N. 468 ORDINANZA 16 - 30 dicembre 1998

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  civile  -  Notifica  della  citazione al terzo da parte del
 convenuto - Termine perentorio  -  Omessa  previsione  -  Difetto  di
 rilevanza - Manifesta inammissibilita'.
 
 (C.P.C., art. 269, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.2 del 13-1-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Cesare  MIRABELLI,    prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO,    avv.  Massimo VARI,   dott. Cesare RUPERTO,
 dott. Riccardo CHIEPPA,  prof. Gustavo ZAGREBELSKY,    prof.  Valerio
 ONIDA,    prof. Carlo MEZZANOTTE,  avv. Fernanda CONTRI,  prof. Guido
 NEPPI MODONA,  prof. Piero Alberto CAPOTOSTI,  prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  269,  secondo
 comma,  del  codice di procedura civile promosso con ordinanza emessa
 l'8 aprile 1998 dal  pretore  di  Tempio  Pausania  nel  procedimento
 civile vertente tra Tamponi Giovanni Maria ed altri e Serra Pasquale,
 iscritta  al  n.  395  del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  23,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1998;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 novembre 1998 il giudice
 relatore Fernanda Contri;
    Ritenuto che nel corso di un procedimento  civile,  nel  quale  il
 convenuto  aveva  proposto  domanda  riconvenzionale di usucapione ed
 aveva chiamato terzi in causa, il pretore  di  Tempio  Pausania,  con
 ordinanza dell'8 aprile 1998, ha sollevato, in riferimento agli artt.
 3  e  24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 269, secondo comma, del codice di procedura  civile,  nella
 parte  in  cui  non  prevede  un termine perentorio entro il quale il
 convenuto deve notificare la citazione al terzo:
     che nella fattispecie, come precisa il rimettente,  la  citazione
 dei  terzi, non costituitisi in giudizio, era stata eseguita senza il
 rispetto dei  termini  stabiliti  dall'art.  163-bis  del  codice  di
 procedura  civile  e la parte attrice aveva eccepito la decadenza del
 convenuto dalla facolta' di chiamata in causa;
     che, a norma dell'art. 269 cod.  proc.  civ.,  il  convenuto,  il
 quale  intenda chiamare un terzo in causa, deve, a pena di decadenza,
 farne  dichiarazione  nella  comparsa  di  risposta  e  chiedere   lo
 spostamento   della  prima  udienza,  allo  scopo  di  consentire  la
 citazione del terzo nel rispetto dei  termini  dell'art.  163-bis  la
 quale citazione e' notificata a cura del convenuto;
     che,  come osserva il giudice a quo, detta norma nulla dispone in
 ordine al mancato rispetto del termine per la  citazione  del  terzo,
 si'  che in tale ipotesi potrebbe ritenersi applicabile la disciplina
 prevista dall'art. 164 cod. proc. civ., in base alla quale,  ove  sia
 stato  assegnato  un termine a comparire inferiore a quello stabilito
 dalla legge e il convenuto non si  sia  costituito  in  giudizio,  il
 giudice,   rilevata   la  nullita'  della  citazione,  ne  ordina  la
 rinnovazione;
     che, per contro, soltanto a carico dell'attore,  il  quale  abbia
 interesse   alla   chiamata   in  causa  di  un  terzo  e  sia  stato
 preventivamente autorizzato  dal  giudice,  e'  previsto  l'onere  di
 notificare   al  terzo  la  citazione  entro  il  termine  perentorio
 stabilito dal giudice;
     che, quindi, a differenza di quanto stabilito dal  secondo  comma
 del  citato  art.  269,  la  perentorieta'  del  termine  e' prevista
 unicamente per la chiamata in causa ad opera  dell'attore,  il  quale
 decade da tale facolta' qualora non osservi il termine;
     che,  ad  avviso  del rimettente, la diversa disciplina stabilita
 dall'art. 269 cod. proc. civ. in ordine alla chiamata in causa di  un
 terzo  darebbe  luogo ad una ingiustificata disparita' di trattamento
 tra le parti, che si tradurrebbe nella violazione degli artt. 3 e  24
 della  Costituzione,  tanto  piu'  ove si consideri che la previgente
 formulazione dell'art. 269 parificava la posizione dell'attore e  del
 convenuto  in  ordine  alla  chiamata  in  causa  di  un  terzo e che
 l'originario testo della norma  in  oggetto,  approvato  dal  Senato,
 prevedeva che la notificazione della citazione al terzo, sia ad opera
 dell'attore   che   del   convenuto,  doveva  eseguirsi  nel  termine
 perentorio di quindici giorni;
     che,  come  osserva  infine  il  rimettente,  la  disparita'   di
 trattamento   non   puo'  essere  superata  con  una  interpretazione
 estensiva che  conferisca  perentorieta'  al  termine  relativo  alla
 citazione  del  terzo, effettuata dal convenuto, in quanto e' ad essa
 di ostacolo il disposto dell'art.  152 cod. proc. civ., a  norma  del
 quale  "i  termini  per  il  compimento  degli atti del processo sono
 stabiliti dalla legge; possono essere stabiliti dal giudice  anche  a
 pena di decadenza, soltanto se la legge lo permette espressamente".
    Considerato che, come risulta dall'ordinanza di rimessione e dagli
 atti del giudizio a quo il convenuto ha assegnato alle parti chiamate
 in  causa  un  termine  a  comparire  inferiore  a  quello prescritto
 dall'art.  163-bis codice procedura civile:
     che, ai sensi dell'art. 164 cod. proc.  civ.,  tale  inosservanza
 determina  la  nullita'  della citazione, con l'ulteriore conseguenza
 che, non essendosi costituite in giudizio le  parti,  il  giudice  e'
 tenuto  a disporre d'ufficio la rinnovazione della citazione entro un
 termine perentorio;
     che la questione sollevata  dal  rimettente  si  appalesa  quindi
 priva di rilevanza nel giudizio a quo, nel quale dall'assegnazione di
 un  termine  a  comparire inferiore a quello legale non puo' derivare
 altro effetto che l'applicazione del citato art. 164,  e  cio'  anche
 nel  caso in cui fosse previsto un termine perentorio per la chiamata
 in causa;
     che,  infine, tenuto conto che le parti legittimate a contraddire
 alla domanda riconvenzionale di usucapione rivestono la  qualita'  di
 litisconsorti   necessari,   la  omessa  citazione  di  una  di  esse
 determinerebbe comunque per il  giudice  la  necessita'  di  disporre
 l'integrazione del contraddittorio.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  manifesta   inammissibilita'   della   questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 269, secondo comma, del codice
 di procedura civile, sollevata, in riferimento  agli  artt.  3  e  24
 della Costituzione, dal pretore di Tempio Pausania con l'ordinanza in
 epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Contri
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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