N. 372 SENTENZA 11 - 20 novembre 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego pubblico - Cause eccezionali di impossibilita' lavorativa  -
 Cessazione   del   rapporto  di  pubblico  impiego  per  soppressione
 dell'ente di appartenenza - Mancata  previsione  tra  dette  cause  -
 Riferimento  alla  giurisprudenza  della  Corte  (vedi  sentenze  nn.
 390/1995 e 531/1988) - Discrezionalita' legislativa - Non fondatezza.
 
 (D.-L. 28 febbraio 1986, n. 49, art. 10,  comma  1,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 18 aprile 1986, n. 120).
 
 (Cost., artt. 3, 36 e 38).
 
(GU n.47 del 25-11-1998 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof. Fernando   SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10, primo
 comma, del d.-l. 28 febbraio 1986, n.  49  (Disposizioni  urgenti  in
 materia di pubblico impiego), convertito, con modificazioni, in legge
 18 aprile 1986, n. 120, promosso con ordinanza emessa il 28 giugno-25
 luglio  1996  dalla  Corte  dei  conti,  sezione  III giurisdizionale
 centrale, sugli appelli riuniti  proposti  da  Mudu  Aldo  contro  il
 Ministero   del   tesoro  -  Direzione  generale  degli  Istituti  di
 previdenza ed altra, iscritta al n. 1361 del registro ordinanze  1996
 e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima
 serie speciale, dell'anno 1997.
   Visti l'atto  di  costituzione  di  Mudu  Aldo  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 13 ottobre 1998 il giudice relatore
 Cesare Ruperto;
   Udito  l'avvocato  Sante Assennato per Mudu Aldo e l'Avvocato dello
 Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  di appello - promosso da un ex
 dipendente dell'ente comunale di consumo di  Cagliari,  pensionato  a
 se'guito  dello  scioglimento dell'ente medesimo, avverso la sentenza
 della sezione giurisdizionale  per  la  Regione  Sardegna  che  aveva
 confermato la disposta liquidazione del trattamento di quiescenza con
 indennita'   integrativa   speciale   computata  in  quarantesimi  in
 proporzione dell'anzianita' maturata - la Corte  dei  conti,  sezione
 terza  giurisdizionale centrale, con ordinanza emessa il 28 giugno-25
 luglio 1996, ha sollevato - in riferimento agli  artt.  3,  36  e  38
 della   Costituzione   -  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 10, comma 1, del decreto-legge  28  febbraio  1986,  n.  49
 (Disposizioni  urgenti  in  materia di pubblico impiego), convertito,
 con modificazioni, in legge 18 aprile 1986, n. 120, "nella  parte  in
 cui detta norma non annovera, tra le cause
  eccezionali di impossibilita' lavorativa, la cessazione del rapporto
 di pubblico impiego per soppressione dell'ente di appartenenza".
   Rilevato  che  la  norma  denunciata  sancisce  che le disposizioni
 limitative del computo dell'indennita' integrativa speciale  (di  cui
 ai primi quattro commi dell'art. 10 del d.-l. 29 gennaio 1983, n. 17,
 convertito,  con  modificazioni,  nella  legge  25 marzo 1983, n. 79)
 trovano applicazione in tutti i casi di pensionamento anticipato,  ad
 eccezione  delle  ipotesi  di cessazione dal servizio per morte o per
 invalidita' derivanti o meno da causa di servizio,  purche'  tali  da
 impedire la prosecuzione del rapporto di lavoro, osserva la Corte dei
 conti  rimettente  che il fondamento di tale limitazione va rinvenuto
 nell'esigenza  di  sanzionare  tutte  le  ipotesi  di   pensionamento
 anticipato  riconducibili alla volonta' del pubblico dipendente (come
 affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 531 del  1988)
 salvaguardando  viceversa i soggetti colpiti da eventi collegati alla
 impossibilita',  non  dipendente  dalla  loro  volonta',  di  rendere
 ulteriori prestazioni lavorative.
   Secondo  la  rimettente,  dunque,  la  denunciata  norma si pone in
 contrasto:  a) con l'art. 3 Cost., stante l'irragionevole  disparita'
 di  trattamento  nei confronti del pubblico dipendente licenziato per
 soppressione dell'ente di appartenenza, dal momento che anche  questi
 viene   a   trovarsi   contro   il  suo  volere  (e  quindi  al  pari
 dell'invalido)  nell'impossibilita'  di  continuare  a  svolgere   la
 propria attivita' lavorativa; b) con gli artt. 36 e 38 Cost., perche'
 la  sua  applicazione  non  garantisce  una  pensione  in  ogni  caso
 sufficiente  ad  assicurare  un'esistenza  libera  e   dignitosa   al
 dipendente che nella sola pensione trovi i mezzi di sostentamento.
   2.  -  Si  e'  costituita  la  parte privata del giudizio a quo, la
 quale, facendo proprie le  argomentazioni  svolte  nell'ordinanza  di
 rimessione,  ha  concluso  per la declaratoria di incostituzionalita'
 della denunciata norma.
   Secondo la parte  -  che  presento'  domanda  di  pensionamento  in
 conseguenza    della   cessazione   dell'ente   di   appartenenza   -
 correttamente il rimettente ha prospettato l'equiparazione con i casi
 di morte od invalidita', in cui il pensionamento  anticipato  non  e'
 riconducibile  alla volonta' del dipendente. Rileva infatti la parte,
 in  una  memoria  depositata  nell'imminenza  dell'udienza,  come  la
 ragionevolezza    dell'esclusione   dell'applicazione   della   norma
 riduttiva  dell'indennita'  integrativa  speciale   debba   ritenersi
 correlata al carattere "volontario" del pensionamento anticipato.
   3.  -  E'  intervenuto,  altresi',  il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  concludendo:  a)  con  riferimento  alla  dedotta lesione del
 principio  di  uguaglianza,  per   l'infondatezza   della   sollevata
 questione,  poiche'  -  nel  caso  di  morte  o  di  invalidita' - la
 cessazione dal servizio deriva  da  una  circostanza  che,  non  solo
 prescinde  dalla  volonta'  del dipendente, ma impedisce in radice la
 prosecuzione di qualsiasi attivita' lavorativa, potendo viceversa  il
 dipendente   licenziato   per  soppressione  dell'ente  continuare  a
 svolgere tale attivita'; b) quanto alla violazione degli artt.  36  e
 38  Cost.,  per l'inammissibilita' della questione, non essendo stata
 motivata in concreto la rilevanza della medesima, prospettabile  solo
 nel  caso  in  cui la pensione del ricorrente fosse talmente bassa da
 non assicurare un'esistenza libera e dignitosa.
   In una memoria depositata nell'imminenza dell'udienza  l'Avvocatura
 rileva poi: a) che le disposizioni a carattere limitativo concernenti
 il  calcolo  in  quarantesimi  dell'indennita'  integrativa  speciale
 perseguono  la  finalita'  di  incidere  sull'andamento  della  spesa
 previdenziale    mediante   misure   dissuasive   del   pensionamento
 anticipato: b) che le eccezioni  contenute  nella  denunciata  norma,
 essendo questa derogatoria rispetto alla disposizione generale, hanno
 carattere speciale e sono da considerarsi espressamente riferite alle
 ipotesi ivi previste; c) che l'individuazione di specifiche eccezioni
 rientra  nella  discrezionalita'  riservata  al legislatore in ordine
 alla determinazione della misura dei trattamenti di quiescenza.
                        Considerato in diritto
   1. - La Corte dei conti dubita  della  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 10, comma 1, del d.-l. 28 febbraio 1986, n. 49, convertito,
 con  modificazioni,  nella legge 18 aprile 1986, n. 120 (Disposizioni
 urgenti in materia di pubblico impiego), nella parte in cui - tra  le
 ipotesi di non operativita' delle disposizioni limitative del computo
 dell'indennita'   integrativa   speciale   nella   liquidazione   del
 trattamento di quiescenza in caso di pensionamento anticipato  -  non
 annovera,  come causa eccezionale di impossibilita' lavorativa, oltre
 alla  morte  del  dipendente  o  alla  sua  invalidita',   anche   la
 soppressione dell'ente di appartenenza.
   Secondo la rimettente, la norma censurata si pone in contrasto:  a)
 con  l'art. 3 Cost., stante l'irragionevole disparita' di trattamento
 in da'nno  del  pubblico  dipendente  licenziato  (ovvero  che  abbia
 presentato  domanda  di  pensionamento) per soppressione dell'ente di
 appartenenza, dal momento che anche questi viene a trovarsi contro il
 suo volere (e quindi al pari  dell'invalido)  nell'impossibilita'  di
 continuare  a  svolgere  la  propria attivita' lavorativa; b) con gli
 artt. 36 e 38 Cost., poiche' il computo  dell'indennita'  integrativa
 speciale  in  quarantesimi non garantisce una pensione sufficiente in
 ogni caso ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa al dipendente
 che nella sola pensione trovi i mezzi di sostentamento.
   2. - La questione non e' fondata.
   2.1. - La norma oggetto del  presente  giudizio  si  inserisce  nel
 graduale  processo legislativo finalizzato alla disincentivazione dei
 pensionamenti  anticipati,  allargando  la  sfera  applicativa  della
 determinazione  della misura dell'indennita' integrativa speciale "in
 ragione di un quarantesimo per ogni anno di servizio, utile  ai  fini
 del  trattamento  di  quiescenza, dell'importo dell'indennita' stessa
 spettante   al   personale  collocato  in  pensione  con  la  massima
 anzianita' di servizio".
   Proprio in attuazione di codesto disegno legislativo - che trova il
 suo immediato antecedente nell'art. 10, primo comma, del  d.-l.    29
 gennaio  1983,  n.  17, convertito, con modificazioni, nella legge 25
 marzo 1983, n. 79,  in  cui  la  penalizzazione  era  chiaramente  da
 ricondurre   alla   volontarieta'   della   cessazione  dal  servizio
 (facendosi riferimento alla sola "domanda  di  pensionamento")  -  la
 denunciata  norma,  nell'estendere  la limitazione "a tutti i casi di
 pensionamento anticipato", esclude in via di "eccezione" i soli "casi
 di cessazione dal servizio per morte o per invalidita',  derivanti  o
 meno  da  causa di servizio, purche' tali da impedire la prosecuzione
 del rapporto di lavoro" (cfr. sentenza n. 433 del 1994).
   Il legislatore, avvalendosi della  sua  ampia  discrezionalita'  in
 materia  di  determinazione  delle  prestazioni  previdenziali  (cfr.
 sentenza n. 417 del 1996), nel rimodulare la normativa sulla sfera di
 applicabilita'  delle  summenzionate  limitazioni,  ha  cosi'  inteso
 sostituire  alla  volontarieta'  della  cessazione  dal  servizio  il
 diverso  criterio  dell'impedimento  (oggettivo)  alla   prosecuzione
 dell'attivita'  lavorativa causato da morte o da grave invalidita'. E
 dunque non pertinente e' il richiamo, fatto dal giudice  a  quo  alla
 sentenza  n. 531 del 1988, nella cui motivazione questa Corte, allora
 investita dello scrutinio di costituzionalita'  dell'art.  10,  primo
 comma, del d.-l. n. 17 del 1983, convertito, con modificazioni, nella
 legge  n.  79 del 1983, aveva affermato la non applicabilita' di tale
 norma - ormai come sopra superata  -  "nei  casi  di  cessazione  dal
 servizio   per  ragioni  indipendenti  dalla  volonta'  del  pubblico
 dipendente".
   2.2.  -  Il  rilevato  superamento  della  precedente   prospettiva
 incentrata  sul  requisito  della  volontarieta' della cessazione dal
 servizio  rende  non  comparabile,  con  le  due  ipotesi  limitative
 previste dalla nuova norma (riconducibili ad eventi obbligatoriamente
 protetti  nel  regime  dell'assicurazione generale) la situazione del
 dipendente licenziato o che abbia presentato domanda di pensionamento
 a causa della sopravvenuta circostanza di  fatto  della  soppressione
 dell'ente  di appartenenza.  E dunque l'addotto tertium comparationis
 deve ritenersi  inidoneo  a  fondare  la  denunciata  violazione  del
 principio  di  uguaglianza,  essendo  indubbio  che l'unico tratto in
 comune fra le situazioni messe a confronto dal giudice a quo potrebbe
 essere  ravvisato  -  come  si  desume  dalla  stessa  ordinanza   di
 rimessione  -  appunto  nella  non volontarieta' della cessazione dal
 servizio del dipendente.
   2.3. - Per escludere, poi, anche la lesione degli  artt.  36  e  38
 della  Costituzione - prospettata dal giudice a quo in modo del tutto
 assertivo, oltre che accessoriamente rispetto a  quella,  come  sopra
 esclusa,  dell'art.  3  -  e'  sufficiente far richiamo alla costante
 giurisprudenza  di  questa  Corte,  secondo   cui   appartiene   alla
 discrezionalita'   legislativa,   col   solo   limite   della  palese
 irrazionalita', stabilire i modi  e  la  misura  dei  trattamenti  di
 quiescenza,  nonche'  le variazioni dell'ammontare delle prestazioni,
 attraverso un bilanciamento fra valori contrapposti che contemperi le
 esigenze di vita  dei  beneficiari  con  le  concrete  disponibilita'
 finanziarie e le esigenze di bilancio (v., ex plurimis la sentenza n.
 390  del  1995  nonche' la stessa sentenza n. 531 del 1988 richiamata
 nell'ordinanza di  rimessione).
   E  non  si  vede  in che senso possa considerarsi travalicato detto
 limite dalla denunciata norma, la quale  ha,  piuttosto,  cercato  di
 razionalizzare  il  sistema  introducendovi  un  ulteriore  elemento,
 inteso  ad  impedire  le  distorte  conseguenze   applicative   della
 precedente  disciplina  a  favore  di  quei  soggetti  che, invece di
 presentare le dimissioni, ricorrevano ad altri mezzi per far  cessare
 autoritativamente  il  loro  rapporto  di  impiego,  cosi'  venendo a
 beneficiare  dell'intero  trattamento  pensionistico   (cfr.   lavori
 parlamentari  relativi alla conversione in legge del  d.-l. n. 49 del
 1986, ed in particolare quelli della seduta del Senato del 17  aprile
 1986).
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  10,  comma  1,  del  d.-l.  28  febbraio   1986,   n.   49
 (Disposizioni  urgenti  in  materia di pubblico impiego), convertito,
 con modificazioni, nella legge 18 aprile 1986, n. 120, sollevata,  in
 riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, dalla Corte dei
 conti, sezione III giurisdizionale centrale, con l'ordinanza indicata
 in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 novembre 1998.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 20 novembre 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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