N. 463 ORDINANZA 16 - 30 dicembre 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Esecuzione  forzata  - Estensione dell'onere della notificazione ogni
 qualvolta si e' intrapresa nuova  procedura  esecutiva  sul  medesimo
 titolo - Questione gia' dichiarata infondata dalla Corte con sentenza
 n.  142  del  1998  - Mancato aggravio di spesa a carico della p.a. -
 Manifesta infondatezza.
 
 (D.-L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 14, comma  1,  convertito,  con
 modificazioni, 28 febbraio 1997, n. 30).
 
 (Cost.,  artt.  3,  24,  secondo comma, 41, primo comma, e 81, quarto
 comma).
 
(GU n.2 del 13-1-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda  CONTRI,  prof.  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,  prof.  Annibale
 MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1,
 del d.-l. 31 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti  in  materia
 tributaria,  finanziaria e contabile a completamento della manovra di
 finanza pubblica per l'anno  1997),  convertito,  con  modificazioni,
 nella legge 28 febbraio 1997, n. 30, promosso con ordinanza emessa il
 24  luglio  1997  dal  pretore  di  Salerno nelle procedure esecutive
 riunite proposte da Ind. Medica Sorrentino  Vincenzo  Figli ed  altri
 nei  confronti  della  Gestione  liquidatoria ex USL 53 di Salerno ed
 altra iscritta al n. 318 del registro  ordinanze  1998  e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  19,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di consiglio dell'11 novembre 1998 il giudice
 relatore Annibale Marini.
   Ritenuto che nel corso di un procedimento di espropriazione  presso
 terzi  il  pretore  di  Salerno, con ordinanza del 24 luglio 1997, ha
 sollevato - in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 41, primo
 comma  e  81,  quarto  comma,  della  Costituzione  -  questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  14,  comma  1,  del d.-l. 31
 dicembre 1996, n. 669 (Disposizioni urgenti  in  materia  tributaria,
 finanziaria  e  contabile  a  completamento  della manovra di finanza
 pubblica per l'anno 1997), convertito, con modificazioni, nella legge
 28 febbraio 1997, n. 30, "quanto meno  nella  parte  in  cui  estende
 l'onere  della  notificazione  ogniqualvolta sia intrapresa una nuova
 procedura esecutiva sul medesimo titolo";
     che, ad avviso del rimettente, la disposizione denunciata  -  che
 pone il divieto per i creditori di procedere ad esecuzione forzata in
 danno  delle  amministrazioni  dello  Stato e degli enti pubblici non
 economici,  in  forza  di  provvedimenti   giurisdizionali   e   lodi
 arbitrali,  prima  del  decorso  del termine di sessanta giorni dalla
 notificazione  del  titolo  esecutivo  -  essendo  giustificata   dal
 preminente  interesse  generale  alla  preservazione  del  patrimonio
 pubblico, dovrebbe essere interpretata nel senso della necessita'  di
 una nuova notificazione del titolo esecutivo ogniqualvolta si intenda
 procedere,  sulla  base  del  medesimo  titolo,  ad  una nuova azione
 esecutiva;
     che  -  ad  avviso  dello  stesso   rimettente   -   l'onere   di
 notificazione   (e  rinotificazione)  del  titolo  dovrebbe  altresi'
 estendersi, per ragioni logiche, anche ai titoli non giudiziali;
     che   la    disposizione    denunciata,    cosi'    interpretata,
 determinerebbe  un indubbio svantaggio per il creditore procedente ed
 un irragionevole privilegio a favore della  Pubblica  Amministrazione
 esecutata,  rispetto  alla generalita' degli altri debitori, violando
 cosi'  il  principio  di  eguaglianza  di  cui   all'art.   3   della
 Costituzione;
     che  la  stessa  disposizione  si  porrebbe  poi in contrasto con
 l'art.  24, secondo comma, della Costituzione, non solo perche'  essa
 imporrebbe  al  creditore  che  intenda  agire  in  sede esecutiva un
 gravoso onere sanzionato da un'improcedibilita' rilevabile d'ufficio,
 ostacolando in tal modo una  effettiva  tutela  del  suo  diritto  di
 credito,  ma  anche  perche' determinerebbe una graduazione puramente
 temporale delle ragioni creditorie, in  contrasto  con  il  principio
 della par condicio di cui all'art. 2741 del codice civile;
     che  la  disposizione citata violerebbe altresi' l'art. 41, primo
 comma, della Costituzione, costringendo il creditore, nelle more  del
 soddisfacimento   delle  proprie  ragioni,  a  ricorrere  al  mercato
 finanziario ed a sopportare i  relativi  oneri,  nonche'  l'art.  81,
 quarto   comma,   della  Costituzione,  perche'  dall'aggravio  degli
 adempimenti   procedurali   in   sede   esecutiva   deriverebbe    un
 appesantimento  degli  oneri economici finali a carico della pubblica
 Amministrazione,  senza  la  previsione  della   relativa   copertura
 finanziaria;
     che  e'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione;
     che   secondo   la  difesa  erariale  la  posizione  di  pubblica
 amministrazione debitrice si connoterebbe di specifiche  peculiarita'
 e renderebbe, pertanto, improponibile il confronto con il trattamento
 riservato  a  qualunque altro debitore e inconsistente il sospetto di
 violazione dell'art. 3 della Costituzione;
     che, quanto alle  ulteriori  censure,  esse  muoverebbero  da  un
 presupposto  interpretativo  - quello della pretesa necessita' di una
 reiterata  notificazione  del  titolo  esecutivo  ogni  qualvolta  il
 creditore  intenda procedere ad esecuzione forzata - non giustificato
 dal tenore della norma;
     che, quindi, l'unica deroga alla disciplina comune sarebbe quella
 dell'imposizione  di  un  termine   di   procedibilita'   dell'azione
 esecutiva  che,  per  la  sua  limitata  durata,  non  violerebbe  il
 principio della effettivita' della tutela giurisdizionale ne'  quello
 della liberta' di iniziativa economica privata garantito dall'art. 41
 della  Costituzione,  tanto  piu'  in quanto la contenuta "moratoria"
 appare un fattore  irrilevante  ai  fini  dell'asserito  ricorso  del
 creditore al mercato finanziario;
     che,  infine,  sarebbe  inesistente  l'asserito aggravio di spese
 derivante  dalla  ipotizzata  reiterazione  di   notificazioni;   con
 conseguente    inammissibilita'   del   profilo   di   illegittimita'
 prospettato  in  relazione   all'art.   81,   quarto   comma,   della
 Costituzione.
   Considerato   che   la   questione   di   costituzionalita'   della
 disposizione denunciata e' stata gia' dichiarata infondata da  questa
 Corte   in   riferimento   al  parametro  di  cui  all'art.  3  della
 Costituzione   sul   rilievo   che   la   norma   "accordando    alle
 amministrazioni   statali   e   agli  enti  pubblici  non  economici,
 attraverso il differimento dell'esecuzione,  uno  spatium  adimplendi
 per  l'approntamento dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei
 crediti  azionati,  persegue  lo   scopo   di   evitare   il   blocco
 dell'attivita'  amministrativa derivante dai ripetuti pignoramenti di
 fondi,  contemperando  in  tal  modo  l'interesse  del  singolo  alla
 realizzazione  del  suo diritto con quello, generale, ad una ordinata
 gestione delle risorse finanziarie pubbliche" (sentenza  n.  142  del
 1998);
     che  la  violazione  degli  altri  parametri  viene  evocata  dal
 rimettente  muovendo  da  un   erroneo   presupposto   interpretativo
 consistente  nella  necessita'  di una nuova notificazione del titolo
 esecutivo quale  condizione  di  procedibilita'  di  ogni  successiva
 procedura esecutiva fondata su di esso;
     che  in  proposito  va  premessa  l'esistenza,  nella  disciplina
 codicistica dell'esecuzione forzata,  di  un  principio  generale  di
 unicita'  della  notificazione  del  titolo esecutivo, desumibile sul
 piano sistematico sia dalla circostanza che per il titolo  esecutivo,
 diversamente  dal  precetto,  non  sono  sanciti  termini  legali  di
 efficacia (ferma sempre restando  l'applicabilita'  della  disciplina
 generale  in tema di prescrizione), sia dalla previsione del rilascio
 di una sola copia in forma  esecutiva,  salva  l'ipotesi  di  perdita
 incolpevole (art. 476 del codice di procedura civile e art. 154 delle
 disposizioni di attuazione dello stesso codice);
     che  la  disposizione denunciata non deroga al suddetto principio
 di unicita' della notificazione del titolo esecutivo,  non  potendosi
 desumere   tale  deroga  ne'  da  un'interpretazione  testuale  della
 disposizione de qua, non soccorrendo nella stessa alcun  elemento  in
 tal  senso, ne' dalla ratio legis, ben potendo l'esigenza, richiamata
 dal  rimettente,  di  consentire  all'amministrazione   un   costante
 controllo   sul   debito   portato   dal   titolo  esecutivo,  essere
 adeguatamente  soddisfatta,  in  caso  di  nuova  esecuzione,   dalla
 necessaria notificazione di un nuovo atto di  precetto;
     che  non sussiste pertanto la lamentata lesione dell'effettivita'
 della tutela giurisdizionale  del  creditore  derivante,  secondo  il
 giudice  a  quo, dalla necessita' di reiterate notifiche del medesimo
 titolo esecutivo,  comportanti  il  decorso  di  altrettanti  termini
 dilatori;
     che,  per quanto riguarda la censura relativa al parametro di cui
 all'art. 41, primo comma, della Costituzione, deve escludersi che  il
 principio  della  liberta'  di  iniziativa  economica  privata  possa
 ritenersi violato da una disposizione, come quella  denunciata,  che,
 prevedendo   un   termine  dilatorio  per  l'esperimento  dell'azione
 esecutiva, non costituisce per cio' solo inevitabile  ragione  di  un
 oneroso ricorso al mercato finanziario;
     che  le  considerazioni svolte in ordine alla insussistenza di un
 onere di rinotificazione del titolo esecutivo rendono altresi' palese
 l'infondatezza della censura formulata in relazione al  parametro  di
 cui all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, non comportando la
 norma  denunciata  alcun  aggravio  di spesa a carico della  pubblica
 amministrazione;
     che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente
 infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza della questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 14, comma 1, del d.-l. 31 dicembre 1996,  n.
 669  (Disposizioni  urgenti  in  materia  tributaria,  finanziaria  e
 contabile a completamento  della  manovra  di  finanza  pubblica  per
 l'anno  1997), convertito, con modificazioni, nella legge 28 febbraio
 1997, n. 30,  sollevata, in riferimento agli  artt.  3,  24,  secondo
 comma,  41,  primo  comma e 81, quarto comma, della Costituzione, dal
 pretore di Salerno, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Marini
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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