N. 14 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 ottobre 1998

                                 N. 14
  Ordinanza  emessa il 7 ottobre 1998 dal tribunale militare di Padova
 nel procedimento penale a carico di Mayr Andreas
 Servizio militare - Obiezione di coscienza  -  Reato  di  rifiuto  di
    prestare  servizio  militare  per  motivi di coscienza - Lamentata
    soggezione alla giurisdizione ordinaria anziche' a quella militare
    - Disparita' di trattamento rispetto a quanto  previsto  per  ogni
    "altro reato militare commesso da appartenenti alle forze armate",
    in  particolare  rispetto  al  reato  di  mancanza alla chiamata -
    Lesione del  principio  del  giudice  naturale  precostituito  per
    legge.
 (Legge 8 luglio 1998, n. 230, art. 14, comma 3).
 (Cost., artt. 3, 25, primo comma, e 103, terzo comma).
(GU n.4 del 27-1-1999 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
   Ha  pronunciato  nella  pubblica  udienza  del  7  ottobre  1998 la
 seguente ordinanza nel procedimento a carico di Mayr Andreas, nato  a
 Bressanone  (BZ), il 10 gennaio 1975, e residente a Naz/Sciaves (BZ),
 fraz. Sciaves n. 25/A/1,  imputato  del  reato  p.e.p.  dall'art.  8,
 secondo  comma, legge n. 772/1972 e successive modifiche perche', con
 scritto pervenuto al 1 Rgt. "S. Giusto" di Trieste in data  8  maggio
 1996, rifiutava prima di assumerlo, il 14 maggio 1996, il servizio di
 leva,  adducendo  motivi  di  coscienza  attinenti  ad una concezione
 generale della vita basata su  profondi  convincimenti  filosofici  e
 morali.
   Rilevato  che  il  reato  per  cui si procede nei confronti di Mayr
 Andreas, a seguito della entrata in vigore della legge 8 luglio 1998,
 n. 230, deve inquadrarsi nella ipotesi di cui  all'art.  14,  secondo
 comma,  della  indicata  legge,  attesa  la  identita' degli elementi
 costitutivi.
   Rilevato che il reato per cui si  procede  nei  confronti  di  Mayr
 Andreas, a seguito della entrata in vigore della legge 8 luglio 1998,
 n.  230,  deve  inquadrarsi nella ipotesi di cui all'art. 14, secondo
 comma, della indicata  legge,  attesa  la  identita'  degli  elementi
 costitutivi.
   Considerato  che  la  nuova  legge  sull'obiezione di coscienza, al
 comma 3 del citato art. 14, attribuisce al pretore del luogo  ove  il
 servizio  di leva doveva essere svolto, la competenza a giudicare dei
 reati in questione e  che,  pertanto,  in  stretta  applicazione  del
 principio della immediata operativita' delle disposizioni processuali
 e  in  assenza  di  norme  transitorie  derogatorie,  rientrano nella
 giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria sia le fattispecie
 verificatesi in data successiva all'entrata in vigore della legge sia
 quelle realizzate in data antecedente per cui il procedimento  penale
 risulti ancora pendente.
   Valutato  che  e'  rilevante,  nel giudizio in corso, verificare se
 quanto  disposto  dall'art.  14,  comma  3,  legge  n.  230/1998  sia
 costituzionalmente  illegittimo, per le evidenti conseguenze circa la
 individuazione della autorita' giurisdizionale competente.
   Considerato che le parti hanno cosi' concluso:  il  p.m.  chiedendo
 che  venga  sollevata  la  questione  di  legittimita' costituzionale
 dell'art.  14, comma 3, legge n. 230/1998 e la difesa associandosi  a
 tali richieste, il tribunale osserva quanto segue.
    Il   collegio   ritiene   che   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 14, comma 3, legge n. 230/1998 sollevata dal
 p.m. non sia manifestamente infondata per contrasto con gli artt.  3,
 25,  primo comma, e 103, terzo comma, della Costituzione nei seguenti
 termini.
   Preliminarmente occorrre rilevare che la ipotesi di  reato  di  cui
 all'art. 14, secondo comma, della indicata legge, per i suoi elementi
 costitutivi  e  le  modalita' di esecuzione, nonche' per la sanzione,
 non  si  differenzia  sostanzialmente,  da   quella   precedentemente
 prevista   dall'art.   8,  secondo  comma,  legge  n.  772/1972  come
 specificata dagli interventi della Corte costituzionale.
   Con la citata  disposizione  viene  punito  colui  che  rifiuta  il
 servizio  militare,  prima o dopo averlo assunto, adducendo motivi di
 sicurezza.
   Tale fattispecie di reato, come quella di cui  all'art.  8  citata,
 configura un'ipotesi di reato militare, che puo' essere commesso solo
 da soggetto appartenente alle Forze armate.
   Quanto   alla   natura  di  reato  militare  della  fattispecie  in
 questione, cio' si sostiene in considerazione del fatto che la  legge
 n. 230/1998 disciplina lo svolgimento di un servizio di leva, seppure
 diverso da quello armato, e prevede all'art. 14, una ipotesi di reato
 che  intende  impedire la realizzazione di una condotta violatrice di
 interessi militari.
   In merito, in virtu' di quanto disposto dall'art. 37  c.p.m.p.,  si
 considera reato militare ogni violazione della legge penale militare,
 dovendosi  intendere  per tale, seguendo anche le indicazioni fornite
 dal  legislatore  nei  valori  preparatori  del  codice,  ogni  fonte
 normativa,  sia  pure  non  codificata, che tuteli l'ordine giuridico
 militare prevedendo l'applicazione di una sanzione penale nel caso di
 sua violazione.
   Orbene, la nozione fornita dall'art.  37  c.p.m.p.,  non  puo'  che
 imporre  una  attenzione  anche  agli elementi "contenutistici" della
 singola norma.
   Cio' ha affermato la stessa Corte  costituzionale  allorquando,  al
 fine   di   specificare  l'ambito  applicativo  dell'art.  103  della
 Costituzione, ha ritenuto che la nozione di carattere  contenutistico
 del   reato   militare  consente  all'art.  103  citato  di  svolgere
 effettivamente  la  sua  funzione  limitatrice  della   giurisdizione
 militare (Corte costituzionale sent. n. 81 del 1980).
   Nella  medesima  decisione  ha  altresi'  specificato  che " ... la
 definizione contenuta nell'art. 37 deve essere a sua  volta  valutata
 nel sistema in cui si colloca ... tanto ... ... da riscontrare che il
 legislatore  non  ha  certo  configurato ad arbitrio i reati militari
 bensi' ha tenuto conto del fatto  che  nei  loro  elementi  materiali
 costitutivi  essi  non  sono  previsti  dalla  legge  penale comune o
 comunque offendono, accanto ad interessi tutelati dalla legge stessa,
 interessi aventi natura militare" (e nel medesimo senso  anche  sent.
 n. 298 del 6 luglio 1995).
   Di  talche',  pur nell'ambito della cd. concezione formale di reato
 militare, non puo' prescindersi, sia pure attraverso  valutazioni  da
 effettuarsi   caso   per   caso,  dall'accertamento  della  effettiva
 violazione di beni-interessi di rilevanza militare a cui  la  singola
 norma, inserita in legge penale militare, e' rivolta.
   Tanto  premesso,  in  applicazione  dei  principi esposti, non puo'
 considerarsi l'aspetto "contenutistico"  del  reato  di  rifiuto  del
 servizio  di leva per motivi di coscienza, al fine di comprenderne la
 natura.
   La stessa  Corte  costituzionale  ha  individuato  la  oggettivita'
 giuridica   di   tale   fattispecie   nella   tutela  della  regolare
 incorporazione.  ..."Per  quanto  subiettivamente  diversificati,   i
 delitti di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza e di
 mancanza  alla  chiamata  ex art.   151 c.p.m.p. ledono con modalita'
 oggettive analoghe  uno  stesso  interesse  quello  ad  una  regolare
 incorporazione     degli    obbligati    al    servizio    di    leva
 nell'organizzazione militare" (sentenza n. 409 del 1989).
   Quindi, il giudice delle leggi ha ritenuto che il reato di  rifiuto
 per  motivi di coscienza offende un interesse esclusivamente militare
 al pari della ipotesi di cui all'art. 151 c.p.m.p.  riconoscendo,  in
 tal  modo, la natura di reato militare dello stesso deducibile da una
 valutazione  contenutistica,   quale   appunto   quella   legata   al
 bene-interesse tutelato.
   Seppure  tale  intervento  della  Corte  ha  riguardato la abrogata
 ipotesi di cui all'art. 8, legge n. 772/1972, purtuttavia non si puo'
 porsi in dubbio che la valutazione sia applicabile anche  alla  nuova
 ipotesi  delittuosa vista la identita' del fatto di reato, come prima
 indicato.
   Cio' posto, attesi anche i  citati  interventi  della  Consulta  in
 merito  al  reato di cui all'art. 8, legge n. 772/1972, pacificamente
 ritenuto reato militare anche dalla  giurisprudenza  della  Corte  di
 cassazione,  l'ipotesi di cui all'art. 14, legge n. 230/1998 non puo'
 che considerarsi reato militare al pari di quello di cui all'art.  8,
 legge n. 772/1972.
   Quanto al soggetto attivo del reato, va  osservato  che  tale  puo'
 essere  solo  colui  che ha acquisito lo status di militare a seguito
 dell'arruolamento, nell'attualita' dell'obbligo di leva.
   Cio' in quanto lo stesso art. 14, valutato comparatisticamente  con
 l'art.  1  della  medesima  legge, pur nel rivolgersi genericamente a
 "chi non ha chiesto  o  non  ha  ottenuto  l'ammissione  al  servizio
 civile",  delimita  l'ambito  applicativo della norma alle ipotesi di
 condotta posta in essere  da  coloro  che  risultino  gia'  arruolati
 atteso che, ai sensi dell'art. 1 legge citata, la presentazione della
 istanza  di  ammissione  al  servizio sostitutivo puo' concretizzarsi
 solo dopo tale momento.
   Pertanto, li' dove l'art. 14 fa riferimento genericamente a chi non
 ha presentato la istanza o non ha ottenuto l'ammissione richiesta, si
 deve intendere che il soggetto attivo non puo' che essere colui  che,
 in quanto gia' arruolato, ha assunto lo status di militare.
   In definitiva, non essendo intervenuta alcuna modifica da parte del
 legislatore,  il reato de quo puo' essere commesso solo da colui che,
 arruolato e chiamato alle armi, nella attualita' del servizio, assume
 lo statuts di appartenente alle forze armate.
   Cio' sia ex art. 3 c.p.m.p., nel caso di presentazione  al  reparto
 per  dichiarare  il proprio rifiuto, sia ex art. 5 c.p.m.p., nel caso
 di rifiuto concretizzatosi in arbitraria assenza dal servizio.
   Cio' posto, il collegio non puo'  che  rilevare  la  diversita'  di
 disciplina  prevista  nel  caso  di  reato militare ex art. 14 citato
 commesso  dall'obiettore  e  di  altro  reato  militare  commesso  da
 appartenente alle Forze armate.
   Mentre  nel  primo  caso  la giurisdizione e' attribuita al giudice
 ordinario; nel secondo al giudice militare.
   Tale  disparita'  di  trattamento  determina  la   violazione   del
 principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.
   Non  appare  ragionevole, infatti, il diverso trattamento riservato
 agli obiettori di coscienza soprattutto li' dove  si  consideri  che,
 pur  nella  ormai  quasi  parificata  disciplina  dei processi penali
 comuni e quelli penali  militari,  si  applicherebbe,  comunque,  una
 disciplina  diversa  per  ipotesi  di  reato  accomunate dalla natura
 militare della fattispecie  delittuosa  nonche'  dalla  qualifica  di
 appartenente alle Forze armate del soggetto agente.
   La irragionevolezza di tale disposizione appare ancor piu' evidente
 qualora  si  faccia  riferimento  a  specifici reati, quale quello di
 mancanza alla chiamata (reato militare, previsto  dal  codice  penale
 militare  di  pace  commesso  da appartenente alle Forze armate) che,
 seguendo l'assunto della  Corte  costituzionale  (sent.  n.  409  del
 1989),  presentano  il  medesimo  disvalore di quello di cui al nuovo
 art. 14, secondo  comma,  legge  n.  230/1998  ma  che,  purtuttavia,
 vengono giudicati da diversa autorita' giurisdizionale.
   La  norma  in  questione  appare ulteriormente in contrasto con gli
 artt. 25 e 103, terzo comma, della Costituzione in quanto  violerebbe
 il principio del giudice naturale precostituito per legge.
   L'art.   103,   terzo   comma,   della   Costituzione  sancisce  la
 giurisdizione dei tribunali militari in tempo di  pace  per  i  reati
 militari commessi da appartenenti alle Forze armate.
   Orbene,  questo  collegio,  non  ignora che tale disposizione debba
 intendersi quale delimitazione della indicata giurisdizione e che  la
 stessa  Corte  costituzionale  ha  piu'  volte  ribadito  che  quella
 militare e' una giurisdizione  "eccezionale",  purtuttavia  non  puo'
 altresi'  ignorare  che,  il  combinato disposto dell'art. 103, terzo
 comma, e 25, primo comma, della Costituzione individua, nei tribunali
 militari, il giudice  naturalmente  preposto  a  conoscere  di  reati
 militari commessi da appartenenti alle Forze armate.
   Il  tribunale ritiene che questa indicazione e' derogabile da parte
 del legislatore solo in presenza di plausibili ragioni,  per  esempio
 la   connessione   con   procedimenti   per   reati   comuni   (Corte
 costituzionale sent. n. 206/1987) o  la  qualita'  di  minorenne  del
 soggetto attivo militare (Corte costituzionale sent. n. 222/1983); in
 mancanza,  come  nel caso di specie, la deroga alla giurisdizione dei
 tribunali militari concreta una  violazione  degli  artt.  25,  primo
 comma, e 103, terzo comma, della Costituzione.
   Il   legislatore,  infatti,  nell'intervenire  discrezionalmente  a
 regolare le fattispecie normative, non puo'  disattendere  il  canone
 della  ragionevolezza,  come  piu' volte ribadito dalla stessa Corte,
 ne'  puo'  ignorare  il  diritto,  costituzionalmente  garantito,  di
 ciascun cittadino a non essere distolto dal suo giudice naturale.
                                P. Q. M.
   Visti gli artt. 1, legge n. 1/1948 e 23, legge n. 87/1953;
   Dichiara  non  manifestamente  infondata  e  rilevante nel presente
 giudizio la questione di costituzionalita'  dell'art.  14,  comma  3,
 legge  n.  230/1998  in  riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, e
 103, terzo comma della Costituzione;
   Sospende  il  giudizio in corso e ordina trasmettersi gli atti alla
 Corte costituzionale;
   Dispone che  copia  della  presente  ordinanza  sia  notificata  al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del
 Senato, al Presidente della Camera dei deputati e alle parti.
     Padova addi' 7 ottobre 1998
                        Il presidente: Brunelli
                                              Il giudice est.: Tizzani
 99C0016