N. 11 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 luglio 1998- 4 gennaio 1999
N. 11 Ordinanza emessa il 2 luglio 1998 (pervenuta alla Corte costituzionale il 4 gennaio 1999) dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Napolitano Elena ed altro contro il comune di Barberino di Mugello Procedimento civile - Interruzione del processo a causa di morte della parte costituita - Decorrenza del termine perentorio, per la riassunzione, dalla dichiarazione dell'evento in udienza o dalla sua notificazione, effettuata dal procuratore della parte stessa - Mancata previsione circa la decorrenza di detto termine, per i soggetti destinati a subentrare nel processo, dalla conoscenza dell'interruzione - Lesione del principio di eguaglianza - Violazione del diritto di difesa. (C.P.C. artt. 305, combinato disposto e 300). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.4 del 27-1-1999 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 4909 del ruolo generale affari civili per l'anno 1997, proposto da Napolitano Elena, Napolitano Giuseppe, rappresentati e difesi, con procura speciale in calce al ricorso, notificato il 16 maggio 1997, dagli avv.ti Umberto Nidiaci e Walter Testa, domiciliatario in Roma alla via Achille Papa n. 21, ricorrenti; Contro il comune di Barberino di Mugello, in persona del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso, con procura in calce al controricorso, notificato il 16 maggio 1997, dall'avv. Paolo Golini, con il quale elettivamente domicilia in Roma alla via delle Tre Madonne, 16, presso lo studio dell'avv. prof. Roberto Nania, controricorrente per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Firenze del 3 novembre 1995, depositata col n. 187 il 1 marzo 1996; Udita, nella pubblica udienza del 2 luglio 1998, la relazione del consigliere Enrico Papa; Sentito l'avv. Casotti Contatore, delegato, che ha chiesto accogliersi il ricorso; Sentito il p.m. dott. Ennio Attilio Sepe, che ne ha chiesto il rigetto. Premesso in fatto Con citazione del 30 marzo 1991, Caterina Cafulli convenne davanti alla Corte di appello di Firenze il comune di Barberino di Mugello, per la determinazione delle indennita' di espropriazione e di occupazione legittima di un suo fondo (in n.c.t. di quel comune al fol. 77, part. 42, 60, 61, 64, 65, 66, 94 e 95), gia' destinato a discarica comunale; sulla contestazione dell'Ente - che affermo' la congruita' delle somme offerte -, rimessa all'esito dell'istruzione la causa al collegio, il procuratore dell'attrice dichiaro', all'udienza del 18 marzo 1994, la morte della parte, ed il processo venne, con contestuale ordinanza, interrotto. Riassunto dagli eredi Elena e Giuseppe Napolitano, con ricorso depositato il 18 novnbre 1994, e' stato dichiarato estinto con sentenza del 3 novembre 1995, depositata col n. 187 il 1 marzo 1996, avendo ritenuto, la Corte, l'eccezione ritualmente proposta e superato l'ulteriore difesa degli attori, circa la decorrenza del termine di sei mesi per la riassunzione, fissato nell'art. 305 c.p.c., da un momento successivo a quello della dichiarazione dell'evento interruttivo, ed, in particolare, dalla accettazione dell'eredita'. Per la cassazione della sentenza ricorrono i Napolitano, con due motivi. Resiste il comune con controricorso, illustrato da memoria. II - Considerate le posizioni difensive contrapposte: col primo mezzo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 300, 301, 305, 307 c.p.c., e 3 e 24 Cost. Sotto un primo profilo, lamentano l'erroneita' della interpretazione dell'art. 305 c.p.c., seguita dal giudice a quo, che il termine per la riassunzione ha inteso far decorrere dalla data dell'interruzione: richiamando gli interventi della Corte costituzionale in ordine agli artt. 301 e 300, e, segnatamente, Corte costituzionale n. 159/1971, affermano ancora l'impossibilita' di una decorrenza del termine anteriore al sorgere, in capo ai soggetti chiamati a proseguire il processo, "del potere di esperire validamente l'azione", che, coincidendo col momento della delazione dell'eredita', si sarebbe in realta' verificato in epoca successiva alla dichiarazione del procuratore (precisamente, con la pubblicazione del testamento, intervenuta il 16 aprile 1994). Pertanto, dopo aver puntualizzato gli inconvenienti connessi ad una diversa interpretazione, lamentano la disparita' di trattamento che si verificherebbe rispetto ai casi di morte della parte costituita personalmente, ovvero di morte del procuratore - nei quali il termine per la riassunzione decorre, a seguito degli interventi della Corte costituzionale, dalla conoscenza legale del fatto interruttivo -, da cio' traendo la conclusione della mancanza di fondamento normativo ad un preteso obbligo, per il difensore, di "avvertire parti da lui non conosciute ne', quanto meno, facilmente conoscibili ed in tempi non determinabili". Onde, per il caso di mancato accoglimento dell'interpretazione proposta, dopo aver richiamato Corte cost. n. 220/1986, formulano eccezione di incostituzionalita' del combinato disposto degli artt. 305 e 300 c.p.c., per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, ipotizzando disparita' di trattamento fra situazioni simili nonche' lesione del diritto di difesa. Sotto un secondo profilo, richiamata la disciplina dell'art. 307, comma 4 c.p.c., deducono che e' mancata l'eccezione di estinzione "prima di ogni altra istanza o difesa", avendo l'Ente appellato formulato il rilievo unicamente in via conclusiva, nella comparsa per il collegio (al punto 4, ove "infine si segnala all'ecc.mo collegio la tardivita' della riassunzione del processo" per di piu' "facendo riferimento alla data della notifica del ricorso con pedissequo decreto di fissazione dell'udienza, notifica avvenuta il 30 gennaio 1995 anziche' alla data di presentazione del ricorso stesso", con la conseguenza che il giudice a quo sarebbe incorso in extrapetizione. Col secondo motivo, deducono un corrispondente vizio di motivazione, in relazione ai riportati profili. Da un lato, lamentano che erroneamente il giudice a quo avrebbe riferito la prospettazione degli attori in riassunzione al momento dell'accettazione e non a quello della delazione dell'eredita', ed, ancor piu', contestano la ritenuta congruita' del termine semestrale per il compimento, da parte dei chiamati - i quali potrebbero addirittura ignorare la morte del dante causa -, di tutte le operazioni successorie, comprensive della nomina del difensore, attraverso cui proseguire il processo interrotto. Dall'altro, contestano l'affermazione della Corte, circa la richiesta "in via prioritaria" d'estinzione, che, nella parte dispositiva della comparsa, precede le altre unicamente perche' trattasi di istanza "in rito", laddove, nella parte narrativa, l'andamento globale delle difese e' quello gia' considerato. Oppone il controricorrente comune l'infondatezza delle tesi difensive avversarie. Afferma infatti l'esattezza della interpretazione seguita dal giudice di merito in ordine all'art. 305 c.p.c., arricchendola di rilievi e richiami giurisprudenziali; ribadisce poi di aver formulato ritualmente l'eccezione di estinzione. In particolare, osserva che la disposizione "non puo' essere ragionevolmente interpretata nel senso che l'eccezione di estinzione debba essere formulata all'inizio del primo atto difensivo prodotto dalla parte interessata a farla valere"; puntualizza, inoltre, che l'eccezione e' stata espressa dopo aver richiamato le date della dichiarazione dell'evento interruttivo, del deposito del ricorso e della notifica di esso col pedissequo decreto, senza riferirsi esclusivamente a quest'ultima. Esclude, conseguentemente, ogni collegato vizio di motivazione nella sentenza impugnata. III. - Tanto premesso e considerato, ritiene il collegio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della normativa richiamata, con le precisazioni che seguono, avuto riguardo alla prospettazione dei ricorrenti. Invertendo, per ragioni di pregiudizialita' logica, l'esame del duplice profilo del primo mezzo, e' agevole osservare che il secondo non potrebbe essere accolto, giacche', ferma la natura di eccezione processuale in senso stretto, quella di estinzione del processo non richiede formule sacramentali, essendo necessario e sufficiente che risulti proposta in forma esplicita (Cass. n. 316/1992) ed in via pregiudiziale (Cass. n. 4286/1980), vale a dire prima di ogni altra difesa (v. anche Cass. nn. 6286/1995, 7323/1994). Orbene, nella ricordata comparsa conclusionale, il convenuto dedusse (p. 5, n. 4) la tardivita' della riassunzione, puntualizzando le date delle singole attivita' processuali, a cui, espressamente, quella del deposito del ricorso, onde, fermo restando l'esplicito collegamento col termine perentorio per la riassunzione (in relazione al deposito stesso, e non alla successiva notifica), concluse poi, "in rito", vale a dire in via pregiudiziale, con la richiesta di dichiarazione d'estinzione del processo ai sensi dell'art 305 c.p.c. (ivi, p. 6). Con la conseguenza, negativa per i ricorrenti, agevolmente arguibile. Il restante (primo) profilo finisce per incentrarsi sulla questione di legittimita' costituzionale, la cui soluzione soltanto, nel senso auspicato dai ricorrenti, potrebbe far sorgere, in una eventuale articolazione successiva, la problematica - agitata invece in via principale - circa la possibile incidenza, sulla fattispecie estintiva, del potere di proseguire il processo in capo a chi puo' "esperire validamente l'azione". Il sistema posto in discussione, infatti, e' proprio quello della decorrenza del termine perentorio, per la riassunzione, dalla dichiarazione o notificazione dell'evento interruttivo (art. 300 comma 2 c.p.c.), indipendentemente dalla statuizione - meramente dichiarativa - del giudice (Cass. nn. 5029/1998, 6721/1996), stante l'automaticita' del corrispondente effetto, che non richiede la conoscenza - la quale verrebbe ad atteggiarsi invece come premessa necessaria della stessa problematica - da parte dei soggetti destinati a subentrare nel processo. La questione medesima sembra, al collegio, oltre che rilevante - in virtu' dei rilievi piu' sopra svolti -, non manifestamente infondata. La Corte costituzionale, nell'occuparsi di tale questione (sent. n. 136/1992) con riguardo al fallimento di una parte, ha ritenuto l'art. 305 c.p.c. non in contrasto con l'art. 24 Cost., la' dove fa decorrere il termine per la riassunzione dall'interruzione e non dall'effettiva conoscenza dell'evento interruttivo ad opera del curatore fallimentare, argomentando dalla cd. ultrattivita' della rappresentanza processuale rispetto all'evento medesimo, ai sensi dell'art. 300 c.p.c., cui ha considerato sotteso l'obbligo, non espresso nella regola processuale ma desumibile dagli artt. 1728, comma 1 e 1710, comma 2 c.c., di rendere noto ai soggetti, ai quali spetta proseguire il processo, l'evento medesimo, concordando con essi la correlativa dichiarazione. Ha cosi' ritenuto che l'eventuale inadempimento di quell'obbligo costituisca solo un inconveniente pratico, cui non e' rapportabile un vizio d'incostituzionalita' della norma - sotto l'aspetto della violazione del diritto di difesa -, poiche' la legittimita' costituzionale "va apprezzata in funzione della corretta osservanza dell'ordinamento giuridico complessivo e non delle possibili sue violazioni", laddove l'inconveniente medesimo risulta prevenuto e represso dal sistema sanzionatorio, nella sede disciplinare, a carico del procuratore inadempiente, nonche' dalla risarcibilita' del danno da lui eventualmente cagionato ai soggetti cui incombeva l'onere di prosecuzione del processo. Pare al collegio che la verifica di costituzionalita' in esame, nei limiti di rilevanza della questione proposta, sia stata condizionata dalla peculiarita' dell'evento considerato (fallimento), che rende difficilmente ipotizzabile un curatore fallimentare ignaro dei processi in corso ed un procuratore del fallito che ometta ogni informativa circa gli sviluppi della vicenda processuale, in un contesto, oltre tutto, caratterizzato dalla persistente presenza dell'interessato, in grado di assumere iniziative dirette anche presso gli organi della procedura concorsuale. Ma la stessa peculiarita' non sembra consentire il superamento delle difficolta' di una costruzione, in via generale, nei termini riportati, e consiglia di riproporre, con riferimento al caso della morte della parte costituita, la questione, sotto il duplice profilo del contrasto con l'art. 24 e, correlativamente, con l'art. 3 della Costituzione. A) Sotto il primo profilo, appare dubbia l'effettivita' del diritto di difesa per coloro cui spetta proseguire il processo, in caso di intervenuta interruzione, trattandosi di soggetti estranei al processo stesso, tenuti nondimeno a compiere attivita' processuali entro un termine perentorio, la cui decorrenza risulterebbe garantita da posizioni subiettive esse pure estranee al processo. Nell' ambito del rapporto processuale, che si potrebbe dire "esterno" siccome riguardante la parte, il giudice e le altre parti, l'evento interruttivo che colpisce la prima e', di per se', irrilevante, poiche' rientra nel diritto potestativo processuale del procuratore darne - con dichiarazione che, pur essendo di scienza, assume portata negoziale, richiedendo la volonta' dell'effetto, appunto, interrruttivo (cosi' Cass. nn. 5391/1990, 2506/1989, 2837/1987, e, fra le piu' recenti, Cass. n. 3431/1998) - comunicazione all'udienza ovvero mediante notifica, ai sensi del comma 1 dell'art. 300 c.p.c. e con le conseguenze fissate nel comma 2, secondo valutazioni da compiere nell'esclusivo interesse della parte colpita dal ripetuto evento (Cass. nn. 5156/1998, 13041/1995). Da cio' deriva che, mentre, nel caso di omessa dichiarazione, il rapporto esterno resta immutato (senza che quello interno venga in alcun modo ad incidere sulla dialettica del processo), allorquando tale dichiarazione sia intervenuta, in assenza di qualsivoglia atto processuale riguardante i soggetti destinati a subentrare nel processo, nei cui confronti il termine perentorio inizia immediatamente a decorrere, risulta indispensabile l'aggancio al rapporto "interno", tra procuratore costituito e subentranti alla parte incisa dall'evento interruttivo. Aggancio indispensabile - che, nella prima alternativa, si ravvisa nella cd. ultrattivita' della procura (v. per tutte Cass. nn. 4237/1997, 7704/1996), secondo valutazioni tuttavia non incidenti sui concreti meccanismi del processo -, ma non per questo appagante. Difatti, l'apprezzamento di legittimita' della norma con riguardo all'ordinamento giuridico nel suo complesso, pur costituendo affermazione di un principio incontestabile, non sembra consentire la giustapposizione della disciplina sostanziale a quella processuale, attesa la peculiarita' delle regole attinenti al processo, la cui caratteristica di norme "strumentali" ne comporta l'autosufficienza, trattandosi di disposizioni che (chiamate a regolare posizioni subiettive di onere), in caso di inosservanza, contengono in se stesse l'attuazione delle conseguenze giuridiche, di regola consistenti in preclusioni o - come appunto nel caso in esame - decadenze, senza percettibili modifiche del mondo "fenomenico", come invece normalmente avviene per le norme di diritto sostanziale - la cui attuazione (relativa invece a posizioni subiettive di obbligo), nel momento sanzionatorio, anche quando avvenga in forma specifica, implica pur sempre una qualche modifica di tal fatta -. Talche', dal punto di vista processsuale, non potra' negarsi che il procuratore della parte venuta a morte, resa la dichiarazione e provocato l'effetto interruttivo, non riveste piu' alcun ruolo, onde nel processo si verifica un evidente iato, che impedisce di dare (autosufficiente) ragione dell'inizio della decorrenza di un termine decadenziale a carico di soggetti i quali non risultano tuttavia raggiunti da alcun atto processuale - aspetto, quest'ultimo, che nella citata Corte cost. n. 136/1992 appare superato col considerare la sola posizione del subentrante convenuto in riassunzione, in una prospettiva ex post, forse non idonea a superare il rilievo -. Sotto l'aspetto sostanziale (del rapporto cd. interno), ad ulteriori perplessita' da' luogo la soluzione prospettata, la quale, mentre relega al rango di inconveniente pratico la mancata informativa del procuratore verso coloro che dovrebbero subentrare all'originario mandante, fa assurgere (attraverso il richiamo all'art. 1728 c.c.) le ipotesi di prosecuzione del processo fra quelle in cui sarebbe per definizione configurabile il "pericolo nel ritardo", in definitiva confermando la tendenza a salvare la regolarita' del rapporto esterno attraverso la disciplina dettata per quello interno (al qual proposito non va tralasciato che il mandato potrebbe intercorrere anche tra procuratore e terzo e che il procuratore medesimo, in base alle istruzioni ricevute, potrebbe aver agito, nel rendere autonomamente la dichiarazione dell'evento, nel rispetto degli obblighi impostigli dall'art. 1710 c.c.). E, sotto tale ulteriore riguardo, il sospetto d'incostituzionalita' appare semmai ricevere riscontro: sostenere che la tutela del soggetto chiamato a proseguire il giudizio e' assicurata dalla responsabilita' civile (per inadempimento) del procuratore-mandatario, oltre che da quella disciplinare di lui, significa far ricorso ad una forma di protezione per cosi' dire indiretta, assicurata, cioe', non - come sembrerebbe dover essere - "nel" processo, bensi' attraverso disposizioni volte a riequilibrare e sanzionare la (gia' intervenuta) lesione del diritto di difesa, resa possibile dallo stesso complessivo sistema delle norme processuali, che avrebbe dovuto autonomamente garantirlo. B) Nella medesima prospettiva, sotto il profilo dell'art. 3 della Costituzione, e' agevole poi osservare che, mentre le parti non colpite dall'evento interruttivo, dal momento della dichiarazione o della notificazione, hanno legale conoscenza (per il contumace, arg. art. 292 comma 3 c.p.c.) dell'interruzione, e possono usufruire per intero del termine semestrale per la riassunzione, cio' non si verifica per colui (o coloro) cui spetta proseguire il processo. Difatti, persino ipotizzando un previo accordo con il procuratore della parte venuta a morte, circa la dichiarazione ex art. 300 c.p.c., non potra' negarsi che, essendo la conoscenza legata alla dichiarazione medesima, l'informativa seguira' necessariamente in un momento successivo, col pericolo di consumazione parziale di un termine processuale, in posizione deteriore rispetto alle altre parti. In tali termini rettificata la prospettazione dei ricorrenti nella formulazione della relativa eccezione, ritiene il collegio, sul premesso accertamento di rilevanza di essa, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 305 e 300 c.p.c., per violazione degli artt. 24 e 3 della Costituzione, la' dove prevedono che, in caso di morte della parte costituita, il termine perentorio di sei mesi per la riassunzione decorra dalla interruzione, e, cioe', dalla dichiarazione o dalla notificazione dell'evento interruttivo ad opera del procuratore, e non dalla conoscenza dell'interruzione medesima in capo ai soggetti destinati a subentrare nel processo.
P. Q. M. Dichiara non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 24 e 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 305 e 300 c.p.c., nella parte in cui prevedono che, in caso di morte della parte costituita, il termine perentorio di sei mesi per la riassunzione decorra, per i soggetti destinati a subentrare nel processo, dalla interruzione - e quindi dalla dichiarazione o dalla notificazione dell'evento ad opera del procuratore - e non dalla conoscenza dell'interruzione medesima. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sospendendo il giudizio. Ordina che, a norma dell'art. 23 comma 4 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la presente ordinanza sia, a cura della cancelleria, notificata alle parti in causa ed al Pubblico Ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, addi' 2 luglio 1998 Il presidente: Sgroi 99C0013