N. 13 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 ottobre 1998

                                 N. 13
  Ordinanza emessa il 7 ottobre 1998 dal tribunale militare di  Padova
 nel procedimento penale a carico di Pizzaia Mirko
 Servizio militare - Reato di rifiuto del servizio militare per motivi
    diversi  da  quelli  di  coscienza  o senza addurre alcun motivo -
    Esonero dall'obbligo di leva per coloro  che  abbiano  espiato  la
    pena per tale rifiuto per un periodo non inferiore alla durata del
    servizio  militare - Irragionevole disparita' di trattamento sotto
    diversi profili rispetto a quanto previsto nel caso  di  reato  di
    rifiuto per motivi di coscienza.
 (Legge  8  luglio  1998,  n. 230, art. 14, comma 5, in relazione alla
    legge 8 luglio 1998, n. 230, art. 14, comma 2).
 (Cost., art. 3).
(GU n.4 del 27-1-1999 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
   Ha  pronunciato  nella  pubblica  udienza  del  7  ottobre  1998 la
 seguente ordinanza nel procedimento a carico di Pizzaia Mirko, nato a
 Carlton  (Australia)  il  2  ottobre  1964,  e  residente  in   Lalor
 (Australia),  1 Kellerher St.; libero, censurato, contumace, imputato
 di mancanza alla chiamata  (art.  151  c.p.m.p.)  perche',  perdurava
 nella  arbitraria  assenza  anche  posteriormente  alla  sentenza  di
 condanna del tribunale militare di Torino del 14 gennaio 1993 e  fino
 a tutt'oggi.
   Rilevato  che il reato per cui si procede nei confronti del Pizzaia
 Mirko costituisce la prosecuzione di quello di  medesima  natura  per
 cui  lo  stesso  venne  gia'  giudicato  e  condannato  dal tribunale
 militare di Torino con sentenza del 14 gennaio 1993, irrevocabile  il
 7 giugno 1993.
   Ritenuto  che  e'  rilevante,  nel presente giudizio, verificare se
 quanto  disposto  dall'art.  14,  comma  5,  legge  n.  230/1998  sia
 costituzionalmente illegittimo dal momento che, risultando contestato
 all'imputato,   mancante   alla   chiamata,   un  rifiuto  immotivato
 deducibile  anche  dalla  durata  ultra  decennale  dell'assenza   al
 servizio  di  leva,  per  la  quale  lo  stesso  ha  gia'  subito una
 precedente condanna, la diversa disciplina applicabile, quella  cioe'
 di  cui  al  secondo  o  quella  di  cui al quinto comma dell'art. 14
 citato, comportando  la  diversa  riconducibilita'  dell'esonero  dal
 servizio  alla  condanna  o  alla esecuzione delle pena, incide sulla
 sussistenza o meno del fatto di reato oggi contestato.
   Considerato che le parti hanno cosi' concluso:  il  p.m.  chiedendo
 che  venga  sollevata  la  questione  di  legittimita' costituzionale
 dell'art.  14, comma 5, legge n. 230/1998 e la difesa associandosi  a
 tali richieste, il tribunale osserva quanto segue.
   Il collegio ritiene che la questione di legittimita' costituzionale
 della norma in relazione al secondo comma della medesima disposizione
 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione sollevata dal p.m.  non
 sia manifestamente infondata nei seguenti termini.
   Preliminarmente   occorrre   considerare   che  nel  caso  de  quo,
 risulterebbe applicabile la disciplina di cui all'art. 14,  comma  5,
 della  legge 8 luglio 1998, n. 230 che prevede l'esonero dal servizio
 di leva per coloro che  abbiano  espiato  una  pena  per  un  periodo
 complessivamente  non  inferiore  alla  durata  del servizio di leva,
 avendolo rifiutato, prima o dopo l'assunzione, per motivi diversi  da
 quelli di coscienza o senza addurre alcun motivo.
   In  merito,  anche  al  fine di meglio ritenere l'applicabilita' di
 tale  disciplina  la  caso  di  specie,  appaiono  opportuni   alcuni
 riferimenti  ai  principi  indicati dalla Corte costituzionale con le
 sentenze nn.  409/89 e 43/97.
   Con  la  prima  sentenza  la  Corte  dichiaro'  la   illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  8,  secondo comma, legge n. 772/1972 nella
 parte in cui determinava  la  pena  edittale,  ivi  comminata,  nella
 misura  minima  di  due anni, anziche' di quella di sei mesi, e nella
 misura massima di quattro anni anziche' in quella di due anni.
   A tale conclusione la Corte giungeva osservando che ... "per quanto
 subiettivamente diversificati, i  delitti  di  rifiuto  del  servizio
 militare  per motivi di coscienza e di mancanza alla chiamata ex art.
 151 c.p.m.p. ledono, con modalita'  oggettive  analoghe,  uno  stesso
 interesse  quello  ad  una regolare incorporazione degli obbligati al
 servizio di leva nell'organizzazione militare".
   Identificava, quindi, le due ipotesi ossia quella del "... militare
 che  rifiuta  il servizio militare adducendo motivi di coscienza" ...
 e quella del ..."militare che, mancando alla chiamata sostanzialmente
 rifiuta lo stesso servizio militare senza addurre alcun motivo o  per
 motivi  futili" ... specificando, cosi', che la condotta del mancante
 alla chiamata, concretizza un rifiuto sostanziale al servizio di leva
 seppure effettuato in assenza di motivi o per motivi futili.
   Premessa la identita' tra le due fattispecie, la Corte,  in  merito
 all'esonero   dagli  obblighi  di  leva  di  cui  poteva  beneficiare
 l'imputato del reato di rifiuto per motivi  di  coscienza  a  seguito
 della  espiazione delle pena, come previsto dall'art. 8, terzo comma,
 legge n. 772/1972,  affermava  che  ...  "l'esonero  in  discussione,
 conseguenza  di  una libera, discrezionale scelta del legislatore non
 appare  violare  la  Carta  fondamentale  (non  essendo   lo   stesso
 legislatore   costituzionalmente   vincolato   da  alcun  obbligo  di
 criminilizzazione  dei  fatti  lesivi  dell'interesse  tutelato   dal
 secondo comma dell'art. 52 della Costituzione) ne' e' irrazionale non
 essendo ipotizzabili altre sanzioni adeguate al caso particolarissimo
 in  discussione, il legislatore ritiene interrompere la spirale delle
 condanne a catena nella presunzione che,  ormai,  anche  la  sanzione
 penale  non  puo'  piu'  raggiungere  gli  effetti  educativi  di cui
 all'art. 27, terzo comma, della Costituzione".
   Cosi' la Corte individuava nel previsto  esonero  a  seguito  della
 esecuzione  della  pena,  l'unica soluzione adottabile al legislatore
 per evitare che lo stesso imputato subisse una pluralita' di condanne
 nel caso di perdurante assenza dal reparto.
   Con  la  seconda  sentenza   la   Consulta,   nel   dichiarare   la
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  8,  secondo e terzo comma,
 legge n. 772/1972 nella parte in cui non esclude la  possibilita'  di
 piu'  di  una  condanna  per  il reato di chi al di fuori dei casi di
 ammissione ai benefici previsti  dalla  legge  suddetta,  rifiuta  in
 tempo  di  pace  prima  di  assumerlo  il  servizio  militare di leva
 adducendo i motivi di coscienza, affermava che ... "per  tener  ferma
 la  esigenza  di non consentire la spirale di condanne, la Corte, non
 potendo negare in generale la  applicabilita'  degli  istituti  della
 sospensione e della estinzione della pena al reato previsto dall'art.
 8,  secondo  comma,  deve  invece  negare  l'assolutezza della previa
 espiazione della pena come elemento condizionante la ragione d'essere
 delle norme in esame".
   Con tale decisione la Corte, allo specifico scopo di scongiurare la
 spirale di condanne a cui sarebbe sicuramente  sottoposto  colui  che
 rifiuta  il  servizio  di leva per motivi di coscienza, e persiste in
 tale  suo  atteggiamento,  e  onde  evitare  la  inapplicabilita'  di
 istituti  quali  la  sospensione  della  pena  e  la estinzione della
 stessa, fa discendere l'esonero dalla condanna e non dalla espiazione
 della pena.
   Ora, la nuova legge sulla obiezione di coscienza,  nel  riformulare
 la  ipotesi  di  reato  gia'  prevista  dall'art.  8  della  legge n.
 772/1972, disciplina in modo differente la fattispecie di rifiuto per
 motivi di coscienza, e quella di rifiuto immotivato o  atipico  ossia
 di  rifiuto  per  motivi  diversi da quelli di coscienza o effettuato
 senza la adduzione di motivi.
   Mentre  nella  ipotesi  di  cui al secondo comma dell'art. 14 della
 indicata legge, e' previsto, per chi commette il reato di rifiuto per
 motivi di coscienza, l'esonero dal servizio di leva a  seguito  della
 condanna;  al  quinto  comma,  e'  previsto, per coloro che rifiutano
 immotivatamente o adducendo motivi diversi da  quelli  di  coscienza,
 l'esonero  dal servizio di leva solo a seguito della espiazione della
 pena.
   Per gli elementi costitutivi  e  per  la  disciplina  prevista,  il
 secondo comma dell'articolo citato prevede la fattispecie del rifiuto
 del servizio di leva nei termini di cui all'abrogato art. 8, comma 2,
 legge  n.  230/1998  seppure riletto alla luce degli interventi della
 Corte costituzionale con le sentenze nn. 409/89 e 43/97 citate.
   Diversamente, il  quinto  comma,  risulta  introdotto  al  fine  di
 disciplinare   le   ipotesi  di  rifiuto  immotivato  o  atipico  non
 espressamente  previsto  dalla  precedente  legge  n.   772/1972   ma
 individuato  dalla  Corte  costituzionale  nelle ipotesi del mancante
 alla chiamata  che  con  la  sua  condotta  omissiva  denota  seppure
 tacitamente il suo rifiuto all'espletamento del servizio di leva.
   Argomentando  da  quanto  assunto  dalla  Corte  con la sentenza n.
 409/1989  citata,  si  puo'  individuare  in  tale  ultima  condotta,
 suffragata  da elementi significativi ulteriori, quale anche al lunga
 durata  della  assenza,  un  rifiuto  tacito  allo  svolgimento   del
 servizio.
   La  stessa Corte costituzionale, riprendendo tale principio, ha poi
 ritenuto con sentenza n. 343 del  1993  che,  anche  per  coloro  che
 rifiutano  il servizio di leva senza addurre alcun motivo o adducendo
 motivi diversi, alla espiazione della pena consegue  l'esonero  dagli
 obblighi di leva.
   Tanto  induce  a  ritenere  che  la fattispecie di cui all'art. 15,
 comma 5, anche attesa la  assenza  di  una  specifica  sanzione,  non
 costituisca  una  autonoma  fattispecie  di  reato  bensi' indichi la
 disciplina  applicabile  nel  caso  di  rifiuto  ccdd.   atipico   in
 applicazione  dei  principi  gia' indicati dalla Corte costituzionale
 con le sentenze citate in merito ai reati di assenza.
   Pertanto, ai sensi dell'art. 14, comma  5,  legge  n.  230/1998  il
 mancante  alla  chiamata  che con la sua condotta omissiva perdurante
 nel tempo abbia sostanzialmente rifiutato il servizio  militare,  sia
 pure  per  motivi di varia natura o anche senza addurre alcun motivo,
 e' esonerato dal servizio di leva se espia una  pena  di  durata  non
 inferiore a quella prevista per il servizio militare.
   Tanto  premesso, ritenuta la applicabilita' di tale disciplina alla
 ipotesi di mancanza alla chiamata, il collegio non puo' che  rilevare
 la incongruita' di tale disposizione.
   Se,  infatti,  la funzione del quinto comma di tale norma, anche in
 applicazione dei principi indicati dalla Corte costituzionale con  le
 sentenza  citate,  e'  quella  di  evitare  la  spirale  di condanne,
 inevitabile nel caso in cui pur  a  seguito  di  condanna  l'imputato
 persista  nel  rifiutare formalmente o sostanzialmente il servizio di
 leva, non si puo' che evidenziare la discrasia tra tale funzione e la
 concreta efficacia della norma.
   Infatti, subordinare l'esonero  alla  espiazione  della  pena,  non
 esclude comunque la ulteriore sottoposizione a giudizio dell'imputato
 relativamente  al periodo di assenza ingiustificata intercorrente tra
 la irrevocabilita' della prima condanna  e  la  materiale  esecuzione
 della stessa.
   Di  talche'  ne verrebbe vanificata la funzione ribadita piu' volte
 dalla Consulta e assunta dallo  stesso  legislatore  di  evitare  "la
 pressione  morale  continuativa della pluralita' di condanne" che non
 puo' non assumere rilevanza anche nella  ipotesi  di  cui  al  quinto
 comma.
   D'altro  canto, cosi' come formulata, la norma in questione si pone
 in contrasto con il principio di cui l'art. 3 della  Costituzione  in
 relazione a quanto disposto dal secondo comma della medesima norma.
   Cio' in quanto viene previsto un diverso trattamento per coloro che
 rifiutano  il  servizio  di leva per motivi di coscienza per i quali,
 intervenuto l'esonero, non vi potra' essere che una sola sentenza  di
 condanna,  e  coloro  che  rifiutano  il  servizio di leva per motivi
 diversi o senza motivi, per i quali  intervenendo  l'esonero  solo  a
 seguito  della  espiazione  della  pena non inferiore alla durata del
 servizio,  ben  possono  esservi  piu'  sentenze  di  condanna.  Tale
 disparita'  di  trattamento non appare ragionevole soprattuto qualora
 si consideri che, seguendo l'assunto della Corte  costituzionale,  il
 legislatore  opererebbe in maniera difforme in merito al disvalore di
 fatti "analoghi", violativi del medesimo bene interesse, ossia quello
 di cui al nuovo art. 14, secondo comma, legge n. 230/1998 e quello di
 cui all'art.  151, c.p.m.p., per cui si applicherebbe  la  disciplina
 di cui all'art.  14, comma 5, legge n. 230/1998.
   Non   appare,  altresi',  ragionevole  anche  considerando  che  il
 legislatore, con tale disciplina, crea una sproporzione sanzionatoria
 complessiva tra due fattispecie, entrambe relative  a  manifestazioni
 di  rifiuto  del  servizio di leva che, di fatto, comporterebbe, solo
 nella seconda ipotesi,  la  pressione  continuativa  delle  reiterate
 condanne.
   D'altro  canto non puo' neppure considerarsi ragionevole un diverso
 trattamento in relazione alla applicabilita' della sospensione  della
 pena.
   Cio'  in  quanto  colui  che  rifiuta adducendo motivi di coscienza
 potra' ottenere  il  beneficio  di  cui  all'art.  163  c.p.  nonche'
 l'esonero  dagli  obblighi  di  leva;  colui  che comunque rifiuta il
 servizio di leva, seppure per motivi diversi da quelli di coscienza o
 senza addurre alcun motivo, potra'  usufruire  solo  alternativamente
 del beneficio della sospensione o dell'esonero atteso che, qualora la
 pena venga sospesa, non sara' possibile l'espiazione della pena.
                                P. Q. M.
   Visti gli artt. 1, legge n. 1/1948 e 23, legge n. 87/1953;
   Dichiara  non  manifestamente  infondata  e  rilevante nel presente
 giudizio la questione di costituzionalita'  dell'art.  14,  comma  5,
 legge  n.  230/1998  per contrasto con l'art. 3 della Costituzione in
 relazione all'art. 14, comma 2, della stessa legge;
   Sospende il giudizio in corso e ordina trasmettersi gli  atti  alla
 Corte costituzionale;
   Dispone  che  copia  della  presente  ordinanza  sia  notificata al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente  del
 Senato, al Presidente della Camera dei deputati e alle parti.
     Padova, addi' 7 ottobre 1998
                        Il presidente: Brunelli
                                              Il giudice est.: Tizzani
 99C0015