N. 382 SENTENZA 23 - 27 novembre 1998

 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e regione.
 
 Processo  penale - Regione Veneto - Consigliere regionale invitato a
 presentarsi quale indagato da parte della  procura  della  Repubblica
 presso  la  pretura  circondariale di Venezia - Presunta interferenza
 dell'autorita' giudiziaria in  ordine  all'esercizio  delle  funzioni
 consiliari - Emissione dell'atto di invito - Non spettanza allo Stato
 - Annullamento dell'atto oggetto di censura.
 
(GU n.48 del 2-12-1998 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI
 MODONA,  prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel giudizio promosso con ricorso della regione Veneto, notificato il
 21  aprile  1997  e  depositato  in Cancelleria il 29 successivo, per
 conflitto  di  attribuzione  sollevato  a   seguito   dell'invito   a
 presentarsi,  indirizzato  - in data 26 novembre 1996 - dalla Procura
 della Repubblica  presso  la  Pretura  circondariale  di  Venezia  al
 Consigliere  della  regione  Veneto Ivo Rossi, per essere interrogato
 come persona sottoposta ad indagini (ex artt.  370,  375  e  549  del
 codice  di procedura penale), in ordine al "reato di cui all'art. 361
 del codice penale perche' nella sua qualita'  di  pubblico  ufficiale
 ...  ometteva di denunciare all'autorita' giudiziaria il reato di cui
 all'art.    727    del   codice   penale   presumibilmente   commesso
 dall'Associazione tutela animali di Galzignano", ed iscritto al n. 26
 del registro conflitti 1997;
   Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1998 il giudice  relatore
 Massimo Vari;
   Uditi  gli  avvocati  Luigi Manzi e Mario Bertolissi per la regione
 Veneto.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Con ricorso notificato il 21 aprile 1997 (R. Confl. n. 26 del
 1997),  la  regione  Veneto  ha  impugnato,   "per   regolamento   di
 competenza",  l'atto  indirizzato,  in  data  26 novembre 1996, dalla
 Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale  di  Venezia
 ad  un  consigliere  regionale,  onde  invitarlo  a  presentarsi  per
 l'interrogatorio, quale persona sottoposta ad indagini (ex artt. 370,
 375 e 549 cod. proc.  pen.) in ordine a  fatti  rientranti  nell'art.
 361 cod. pen., per aver omesso, nella qualita' di pubblico ufficiale,
 di  denunciare all'Autorita' giudiziaria il reato di cui all'art. 727
 cod.  pen.  (maltrattamento  di  animali),  presumibilmente  commesso
 dall'ATA (Associazione tutela animali) di Galzignano.
   2.  -  Premette la regione Veneto che, in data 27 febbraio 1996, il
 predetto consigliere aveva presentato un'interpellanza  alla  Giunta,
 chiedendo  di  rendere note le iniziative prese al fine di assicurare
 l'applicazione della legge regionale  n.  60  del  1993,  concernente
 "Tutela  degli  animali  d'affezione  e  prevenzione del randagismo",
 atteso  che,  secondo  quanto  riportato  dalla  stampa,   si   erano
 verificate carenze nel servizio di controllo sanitario sull'attivita'
 di  raccolta  di  cani  randagi,  effettuata dall'Associazione tutela
 animali di Galzignano.
   Secondo  la  regione,  non  vi  sarebbe  dubbio  che,   considerata
 l'articolazione  temporale  degli  eventi come pure la loro relazione
 causale, detto invito a comparire sia da porre in diretta connessione
 con la predetta interpellanza, in quanto proprio il  contenuto  della
 stessa  rivela la conoscenza di una probabile notitia criminis la cui
 omessa denuncia ha determinato l'avvio delle indagini per il reato di
 cui all'art.   361 cod.  pen.  Di  qui  la  lamentata  lesione  delle
 prerogative  di  liberta'  di valutazione e di decisione spettanti al
 consigliere regionale, con violazione dell'art.  122,  quarto  comma,
 della  Costituzione,  e,  di  riflesso,  anche degli artt. 121 e 123,
 poiche' la compressione della liberta'  di  opinione  e  di  voto  si
 rifletterebbe  negativamente  sull'intera  organizzazione dell'ente e
 sull'esercizio delle relative funzioni.
   Con riguardo alla portata delle guarentigie fissate dall'art.  122,
 quarto  comma,  della  Costituzione,  la  ricorrente  rammenta che la
 giurisprudenza   costituzionale,   dopo   aver   affermato   che   le
 attribuzioni  dei  consigli regionali si inquadrano nell'esplicazione
 di autonomie costituzionalmente garantite, ha, altresi', ribadito che
 l'esonero da responsabilita' dei componenti dell'organo in  questione
 va  visto  come funzionale alla tutela delle piu' elevate funzioni di
 rappresentanza politica,  in  primis  quella  legislativa,  volendosi
 garantire  da  qualsiasi  interferenza  la  libera  formazione  della
 volonta' politica.
   Precisato che nell'ambito  dell'immunita',  di  cui  alla  predetta
 disposizione,  vanno  ricomprese,  oltre  alla  funzione legislativa,
 anche quelle  di  indirizzo  politico  e  di  controllo,  nonche'  di
 autorganizzazione  interna, il ricorso, nel ripercorrere l'evoluzione
 della  giurisprudenza  costituzionale,  sostiene  che l'immunita' dei
 consiglieri coprirebbe  senz'altro  "le  questioni  poste  attraverso
 interrogazioni, interpellanze, mozioni, risoluzioni ed altri analoghi
 istituti,  quando  questi  ineriscano  -  come  nel  caso all'esame -
 all'esercizio di competenze consiliari".
   3. - Quanto alla vicenda che ha dato luogo al conflitto, ad  avviso
 della ricorrente l'interpellanza presentata dal consigliere regionale
 indagato  configurerebbe  uno dei modi in cui si estrinseca, in forma
 non legislativa, la funzione di indirizzo politico e di controllo del
 Consiglio sulla Giunta regionale, dovendosi, da  un  lato,  escludere
 che  si  verta  nell'ambito  di  "fatto materiale", non coperto dalla
 clausola costituzionale di cui  all'art.  122,  quarto  comma,  della
 Costituzione, e, dall'altro, considerare che il consigliere regionale
 si e' attivato nell'esercizio di una competenza propria.
   Rilevato  che,  diversamente  ragionando,  la funzione di indirizzo
 politico e  di  controllo  del  consigliere  regionale  (e,  per  suo
 tramite,  del  Consiglio)  sulla  Giunta rimarrebbe frustrata, se non
 altro, per il timore di incorrere in  omissioni  rilevanti  sotto  il
 profilo  penale,  la  ricorrente chiede che la Corte dichiari che non
 spetta allo  Stato  (e  per  esso  alla  Procura  presso  la  Pretura
 circondariale  di  Venezia)  emettere  atti  di invito a presentarsi,
 finalizzati all'accertamento  di  responsabilita'  penale  per  fatti
 ricompresi  nell'area di operativita' dell'art. 122, quarto comma, e,
 suo tramite, degli artt. 121 e 123  della  Costituzione  e  che,  per
 l'effetto, annulli l'atto di invito indicato in epigrafe.
   4. - Con memoria difensiva, depositata nell'imminenza dell'udienza,
 la regione Veneto ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
   Nel  rilevare  che,  probabilmente, nel caso di specie, l'Autorita'
 giudiziaria ha omesso di inquadrare esattamente l'art. 357 cod.  pen.
 nell'ambito  del  sistema  costituzionale,  la  ricorrente  prospetta
 l'eventualita' che, anche in ragione dell'enorme disordine normativo,
 il  consigliere  regionale,  venendo  a  conoscenza  di  continuo  di
 fattispecie penalmente rilevanti, di fatto "sia investito di addebiti
 che lo privano di significative potenzialita' in ordine all'efficacia
 della funzione di controllo".
   Osservato,  peraltro,  che, nella fattispecie, la tutela apprestata
 al  consigliere  regionale  dall'art.  122,   quarto   comma,   della
 Costituzione  non  collide  con alcun altro valore costituzionalmente
 protetto, in posizione antagonista, la difesa  della  regione  deduce
 che,  nel  caso  in questione, il consigliere regionale ha esercitato
 un'attivita' di controllo politico, che rimane estranea -  in  quanto
 tale - alla nozione di pubblico ufficiale, fissata dall'art. 357 cod.
 pen.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La regione Veneto ha sollevato conflitto di attribuzione nei
 confronti dello Stato, a seguito dell'invito a presentarsi, datato 26
 novembre 1996, rivolto  dalla  Procura  della  Repubblica  presso  la
 Pretura  circondariale  di  Venezia  ad un consigliere regionale, per
 essere interrogato, quale persona sottoposta ad indagini in ordine  a
 fatti  rientranti  nell'art.  361  cod.  pen.,  in  quanto, nella sua
 qualita'  di  pubblico  ufficiale,  avrebbe  omesso   di   denunciare
 all'Autorita'  giudiziaria  il  reato  di cui all'art. 727 del codice
 penale (maltrattamento di animali), presumibilmente commesso dall'ATA
 (Associazione tutela animali) di Galzignano.
   Secondo  la ricorrente detto procedimento va ricollegato, sul piano
 dell'articolazione temporale degli eventi come pure su  quello  della
 loro  connessione, all'interpellanza n. 106 del 27 febbraio 1996, con
 la quale il consigliere indagato, in relazione ad alcune  notizie  di
 stampa,  secondo le quali la competente USL non avrebbe provveduto ad
 effettuare i previsti controlli sanitari, aveva chiesto  alla  Giunta
 regionale  di  rendere note le iniziative prese al fine di assicurare
 l'applicazione della legge regionale  n.  60  del  1993,  concernente
 "Tutela  degli  animali  d'affezione  e  prevenzione del randagismo".
 Presentando  l'interpellanza,   il   predetto   consigliere   avrebbe
 dimostrato  di  essere a conoscenza di una probabile notitia criminis
 la cui omessa  denuncia  avrebbe  determinato  l'avvio  dell'indagine
 giudiziaria,  della  quale  si duole la regione, ritenendola invasiva
 delle prerogative garantite ai  componenti  del  Consiglio  regionale
 dall'art.  122,  quarto  comma,  della  Costituzione, nonche', in via
 mediata,  delle  attribuzioni  in  materia  di  organizzazione  e  di
 funzioni  degli  organi,  riconosciute alla regione dagli artt. 121 e
 123 della Costituzione stessa.
   2. - Il ricorso e' fondato.
   3. - Dispone l'art. 122, quarto comma,  della  Costituzione  che  i
 consiglieri  regionali non possono essere chiamati a rispondere delle
 opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.
   Come  rammenta  anche  la   regione   Veneto,   la   giurisprudenza
 costituzionale,  nel  delineare  l'ambito  delle  guarentigie  di cui
 godono i consiglieri stessi, ai sensi della menzionata  disposizione,
 ha  da  tempo  rilevato  (sentenza  n.  81  del  1975)  che  le  loro
 attribuzioni  si  inquadrano  nell'esplicazione  di  autonomie   che,
 benche'  non  attinenti  a profili di sovranita', sono da considerare
 costituzionalmente  garantite.    In  argomento  e'  stato,  inoltre,
 precisato   (sentenze  nn.  69  e  70  del  1985)  che  l'esonero  da
 responsabilita' dei componenti dell'organo va visto come  preordinato
 alla  tutela  delle  funzioni  di  rappresentanza politica, in primis
 quella legislativa, il cui esercizio si e' ritenuto di  sottrarre  al
 controllo giudiziario, al fine di garantire da qualsiasi interferenza
 la  libera  formazione  della  volonta' politica. In relazione a tali
 principi la Corte ha considerato ricomprese nel cennato ambito,  come
 risulta delimitato dalla Costituzione e dalle leggi statali, anche le
 funzioni  di  indirizzo  e  quelle  che,  comunque,  si  traducono in
 comportamenti preordinati al controllo politico (sentenze  nn.    209
 del  1994 e 29 del 1966), fra i quali senza dubbio rientrano anche le
 interrogazioni e le  interpellanze,  quali  atti  consiliari  tipici,
 strumentali  -  per l'appunto - al sindacato esercitato dal Consiglio
 nei confronti della Giunta (sentenza n. 274 del 1995).
   4. - Per quanto piu' specificamente attiene all'interferenza  posta
 in   essere,   nel   caso  concreto,  dall'iniziativa  dell'Autorita'
 giudiziaria in ordine all'esercizio delle funzioni  consiliari,  vero
 e' che i fatti oggetto di indagine non riguardano strettamente i voti
 dati  e  le opinioni espresse, bensi' elementi di conoscenza di fatti
 penalmente  rilevanti,  che  il  componente  dell'organo   regionale,
 secondo   l'Autorita'   procedente,   avrebbe   avuto   l'obbligo  di
 denunciare. Tuttavia e' da ritenere che, se alla sfera di garanzia ex
 art. 122 restano estranei i comportamenti  del  consigliere  che  non
 possono  considerarsi  espressione  delle  attribuzioni proprie della
 carica  (sentenza  n.  432  del  1994),  sarebbe, peraltro, riduttivo
 ritenere che la funzione di rappresentanza politica, garantita  dalla
 citata  disposizione,  si  risolva  negli  atti  tipici. In tal senso
 depone l'orientamento espresso, recentemente, da questa Corte in tema
 di immunita' parlamentare, evidenziando il nesso funzionale  che,  in
 presenza  di  attivita' oggetto di indagine penale, rende operante la
 prerogativa dell'art. 68 della  Costituzione  (sentenza  n.  289  del
 1998).   Tale  orientamento,  nonostante  la  diversa  posizione  dei
 componenti  delle  Camere  rispetto  ai   componenti   dei   consigli
 regionali,  appare  estensibile  al  caso  qui  in  esame,  a  fronte
 dell'analogo tenore, per entrambe le  categorie,  della  disposizione
 sull'irresponsabilita'  per  le  opinioni  espresse  ed  i  voti dati
 nell'esercizio  delle  funzioni.  Il  che  porta  conclusivamente   a
 ritenere   che,   nell'ambito  dell'art.  122,  quarto  comma,  della
 Costituzione,  rientrino  non  solo  le  attivita'  nelle  quali   si
 estrinseca  il  diritto  di  interrogazione  o  di interpellanza, ma,
 altresi', gli elementi conoscitivi utilizzati ai fini  dell'esercizio
 di  quel  diritto  e  che si pongono in funzionale connessione con il
 medesimo.
   L'interpellanza,  infatti,  non  e'  che   una   domanda,   rivolta
 all'Esecutivo  in sede di sindacato ispettivo-politico, per conoscere
 i motivi o gli intendimenti della condotta del medesimo, sulla scorta
 anche  di  circostanze  delle  quali  il   rappresentante   venga   a
 conoscenza, e per trarne eventuali conseguenze politiche.
   E',  percio',  palese  che  la  Procura  della Repubblica presso la
 Pretura di Venezia con la sua iniziativa - pur  facendo  riferimento,
 formalmente, non gia' all'interpellanza presentata, ma ad elementi di
 conoscenza ad essa preesistenti e da essa risultanti (e senza che sia
 necessario  affrontare  qui  il  problema  della  qualificazione  del
 consigliere regionale  come  pubblico  ufficiale,  quando  acquisisca
 notizie  di  reato  al  di  fuori  dell'esercizio  delle sue funzioni
 pubbliche) - ha in sostanza sottoposto a  sindacato,  indirettamente,
 proprio   il   contenuto   dell'atto   di  esercizio,  da  parte  del
 consigliere, della sua funzione di controllo politico.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara che non spetta allo Stato, e per esso alla  Procura  della
 Repubblica  presso  la  Pretura circondariale di Venezia, di emettere
 l'atto di invito a presentarsi, di cui in  epigrafe,  indirizzato  al
 consigliere  regionale, indagato per il reato di cui all'art. 361 del
 codice penale, e, conseguentemente, annulla detto atto.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 novembre 1998.
                        Il Presidente: Vassalli
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 27 novembre 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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