N. 456 SENTENZA 16 - 30 dicembre 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Ambiente - Tutela del -  Trattamento  sanzionatorio  penale  -  Reati
 contravvenzionali   -  Depenalizzazione  -  Presunta  violazione  dei
 criteri e dei principi  direttivi  della  delega  -  Insussistenza  -
 Discrezionalita' legislativa - Non  fondatezza.
 
 (D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 52).
 
 (Cost., artt. 76 e 77).
 
(GU n.2 del 13-1-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,   prof.
 Cesare MIRABELLI,  prof. Fernando SANTOSUOSSO,   avv.  Massimo  VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,    dott.  Riccardo  CHIEPPA,    prof. Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,   prof.  Carlo  MEZZANOTTE,    avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,   prof. Piero Alberto
 CAPOTOSTI,  prof.  Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 52 del  decreto
 legislativo  5  febbraio  1997,  n.  22  (Attuazione  delle direttive
 91/156/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e  sui
 rifiuti di imballaggio), promosso con ordinanza emessa il 16 dicembre
 1997  dal  pretore  di Roma, iscritta al n. 71 del registro ordinanze
 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  8,
 prima serie speciale, dell'anno 1998;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del  28  ottobre  1998  il  giudice
 relatore Valerio Onida;
                            Ritenuto in fatto
   1.  -  Con ordinanza emessa il 16 dicembre 1997, pervenuta a questa
 Corte il 23 gennaio 1998, il pretore di Roma ha  sollevato  questione
 di  legittimita'  costituzionale, per contrasto con gli artt. 76 e 77
 della Costituzione in relazione all'art.  2,  comma  1,  lettera  d),
 della  legge 22 febbraio 1994, n. 146 (Disposizioni per l'adempimento
 di obblighi derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'
 europee   -   legge  comunitaria  1993),  dell'art.  52  del  decreto
 legislativo 5  febbraio  1997,  n.  22  (Attuazione  delle  direttive
 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE
 sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio).
   Il  remittente espone che i reati contravvenzionali per cui procede
 omessa o irregolare  tenuta  di  registri  di  carico  e  scarico  di
 rifiuti,  e  omessa comunicazione nei termini di legge alle autorita'
 competenti della qualita' e quantita' di rifiuti prodotti o  smaltiti
 -  erano previsti come tali e sanzionati dall'art. 9-octies del d.-l.
 n. 397 del 1988, convertito dalla legge n. 475 del  1988;  e  che  e'
 pero'  sopravvenuto  l'art. 52 del d.lgs. n. 22 del 1997, il quale ha
 invece   configurato   le   medesime    condotte    quali    illeciti
 amministrativi.
   Tale  depenalizzazione  sarebbe,  ad  avviso  del  giudice a quo in
 contrasto con gli artt. 76 e 77  della  Costituzione  in  quanto  non
 rispondente   ai   principi  e  criteri  direttivi  della  delega,  e
 precisamente al disposto dell'art. 2,  comma  1,  lettera  d),  della
 legge  n. 146 del 1994, che stabilisce i criteri direttivi in tema di
 sanzioni per le violazioni delle norme dei decreti che il Governo era
 delegato ad adottare per l'attuazione delle direttive comunitarie  di
 cui all'art. 1 e all'allegato A della medesima legge.
   In  particolare,  mentre detto art. 2, lettera d), fa espressamente
 "salva  l'applicazione  delle  norme  penali  vigenti"   al   momento
 dell'entrata  in  vigore  della  stessa  legge,  la  norma denunciata
 avrebbe violato  tale  criterio  prevedendo  come  semplici  illeciti
 amministrativi condotte gia' penalmente sanzionate.
   In  secondo  luogo,  il  remittente osserva che il medesimo art. 2,
 lettera d), stabilisce che le sanzioni  penali,  entro  i  limiti  di
 specie  e di entita' indicati, saranno previste "solo nei casi in cui
 le infrazioni  ledano  o  espongano  a  pericolo  interessi  generali
 dell'ordinamento  interno del tipo di quelli tutelati dagli artt.  34
 e 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689". Ora, le violazioni  delle
 norme  in  materia  di tenuta e compilazione dei registri di carico e
 scarico dei rifiuti determinerebbero la lesione o almeno esporrebbero
 a pericolo l'interesse generale dell'ordinamento interno - ricompreso
 in quelli indicati nella legge di delega, attraverso  il  richiamo  a
 soli  fini  esemplificativi agli artt. 34 e 35 della legge n. 689 del
 1981 - alla tutela dell'ambiente inteso come bene  unitario  distinto
 dai  singoli  beni  che  lo  compongono:  infatti  la ottemperanza ad
 obblighi, apparentemente solo formali, inerenti ai registri di carico
 e scarico dei rifiuti,  si  porrebbe  come  fondamentale  presupposto
 nella prospettiva del controllo e della corretta gestione di sostanze
 che,  se non adeguatamente classificate e trattate, possono cagionare
 seri danni ambientali.
   Il giudice a quo osserva  infine  che  la  eventuale  pronuncia  di
 incostituzionalita'    della    disposizione    denunziata   non   si
 configurerebbe come una pronuncia additiva preclusa a  questa  Corte,
 ma determinerebbe solo la caducazione della norma in contrasto con la
 Costituzione,   "con   la   conseguente   reviviscenza  del  precetto
 previgente o comunque con il conseguente spianamento della strada  al
 legislatore  per  riformulare  il  predetto  precetto  sulla base dei
 confini gia' delineati dal Parlamento nella legge delega".
   2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  chiedendo  che la questione sia dichiarata inammissibile o
 comunque infondata.
   Secondo  l'Avvocatura  erariale,  il  recepimento  delle  direttive
 comunitarie  in  materia  ha  comportato  una riscrittura dell'intero
 sistema di disciplina della materia dei rifiuti, donde  l'abrogazione
 delle  norme,  anche penali, preesistenti. Sarebbe dunque venuta meno
 sul piano formale  e  su  quello  sostanziale  la  continuita'  delle
 fattispecie  criminose,  dando per scontata la quale il remittente ha
 ritenuto  violati i principi e i criteri direttivi della delega. Cio'
 avrebbe dovuto essere chiarito gia'  in  sede  di  valutazione  della
 rilevanza,  ma diverrebbe profilo decisivo, secondo la giurisprudenza
 di questa Corte, anche in  ordine  alla  fondatezza  della  questione
 prospettata.
   Nel  merito,  la  difesa  del Presidente del Consiglio osserva che,
 accanto al  principio  generale  della  "salvezza"  dell'applicazione
 delle  norme  penali  vigenti,  la  stessa  legge di delega impone la
 riconduzione del sistema al principio di adeguatezza e  offensivita':
 in  relazione  a fattispecie che si esaurirebbero nella violazione di
 un comando posto a tutela di  una  funzione  amministrativa,  dati  i
 criteri   e   indirizzi  stabiliti  dal  Parlamento,  che  consentono
 soluzioni  alternative,  il  legislatore  delegato  godrebbe  di  una
 ragionevole  discrezionalita', nell'ambito di una valutazione globale
 degli strumenti  di  tutela  e  garanzia  utilizzabili.  La  sanzione
 amministrativa,  secondo l'Avvocatura, sarebbe misura piu' efficace e
 tempestiva nei casi sottoposti al giudice a quo.
   Per  contro,  l'accoglimento  della  questione,  quand'anche  fosse
 accertata   la   continuita'   ed   omogeneita'   delle   fattispecie
 disciplinate nel tempo da diverse disposizioni, porrebbe problemi  di
 favor  rei  e  di  rispetto  dell'art.  25 della Costituzione, che la
 ricostruzione del giudice remittente non sembrerebbe risolvere.
                         Considerato in diritto
   1. -   La questione sollevata  riguarda  l'art.  52  del  d.lgs.  5
 febbraio  1997,  n.  22  (Attuazione  delle  direttive 91/156/CEE sui
 rifiuti,  91/689/CEE  sui  rifiuti  pericolosi  e   94/62/CEE   sugli
 imballaggi  e  sui  rifiuti  di  imballaggio),  nel  testo modificato
 dall'art. 7, commi 11, 12 e 13, del d.lgs. 8 novembre  1997,  n.  389
 (Modifiche  ed  integrazioni  al  d.lgs.  5  febbraio 1997, n. 22, in
 materia di rifiuti, di rifiuti pericolosi, di imballaggi e di rifiuti
 di imballaggio), con il quale si  comminano  sanzioni  amministrative
 per  la  violazione  degli  obblighi  di comunicazione alle autorita'
 competenti delle qualita' e  quantita'  di  rifiuti  prodotti  ovvero
 fatti  oggetto  di  determinate  attivita'  (comma  1), nonche' degli
 obblighi relativi alla tenuta dei registri di carico  e  scarico  dei
 rifiuti  (comma  2).  Poiche'  tali  condotte  erano  in  passato  (e
 all'epoca in cui vennero commessi  i  fatti  sottoposti  a  giudizio)
 punite   penalmente,   come   contravvenzioni,   in  forza  dell'art.
 9-octies, comma 3, del d.l. n. 397 del 1988, convertito in legge, con
 modificazioni, dalla legge n. 475 del  1988,  il  giudice  remittente
 dubita   della   legittimita'   costituzionale   della   disposizione
 denunciata,  che,  operando  una  depenalizzazione   delle   condotte
 medesime, avrebbe violato i criteri e principi direttivi della delega
 sulla  cui  base e' stato emanato il d.lgs. n. 22 del 1997, contenuti
 nell'art. 2, comma 1, lettera d) della legge  n.  146  del  1994  (il
 termine  originario  della  delega  di cui all'art. 1, comma 1, della
 legge n. 146 del 1994 venne infatti sostituito dall'art. 6, comma  1,
 della  legge  n.  52 del 1996), e dunque si porrebbe in contrasto con
 l'art. 76 della Costituzione.
   In particolare, la disposta  depenalizzazione,  con  trasformazione
 delle   preesistenti   contravvenzioni  in  illeciti  amministrativi,
 sarebbe in contrasto, da un lato, con il criterio  della  delega  che
 imponeva  di  far  "salva l'applicazione delle norme penali vigenti",
 fra le quali dovrebbe annoverarsi l'art. 9-octies del  d.-l.  n.  397
 del  1988;  dall'altro,  con il criterio secondo cui avrebbero dovuto
 essere assoggettate a sanzioni penali le  infrazioni  che  "ledano  o
 espongano  a pericolo interessi generali dell'ordinamento interno del
 tipo di quelli tutelati  dagli  articoli  34  e  35  della  legge  24
 novembre  1981, n. 68": fra tali interessi sarebbero da ricomprendere
 quelli di  tutela  dell'ambiente,  a  garanzia  dei  quali  sarebbero
 dettati  gli  obblighi  di  comunicazione  e di tenuta di registri in
 materia di rifiuti.
   2. - La questione non e' fondata.
   L'art. 2 della legge n. 146 del 1994 enuncia dei criteri  direttivi
 per  l'attivita' delegata che hanno carattere generale, riferiti come
 sono alla  globalita'  dei  provvedimenti  legislativi  delegati  che
 dovevano  essere  adottati  dal  Governo  per  dare  attuazione  alle
 numerose direttive comunitarie elencate nell'allegato A alla medesima
 legge (aggiungendosi, per singoli gruppi  di  direttive  attinenti  a
 singole materie, criteri piu' specifici dettati in altre disposizioni
 della stessa legge di delega, e cosi', per quanto riguarda la materia
 in  questione,  i  criteri  in  tema  di tutela dell'ambiente, di cui
 all'art. 36, e quelli in tema di rifiuti, di cui all'art. 38).
   In particolare, la lettera d) detta i criteri in ordine alle  norme
 sanzionatorie  che  avrebbero acceduto alla disciplina sostanziale di
 attuazione  delle  diverse  direttive,  con  formule   di   frequente
 impiegate  dal legislatore delegante nelle leggi comunitarie annuali,
 e delle quali questa  Corte  ha  peraltro  gia'  avuto  occasione  di
 sottolineare  in senso critico la scarsa precisione (cfr. sentenza n.
 53 del 1997).
   In questo quadro, l'inciso "salva l'applicazione delle norme penali
 vigenti",  con  cui  si  apre  la  lettera  in  questione,  non  puo'
 intendersi nel senso che fosse precluso alla legislazione delegata di
 incidere  nell'ambito  penale, che', anzi, espressamente si consente,
 "ove  necessario  per  assicurare  l'osservanza  delle   disposizioni
 contenute  nei decreti legislativi", la previsione di sanzioni penali
 oltre  che  amministrative,  entro  definiti  limiti  qualitativi   e
 quantitativi. Ma nemmeno puo' intendersi nel senso che tutte le volte
 che nella legislazione previgente fosse presente una norma contenente
 sanzioni  penali  questa  fosse  intangibile da parte del legislatore
 delegato, cosi' che  la  delega,  in  campo  penale,  potesse  essere
 utilizzata  esclusivamente  per  introdurre nuove incriminazioni, nei
 limiti previsti dalla  stessa  lettera  d)  in  esame.  Cio'  sarebbe
 oltretutto incongruo, poiche' la delega conferita per l'attuazione di
 numerose  direttive  comunitarie  nei  campi  piu' diversi comportava
 necessariamente il potere-dovere del Governo  di  dettare  discipline
 sostanziali  suscettibili di integrarsi con la normativa preesistente
 nella  materia,  innovandola  anche  profondamente  ove  cio'   fosse
 richiesto  dalle  esigenze  di  attuazione delle norme comunitarie, e
 quindi  anche  adattando  le  previsioni  sanzionatorie  alla   nuova
 disciplina sostanziale.
   La  clausola  in  questione  deve piuttosto interpretarsi, in senso
 piu' restrittivo, come intesa a precludere al Governo la possibilita'
 di incidere, traendo per cosi' dire occasione dalla nuova disciplina,
 di origine comunitaria,  di  determinate  materie,  sulla  disciplina
 penale  piu'  generale,  di fonte codicistica o comunque afferente ad
 ambiti e ad interessi che, per quanto  implicati  anche  nella  nuova
 normativa,  in  essa  non si esauriscano. Cio' e' confermato altresi'
 dall'ultimo  inciso  della medesima lettera d) secondo cui il Governo
 aveva il potere di stabilire sanzioni  penali  o  amministrative  "in
 deroga  ai  limiti sopra indicati", cioe' ai limiti stabiliti, quanto
 alle  specie  e  all'entita'  massima  delle  sanzioni,  nei  periodi
 precedenti,  quando  cio'  fosse  necessario  per  disporre  sanzioni
 "identiche a quelle eventualmente gia' comminate dalle leggi  vigenti
 per  violazioni  che  siano  omogenee e di pari offensivita' rispetto
 alle infrazioni" disciplinate dalla legislazione  delegata:  sanzioni
 dunque,   queste   ultime,  previste  dalla  legislazione  previgente
 riguardo ad oggetti diversi da quelli cui la delega si  riferisce,  e
 destinate  a  rimanere  immutate  appunto perche' estranee all'ambito
 della delega.
   Nella specie, non preesisteva alcuna norma penale a carattere  piu'
 generale,  o  parzialmente  estranea all'oggetto della delega. Vi era
 solo la previsione incriminatrice dell'art. 9-octies,  comma  3,  del
 decreto-legge  n.  397  del  1988  -  introdotta  a presidio di nuovi
 obblighi (come quello di comunicazione della qualita' e quantita'  di
 rifiuti  prodotti  o  smaltiti,  previsto dall'art. 3, comma 3, dello
 stesso decreto legge n. 397) ovvero  precedentemente  non  muniti  di
 sanzione  (come  quello  di  tenuta dei registri di carico e scarico,
 gia' previsto dall'art. 19 del d.P.R.  n.  915  del  1982  ed  esteso
 dall'art.  3,  comma  5,  del decreto-legge n. 397 del 1988). Ma tale
 previsione accedeva  alla  disciplina  sostanziale  di  una  materia,
 quella  dei  rifiuti,  pienamente rientrante nell'ambito della delega
 conferita al Governo con l'art.  1 della legge n. 146  del  1994,  la
 quale  si  riferiva  all'attuazione,  fra  l'altro,  di due direttive
 comunitarie (n. 91/156/CEE sui rifiuti, e n. 91/689/CEE  sui  rifiuti
 pericolosi)  a  loro  volta  intese  a  rivedere  largamente l'intera
 disciplina della  materia  dei  rifiuti  contenuta  nelle  precedenti
 normative   comunitarie,   cui  faceva  riferimento  la  preesistente
 legislazione italiana. Onde la delega  si  estendeva  in  sostanza  a
 tutto  l'ambito  investito da tale preesistente legislazione interna,
 come risulta anche dagli specifici criteri e principi  direttivi,  di
 ampia  portata,  stabiliti  dall'art.  38  della  legge  n.  146.  In
 particolare, investiva anche l'ambito coperto dalle norme del decreto
 legge n.  397 del 1988 (contenente "disposizioni urgenti  in  materia
 di  smaltimento dei rifiuti industriali"), le cui disposizioni, non a
 caso,  sono  state  espressamente  abrogate,  in  quanto  superate  e
 sostituite  dalla  nuova  disciplina  del  d.lgs.  n.  22  del  1997,
 dall'art.  56  dello  stesso  decreto  legislativo,  con  le   uniche
 eccezioni   di   alcune   disposizioni  particolari  (art.  7,  sulla
 realizzazione di impianti di smaltimento di iniziativa pubblica; art.
 9, sul personale del Ministero dell'ambiente; art. 9-quinquies  sulla
 raccolta  e  il riciclaggio delle batterie esauste), tra le quali non
 sono compresi ne' l'art.  3,  contenente  la  disciplina  sostanziale
 degli  obblighi  di comunicazione e di tenuta di registri, ne' l'art.
 9-octies che conteneva la norma penale sanzionante detti obblighi.
   In effetti, con il d.lgs n.  22  del  1997  -  sia  nel  suo  testo
 originario,  sia  in  quello successivamente modificato dal d.lgs. n.
 389 del 1997 - la materia  degli  obblighi  di  comunicazione  e  dei
 registri  di  carico  e  scarico  e' stata fatta oggetto di una nuova
 disciplina, che riprende, nelle grandi linee, quella preesistente, ma
 la sostituisce interamente, non senza variazioni. Cosi', a  proposito
 degli obblighi di comunicazione in vista della formazione del catasto
 dei  rifiuti,  la  cui  "riorganizzazione"  e' prevista dall'art. 11,
 comma 1, del d.lgs. n. 22,  e  che  viene  esteso  anche  ai  rifiuti
 urbani,  e'  modificata  l'indicazione  dei soggetti tenuti (non piu'
 solo i produttori o i titolari di impianti di smaltimento di  rifiuti
 industriali,  ma  i  titolari  a titolo professionale di attivita' di
 raccolta e trasporto o di operazioni di smaltimento e di recupero, le
 imprese e gli enti che producono  rifiuti  pericolosi  o  determinate
 categorie   di   rifiuti  derivanti  da  lavorazioni  industriali  ed
 artigianali, con esenzione pero' dei  piccoli  imprenditori  agricoli
 nonche', limitatamente alla produzione di rifiuti non pericolosi, dei
 piccoli  imprenditori  artigiani con non piu' di tre dipendenti: art.
 11, comma 3). La stessa ridefinizione dei soggetti riguarda la  nuova
 disciplina  dei  registri di carico e scarico (art. 12), che e' a sua
 volta collegata e armonizzata con quella del catasto dei  rifiuti,  e
 che   sostituisce   in   toto   con  diverse  innovazioni  e  diffuse
 specificazioni, la preesistente disciplina dell'art. 19 del d.P.R. n.
 915 del 1982 e dell'art. 3, comma 5, del d.-l. n. 397 del 1988.
   In presenza di una nuova compiuta disciplina  dell'intera  materia,
 non  era precluso al legislatore delegato, nell'ambito dei criteri di
 cui all'art. 2, lettera d) della legge n. 146 del 1994,  di  rivedere
 anche l'impianto sanzionatorio che a tale disciplina accede: cio' cui
 ha  appunto  provveduto  l'art.  52 del decreto legislativo in esame,
 stabilendo,  in  relazione  alle  violazioni  degli   obblighi   come
 configurati  dagli  articoli  11  e 12 dello stesso decreto, sanzioni
 amministrative,  variamente  graduate,  specie   con   le   modifiche
 successivamente  recate  dal  d.lgs. n. 389 del 1997, ma contenute in
 ogni caso entro i limiti di cui al predetto art. 2, lettera d), terza
 proposizione, della legge di delega.
   Non puo' dirsi, dunque, violato il criterio della  delega  espresso
 nell'inciso   iniziale   dell'art.   2,  lettera  d)  che  fa  "salva
 l'applicazione delle norme penali vigenti".
   3. - Nemmeno e' violato l'altro criterio della delega,  consistente
 nella indicazione dei tipi di interessi la cui lesione, o esposizione
 a  pericolo,  giustifica  la  previsione  di sanzioni penali anziche'
 amministrative.
   In primo luogo, va osservato che  tale  indicazione  si  configura,
 nella  legge  di delega, come un limite alla facolta' del legislatore
 delegato di stabilire sanzioni penali, piu' che  come  una  direttiva
 che  lo  vincolasse  a  prevedere  siffatte sanzioni. Infatti il piu'
 volte citato art. 2, lettera d), seconda proposizione, stabilisce che
 le sanzioni penali "saranno previste ... solo  nei  casi  in  cui  le
 infrazioni  ledano o espongano a pericolo interessi generali del tipo
 di quelli tutelati dagli articoli 34 e 35  della  legge  24  novembre
 1981,  n.  689". L'intento legislativo di restringere l'impiego delle
 sanzioni penali allo stretto necessario risulta del resto dai  lavori
 preparatori  della  legge  di  delega: nella relazione del Governo al
 disegno di legge si sottolineava come l'art. 2 contenesse fra l'altro
 "una migliore  formulazione  del  criterio  relativo  alle  sanzioni,
 aggiornato  agli  attuali  orientamenti  della politica sanzionatoria
 ispirata a un uso prudente e selettivo della sanzione  penale"  (Atti
 Senato,  XI  legislatura, disegni di legge e relazioni, n. 1381, pag.
 4). Ne' risulta che in sede  di  esame  da  parte  delle  commissioni
 parlamentari  competenti  dello schema di decreto legislativo ai fini
 del prescritto parere sia stato  rilevato  alcuno  scostamento  delle
 previsioni  sanzionatorie  del  decreto  rispetto  ai  criteri  della
 delega: anzi, il relatore, il cui schema di parere fu approvato dalla
 commissione del Senato, osservo' in argomento che "la risposta penale
 non e' la piu' idonea a fare in modo che le  leggi  e  le  norme  che
 regolano  le attivita' di riciclo, recupero e smaltimento dei rifiuti
 siano rispettate:  altri sono i mezzi con cui bisogna intervenire per
 la tutela del territorio,  dell'ambiente  e  della  salute  pubblica"
 (cfr.  Atti  Senato,  XIII  commissione, seduta del 12 novembre 1996,
 pag. 92).
   Il riferimento agli interessi generali "del tipo" di quelli che  il
 legislatore  della legge n. 689 del 1981 aveva individuato ai fini di
 escludere determinate categorie di reati dalla  depenalizzazione  non
 costituisce  piu' che una indicazione abbastanza vaga, e nella specie
 poco significativa, tenendo conto che, fra quelle categorie di reati,
 taluna atteneva al  campo  ambientale  (inquinamento  delle  acque  e
 dell'aria),  ma  nessuna  alla  materia  dei  rifiuti  e  della  loro
 gestione,  all'epoca  oggetto  di  una   assai   ridotta   disciplina
 legislativa.
   In  questo  contesto,  non puo' negarsi che il legislatore delegato
 potesse  scegliere,  in   base   ad   un   apprezzamento   largamente
 discrezionale,   se   ricorrere  alle  sanzioni  penali  o  a  quelle
 amministrative in relazione alle violazioni in  oggetto,  soprattutto
 tenendo conto del fatto che esse non concernono condotte direttamente
 pregiudizievoli  per  l'ambiente (come potrebbe essere lo scarico non
 consentito di sostanze inquinanti),  ma  condotte  in  contrasto  con
 obblighi formali (di comunicazione o di tenuta di registri), sia pure
 strumentali,   nel   contesto   legislativo,   al  miglior  controllo
 sull'attivita',  potenzialmente   pericolosa   per   l'ambiente,   di
 produzione e di smaltimento di rifiuti. Tale strumentalita' non basta
 per   fare   assimilare   pienamente   siffatte   condotte  a  quelle
 direttamente   lesive   dell'ambiente;   e   dunque    per    rendere
 ingiustificata,  in  tale assetto normativo, la scelta della sanzione
 amministrativa, anziche' di quella penale.
   Ne' va trascurata la considerazione che la repressione  penale  non
 costituisce,  di  per  se',  l'unico strumento di tutela di interessi
 come quello ambientale, ben potendo risultare altrettanto  e  perfino
 piu'  efficaci  altri  strumenti,  anche  sanzionatori,  specialmente
 quando si tratti di regolare e  di  controllare,  piu'  che  condotte
 individuali - le uniche assoggettabili a pena, in forza del principio
 di personalita' della responsabilita' penale - attivita' d'impresa.
   Anche  sotto  questo  profilo,  dunque,  non  sussiste la lamentata
 violazione, da parte del legislatore delegato, dei principi e criteri
 direttivi della delega.
                           per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.   52  del  decreto  legislativo  5  febbraio  1997,  n.  22
 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui  rifiuti,  91/689/CEE  sui
 rifiuti  pericolosi  e  94/62/CEE  sugli  imballaggi e sui rifiuti di
 imballaggio), sollevata, in riferimento agli  artt.  76  e  77  della
 Costituzione, dal pretore di Roma con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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