N. 855 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 luglio 1998

                                N.  855
  Ordinanza emessa il 13 luglio 1998 dal tribunale di sorveglianza  di
 Napoli sull'istanza proposta da Savarese Massimo
 Pena - Esecuzione delle pene detentive - Condannato (a pena detentiva
    non  superiore a tre o quattro anni) gia' agli arresti domiciliari
    al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna -
    Previsione  che  il  tribunale  di  sorveglianza  provveda,  senza
    formalita',  all'eventuale  applicazione  della misura alternativa
    della  detenzione  domiciliare  -   Mancata   partecipazione   del
    condannato  al  procedimento  -  Preclusione della possibilita' di
    presentare istanza per una misura alternativa  diversa  -  Lesione
    del  diritto di difesa e del principio della finalita' rieducativa
    della pena - Disparita' di trattamento rispetto al  condannato  in
    stato di liberta' al momento della condanna definitiva.
 (C.P.P.  1988,  art.  656, comma 10, modificato dalla legge 27 maggio
    1998, n. 165).
 (Cost., artt. 3, 24 e 27).
(GU n.48 del 2-12-1998 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
   Riunito in camera  di  consiglio  il  giorno  13  luglio  1998  per
 deliberare  sulla domanda di Savarese Massimo nato il 23 gennaio 1966
 a Napoli, detenuto agli arresti domiciliari;
   Premesso  che  Savarese  Massimo veniva condannato con sentenza del
 tribunale di Napoli in data 4 febbraio 1998 alla pena di anni 1, mesi
 4 e giorni 4 di reclusione per il reato di cui all'art. 73, d.P.R. n.
 309/1990,  trovandosi  agli  arresti  domiciliari  al   momento   del
 passaggio   in   giudicato  della  sentenza;  che  la  procura  della
 Repubblica presso il tribunale di  Napoli  in  data  16  giugno  1998
 sospendeva  l'esecuzione  dell'ordine  di  carcerazione relativo alla
 pena detentiva citata, ai sensi del comma 10, dell'art.  656  c.p.p.,
 cosi'  come  modificato  dalla  legge  n. 165/1998, disponendo che il
 Savarese rimanesse agli arresti domiciliari fino  alla  decisione  di
 questo tribunale di sorveglianza, cui trasmetteva gli atti;
                             O s s e r v a
   Con  la  presente  ordinanza  viene impugnato il comma 10 dell'art.
 656 c.p.p., laddove prescrive  che  il    tribunale  di  sorveglianza
 provveda  senza  formalita'  all'eventuale  applicazione della misura
 alternativa della detenzione domiciliare nei confronti del condannato
 che si trovi agli arresti domiciliari al  momento  del  passaggio  in
 giudicato  della  sentenza  di  condanna.  Il procedimento cosi' come
 disciplinato, a parere di questo collegio, viola le norme di cui agli
 artt. 24, 3 e 27 della Costituzione.
   Il comma 10, dell'art. 656 c.p.p., cosi' come  novellato  dall'art.
 1  della legge n. 165/1998, stabilisce che nella situazione di cui al
 comma 5 dell'art. cit. (pena detentiva, anche se costituente  residuo
 di  maggiore pena, non superiore a tre anni ovvero a quattro anni nei
 casi di cui agli artt. 90 e 94 del d.P.R. n.  309/1990  e  successive
 modificazioni),  se  il  condannato si trova agli arresti domiciliari
 per il fatto oggetto della condanna da espiare,  il  p.m.    sospende
 l'esecuzione  dell'ordine  di carcerazione e trasmette gli atti senza
 ritardi  al  tribunale  di  sorveglianza  perche'   provveda   "senza
 formalita'" all'eventuale applicazione della misura alternativa della
 detenzione  domiciliare".  Il meccanismo previsto risulta eccezionale
 sotto  un  duplice  profilo:  1)  la  decisione  del   tribunale   di
 sorveglianza   che   ne   consegue   rientra   nella   categoria  dei
 provvedimenti adottati con procedimento de plano, 2)  la  sospensione
 dell'ordine di esecuzione (fatti salvi i casi di esclusione oggettiva
 per  i  condannati per i reati di cui all'art. 4-bis ord. pen., quale
 si evince dal richiamo ai  commi  5  e  9  lett.  a),  ricorrendo  le
 condizioni  di cui al comma 5 dell'art. 656 cit., e' obbligatoria per
 il p.m. e va  disposta  ex  officio,  pertanto  senza  la  preventiva
 istanza dell'interessato.
   La questione come sopra posta non e' manifestamente infondata ed e'
 rilevante per la decisione del  caso di specie.
   Art. 24 della Costituzione.
   La  legge  di  delegazione 16   febbraio 1987, n. 81, come la Corte
 costituzionale ha gia' avuto modo di precisare con sentenza n. 53 del
 '93,  "...   nella   fase   dell'esecuzione,   con   riferimento   ai
 provvedimenti    concernenti    le    pene,    impone   garanzie   di
 giurisdizionalita' consistenti nella necessita' del contraddittorio e
 nell'impugnabilita' dei provvedimenti.    Finalita'  del  legislatore
 delegante  e' il rispetto integrale delle garanzie costituzionali del
 diritto di difesa e della tutela della liberta' personale anche nella
 fase esecutiva della pena ...".
   E' evidente come la norma che ne occupa (comma 10, art. 656 c.p.p.)
 sotto   quest'aspetto  costituisca  un  passo  indietro  rispetto  ai
 principi  informatori  della  legge  di  delegazione  e  del  sistema
 vigente.  Il  procedimento  de  quo, infatti, e' privo delle garanzie
 proprie  della  giurisdizionalita'  del   procedimento,   quali,   in
 particolare, la vocatio in jus e il contraddittorio delle parti, solo
 in  presenza dei quali e' esercitabile in maniera piena il diritto di
 difesa nonche' quello di tutela della liberta' personale.
   Una prima lettura della norma induce a ritenere che il procedimento
 ivi descritto ponga in una posizione  di  vantaggio  chi,  trovandosi
 nelle  condizioni  di  cui  agli  artt.  274  e  275  cod. proc. pen.
 (relativi alla fase  di  cognizione)  al  momento  del  passaggio  in
 giudicato  della  sentenza,  permanga,  nello  stato  privativo della
 liberta' personale nel  quale  si  trova,  fino  alla  decisione  del
 tribunale  di  sorveglianza.    Il  tempo corrispondente e', infatti,
 considerato come pena espiata a tutti gli effetti.
   Un  esame  piu'  approfondito  della  norma   e   l'interpretazione
 sistematica  della  stessa evidenziano, tuttavia, i pregiudizi che il
 meccanismo descritto puo' causare al condannato.
   Principalmente,   la   sospensione   ex   officio   dell'esecuzione
 dell'ordine  di carcerazione ad opera del p.m. in presenza dei limiti
 di pena  di  cui  al  comma  5  dell'art.  656  cit.  e  degli  altri
 presupposti  specifici  preclude  al  condannato  la  possibilita' di
 presentare  un'istanza  per  una  misura   alternativa   diversa   e,
 soprattutto,  meno afflittiva. Questo aspetto assume maggiore rilievo
 se si ha riguardo alla peculiarita' dei presupposti in  presenza  dei
 quali   l'imputato  puo'  essere  ammesso,  durante  il  procedimento
 cognitivo, agli arresti domiciliari e,  nella  fase  dell'esecuzione,
 alla  detenzione  domiciliare. Ed infatti, in assenza di una perfetta
 specularita' tra l'una  e  l'altra  condizione,  il  condannato  agli
 arresti  domiciliari  potrebbe:  - a) nutrire maggiori aspettative in
 merito ad una misura alternativa diversa da quella  di  cui  all'art.
 47-ter,  ord.  pen.,  ovvero  soltanto  maggiore  interesse,  volendo
 intraprendere o proseguire  un'attivita'  lavorativa  o,  ancora,  un
 programma  terapeutico,  in presenza di problematiche riconnesse allo
 stato di  tossicodipenza;  -  b)  laddove  la  pena  a  eseguire  sia
 superiore  al  limite  dei  due  anni  (fattispecie di cui al comma 1
 dell'art.   47-ter, ord. pen), integrare gli  atti  che  il  p.m.  e'
 tenuto  a  trasmettere  al tribunale di sorveglianza per la decisione
 sull'eventuale concessione della detenzione  domiciliare,  contributo
 documentale che, del resto, solo l'interessato e' in grado di fornire
 (basti  pensare  all'aggravarsi  di  una patologia, ad una gravidanza
 sopravvenuta o al caso del genitore, esercente la patria potesta', di
 prole di eta' inferiore ai dieci anni non affidabile a terzi).
   In altri termini, soltanto la  partecipazione  al  procedimento  di
 sorveglianza   pone   il   condannato   in  condizione  di  sostenere
 adeguatamente le proprie ragioni.
   Gli effetti penalizzanti e lesivi del diritto di difesa e di tutela
 della liberta' personale sono piu' evidenti in caso di  decisione  di
 rigetto  del  tribunale di sorveglianza, all'esito di un procedimento
 che non abbia visto la partecipazione dell'interessato,  giacche'  il
 comma  7  dello  stesso  art.  656  stabilisce  che  "la  sospensione
 dell'esecuzione per la stessa condanna non puo' essere disposta  piu'
 di  una  volta  anche se il condannato ripropone nuova istanza sia in
 ordine a diversa misura  alternativa,  sia  in  ordine  alla  medesim
 diversamente motivata ...".
   Le  osservazioni  fin qui svolte, d'altra parte, non sembra possano
 trovare una risposta nel richiamo al comma  4,  dell'art.  667  c.p.p
 (Dubbio  sull'identita'  fisica  della  persona  detenuta), norma che
 attribusce al giudice dell'esecuzione la possibilita'  di  provvedere
 senza  formalita',  con  ordinanza  comunicata  al  p.m. e notificata
 all'interessato.   Contro l'ordinanza  possono  proporre  opposizione
 davanti  allo  stesso giudice il p.m.  l'interessato e il difensore e
 in tal caso si provvede ai sensi dell'art. 666.
   Il procedimento  descritto  costituisce,  infatti,  un'eccezione  a
 quello delineato dall'art. 666., il quale trova ingresso solo ove sia
 stata  proposta opposizione nei termini di legge. Pertanto il ricorso
 alla procedura semplificata rende  necessario  il  richiamo  espresso
 alla  norma  che  la  disciplina,  che  trova applicazione in ipotesi
 tassative,  come  quelle  di  cui   all'art.   672,   relativo   alla
 applicazione   dell'amnistia  e  dell'indulto,  e  all'art.  676  che
 contempla le altre competenze del giudice dell'esecuzione.
   Art. 27 della Costituzione.
   Finalita' peculiare del procedimento di sorveglianza e'  quella  di
 incidere  sulle  modalita'  di  esecuzione della pena, avuto riguardo
 alla funzione rieducativa  sottesa  alla  privazione  della  liberta'
 personale  del  condannato.  La  pena  cosi'  personalizzata  mira  a
 favorire il percorso  rieducativo  e  risocializzante  di  chi  abbia
 violato  le  regole della convivenza civile. Il sistema sanzionatorio
 vigente    e'    caratterizzato     dalla     giurisdizionalizzazione
 dell'esecuzione  della pena: la decisione sulle questioni inerenti la
 condizione di un soggetto che sia stato o  stia  per  essere  privato
 della  liberta'  personale,  nonche' sull'adozione di provvedi'inenti
 particolarmente incisivi, quale l'adozione di una misura  alternativa
 alla  detenzione, viene presa all'esito del procedimento disciplinato
 dagli artt. 666 e 678 del  c.p.p., che contemplano il contraddittorio
 tra l'organo del p.m. e l'interessato, con le garanzie della  difesa.
 Il  tribunale  di  sorveglianza  decide  valutate  le  motivazioni di
 entrambe le  parti,  nonche'  risultati  dell'inchiesta  dei  servizi
 sociali e degli organi di p.s.
   La questione sulla quale il tribunale di sorveglianza e' chiamato a
 pronunciarsi  senza  formalita'  per  effetto  della  trasmissione ex
 officio degli atti da parte del p.m., ai sensi del comma 10 dell'art.
 656 cit., alla luce dei principi informatori del sistema indicati  in
 premessa,  non  offre  sufficienti  garanzie in merito alla finalita'
 rieducativa della pena. In altri termini,  nel  caso  di  specie,  la
 decisione,  positiva  o  negativa,  sull'ammissione  alla  detenzione
 domiciliare viene determinata automaticamente dallo  stato  privativo
 della  liberta' personale in cui si trova al momento del passaggio in
 giudicato della  sentenza  il  condannato  e  non  dalla  valutazione
 complessiva  della  situazione  personale,  familiare e sociale dello
 stesso. Questi, infatti, in presenza delle condizioni di cui al comma
 5 dello stesso  articolo  e  dei  requisiti  oggettivi  e  soggettivi
 richiesti  dalla  legge,  ben  potrebbe  essere  avviato  al graduale
 recupero alla legalita' mediante una  misura  alternativa  diversa  e
 piu' idonea a raggiungere questo scopo.
   D'altra  parte,  l'espressione usata nella norma ("...all'eventuale
 applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare.")
 a ben vedere, non consente interpretazioni meno rigorose,  nel  senso
 cioe'  che  l'eventualita' possa riferirsi anche alla possibilita' di
 concedere  una  misura  alternativa diversa da quella di cui all'art.
 47-ter.
   Invero, se la norma attribuisse al  tribunale  di  sorveglianza  la
 possibilita'   di   provvedere   con  l'applicazione  di  una  misura
 alternativa  diversa  dalla  detenzione   domiciliare,   laddove   ne
 ricorressero  le condizioni di legge, e' evidente che si tratterebbe,
 nella maggior parte dei casi, di una decisione presa, per cosi' dire,
 "al buio".   Ed infatti, trattandosi  di  un  provvedimento  adottato
 senza  formalita',  da  un  lato, poco o nulla va ad aggiungersi agli
 atti trasmessi dall'ufficio del p.m.  (provvedimenti  attinenti  alla
 liberta'   personale,  sentenza  di  condanna,  precedenti  penali  e
 procedimenti in corso), tenuto conto anche della celerita'  che,  per
 volonta'   legislativa,   caratterizza   il   procedimento   de  quo;
 dall'altro, la decisione del collegio potrebbe non  essere  accettata
 dall'interessato   che   non   intenda   sottoporsi   a   determinate
 prescrizioni.
   Art. 3 della Costituzione.
   La norma che  questo  tribunale  di  sorveglianza  e'  chiamato  ad
 applicare  al  caso  di  specie  determina, infine, una disparita' di
 trattamento tra chi, trovandosi agli arresti domiciliari  al  momento
 del  passaggio  in  giudicato  della sentenza, sia stato condannato a
 pena detentiva non superiore a tre o quattro anni e chi, pur  dovendo
 espiare  la  stessa  pena,  sia  libero  al  momento  della  condanna
 definitiva.
   Soltanto quest'ultimo, infatti, entro trenta giorni dalla  consegna
 dell'ordine  di  esecuzione,  potra':  1)  richiedere  la sospensione
 dell'esecuzione della pena con la contestuale  istanza  della  misura
 alternativa alla detenzione che, a proprio opinabile giudizio, meglio
 risponda  alla  concreta  situazione  personale,  familiare, sociale;
 nonche' rispetto alla quale  abbia  maggiori  aspettative  circa  una
 decisione  favorevole, avuto riguardo alla natura del reato commesso,
 all'entita' della pena da espiare in  concreto,  alla  sussistenza  o
 meno  di  precedenti penali ecc.. 2) avvalersi a tal fine di tutte le
 garanzie del procedimento di sorveglianza di cui agli artt. 666 e 678
 c.p.p.
   In altri termini, al  condannato  agli  arresti  domiciliari  viene
 negato  il  diritto ad un giudizio pieno di merito e ad una pronuncia
 su una misura alternativa diversa dalla detenzione domiciliare.
   La discriminazione viene evidenziata dalla preclusione  di  cui  al
 comma  7  dell'art.  656 cit. in virtu' della quale al condannato cui
 sia stata negata la detenzione domiciliare con la procedura di cui al
 comma  10  cit.  non  e'  dato  ripresentare  una  nuova  istanza  di
 sospensione,  sia  in  ordine  a  diversa  misura alternativa, sia in
 ordine alla medesima, diversamente motivata.
   La porta innovativa  della  normativa  consiste  proprio  nell'aver
 eliminato  dal  sistema la reiterazione delle istanze di sospensione,
 che rendeva di fatto ineseguibile l'esecuzione della  pena  detentiva
 anche  dopo  la  decisione  definitiva del tribunale di sorveglianza,
 nonostante la quale l'interessato poteva ancora  presentare  al  p.m.
 una  nuova  istanza  di sospensione dell'ordine di esecuzione per una
 misura alternativa di altra specie, ovvero della  stessa  specie,  ma
 con diversa motivazione.
   Cio'   premesso,   ne   consegue   che  l'espressione  "istanza  di
 sospensione" non puo' non ricomprendere anche il caso che ne  occupa,
 che prevede l'impulso ex officio del procedimento.
   Ed  invero  un'interpretazione  diversa, da un lato, contrasterebbe
 con la  volonta'  del  legislatore  di  eliminare  i  difetti  teste'
 descritti  del  sistema  previgente;  dall'altro,  non terrebbe conto
 degli effetti dell'attivita' del p.m., peraltro  obbligatoria  attesa
 la  perentorieta'  dell'espressione usata nel testo, equiparati sotto
 ogni aspetto alle ipotesi in cui  si  proceda  per  iniziativa  della
 parte.
   Ne'   la   difformita'  di  trattamento  puo'  essere  giustificata
 dall'esigenze  custodialistiche  derivanti  dalla  presunta  maggiore
 pericolosita'  sociale di chi si trova in stato di custodia cautelare
 presso il proprio domicilio.
   In primo luogo, perche' al  condannato  agli  arresti  domiciliari,
 alla   luce   di   un'interpretazione  sistematica  delle  norme,  e'
 riservato, a ben vedere, un trattamento  meno  favorevole  di  quello
 previsto  per  il  condannato  che  sia  in  carcere  al  momento del
 passaggio in giudicato della sentenza.
   Quest'ultimo, infatti, avendo avuto inizio l'esecuzione della pena,
 potra'   repentinamente    presentare    istanza    di    sospensione
 dell'esecuzione  stessa al magistrato di sorveglianza in attesa della
 decisione del collegio sul beneficio richiesto, avvalendosi di  tutte
 le garanzie del procedimento di sorveglianza.
   In    secondo    luogo,    perche'   di   una   siffatta   esigenza
 (custodialistica) si  perde  traccia  allorche'  al  condannato  agli
 arresti domiciliari, cui sia stata concessa la detenzione domiciliare
 con  le modalita' di cui al comma 10 cit. (si pensi ai casi in cui la
 concessione della misura sia quasi  automatica  trattandosi  di  pene
 inferiori  al  due  anni  e in assenza di reati ostativi ) e' data la
 possibilita' di presentare istanza al tribunale di  sorveglianza  per
 una  misura  alternativa  diversa  da  quella di cui all'art. 47-ter,
 senza la previsione di un periodo di osservazione  e  verifica  della
 condotta in detenzione domiciliare.
   Le   osservazioni  svolte  fin  qui  vogliono  evidenziare  la  non
 manifesta infondatezza della questione.
   Quanto alla rilevanza della stessa, se  la  questione  e'  fondata,
 questo   collegio  potra'  decidere  all'esito  del  procedimento  di
 sorveglianza disciplinato dagli arrt.  666  e  678  c.p.p.,  che  da'
 all'interessato  il  diritto  ad  un giudizio pieno di merito, cui lo
 stesso puo' partecipare, assistito dal difensore,  per  sostenere  le
 proprie ragioni con l'apporto documentale che riterra' necessario.
   D'altro  canto,  questo  tribunale  potra' predisporre le attivita'
 istruttorie ammesse in quel procedimento, per giungere alla decisione
 piu' rispondente, a  proprio  giudizio,  alla  finalita'  rieducativa
 della pena, alla salvaguardia del diritto alla salute del condannato,
 all'esigenza di tutela della collettivita'.
   In  caso contrario, la decisione sara' presa de plano, sulla scorta
 degli atti trasmessi dal p.m. (stato d'esecuzione della  sentenza  di
 condanna,  cartella  personale  del detenuto, certificato penale) nei
 limiti della valutazione sulla idoneita' al caso di specie della sola
 detenzione domiciliare.
                               P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 illegittimita' costituzionale, per contrasto con gli artt. 24, 27 e 3
 della Costituzione del comma 10  dell'art. 656 c.p.p. come modificato
 dalla legge n.  165/1998,  laddove  prescrive  che  il  tribunale  di
 sorveglianza  provveda  senza  formalita'  all'eventuale applicazione
 della misura alternativa della detenzione domiciliare  nei  confronti
 di condannato che si trovi agli arresti domiciliari.
   Sospende la procedura in corso.
   Dispone    la   trasmissione   dei   relativi   atti   alla   Corte
 costituzionale.
   Manda alla cancelleria per gli avvisi e le notifiche di rito.
     Napoli, addi' 13 luglio 1998
                       Il presidente: Donatiello
                                    Il magistrato estensore: Bonfiglio
 98C1295