N. 849 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 maggio 1998

                                N. 849
  Ordinanza  emessa il 26 maggio 1998 dalla Corte d'appello di Venezia
 nel procedimento penale a carico di Sinancevic Ismet
 Processo penale - Applicazione della pena su richiesta delle parti  -
    Procedimento  di  appello  -  Imputato  assolto in prima istanza -
    Preclusione per il giudice di appello di provvedere, in ipotesi di
    ritenuta responsabilita'  penale,  in  ordine  alla  richiesta  di
    applicazione della pena formulata tempestivamente in primo grado -
    Disparita' di trattamento rispetto a quanto previsto nelle ipotesi
    di ingiustificato dissenso del p.m.
 (C.P.P. 1988, art. 448).
 (Cost., art. 3).
(GU n.47 del 25-11-1998 )
                          LA CORTE D'APPELLO
   Con sentenza in data 14 marzo 1994 il pretore di Bassano del Grappa
 assolveva  Sinancevic  Ismet dal reato di cui agli artt. 624, 625 nn.
 2, 5 e 7 c.p., contestatogli come commesso in  concorso  con  Vucetic
 Vladimir e Nurkovic Avdulah per non avere commesso il fatto.
   Premetteva  il  pretore  che i tre imputati, arrestati in flagranza
 per  il  suddetto  fatto-reato,  avevano   formulato   richiesta   di
 applicazione  della  pena ex art. 444 c.c.p.; tuttavia, mentre per il
 Vucetic  e  il  Nurkovic  sussistevano  indizi,  gravi,   precisi   e
 concordanti,  perche'  gli  stessi  erano stati sorpresi nell'atto di
 spingere a mano un'autovettura sottratta poco prima  al  proprietario
 con  i  fili  dell'accensione  manomessi  e con, sul sedile anteriore
 destro, un'autoradio prelevata da altro veicolo in  sosta,  cio'  non
 valeva  per  il  Sinancevic che, al momento del fermo, "si trovava al
 posto di  guida  e  poteva  non  avere  ancora  notato  la  descritta
 manomissione,  pur  apparendo  certamente sospetta la circostanza che
 questi, al solo scopo di coadiuvare i  coimputati  nel  tentativo  di
 rimettere  in  moto  l'autovettura, a suo dire, in buona fede, avesse
 parcheggiato la propria auto alla distanza  di  circa  150  metri  e,
 all'apparenza,   in   posizione   occultata";   si   imponeva  dunque
 l'assoluzione del Sinancevic ex art. 530, comma 2, c.p.p.
   Appellava il p.g. presso la Corte d'appello di  Venezia  osservando
 non  essere minimamente credibile, contro l'evidenza della prova, ne'
 la protesta d'innocenza dell'imputato ne' la tesi difensiva di essere
 stato egli occasionalmente fermato dai connazionali per  aiutarli  ed
 intendendo   lo   stesso   allontanarsi   una   volta  accortosi  che
 l'accensione  del  motore  era  stata  manomessa;  al  contrario,  il
 Sinancevic,  che era stato sorpreso al posto di guida, non poteva non
 essersi reso  conto  dell'evidente  manomissione  dell'accensione  in
 area-volante; la responsabilita era vieppiu' accentuata dal fatto che
 la   vettura  dell'imputato  era  stata  parcheggiata,  in  posizione
 defilata,  proprio  nelle  vicinanze  dell'auto  rubata  e  cio'   in
 contrasto  con l'assunto della natura estemporanea dell'aiuto dato ai
 connazionali.
   Chiedeva dunque dichiararsi l'imputato colpevole del reato di furto
 contestato con condanna alla pena richiedenda dal p.g. d'udienza.
   Cio' posto e  premesso  che,  a  norma  dell'art.  444  c.p.p.,  il
 parametro  che  legittima  il  giudice  cui  sia  fatta  richiesta di
 applicazione della pena, a pervenire ad assoluzione dell'imputato, e'
 quello rappresentato dalla previsione dell'art. 129 c.p.p.,  sicche',
 al  di  fuori  dei  casi  in  cui  sia  possibile,  in  via  di  mera
 constatazione e senza  valutazioni  comportanti  apprezzamento  delle
 emergenze   processuali   (vedi  Cass.    13  aprile  1996,  n.  458,
 Trebeschi),  ritenere  l'insussistenza  del  fatto  ovvero   la   non
 commissione  dello  stesso  ad  opera  dell'imputato ovvero ancora le
 residue ipotesi di cui alla predetta norma, il giudice e'  tenuto  ad
 accogliere,   nella   ricorrenza   dei   restanti   presupposti,   il
 "patteggiamento"  formulato,  rileva  la  Corte  che  nella   specie,
 caratterizzata,  come  desumibile  dalla  motivazione  della  gravata
 sentenza, da pronuncia, in sede di richiesta di applicazione di pena,
 di assoluzione per insufficienza  di  prove  ex  art.  530,  comma  2
 c.p.p.,  laddove si pervenisse, conformemente alla richiesta del p.g.
 appellante, ed in riforma della  sentenza  del  pretore,  a  condanna
 dell'imputato,  lo  stesso  verrebbe  inevitabilmente "privato" della
 diminuente  di  pena  collegata  alla  pur  tempestiva  richiesta  di
 applicazione  formulata in primo grado; ne' potrebbe la Corte (tenuta
 per effetto del principio del devoluto,  a  confermare  la  pronuncia
 assolutoria  per  insufficienza  di  prove  ovvero,  al  contrario, a
 riformare,  come  richiesto  dal  p.g.     appellante,  la   medesima
 provvedendo  ad  irrogare la relativa sanzione) procedere, in difetto
 di  previsione  normativa  sul  punto,   in   ipotesi   di   ritenuta
 responsabili'ta'  nel  merito  dell'imputato,  peraltro  richiedente,
 quale presupposto  indefettibile,  un'istruzione  dibattimentale  mai
 svoltasi  in precedenza (non potendo ovviamente essere utilizzati gli
 atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero), ad applicare la
 richiesta pena come invece previsto, in  capo  al  giudice  di  primo
 grado od in capo allo stesso giudice dell'impugnazione, nelle ipotesi
 di ingiustificato dissenso del p.m., dall'art. 448 c.p.p..
   Ritiene  allora la Corte che l'impossibilita' di fare ricorso nella
 specie ad una norma analoga a quella  di  cui  sopra  non  possa  non
 integrare  una non giustificabile disparita' di trattamento normativo
 di situazioni che, per essere caratterizzate tutte dalla  rivelatasi,
 a  posteriori,  ingiustificata  mancata  applicazione  della pena con
 conseguente "confisca"  per  l'imputato  della  diminuzione  di  pena
 ricollegata  alla  richiesta  di  patteggiamento,  appaiono  tra loro
 analoghe.
   Consegue  pertanto  a  quanto  detto  sin  qui  la  non   manifesta
 infondatezza  dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 448 c.p.p.
 nella parte in cui lo  stesso  non  prevede  il  potere  del  giudice
 d'appello  di  provvedere,  in  ipotesi  di  ritenuta responsabilita'
 penale dell'imputato che, a fronte di richiesta  di  applicazione  di
 pena  in prima istanza sia stato assolto, alla irrogazione della pena
 come richiesta.
   Detta     questione     appare    infine    rilevante    dipendendo
 dall'applicazione in un senso o nell'altro della norma  investita  la
 commisurazione della pena.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara  rilevante  nel  presente  giudizio  e  non manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  448
 c.p.p.  in relazione all'art. 3 della Costituzione nella parte in cui
 lo  stesso non prevede il potere del giudice d'appello di provvedere,
 in ipotesi di ritenuta responsabilita' penale  dell'imputato  che,  a
 fronte  di  richiesta  di  applicazione  di pena in prima istanza sia
 stato assolto, alla irrogazione della pena come richiesta;
   Sospende il presente giudizio;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e manda
 alla cancelleria di notificare la presente   ordinanza al  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  nonche'  di  comunicare  la  stessa ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Venezia, addi' 26 maggio 1998
                        Il presidente: Perdibon
                                              Il cons. est.: Andreazza
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