale la questione di costituzionalita' di cui trattasi puo' essere ritualmente formulata dall'unico organo giurisdizionale (il Presidente del t.a.r. o di sezione del t.a.r., e non il t.a.r. o la sezione del t.a.r.) al quale l'mpianto normativo attuale attribuisce in materia il limitato potere decisorio, vincolato al mero accertamento dei presupposti contemplati dal combinato disposto dei commi quinto e quarto dell'art. 31, di sospendere il processo. Dopo tale momento, che individua una precisa fase o articolazione subprocedimentale del procedimento incientale di regolamento di competenza, non esistono altri passaggi o momenti processuali utilizzabili, posto che il collegio giudicante non ha alcuna competenza in tema di sospensione obbligatoria in base al ripetuto art. 31, quinto comma. 7.1. - Quanto al requisito (o condizione di proponibilita') della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' che con la presente ordinanza si solleva, occorre, innanzi tutto, riportare il testo della disposizione censurata, che e' il seguente: "Art. 31. - Il resistente o qualsiasi interveniente nel giudizio innanzi al tribunale amministrativo regionale possono eccepire l'incompetenza per territorio del tribunale adito indicando quello competente e chiedendo che la relativa questione sia preventivamente decisa dal Consiglio di Stato. L'incompetenza per territorio non e' rilevabile d'ufficio. L'istanza deve essere proposta, a pena di decadenza, entro venti giorni dalla data di costituzione in giudizio. Puo' essere proposta successivamente quando l'incompetenza territoriale del tribunale amministrativo regionale risulti da atti depositati in giudizio, dei quali la parte che propone l'istanza non avesse prima conoscenza; in tal caso l'istanza va proposta entro venti giorni dal deposito degli atti. L'istanza non e' piu' ammessa quando il ricorso sia passato in decisione. L'istanza di regolamento di competenza si propone con ricorso notificato a tutte le parti in causa, che non vi abbiano aderito. Se tutte le parti siano d'accordo sulla remissione del ricorso ad altro tribunale amministrativo regionale, il presidente cura, su loro istanza, la trasmissione d'ufficio degli atti del ricorso a tale tribunale regionale e ne da' notizia alle parti', che debbono costituirsi davanti allo stesso entro venti giorni dalla comunicazione. Negli altri casi, i processi, relativamente ai quali e' chiesto il regolamento di competenza, sono sospesi e gli atti devono immediatamente essere trasmessi di ufficio, a cura della segreteria del tribunale, al Consiglio di Stato. Le parti alle quali e' notificato il ricorso per regolamento di competenza possono, nei venti giorni successivi, depositare nella segreteria del Consiglio di Stato memorie e documenti. Sull'istanza il Consialio di Stato provvede in camera di consiglio, sentiti i difensori delle parti, che ne abbiano fatto richiesta, nella prima udienza successiva alla scadenza del termine di cui al precedente comma. La decisione del Consiglio di Stato sulla competenza e' vincolante per i tribunali amministrativi regionali. L'incompetenza per territorio non costituisce motivo di impugnazione della decisione emessa dal tribunale amministrativo regionale. Quando l'istanza per il regolamento di competenza venga respinta, il Consiglio di Stato condanna alle spese colui che ha presentato l'istanza. Quando l'istanza di regolamento di competenza sia accolta, il ricorrente puo' riproporre l'istanza al tribunale territorialmente competente entro trenta giorni dalla notifica della decisione di accoglimento". 7.2. - La struttura e la disciplina dell'istituto del regolamento di competenza delineate dal surriportato art. 31 della legge n. 1034/1971 non possono non suscitare, gia' ad una prima lettura del testo normativo, dei gravi dubbi di costituzionalita', riconducibili o. sussumibili in tre gruppi di vizi sostanziali o materiali che sembrano inficiare in radice tutta la costruzione normativa dell'istituto in questione. 7.3. - Sembra, innanzi tutto, contrastare con il principio di eguaglianza, formale o soggettiva, dettato dall'art. 3, primo comma, della Costituzione, l'anomala sottrazione al giudice adito (il t.a.r., quale giudice amministrativo di primo grado) della cognizione di una tipica eccezione processuale in senso proprio, come tale proponibile soltanto dalle parti e non rilevabile d'ufficio (art. 112 c.p.c. e art. 31, primo comma, seconda parte, legge n. 1034/1971). Una sottrazione tanto piu' anomala quanto piu' si consideri che, secondo il costante orientameno del Consiglio di Stato, la domanda di regolamento di competenza non si configura come atto direttamente introduttivo del giudizio di competenza davanti al predetto organo giurisdizionale (presso il quale non viene depositata l'istanza), bensi' come atto del processo di primo grado, con natura di eccezione, che determina, pero', soltanto il potere-dovere del Presidente del t.a.r. di verificare se sussista o no l'adesione delle controparti e di emanare i provvedimenti conseguenziali (e vincolati) prescritti dal quarto e quinto comma dell'art. 31 in questione (cfr. ex plurimis C.S., VI, 20 gennaio 1998, n. 108, e IV, 15 gennaio 1980, n. 17). Preliminarmente, occorre appena osservare in proposito che, alla stregua del costante ed assolutamente incontroverso orientamento dottrinario e giurisprudenziale, l'invocato principio di eguaglianza formale o soggettiva ex art. 3, primo comma, della Costituzione costituisce "un principio generale che condiziona tutto l'ordinamento nella sua obiettiva struttura" (Corte cost., n. 25/1966), ed e' espressione di un generale canone di coerenza dell'ordinamento normativo (Corte cost. n. 204/1982), estrinsecandosi, in ultima analisi, in un generale principio di "ragionevolezza" per cui la legge deve trattare in maniera eguale situazioni eguali, ed in maniera razionalmente diversa situazioni diverse (si veda, fra le tante, Corte cost. nn. 53/1958, 15/1960, 4/1964, 1/1966, 5/1980 e 15/1982). Ed e' ormai indubbia la soggezione al principio di eguaglianza - soprattutto inteso come canone di coerenza, dell'ordinamento e, quindi, come principio di ragionevolezza - della legge, non solo sotto il profilo formale (per cui il principio di eguaglianza regolerebbe solo la forza e l'efficacia della legge), ma anche sotto il profilo materiale, per cui tale principio e' in realta' rivolto a regolare anche il contenuto della legge, implicando un limite o vincolo alla funzione normativa primaria nel senso sopra indicato. E' altresi' noto, costituendo jus receptum in materia, che il giudizio costituzionale di eguaglianza non si svolge raffrontando direttamente la norma censurata al parametro costituzionale, occorrendo anche che nelle ordinanze di rimessione alla Corte vengano indicate una o piu' norme e/o uno o piu' principi dell'ordinamento rispetto al quale la norma impugnata, diversificando o assimilando arbitrariamente situazioni, rispettivamente, simili o diverse, viola il principio di eguaglianza: norme o principi ciascuno dei quali, isolatamente considerato ed utilizzato dal giudice a quo, costituisce il c.d. tertium comparationis, e che, nei casi in cui ne vengano individuati e proposti congiuntamente ed in correlazione piu' di uno, costituiscono i tertia comparationis (cfr. fra le tante, Corte cost., nn. 10/1980, 166 e 198 del 1982, 277/1983, 79/1984, e 618/1997). Ora, ritiene il giudicante che con riferimento alla fattispecie in esame debba individuarsi nell'ordinamento processuale almeno un triplice ordine di tertia comparationis in grado di evidenziare il contrasto dell'art. 31, primo comma, prima parte, della legge n. 1034/1971, e conseguentemente dei successivi commi secondo, terzo, quarto, quinto, sesto, settimo, ottavo, nono, decimo e undicesimo, che prevedono e disciplinano la competenza in unico grado del Consiglio di Stato per la definizione del regolamento di competenza territoriale, con il principio di ragionevolezza insito nel principio di eguaglianza e art. 3, primo comma, Cost. A) I referenti normativi nei quali deve essere individuato il primo di tali tertia comparationis si rinvengono nel principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato stabilito dall'art. 112 c.p.c., nonche' nel successivo art. 276, secondo comma, e nel precedente art. 38, terzo comma, che di tale principio costituiscono corollari applicativi. Non sembra in alcun modo controvertibile, invero, che l'art. 112 c.p.c., nel prescrivere innanzi tutto che "il giudice deve pronunziare su tutta la domanda ... e che "non puo' pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti", codifica il dovere decisiorio del giudice su tutta la domanda giudiziale, con la quale si esercita il diritto di azione, e correlativamente - sia pure attraverso la formulazione negativa in senso relativo e non assoluto e quindi inversamente positiva, della parte finale della proposizione normativa - su tutte le eccezioni (sia processuali che sostanziali) in senso proprio proponibili soltanto, e concretamente proposte, dalle parti (oltre che, ovviamente, su tutte le eccezioni - c.d. eccezioni in senso improprio - rilevabili anche d'ufficio). In altri termini, siffatto dovere decisorio del giudice in senso "globale" (per usare una diffusa espressione della dottrina processualistica), vale a dire sulla domanda e sulle eccezioni (e "controeccezioni" - anche perche' il termine "chiesto" utilizzato nella rubrica dell'art. 112 non puo' che riferirsi logicamente ad ogni richiesta, diretta al giudice, proveniente da ciascuna delle parti processuali: attori, convenuti, intervenienti - risulta indirettamente ma chiaramente ed incontrovertibilmente contemplato (nonostante la poco felice formulazione lessicale) dalla predetta seconda parte dell'art. 112 c.p.c. ove, prescrivendosi che "il giudice non puo' pronunziare d'ufficio sulle eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti", si stabilisce implicitamente che egli puo' e deve pronunciarsi su tutte le eccezioni in genere, e precisamente: soltanto ad istanza delle parti, su quelle proponibili esclusivamente da queste (c.d. eccezioni in senso proprio o stretto, sia di merito che processuali, quali quelle, fra altre di incompetenza territoriale ex art. 38, secondo comma, c.p.c., ed ex art. 31, primo comma, legge n. 1034/1971, di cui trattasi), secondo quanto espressamente previsto da specifiche disposizioni di legge che attribuiscono una sorta di diritto protestativo in tal senso; ed anche d'ufficio, su tutte le altre per le quali la legge non prevede alcuna riserva o disponibilita' delle parti (c.d. eccezioni in senso improprio: sia di merito, quali, fra le altre, la nullita' di atti e negozi giuridici; che processuali, solitamente distinte in eccezioni pregiudiziali di rito, quali il difetto relativo di giurisdizione, e l'incompetenza nei casi in cui e' sottratta alla disponibilita' delle parti, ed e' quindi rilevabile d'ufficio, ed eccezioni preliminari di merito, quali quelle attinenti alle tre condizioni fondamentali dell'azione giurisdizionale). La rilevata ontologica ampiezza "globale" del dovere decisorio del giudice, quale risulta gia' chiaramente dalla regola enunciata dall'art. 112 c.p.c., appare poi coerentemente confermata (ove mai se ne dubitasse) da tutto il sistema del processo civile ed in particolare da numerose sparse disposizioni del codice di rito, fra le quali occorre innanzitutto segnalare, per il suo valore di carattere generale ed in un certo senso esplicativo dell'ambito di operativita' della potestas decidendi, l'art. 276, secondo comma, c.p.c., in base al quale "il collegio ... decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa". E non sembra, poi, inutile ricordare ancora in proposito che il predetto secondo comma dell'art. 276, il quale costituisce espressione di un principio essenzialmente logico prima che giuridico (in tal senso, fra altre, Cass., 15 ottobre 1976, n. 3469), e' ovviamente applicabile nel processo amministrativo anche in forza dell'espresso richiamo effettuato dall'art. 64 del regolamento di procedura approvato con r.d. 17 agosto 1907, n. 642. Ma la disposizione che - subito dopo l'effettuato richiamo preliminare (in quanto precedente nell'ordine logico dei concetti e delle argomentazioni implicati nella questione in esame) alle norme generali degli artt. 112 e 276, secondo comma, c.p.c. - occorre in particolare ricordare, in quanto disciplina specificamente la decisione del giudice civile sull'eccezione di incompetenza territoriale, e' l'art. 38, terzo comma, c.p.c., in combinato disposto con l'art. 187, terzo comma, c.p.c. A norma, infatti, del predetto terzo comma dell'art. 38, come sostituito dall'art. 4, legge 26 novembre 1990, n. 353, le qestioni di cui ai commi precedenti (ossia le questioni che sorgono a seguito dell'eccezione, o del rilievo d'ufficio, in alcuni casi, dell'incompetenza per materia, per valore, e per territorio) "sono decise, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti". E a tal fine l'art. 187, terzo comma, c.p.c. prevede la facolta' del giudice di scegliere tra l'immediata rimessione al collegio per decidere separatamente sulla questione di competenza insorta, o l'accantonamento della questione stessa per deciderla unitamente al merito (ed eguale facolta' viene prevista da tale disposizione per le questioni attinenti alla giurisdizione o ad altre pregiudiziali). Alla stregua, dunque, dei cennati principi generali sulla domanda giudiziale e sul nesso inscindibile con la figura, ad essa omologa, dell'eccezione nelle sue varie configurazioni e categorie, cosi' come emergenti nell'ordinamento processuale soprattutto attraverso i dati testuali degli artt. 112 e 276, secondo comma, c.p.c., e dell'art. 64 r.d. n. 642/1907, ed alla stregua altresi' della specifica disciplina relativa alla decisione con sentenza, da parte dello stesso giudice adito, sulle eccezioni di incompetenza (artt. 38, terzo comma, e 187, terzo comma, c.p.c), non puo' essere revocato in dubbio che, estendendosi necessariamente il dovere decisorio del giudice adito a tutto l'ambito della situazione giuridica globale inscindibilmente costituita dal binomio domanda giudiziale-eccezioni (o "controdomande"), la mancata pronunzia su di un'eccezione costituisce vizio di omissione (parziale) di pronuncia (si veda, in tal senso, soprattutto Cass. 21 agosto 1985, n. 4451, ed inoltre, anche se implicitamente, Cass., 15 ottobre 1976, n. 3469, cit., 13 marzo 1964, n. 538, 23 giugno 1982, n. 3831, 25 maggio 1995, n. 5747). B) Il secondo tertium comparationis deve essere poi individuato, secondo l'ordine di stretta conseguenzialita' logica-giuridica emergente dall'impostazione sopra delineata, nel sistema previsto dagli artt. 42 e sg. c.p.c. per il regolamento di competenza nel processo civile. Ai limitati fini comparativi che qui rilevano, e' sufficiente ricordare in proposito, in rapidissima sintesi, che il predetto regolamento e' configurato e disciplinato dal codice di rito come uno specifico mezzo di impugnazione ordinaria delle sentenze di primo grado che statuiscono sul presupposto processuale della competenza. Tale regolamento, consistente in una iniziativa giudiziaria di parte, dinanzi alla Corte di Cassazione, avverso, appunto la pronunzia sulla competenza nella quale la parte che impugna sia rimasta soccombente, e tendente ad una riforma di quella pronuncia, e', com'e' noto, di due tipi: regolamento necessario, in quanto costituisce l'unico mezzo col quale possono essere impugnate le sentenze che pronunziano soltanto sulla competenza (art. 42 c.p.c.); e regolamento facoltativo, nel senso che puo' essere facoltativamente proposto dalla parte rimasta soccombente sulla questione di competenza, in alternativa con i "modi ordinari" (normalmente l'appello), avverso le sentenze che hanno pronunziato sulla competenza insieme col merito, e limitatamente (com'e' ovvio) al capo della sentenza che concerne la competenza (art. 43 c.p.c.). Non sembra necessario soffermarsi piu' che tanto per rendere evidente la radicale ed inspiegabile diversita' - che costituisce un vero e proprio disvalore giuridico - tra il regolamento di competenza (sia necessario che facoltativo) - nel processo civile, strutturato come un mezzo di impugnazione delle pronunzie sulla competenza, ed il regolamento di competenza nel processo amministrativo, anomalamente configurato e disciplinato dall'art. 31, legge n. 1034/1971, per qualche misteriosa od arcana ragione, come uno strumento decisorio "preventivo" in unico grado sulla eccezione di incompetenza territoriale del t.a.r. adito, anziche' come mezzo d'impugnazione della pronunzia dello stesso t.a.r. in ordine all'eccezione di cui si discute. Si puo' solo soggiungere, come gia' rilevato sin dal 1974 da autorevole dottrina, che, in forza dell'ibrido disegno normativo dell'art. 31 in questione, i t.a.r., diversamente da tutti gli altri giudici dell'ordinamento italiano, non hanno quindi il potere di giudicare della propria competenza territoriale. C) Un ulteriore elemento di comparazione, che viene peraltro prospettato in via del tutto subordinata rispetto ai primi due, e quindi soltanto per l'ipotesi di una eventuale declaratoria di infondatezza della dedotta questione di incostituzionalita' di tutto l'istituto del regolamento di competenza nel processo amministrativo, si rinviene, come esattamente rilevato dalla difesa della ricorrente, nel raffronto dell'obbligo assoluto di sospensione del processo amministrativo, prescritto dal quinto comma, dell'art. 31, legge n. 1034/1971, per i casi in cui non tutte le parti siano d'accordo sulla remissione del ricorso ad altro t.a.r. a seguito della proposizione del regolamento di competenza, con la ben diversa disciplina prevista dal novellato primo comma, dell'art. 367, c.p.c. per la sospensione del processo di merito, a seguito della proposizione del regolamento di giurisdizione ex art. 41, primo comma, c.p.c. In base, infatti, al predetto primo comma, dell'art. 367, nel testo sostituito dall'art. 61 della novella apportata con la legge n. 353/1990, il giudice davanti a cui pende la causa, dopo la notifica del ricorso alle sezioni unite della Cassazione per regolamento preventivo d giurisdizione ai sensi dell'art. 41, primo comma, c.p.c., ed a seguito del deposito di copia di tale ricorso presso la propria cancelleria, "sospende il processo se non ritiene l'istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata". Ora, se con la riforma del 1990 e' stata introdotta tale nuova disciplina della sospensione del processo a seguito della rituale proposizione del regolamento di giurisdizione, attribuendo espressamente al giudice il cennato potere-dovere di delibazione sommaria dell'ammissibilita' e della fondatezza della istanza (e cio', com'e' noto, allo scopo precipuo di contrastare i preoccupanti e frequenti abusi dell'istituto in questione, utilizzato da parti prive di scrupoli per provocare soltanto la sospensione del processo a palesi fini dilatori), non si riesce a comprendere per quale motivo un analogo margine - quanto meno - di delibazione sommaria (idest: di giudizio) non sia stato e non debba essere attribuito al giudice amministrativo di primo grado (e quindi al t.a.r. nella sua istituzionale composizione collegiale, e non gia' al suo Presidente) relativamente al regolamento di competenza, per il raggiungimento di quei medesimi obiettivi (di contrasto degli abusi e delle finalita' dilatorie) sottesi alla delibazione sommaria di ammissibilita' e fondatezza del regolamento di giurisdizione demandato al giudice civile di primo grado. La mancanza di intrinseca coerenza o ragionevolezza della rilevata assenza del potere (almeno) di delibazione sommaria dell'eccezione di cui trattasi si rivela, poi, tanto piu' inspiegabile e tanto piu' grave ove si consideri che, mentre il regolamento di giurisdizione e' soltanto uno dei vari metodi o strumenti di verifica della giurisdizione previsti dal codice di rito (e costituiti, come e' noto, dall'eccezione di difetto di giurisdizione, rilevabile d'ufficio, dal ricorso in Cassazione ex art. 360, n. 1, dall'analogo ricorso ex art. 362, primo comma, e dalla elevazione dei conflitti di giurisdizione ed attribuzione previsti dal secondo comma dello stesso art. 362, oltre al predetto regolamento preventivo), ed e' quindi aggiuntivo rispetto all'eccezione di difetto (relativo) di giurisdizione, il cui esame e' ovviamente demandato al giudice adito, al contrario il regolamento di competenza costituisce l'unico strumento previsto dalle leggi processuali amministrative per la verifica della competenza territoriale del t.a.r. 7.4. - L'anomala esclusione dal processo decisionale del giudice amministrativo di primo grado della cognizione dell'eccezione di incompetenza territoriale, proponibile soltanto nelle forme e secondo le modalita' del regolamento di comptenza cosi' come disciplinato dal predetto art. 31 della legge n. 1034/1971, si pone conseguentemente ed ovviamente in contrasto anche col principio del doppio grado di giurisdizione nel giudizio amministrativo, codificato dall'art. 125, secondo comma, Cost., dato che sulla predetta eccezione d'incompetenza territoriale viene a pronunziarsi soltanto il Consiglio di Stato che nel nostro sistema e' esclusivamente giudice d'appello, con la conseguenziale perdita del primo grado di giurisdizione. Il che e' al tempo stesso contrario al gia' evidenziato principio di ragionevolezza in relazione agli elementi di comparazione come sopra individuati, ove si consideri che, essendo tutte le eccezioni delle "controdomande", non ha senso che dal doppio grado di giudizio su tutte le domande giudiziali e relative eccezioni venga esclusa soltanto l'eccezione attinente al presupposto processuale della competenza territoriale. Che tale aporia od anomalia processuale configuri una vulnerazione del principio del doppio grado di giurisdizione amministrativa, emerge nitidamente da una rapida ricognizione degli elementi e spunti ricostruttivi di tale principio e del conseguente sistema in materia; elementi che, negli stretti limiti in cui rilevano in questa sede, possono sintetizzarsi nelle proposizioni che seguono: A) L'art. 125, secondo comma Cost., che ha previsto l'istituzione nelle Regioni di "organi di giustizia amministrativa di primo grado", deve essere letto in stretta correlazione con il precedente art. 103, primo comma, in base al quale "il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi". Dal combinato disposto dei due precetti costituzionali, che peraltro contengono non certo casualmente la medesima dizione ("organi di giustizia amministrativa") si ricava non solo il principio che nel giudizio amministrativo debba essere previsto un giudice di primo grado, e quindi un giudice d'appello, ma anche che in tale doppio grado generalizzato la competenza dei due giudici sia la stessa, e cioe' si estenda non soltanto a tutti gli atti della pubblica amministrazione, ma anche, ovviamente, a tutte le domande, ed a tutte le eccezioni (rilevabili d'ufficio o ad istanza di parte) del giudizio; B) Ogni giudice, in quanto collegato con l'ordinamento giuridico generale, e' potenzialmente giudice dell'intera Amministrazione, con la conseguenza che il riferimento dell'art. 125, secondo comma, della Costituzione alla regione non ha altro significato che quello di fissare la competenza territoriale dei giudici di primo grado; che non puo' estendersi, in linea di principio, al di fuori di tale ambito (come in effetti e' stato previsto dalla legge n. 1034/1971 istitutiva dei t.a.r.). Emerge, invero, anche dall'esame dei lavori preparatori dell'Assemblea costituente che, alla base del ripetuto art. 125, secondo comma, Cost., vi e' stato l'intento di rinnovare in profondita' il sistema di giustizia amministrativa onde garantire al cittadino una maggior tutela nei confronti della pubblica amministrazione, creando organi giurisdizionali decentrati aventi competenza per materia su qualsiasi atto amministrativo, e conservando un organo di grande tradizione (il Consiglio di Stato) con pari competenza per materia e con competenza per territorio di livello nazionale; C) La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 8 del 1 febbraio 1982, ha affermato che nel settore della giurisdizione amministrativa ordinaria, al contrario degli altri settori giurisdizionali, il principio del doppio grado e' stato costituzionalizzato in quanto tale giurisdizione concerne la sfera del pubblico interesse e rende, quindi, opportuno il riesame delle pronunzie dei tribunali di primo grado da parte del Consiglio di Stato, che si trova al vertice del complesso degli organi costituenti la giurisdizione stessa. 7.5. - Sotto altro profilo, infine, per quanto concerne in particolare l'obbligo del Presidente del t.a.r., o di una sezione dello stesso, di sospendere il processo (in conseguenza del divieto di cognizione dell'eccezione di incompetenza territoriale da parte dello stesso t.a.r. adito) nel caso in cui le parti non siano tutte d'accordo sulla remissione al t.a.r. indicato dalla parte che ha proposto il regolamento di competenza, sembra configurabile, come pure esattamente evidenziato dal difensore della ricorrente, un ulteriore vizio sostanziale o materiale di costituzionalita' della norma che contiene siffatta imposizione (quinto comma dell'art. 31 della legge n. 1034/1971). Da un lato, infatti il potere assoluto conferito alle parti resistenti ed intervenienti di arrestare ad libitum il regolare svolgimento del giudizio, con la mera proposizione di una qualsivoglia istanza di regolamento di competenza, (anche se assolutamente infondata, ed anche se addirittura immotivata oltre che infondata), altera, in spregio al principio di eguaglianza di cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione la c.d. "parita' delle armi" delle parti in causa. Per un altro aspetto, poi, la sospensione necessaria del giudizio conseguente alla mera proposizione del regolamento de quo nelle ipotesi in cui le altre parti non accettino di rimettere il ricorso al t.a.r. indicato dalla parte proponente - sospensione che non costituisce un effetto automatico del deposito dell'istanza di regolamento, ma che deve essere disposta dal Presidente del t.a.r. adito, con ordinanza che, come gia' si e' detto al punto 4.3 che precede, si configura come atto dovuto od assolutamente vincolato (cfr., fra altre, C.S., IV, 29 aprile 1975, n. 475, VI, 3 giugno 1975, n. 178, IV, 15 giugno 1980, n. 17, e VI, 20 gennaio 1998, n. 108), come si desume chiaramente sia dal precedente quarto comma, che attribuisce espressamente al Presidente il compito di trasmettere il ricorso al t.a.r. indicato in caso di accordo sulla remissione, che dal successivo art. 32, secondo comma, il quale, in relazione all'analoga eccezione concernente la ripartizione della competenza fra sedi e sezioni staccate dei t.a.r., stabilisce che "il presidente del tribunale amministrativo regionale provvede sulla eccezione con ordinanza motivata non impugnabile" - sembra menomare gravemente, ed ingiustificatamente, il diritto alla tutela giurisdizionale (inteso, anche, quale diritto ad una tutela effettiva, e quindi tempestiva), solennemente consacrato nell'art. 24, primo comma, Cost. 8. - Per le suesposte considerazioni, a norma dell'art. 23, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, va disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione incidentale di costituzionalita' di cui trattasi, disponendosi conseguentemente la sospensione della pronunzia (con ordinanza, presidenziale) in ordine alla sospensione necessaria od obbligatoria, ai sensi e per gli effetti dell'art. 31, quinto comma, legge 6 dicembre 1971, n. 1034, del processo instaurato col ricorso n. 5213/1997 indicato in epigrafe.
P. Q. M. Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' delI'art. 31 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ad eccezione della seconda parte, o secondo inciso, del primo comma (come specificato al punto 5 della motivazione che precede), per contrasto con gli artt. 3, primo comma, 125, secondo comma, e 24, primo comma, Cost., e ritenuta altresi', in via assolutamente subordinata, rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dello stesso art. 31, quinto comma, nella parte in cui non prevede, (cosi' come invece previsto dall'art. 367, primo comma, c.p.c. per il regolamento di giurisdizione), che la sospensione del giudizio possa essere negata dal t.a.r. nella sua istituzionale composizione collegiale - innanzi al quale pende il giudizio all'interno del quale sia sollevata, nelle forme del regolamento di competenza, l'eccezione di incompetenza - in esito all'apprezzamento della manifesta inammissibilita' e/o manifesta infondatezza della relativa istanza, e cio' per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 24, primo comma, Cost., dispone l'immediata trasmissione degli atti, a cura della segreteria, alla Corte costituzionale sospendendo conseguentemente l'emanazione dell'ordinanza presidenziale di sospensione necessaria od obbligatoria del processo di cui trattasi, ai sensi e per gli effetti del predetto art. 31, quinto comma, della legge n. 1034/1971; Ordina, inoltre, alla segreteria, a norma dell'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, di notificare la presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Catania, il 23 giugno 1998. Il presidente: Zingales 98C1283