N. 457 SENTENZA 16 - 30 dicembre 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza e assistenza - Calcolo della  base  pensionabile  ai  fini
 della liquidazione delle pensioni corrisposte dal fondo di previdenza
 per   il  personale  addetto  ai  servizi  pubblici  di  telefonia  -
 Individuazione, nella  retribuzione  dell'ultimo  anno  di  servizio,
 della base pensionabile con esclusione di ogni forma di rivalutazione
 del  valore  nominale  della  retribuzione  in caso di liquidazione a
 distanza di tempo dalla cessazione dal servizio  -  Peculiarita'  del
 sistema  previdenziale speciale - Esistenza di specifici vantaggi che
 escludono  la  lesione  dei  diritti  previdenziali  dei   lavoratori
 iscritti - Non fondatezza.
 
 (Legge 4 dicembre 1956, n. 1450, art. 20, primo e secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 38).
 
(GU n.2 del 13-1-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Cesare MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 avv. Fernanda CONTRI, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI,  prof.  Annibale
 MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 20, primo e
 secondo comma (come modificato dall'art. 13, primo comma, della legge
 22 ottobre 1973, n.  672)  della  legge  4  dicembre  1956,  n.  1450
 (Trattamento  di  previdenza  per  gli addetti ai pubblici servizi di
 telefonia in concessione), promossi con n. 2 ordinanze  emesse  il  5
 aprile  ed  il 20 agosto 1997 dal pretore di Bologna, iscritte ai nn.
 318 e 801 del registro ordinanze 1997  e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  nn.  24  e  47,  prima  serie speciale,
 dell'anno 1997.
   Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Rosazza  Battore  Renata  e
 dell'INPS nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
 dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  24  novembre  1998  il  giudice
 relatore Valerio Onida;
   Uditi gli avvocati Paolo Boer per Rosazza Battore  Renata,  Antonio
 Todaro  per  l'INPS  e  l'Avvocato  dello Stato Giuseppe Stipo per il
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                            Ritenuto in fatto
   1. -  Nel corso di un procedimento instaurato  con  ricorso  di  un
 titolare  di  pensione  a  carico  del  Fondo  di  previdenza  per il
 personale addetto ai servizi pubblici di telefonia, avente ad oggetto
 le modalita' di determinazione della  retribuzione  pensionabile,  il
 pretore  di Bologna, con ordinanza emessa il 5 aprile 1997, pervenuta
 a questa Corte il 14 maggio 1997 (R.O. n. 318 del 1997), ha sollevato
 questione   di   legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli
 articoli 3 e 38 della  Costituzione,  dell'art.  20,  secondo  comma,
 della  legge  4 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per
 gli addetti ai pubblici servizi di telefonia  in  concessione),  come
 modificato dall'art. 13, primo comma, della legge 22 ottobre 1973, n.
 672,  "nella  parte  in  cui  pone  un  limite  alla  dinamica  della
 retribuzione dell'ultimo triennio, senza  preventivamente  rivalutare
 le retribuzioni dei due anni precedenti l'ultimo, in base al tasso di
 inflazione  relativo  allo  stesso  periodo";  nonche'  questione  di
 legittimita' costituzionale, in riferimento  agli  stessi  parametri,
 dell'art.  20,  primo  comma,  della predetta legge n. 1450 del 1956,
 "nella parte in cui assume la retribuzione degli ultimi  dodici  mesi
 come  retribuzione  pensionabile  senza  preventivamente procedere in
 alcun modo alla sua rivalutazione".
   Le disposizioni  denunciate  disciplinano  il  calcolo  della  base
 retributiva  ai  fini  delle  pensioni corrisposte dal Fondo, gestito
 dall'INPS,  e   avente   carattere   sostitutivo   dell'assicurazione
 obbligatoria  per  l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti (art. 1
 della stessa legge n. 1450 del 1956). Il  primo  comma  dell'art.  20
 stabilisce che la pensione annua diretta e' pari a tanti quarantesimi
 della    retribuzione,   assoggettata   a   contributo,   corrisposta
 all'iscritto per gli ultimi dodici mesi di servizio, per quanti  sono
 gli  anni  di  iscrizione  al  Fondo. Il secondo comma prevede che la
 retribuzione pensionabile non puo' essere superiore alla retribuzione
 media assoggettata a contributo degli ultimi tre  anni  di  effettivo
 servizio,  maggiorata del 10 per cento, percentuale portata al 12 per
 cento dall'art. 13, primo comma, della legge n. 672 del 1973.
   Premette il remittente di non condividere la tesi,  sviluppata  dal
 ricorrente,   ma   respinta  dalla  giurisprudenza,  secondo  cui  si
 applicherebbe anche alle pensioni liquidate dal Fondo dei  telefonici
 il  disposto  dell'art.  3,  undicesimo  comma, della legge 29 maggio
 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme  in
 materia   pensionistica),  che  prevede  che  la  retribuzione  media
 determinata per ciascun anno solare, assunta a base del calcolo della
 base retributiva ai fini della pensione, e relativa alle  ultime  260
 settimane  di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione,
 sia rivalutata in misura corrispondente alla  variazione  dell'indice
 annuo  del  costo della vita calcolato dall'ISTAT ai fini della scala
 mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell'industria,  tra  l'anno
 solare  cui  la  retribuzione  si  riferisce  e  quello precedente la
 decorrenza della pensione. Onde le domande del ricorrente  dovrebbero
 essere  respinte  sulla  base  delle  norme  in  vigore sul Fondo dei
 telefonici, il che renderebbe rilevanti le questioni di  legittimita'
 costituzionale.
   Nel    merito,    il   giudice   a   quo   ricorda   l'orientamento
 giurisprudenziale di questa  Corte,  che  di  massima  considera  non
 illegittime  le  diversita'  di disciplina, ai fini della valutazione
 delle retribuzioni per il computo delle pensioni, tra l'assicurazione
 generale obbligatoria e i sistemi in vigore per determinate categorie
 di  lavoratori,  ove  sussistano  particolari   caratteristiche   del
 rapporto  di  tali  lavoratori  e  del relativo regime previdenziale.
 Tuttavia  giudica  non  manifestamente  infondata  la  questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 20, secondo comma, citato, la'
 dove  non  prevede che i valori monetari delle retribuzioni dei primi
 due anni del triennio preso  in  considerazione  per  determinare  la
 retribuzione  pensionabile vengano rivalutati in base alle variazioni
 dell'indice  dei  prezzi:  potrebbe  infatti  riscontrarsi  una   non
 ragionevole differenziazione rispetto al diffuso e generale criterio,
 adottato  nella legislazione previdenziale, volto a tener conto degli
 effetti  della  svalutazione   della   moneta   nel   computo   della
 retribuzione  pensionabile.  In  taluni casi, infatti, questa Corte -
 osserva il giudice a quo ha ravvisato la violazione del principio  di
 "ragionevole parita'" nella normativa previdenziale in relazione alla
 mancata   o   insufficiente   considerazione   del   fenomeno   della
 svalutazione monetaria ai fini dei criteri adottati  per  il  computo
 della retribuzione pensionabile.
   Parimenti,   l'autorita'   remittente  giudica  non  manifestamente
 infondata, per le medesime  ragioni,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale   dell'art.   20,   primo   comma,  che  nel  caso  di
 liquidazione della  pensione  di  vecchiaia,  come  nella  specie,  a
 distanza  di tempo dalla cessazione del rapporto di lavoro, non tiene
 in alcuna  considerazione  i  possibili  effetti  della  svalutazione
 monetaria    ai   fini   della   corresponsione   di   una   pensione
 "costituzionalmente adeguata".
   2. - Si  e'  costituita  la  ricorrente  nel  giudizio  principale,
 chiedendo  che,  "ove  l'accoglimento  delle domande della ricorrente
 presupponga la rimozione, in parte qua, dei commi 1 e 2 dell'art.  20
 della  legge  n.  1450  del 1956", questa Corte voglia dichiararne la
 illegittimita' costituzionale.
   Secondo la parte, la formulazione letterale dell'art.  20,  secondo
 comma,   si  presterebbe  ad  una  applicazione  indiscriminata,  che
 tradirebbe lo  spirito  della  legge,  non  intesa  a  comprimere  la
 retribuzione  pensionabile  quando la dinamica retributiva esprima il
 mero recupero del potere d'acquisto, eroso dall'inflazione. I  valori
 retributivi  posti  a  raffronto  dovrebbero  essere depurati da tali
 variazioni  puramente  nominali,  altrimenti  si  determinerebbe  una
 ingiustificata  disparita'  di trattamento sia fra iscritti a diverse
 forme di previdenza, sia tra iscritti alla stessa  forma,  a  seconda
 dell'esistenza e dell'entita' dell'inflazione.
   Ad avviso della parte, che contrasta la tesi sostenuta in proposito
 dal  remittente, dovrebbe trovare applicazione anche per i pensionati
 del Fondo dei telefonici, in forza del rinvio contenuto nell'art.  37
 della legge n. 1450 del 1956, per quanto da essa non  regolato,  alle
 disposizioni  in  tema di assicurazione generale obbligatoria, l'art.
 3, undicesimo comma, della legge n. 297 del 1982, che ha previsto  la
 rivalutazione  delle  retribuzioni  degli anni precedenti all'ultimo,
 prese a riferimento per il computo della  retribuzione  pensionabile.
 Un   regime   ancor   piu'   favorevole  di  rivalutazione  e'  stato
 successivamente  stabilito  dall'art.  3,  comma   5,   del   decreto
 legislativo  n.  503  del  1992, e dall'art. 7, comma 4, dello stesso
 decreto  per  i   Fondi   sostitutivi   dell'assicurazione   generale
 obbligatoria:  ma queste disposizioni si applicano solo alle pensioni
 liquidate a partire dal  1993,  onde  detto  art.  7  non  ovvierebbe
 all'eventuale vuoto normativo per il periodo precedente.
   La  parte  sostiene  che l'art. 3, undicesimo comma, della legge n.
 297  del  1982  esprime  un   principio   generale   dell'ordinamento
 previdenziale,    di    tutela    della   retribuzione   pensionabile
 dall'erosione provocata dall'inflazione, e ricorda  che  la  garanzia
 della  rivalutazione si trova espressamente formulata nelle norme che
 disciplinano altre forme speciali  di  previdenza,  come  quelle  dei
 giornalisti,   del   personale  di  volo,  di  diverse  categorie  di
 professionisti, dei lavoratori autonomi; mentre la decisione negativa
 di  questa  Corte  a  proposito  degli  agenti  e  rappresentanti  di
 commercio  iscritti all'ENASARCO, contenuta nella sentenza n. 265 del
 1992, riguarderebbe  solo  una  forma  di  trattamento  pensionistico
 integrativo,  quando  la rivalutazione opera comunque sul trattamento
 base.
   Con riferimento ai lavoratori dipendenti, il principio in questione
 sarebbe divenuto operante  con  effetto  generale  con  l'entrata  in
 vigore  della  legge n. 297 del 1982: un principio in forza del quale
 il fenomeno inflattivo andrebbe neutralizzato non solo  dopo  che  la
 pensione  e'  venuta  a  maturazione, ma anche in tutti i processi di
 calcolo per la determinazione  della  retribuzione  pensionabile.  Di
 tale  principio  generale  lo  stesso  INPS  avrebbe  fatto spontanea
 applicazione in materia di computo  delle  contribuzioni  figurative.
 Secondo  la  parte,  ove si dovesse invece condividere l'opinione del
 remittente, secondo cui le norme dell'art. 20 della legge  n.    1450
 del  1956  sul  Fondo  dei  telefonici  impedirebbero di applicare il
 meccanismo di rivalutazione, tali norme dovrebbero essere  dichiarate
 illegittime,  nelle  parti  indicate  dal  giudice  a  quo, in quanto
 esporrebbero l'assicurato ad un'alea  ingiustificata,  non  evitabile
 ne'  dal  datore  di  lavoro  ne'  dal  lavoratore; genererebbero una
 ingiustificata disparita' di trattamento; altererebbero  il  rapporto
 sistematico   fra   Fondo   sostitutivo   e   assicurazione  generale
 obbligatoria,  in  forza   del   quale   il   trattamento   spettante
 all'iscritto  al  Fondo  sostitutivo  non  puo' risultare inferiore a
 quello che spetterebbe, a parita' di condizioni, in  base  al  regime
 generale.  La stessa sentenza della Corte di cassazione, sez. lavoro,
 8 luglio 1992, n. 8316, che ha dichiarato manifestamente infondata la
 questione  relativa  all'estensione della rivalutazione alle pensioni
 maturate prima del 1982, avrebbe riconosciuto all'art. 3,  undicesimo
 comma, della legge n. 297 del 1982 la valenza di principio nuovo, non
 retroattivo,  ma  di portata generale.   La parte conclude osservando
 che la rivalutazione della retribuzione pensionabile  costituisce  il
 necessario  complemento della perequazione automatica della pensione,
 in vista della  comune  esigenza  di  conservare  alla  contribuzione
 versata il valore reale che essa rivestiva al momento del versamento,
 tutelando l'assicurato dall'alea dell'inflazione.
   3.  -  Si  e'  costituito  l'Istituto  nazionale  della  previdenza
 sociale, chiedendo che la questione sia dichiarata  inammissibile  o,
 in subordine, infondata.
   L'inammissibilita'    discenderebbe   dal   difetto   assoluto   di
 motivazione dell'ordinanza in punto di  non  manifesta  infondatezza,
 poiche'  il  remittente  avrebbe  semplicemente rinviato alle ragioni
 esposte dalla difesa del ricorrente,  senza  riportarle  nella  parte
 motiva   dell'ordinanza,   onde  sarebbe  impossibile  esercitare  il
 controllo sull'iter logico seguito.  Nel merito, con riferimento alla
 censura relativa all'art. 3 della Costituzione, l'INPS osserva che la
 disciplina differenziata sul calcolo della retribuzione  pensionabile
 sarebbe  ragionevole  nel contesto di una disciplina speciale dettata
 per i lavoratori della telefonia, ai quali la  legge  concede  taluni
 vantaggi,  come  la  pensione anticipata di vecchiaia, la pensione di
 vecchiaia con contribuzione ridotta, la pensione  ai  superstiti  con
 requisiti  favorevoli,  la retribuzione pensionabile piu' elevata, il
 calcolo della pensione speciale.  Con riferimento all'art.  38  della
 Costituzione,  la  parte osserva che gli effetti dell'inflazione sono
 adeguatamente neutralizzati, da un lato, dalla maggiorazione  del  12
 per  cento della retribuzione media soggetta a contributo dell'ultimo
 triennio  di  servizio,   dall'altro,   dalla   parametrazione   alla
 retribuzione  degli  ultimi  dodici  mesi  di servizio.   Nel caso di
 cessazione  anticipata  del  rapporto,  la  esclusione  di  ulteriori
 meccanismi  di  adeguamento  sarebbe  compensata,  sul piano logico e
 della ponderazione equilibrata degli  interessi,  dal  complesso  dei
 vantaggi  attribuiti  agli iscritti e dal minore apporto contributivo
 per effetto dell'anticipata cessazione.
   4. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
   Secondo   l'Avvocatura,   essendo   l'iscrizione  al  Fondo  per  i
 telefonici  alternativa  all'assicurazione   generale   obbligatoria,
 rispetto   alla   quale   assume   carattere   di   specialita',  non
 costituirebbe  idoneo  tertium  comparationis  l'art.  3,  undicesimo
 comma, della legge n. 297 del 1982, che riguarderebbe l'assicurazione
 generale  obbligatoria.   La giurisprudenza della Corte di cassazione
 avrebbe  peraltro  affermato  che   l'adeguamento   del   trattamento
 pensionistico all'aumento del costo della vita, nel caso in cui venga
 liquidato  sulla  base di retribuzioni percepite in epoca anteriore a
 quella in  cui  si  e'  conseguito  il  diritto  alla  pensione,  non
 costituisce   principio   generale  dell'ordinamento  applicabile  in
 assenza di disposizioni specifiche. A sua volta questa Corte  avrebbe
 affermato  che  la differenziazione dei regimi pensionistici speciali
 rispetto  a  quello  generale  trova   giustificazione   nella   loro
 specialita'  (si  ricorda  in proposito la sentenza n. 173 del 1986).
 Quanto all'art. 38 della Costituzione l'Avvocatura erariale, premesso
 che la questione, sotto questo profilo,  potrebbe  essere  dichiarata
 inammissibile  per carenza di specifica motivazione sulla rilevanza e
 sulla non manifesta infondatezza, ricorda che  la  giurisprudenza  di
 questa   Corte   ha   affermato   che   l'attuazione   del  principio
 solidaristico non comporta la necessaria  integrale  coincidenza  tra
 pensione e ultima retribuzione, ne' un costante adeguamento al potere
 di  acquisto  della moneta, sussistendo una sfera di discrezionalita'
 riservata al legislatore, per l'attuazione graduale di tali precetti.
   5. - Con ordinanza emessa il 20 agosto  1997,  pervenuta  a  questa
 Corte il 4 novembre 1997 (R.O. n. 801 del 1997), lo stesso pretore di
 Bologna ha nuovamente sollevato le medesime questioni di legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento ai medesimi parametri, dell'art. 20,
 primo comma, della legge n. 1450 del 1956, "nella parte in cui assume
 la  retribuzione  degli  ultimi   dodici   mesi   come   retribuzione
 pensionabile senza procedere in alcun modo alla rivalutazione di tale
 importo,  anche nel caso che sia intercorso un lungo periodo di tempo
 tra la cessazione del lavoro e le ultime retribuzioni percepite ed il
 tempo di liquidazione della pensione di vecchiaia"; nonche' dell'art.
 20, secondo comma, della stessa legge, "nella parte in  cui  pone  un
 limite  alla  dinamica della retribuzione dell'ultimo triennio, senza
 alcuna rivalutazione  delle  retribuzioni  dei  due  anni  precedenti
 l'ultimo".      Pur  rilevando  l'orientamento  della  giurisprudenza
 costituzionale   che   non   considera  contrarie  all'art.  3  della
 Costituzione  differenze  normative   in   ordine   ai   criteri   di
 determinazione  delle  retribuzioni  pensionabili,  quando  vi  siano
 caratteristiche particolari  del  rapporto  di  lavoro  o  di  quello
 previdenziale  della  categoria,  e  osservando che la disciplina del
 Fondo  dei  telefonici  ha  diverse  peculiari  caratteristiche,   il
 remittente  giudica non manifestamente infondata l'eccezione relativa
 alla  mancanza  di  qualsiasi  possibilita'  di  rivalutazione  delle
 retribuzioni  da  calcolare, nemmeno in relazione al lungo periodo di
 tempo che puo' essere passato  fra  la  cessazione  del  rapporto  di
 lavoro e la liquidazione della pensione di vecchiaia (nella specie si
 tratta  di quindici anni).  In via "subordinata a tale questione", il
 remittente giudica non  manifestamente  infondata  l'altra  eccezione
 relativa  all'art.  20,  secondo comma, della legge n. 1450 del 1956,
 la' dove non prevede la rivalutazione in base all'indice  dei  prezzi
 delle  retribuzioni degli anni anteriori all'ultimo, prese a base per
 il calcolo della base pensionistica.  Il giudice a quo  dubita  della
 equita'  e  della  ragionevolezza  di tale disciplina in presenza del
 criterio, sempre piu' diffuso nella legislazione previdenziale, volto
 a tener conto della svalutazione della moneta, sia attraverso  misure
 di  perequazione  delle  pensioni  gia'  liquidate, sia attraverso la
 previsione di forme di rivalutazione delle  contribuzioni  versate  e
 delle retribuzioni sulla cui base si determinano le pensioni.
   6.  -  Si  e'  costituito  l'INPS,  eccependo  in  primo  luogo  la
 inammissibilita'  della  questione,  sul  rilievo  che  l'assicurato,
 cessato  volontariamente  dal servizio molto prima del momento in cui
 avrebbe maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, si  trova  in
 una  situazione affatto diversa da quella disciplinata dall'impugnato
 art. 20, che presupporrebbe il  normale  immediato  susseguire  della
 pensione alla cessazione dal servizio: onde non avrebbe rilievo nella
 specie lo scrutinio di legittimita' della norma denunziata.
   Nel   merito,   l'INPS  sostiene  che  l'art.  20  prevede  congrui
 meccanismi di adeguamento, commisurando la pensione alla retribuzione
 degli ultimi dodici mesi  di  servizio,  e  una  maggiorazione  della
 retribuzione  media  dell'ultimo  triennio.    Nel  caso in esame, la
 scelta dell'interessato di anticipare di molti anni la cessazione dal
 servizio non potrebbe essere  utilizzata  per  pretendere  lo  stesso
 trattamento  degli  iscritti rimasti in servizio, e d'altra parte non
 gli impedirebbe di beneficiare dei meccanismi perequativi previsti in
 generale dall'ordinamento previdenziale.
   7. - E' intervenuto anche in  questo  giudizio  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  concludendo  per la manifesta infondatezza
 della questione, sulla base degli stessi argomenti esposti  nell'atto
 di  intervento relativo all'ordinanza iscritta al n. 318 del registro
 ordinanze del 1997 (sopra, n. 4).
                        Considerato in diritto
   1. -  I giudizi, aventi il medesimo oggetto, possono essere riuniti
 per essere decisi con unica pronunzia.
   2. - Le  ordinanze  sollevano  due  distinte,  anche  se  connesse,
 questioni  di  legittimita'  costituzionale, concernenti le norme che
 disciplinavano - fino alle riforme recate dapprima  dall'art.  7  del
 decreto  legislativo  n.  503  del 1992, quindi, piu' di recente, dal
 d.lgs. n. 658 del 1996 - il calcolo della base pensionabile  ai  fini
 della liquidazione delle pensioni corrisposte dal Fondo di previdenza
 per il personale addetto ai servizi pubblici di telefonia.
   La  prima  investe  il  secondo  comma  dell'art.  20 della legge 4
 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per gli addetti  ai
 pubblici  servizi  di  telefonia  in concessione), come risulta dalla
 modifica recata dall'art. 13, primo comma,  della  legge  22  ottobre
 1973, n.  672, a norma del quale la base pensionabile, individuata in
 linea  di  principio  nella  retribuzione  assoggettata  a contributo
 dell'ultimo anno di servizio, non puo' essere  superiore  alla  media
 delle retribuzioni assoggettate a contributo degli ultimi tre anni di
 servizio,  maggiorata del 12 per cento: si censura a tal proposito il
 fatto che le retribuzioni dei primi due anni  del  triennio,  assunte
 per  calcolare  la media, non sono rivalutate in base ad indici della
 svalutazione monetaria.
   La seconda questione investe il primo comma del medesimo  art.  20,
 che  indica  nella  retribuzione dell'ultimo anno di servizio la base
 pensionabile, senza  prevedere  alcuna  forma  di  rivalutazione  del
 valore  nominale  di tale retribuzione per il caso in cui la pensione
 venga liquidata a distanza di tempo dalla cessazione del servizio,  e
 dunque  senza  tener  conto dell'eventuale svalutazione monetaria nel
 frattempo verificatasi.
   Entrambe tali previsioni  potrebbero,  ad  avviso  del  remittente,
 apparire  in  contrasto con il principio di "ragionevole parita'" nei
 trattamenti previdenziali, tenendo conto del diffuso principio  della
 rivalutazione presente nella legislazione previdenziale, e sancito in
 particolare  dall'art.  3,  undicesimo  comma, della legge n. 297 del
 1982  per  le   pensioni   a   carico   dell'assicurazione   generale
 obbligatoria;  e  potrebbero  altresi'  condurre  all'attribuzione di
 pensioni  non  adeguate  ai  principi  espressi  dall'art.  38  della
 Costituzione.
   3.  -  Non  meritano  accoglimento le eccezioni di inammissibilita'
 della questione, proposte dalla difesa dell'INPS.
   Non quella relativa all'ordinanza iscritta al n. 318 del 1997,  che
 sarebbe   motivata,   quanto   alla   non   manifesta   infondatezza,
 esclusivamente con riferimento alle ragioni esposte  dal  ricorrente,
 che  non  verrebbero  riportate nella parte motiva dell'ordinanza. Il
 remittente da' infatti conto, sia pure succintamente, degli argomenti
 addotti dalla parte, che egli mostra di ritenere tali da dar luogo ad
 un   dubbio,   non   manifestamente   infondato,   di    legittimita'
 costituzionale.
   Nemmeno  puo'  accogliersi  l'eccezione  di  inammissibilita' della
 questione come prospettata nell'ordinanza  iscritta  al  n.  801  del
 1997,   fondata  sulla  asserita  irrilevanza  del  dubbio  sollevato
 sull'art.  20 della legge n. 1450 del 1956, rispetto alla  situazione
 del  ricorrente  che  era cessato dal servizio (non diversamente, del
 resto, dalla ricorrente nell'altro  giudizio)  molti  anni  prima  di
 avere  raggiunto  l'eta'  pensionabile  e  di  avere dunque chiesto e
 ottenuto la liquidazione della pensione. Al contrario, il  remittente
 si  duole proprio che detto art. 20, nel disciplinare la liquidazione
 della pensione sulla base  della  retribuzione  dell'ultimo  anno  di
 servizio, non tenga alcun conto dell'eventuale svalutazione monetaria
 che  si  verifichi  nell'intervallo  fra la cessazione dal servizio e
 l'attribuzione della pensione.
   4. - Nel merito, le questioni non sono fondate.
    La  Corte  non  ha motivo di discostarsi, nell'interpretazione del
 sistema  normativo,  dalla  premessa,  esplicitamente   assunta   dal
 remittente,  secondo  cui  il  meccanismo di rivalutazione, previsto,
 nell'ambito dell'assicurazione generale  obbligatoria,  dall'art.  3,
 undicesimo  comma,  della  legge n. 297 del 1982, non si estende alle
 pensioni liquidate a carico del Fondo dei telefonici: premessa che e'
 a base delle prospettate questioni di legittimita' costituzionale.
   Il  confronto,  che  si  vorrebbe   istituire,   fra   il   sistema
 dell'assicurazione  generale  obbligatoria,  per  la quale, a partire
 dalla legge n. 297 del 1982, vige un principio di rivalutazione delle
 basi retributive, relative ad anni precedenti  l'ultimo  anteriore  a
 quello  di  decorrenza  della  pensione, assunte per il calcolo della
 pensione medesima, ed il sistema del Fondo dei telefonici, ove questo
 principio non e' accolto, non puo' condurre  a  ritenere  violato  il
 principio costituzionale di eguaglianza.
   I   sistemi   previdenziali   speciali   sono   caratterizzati   da
 peculiarita' che  li  differenziano  dal  sistema  dell'assicurazione
 generale  obbligatoria,  spesso  per  aspetti  che  si  traducono  in
 vantaggi   maggiori   per   gli   assicurati,   e   sono   connotati,
 essenzialmente,  dall'"autofinanziamento delle rispettive gestioni in
 una visione di mutualita' di gruppo o categoriale", laddove il regime
 ordinario   generale   e'   contraddistinto   "dal   criterio   della
 solidarieta'   sociale   e   dall'apporto  finanziario  dello  Stato"
 (sentenza n. 173 del 1986).
   E'  bensi'  vero  che  da  tempo  e'  in  atto  una  tendenza  alla
 omogeneizzazione  dei  regimi previdenziali obbligatori (e proprio in
 relazione al regime speciale del Fondo dei telefonici il  legislatore
 e' di recente intervenuto con il decreto legislativo 4 dicembre 1996,
 n.   658,   che   ha  innovato  largamente  la  relativa  disciplina,
 riconducendola in gran parte a quella previdenziale comune).  Ma,  da
 un lato, la realizzazione di tale finalita' e' rimessa alle modalita'
 e  ai  tempi  scelti dal legislatore nella sua discrezionalita' (cfr.
 ancora sentenza n. 173 del 1986).   Dall'altro  lato  resta  comunque
 improprio  un  raffronto  che  prenda in esame, isolatamente, singoli
 elementi dei regimi previdenziali complessivi, quale  il  sistema  di
 calcolo  della  base  pensionabile;  ed  e'  infondata  la pretesa di
 ricondurre ad uguaglianza  di  disciplina  un  singolo  elemento  del
 sistema,  al  di  fuori  di  una sua considerazione complessiva (cfr.
 sentenze n. 430 del 1991 e n. 227 del 1993).
   Il Fondo dei telefonici era caratterizzato, nella  regolamentazione
 dettata  dalla  legge  n. 1450 del 1956 e successive modificazioni, e
 fino  alla  recente  riforma  realizzata  con   il   citato   decreto
 legislativo  n. 658 del 1996, da una disciplina differenziata, per lo
 piu'  in  senso  favorevole  rispetto  a  quella   dell'assicurazione
 generale  obbligatoria,  in relazione ad importanti elementi quali la
 retribuzione imponibile (art. 9 della legge n.  1450  del  1956);  le
 aliquote  contributive  (art.    8  della  legge);  la percentuale di
 commisurazione  della  pensione  alla  retribuzione  (fissata  in  un
 quarantesimo   della  retribuzione  pensionabile  per  ogni  anno  di
 iscrizione al Fondo, con un massimo  di  nove  decimi  della  stessa,
 dall'art.  20 della legge, impugnato in questa sede); la retribuzione
 pensionabile (commisurata, fino alle modifiche apportate dall'art.  7
 del   decreto   legislativo   n.  503  del  1992,  alla  retribuzione
 dell'ultimo  anno  o  alla  media   maggiorata   delle   retribuzioni
 dell'ultimo triennio di servizio, ai sensi del medesimo art. 20 della
 legge);  la  facolta'  di  anticipazione  della pensione di vecchiaia
 (art. 18 della legge).
   Non e' dunque fondata la censura di  violazione  del  principio  di
 eguaglianza,  basata  su  un confronto fra due discipline limitato al
 solo elemento della presenza o meno di  meccanismi  di  rivalutazione
 della base retributiva pensionabile.
   5.  - Nemmeno possono dirsi violati i principi ricavabili dall'art.
 38 della Costituzione in  ordine  alla  proporzione  fra  trattamento
 previdenziale  e  qualita'  e  quantita'  del  lavoro  svolto, e alla
 sufficienza del trattamento medesimo ad  assicurare  le  esigenze  di
 vita del lavoratore pensionato.
   Nell'attuazione di questi principi il legislatore gode di una sfera
 di  discrezionalita',  anche  in  relazione  alle risorse disponibili
 (cfr. sentenze n. 173 del 1986, n. 531 del 1988, n.  119  del  1991),
 almeno  quando  non sia in gioco la garanzia delle esigenze minime di
 protezione della persona. E anche a questo  proposito  non  puo'  non
 tenersi  conto del sistema complessivo in cui si inserisce la singola
 previsione, relativa al criterio di calcolo della base pensionabile.
   In particolare, per quanto riguarda,  anzitutto,  il  disposto  del
 secondo  comma  dell'impugnato  art.  20, che fa riferimento, ai fini
 della  determinazione  della  pensione,   alla   retribuzione   media
 dell'ultimo  triennio di servizio, senza prevedere una rivalutazione,
 in base agli indici dei prezzi, delle retribuzioni dei primi due anni
 del triennio, va osservato che il problema della rivalutazione  delle
 basi  retributive,  assunte  per  il  calcolo della pensione, diviene
 rilevante, in generale, solo quando si faccia riferimento,  a  questi
 fini,  a  retribuzioni  risalenti  a periodi di tempo molto anteriori
 rispetto al momento della cessazione dal servizio. Non a caso,  nella
 legislazione  relativa  all'assicurazione  generale  obbligatoria, il
 principio della rivalutazione e' stato introdotto in concomitanza con
 l'estensione del periodo di riferimento ad un quinquennio  (art.    3
 della  legge n. 287 del 1982), ed e' stato rafforzato in concomitanza
 con l'ulteriore estensione di  tale  periodo  all'ultimo  decennio  o
 addirittura  all'intera vita lavorativa (art. 3 del d.lgs. n. 503 del
 1992). E non a caso il legislatore lo ha introdotto anche nelle forme
 di assicurazione sostitutive di quella generale obbligatoria  proprio
 quando  ha  inteso ricondurre anche queste a criteri di calcolo della
 pensione che tenessero conto di un piu' esteso periodo di riferimento
 (art. 7 del d.lgs. n. 503 del 1992).
   Il  problema  non  si  pone  (almeno  quando  l'attribuzione  della
 pensione  avvenga  in coincidenza con la cessazione dal servizio) nei
 sistemi - piu' favorevoli agli assicurati - in  cui  la  retribuzione
 presa  a calcolo ai fini della pensione e' quella dell'ultimo anno di
 servizio, come in linea di principio era stabilito per il  Fondo  dei
 telefonici (art. 20, primo comma, della legge n. 1450 del 1956).
   E'  vero che il secondo comma del medesimo art. 20 introduceva, nel
 caso del Fondo dei  telefonici,  un  tetto  massimo  di  retribuzione
 pensionabile   parametrato   sulla   retribuzione  media  dell'ultimo
 triennio.  Ma la brevita' del termine  triennale,  il  fatto  che  le
 retribuzioni  del  penultimo e del terzultimo anno concorressero solo
 alla determinazione di una media, e soprattutto la previsione di  una
 maggiorazione del 12 per cento di detta media (elevata a tale misura,
 da  quella  originaria  del  10 per cento, dall'art. 13, primo comma,
 della  legge  n.  672  del  1973) appaiono elementi idonei ad evitare
 eccessivi scostamenti fra il valore monetario della base pensionabile
 e i relativi valori reali.   Tale maggiorazione  del  12  per  cento,
 benche'  diretta  principalmente a contenere gli effetti di eventuali
 piu'  rilevanti  progressioni  retributive   realizzate   nell'ultimo
 triennio (nel qual caso, peraltro, gli incrementi relativi influivano
 sulla  media del triennio) e' altresi' idonea ad assorbire, almeno in
 parte, gli  effetti  della  svalutazione  verificatasi  nel  medesimo
 periodo.
   6.  - La censura relativa al primo comma del medesimo art. 20 della
 legge n. 1450 del 1956 si  fa  carico  delle  situazioni  -  atipiche
 rispetto  al  normale  funzionamento di un sistema pensionistico - in
 cui l'attribuzione della pensione avvenga a  distanza  di  tempo  dal
 momento  della  cessazione  dal  servizio,  e  dunque la pensione sia
 calcolata con riferimento  a  retribuzioni  tutte  relative  ad  anni
 precedenti,  anche  di  molto,  rispetto  a  quello in cui essa viene
 liquidata. Si tratta di situazioni nelle quali il rapporto di  lavoro
 viene  meno  senza  che  sia  maturato  il diritto alla pensione (per
 mancato raggiungimento dell'eta' pensionabile), e pure il  dipendente
 conserva  dei diritti pensionistici, che fa valere nel momento in cui
 raggiunge l'eta' prescritta.
   Anche la  valutazione,  sul  piano  costituzionale,  della  mancata
 previsione,  per queste ipotesi, di meccanismi di rivalutazione della
 base pensionabile  non  puo'  prescindere  dalla  considerazione  del
 complessivo   sistema   previdenziale   in  cui  tale  disciplina  si
 inserisce.
   Va considerato in primo luogo il fatto che il sistema del Fondo dei
 telefonici, come disciplinato  dalla  legge  n.  1450  del  1956,  e'
 fondato sul criterio della "ripartizione" (art. 1, primo comma, legge
 22  ottobre  1973,  n.  672),  in  relazione  al  quale i trattamenti
 pensionistici sono erogati in misura che prescinde  dall'entita'  dei
 contributi  effettivamente  versati  dal singolo lavoratore nel corso
 dell'intero rapporto di lavoro, e si deve perseguire l'equilibrio fra
 i trattamenti erogati e i contributi riscossi sulle retribuzioni  dei
 lavoratori in attivita'; non sul criterio "contributivo", secondo cui
 tendenzialmente   la   pensione   e'  commisurata  al  complesso  dei
 contributi versati sulla retribuzione del singolo  lavoratore  (cfr.,
 per  considerazioni relative ad un siffatto diverso sistema, sentenza
 n. 141 del 1989).  Onde,  nell'ambito  di  un  sistema  informato  al
 criterio  della  "ripartizione",  non vi e' di per se' un'aspettativa
 garantita a che le pensioni corrisposte  siano  correlate  ai  valori
 reali,  anziche'  a  quelli monetari, delle contribuzioni a suo tempo
 versate. I lavoratori i quali, come nella specie, hanno lasciato  per
 dimissioni  il  servizio  prima  di  raggiungere l'eta' pensionabile,
 sapevano di conservare un diritto pensionistico commisurato al valore
 monetario della retribuzione media  percepita  nell'ultimo  triennio,
 con la maggiorazione prevista.
   La   seconda   decisiva   considerazione   concerne   la  specifica
 regolamentazione che la legge n. 1450 del 1956 riserva all'ipotesi in
 cui il lavoratore, iscritto  al  Fondo,  cessi  dal  servizio  presso
 l'azienda  telefonica  prima  di avere raggiunto l'eta' minima per la
 pensione: cioe' appunto all'ipotesi verificatasi nei casi  sottoposti
 all'esame  del  giudice  a  quo,  e  che  ha  sollecitato il presente
 incidente di costituzionalita'.
   L'art.  12,  primo comma, della legge prevede che il lavoratore, il
 quale cessi dal servizio senza aver raggiunto l'eta' della  pensione,
 ma  che  vanti  almeno  un  anno  di  contribuzione, possa conservare
 l'iscrizione  al  Fondo  versando  contributi  volontari  commisurati
 all'ultima  retribuzione  goduta,  con  la  possibilita'  altresi' di
 chiedere di versarli in misura ridotta,  con  corrispondente  calcolo
 ridotto   dell'ulteriore  anzianita'  contributiva.  La  facolta'  di
 prosecuzione volontaria del rapporto assicurativo, esercitabile anche
 nel caso  (come  quelli  verificatisi  nella  specie)  di  dimissioni
 volontarie,   con   la   conseguente   maturazione,  al  momento  del
 pensionamento, di un'anzianita' contributiva  superiore  alla  durata
 del   rapporto   di   lavoro,  viene  di  fatto  in  qualche  modo  a
 controbilanciare l'assenza di meccanismi di rivalutazione della  base
 pensionistica  in  relazione  all'inflazione  che  si  verifichi  nel
 frattempo (cfr. sentenza n. 265 del 1992).
   In alternativa, l'art. 28  della  legge  consente  all'iscritto  al
 Fondo che sia cessato dal servizio senza aver conseguito il diritto a
 pensione,   e  che  non  si  avvalga  della  facolta'  di  proseguire
 volontariamente la  contribuzione,  di  ottenere  il  riconoscimento,
 nell'assicurazione  generale  obbligatoria, del periodo di iscrizione
 al Fondo, con il trasferimento nell'assicurazione predetta, a  carico
 del  Fondo  stesso,  della  somma  necessaria  per  coprire  l'intero
 ammontare   delle   contribuzioni   dovute,    secondo    le    norme
 dell'assicurazione  generale,  ma  tenendo  conto  della retribuzione
 soggetta a contributo prevista dalle norme sul Fondo, nonche' con  il
 rimborso  all'interessato,  senza interessi, dell'eventuale eccedenza
 (rimborso  ora  soppresso  con  l'art.  3  del  gia'  citato  decreto
 legislativo  n.  658  del  1996,  che  ha  riformato profondamente la
 disciplina del Fondo dei telefonici).
   Solo ove non si avvalga di alcuna di queste alternative, l'iscritto
 al Fondo, il quale alla cessazione dal servizio abbia compiuto almeno
 quindici anni di iscrizione, mantiene  i  diritti  relativi  (e  puo'
 quindi conseguire la pensione non appena raggiunga l'eta' prescritta)
 senza il versamento di contributi volontari (art. 12, secondo comma).
 E'  questa  la  situazione  di  cui  si sono avvalsi, nella specie, i
 lavoratori ricorrenti nei giudizi a quibus  (ancorche'  le  ordinanze
 affermino  che  essi  erano  "rimasti  iscritti"  al  Fondo  dopo  le
 dimissioni).
   Si aggiunga che l'art. 18 della legge n.  1450  del  1956  consente
 altresi',  ai  lavoratori che possano far valere almeno quindici anni
 di iscrizione al Fondo, e che non  siano  cessati  dal  servizio  per
 dimissioni, per motivi disciplinari o per decorso del periodo massimo
 di malattia previsto per la conservazione del posto, di conseguire la
 pensione con cinque anni di anticipo rispetto all'eta' ordinariamente
 richiesta, con versamento al Fondo, a totale carico dell'azienda, del
 valore   attuale   del  maggiore  onere  derivante  dalla  anticipata
 liquidazione  della  pensione  di  vecchiaia.  Ulteriore   vantaggio,
 questo,  che,  benche'  non  usufruibile  dai  ricorrenti nei giudizi
 principali, che avevano lasciato il servizio per dimissioni, non puo'
 non essere considerato ai fini di  una  valutazione  complessiva  del
 sistema previdenziale speciale.
   L'ampio  ventaglio  di  possibilita'  offerte all'assicurato, unito
 agli specifici vantaggi del regime previdenziale di cui  si  discute,
 induce   ad   escludere  che  possano  ritenersi  lesi,  dalla  norma
 denunciata,  i  diritti   previdenziali   dei   lavoratori   iscritti
 obbligatoriamente al Fondo in questione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara   non  fondate  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale dell'art.  20,  primo  e  secondo  comma,
 della  legge  4 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per
 gli  addetti  ai  pubblici  servizi  di  telefonia  in  concessione),
 sollevate,  in  riferimento  agli articoli 3 e 38 della Costituzione,
 dal pretore di Bologna con le ordinanze in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Onida
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
 98C1433