N. 17 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 novembre 1998

                                 N. 17
  Ordinanza  emessa  il  20  novembre 1998 dal giudice per le indagini
 preliminari presso il tribunale di Marsala nel procedimento penale  a
 carico di Guardala' Giampiero ed altra
 Processo penale - Incidente probatorio - Esame delle persone imputate
    in procedimento connesso - Ricorrenza di particolari condizioni di
    necessita'   ed  urgenza  -  Esclusione  -  Conseguente  lamentato
    automatismo    del    ricorso    all'incidente    probatorio     -
    Irragionevolezza - Lesione del diritto di difesa.
 ((C.P.P. 1988, art. 392, lett. d)).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.4 del 27-1-1999 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha emesso la seguente ordinanza;
   Nel  procedimento  penale n. 855/98 g.i.p pendente nei confronti di
 Guardala' Giampiero e Calabrese Rosaria, indagati per i reati di  cui
 agli artt. 479, 361, 328 e 378 c.p.;
   Rilevato  che  in data 27 ottobre 1998 il p.m. chiedeva procedersi,
 nelle forme dell'incidente probatorio, all'esame di Quinci  Giuseppe,
 Lo   Voi   Saverio   e   Cucchiara   Giuseppe,  sul  contenuto  delle
 dichiarazioni   accusatorie   dai   predetti   rese   nei   confronti
 dell'ispettrice e dell'agente scelto della Polizia di Stato Calabrese
 Rosaria e Guardala' Giampiero ed afferenti i fatti verificatisi nella
 notte  tra il 27 ed il 28 gennaio 1995, allorquando alcuni individui,
 tra cui i  suddetti  dichiaranti,  appartenenti  al  medesimo  gruppo
 criminale,  assalirono  la  discoteca  Baccano'  di Mazara del Vallo,
 sfondandone con un camion lanciato a  tutta  velocita'  la  porta  di
 ingresso,  esplodendo  alcuni  colpi  d'arma da fuoco e provocando la
 precipitosa fuga degli avventori;
   Considerato  che  dalle  dichiarazioni rese al p.m. dal Quinci, dal
 Cucchiara e dal Lo Voi emerge che l'ispettrice Calabrese  e  l'agente
 Guardala',  entrambi  in  servizio  all'epoca  dei  fatti  presso  il
 commissariato di Mazara del Vallo, furono casualmente presenti a tali
 fatti e, nonostante  ebbero  modo  di  notare  i  responsabili  delle
 condotte  criminose  sopra  sommariamente  descritte e addirittura di
 tenere sotto il tiro dell'arma di ordinanza del Guardala'  alcuni  di
 essi,  omisero  di procedere all'arresto dei predetti, di denunciarne
 l'operato e di riferire nella successiva relazione di servizio quanto
 da loro effettivamente visto, con cio' aiutando di fatto  gli  autori
 dei  reati  ad eludere le investigazioni della polizia giudiziaria; e
 che per tali episodi i due appartenenti alla Polizia  di  Stato  sono
 stati  sottoposti  alla  misura  interdittiva  della  sospensione dal
 servizio;
   Ritenuto che i suddetti dichiaranti, gia' rinviati a  giudizio  per
 le  vicende  sopra  descritte,  rivestono la qualifica di imputati di
 procedimento connesso rispetto  agli  odierni  indagati,  per  essere
 stati  commessi  i  reati  rispettivamente  attribuiti,  gli  uni  in
 occasione degli altri (art.  12,  lett.  C),  c.p.p.  in  riferimento
 all'art.  210,  comma  1,  c.p.p.) e di reato collegato, in quanto la
 prova di alcuni dei reati influisce su quella degli altri e  comunque
 le  stesse  prove  derivano, anche in parte, dalle stesse fonti (art.
 371, comma 2, lett. B) e C), in  relazione  all'art.  210,  comma  4,
 c.p.p.).
   Rilevato  che  il  p.m.,  nel  chiedere  l'esame  degli imputati di
 procedimento  connesso,  ha  omesso,  di  indicare   l'esistenza   di
 qualsivoglia   condizione   o  circostanza  che  renda  indifferibile
 l'assunzione  della  prova  nella  sede  propria  del   (l'eventuale)
 dibattimento;
                             O s s e r v a
   Come  e'  noto  con  la  legge  n.  243/1997,  il legislatore aveva
 profondamente   innovato   il   sistema   della   valutazione   delle
 dichiarazioni  rese  dai  soggetti  indicati  nell'art.  210,  c.p.p.
 (imputati    di    procedimenti    connessi    o     collegati)     e
 dall'indagato/imputato  su  fatti  concernenti  la responsabilita' di
 altri,  prevedendo  un  complesso   normativo   che   sostanzialmente
 impedisse  in  via  generale agli atti aventi contenuto dichiarativo,
 assunti  in  assenza  di  contraddittorio,  di   assumere   rilevanza
 probatoria  piena  nei  confronti dei chiamati in correita', salvo il
 meccanismo di recupero degli stessi atti disciplinato dall'art.   512
 c.p.p.,   cui  ricorrere,  previa  lettura,  nel  caso  di  effettiva
 impossibilita'  di  effettuare  l'esame  in  dibattimento,  dovuta  a
 circostanze imprevedibili.
   Fulcro   centrale  della  riforma  disegnata  dal  legislatore  era
 senz'altro l'art. 513  c.p.p.  che,  come  gia'  detto,  al  fine  di
 garantire  la  formazione  della prova in dibattimento, o comunque di
 non costringere il chiamato in correita' a "subire" le  dichiarazioni
 rese  dal  presunto  correo in assenza di contraddittorio, in caso di
 rifiuto  di  rispondere  del  chiamante  nel  corso   del   giudizio,
 subordinava   la   rilevanza  delle  dichiarazioni  rese  durante  le
 indagini, all'accordo delle parti,  impedendo,  conseguentemente,  la
 rilevanza  automatica  delle  stesse,  mediante  il  meccanismo delle
 letture, previsto  dal  previgente  art.    513  c.p.p.,  cosi'  come
 modificato  dalle  sentenze della Corte costituzionale nn. 254/1992 e
 60/1995.
   Preoccupato,  tuttavia,  dalla  eventualita'  che  da tale modifica
 legislativa potesse derivare un  sistema  per  effetto  del  quale  i
 dichiaranti  divenissero  in  molti casi arbitri del giudizio, con il
 rischio di paralizzare, con il  proprio  rifiuto  di  rispondere,  il
 processo  di accertamento della verita', spesso dagli stessi attivato
 con  precedenti  dichiarazioni  accusatorie,  il  legislatore   aveva
 specularmente modificato l'art. 392 c.p.p. (in dottrina si e' parlato
 di  meccanismo  risarcitorio  per  il p.m.) che consente tuttora alle
 parti (accusa e difesa) di chiedere l'esame dell'indagato/imputato su
 fatti  concernenti  la  responsabilita'  di   altri   (lett.   C)   e
 dell'imputato/indagato  di  procedimento  connesso o collegato (lett.
 D), in assenza  di  quelle  circostanze  di  economia  processuale  o
 ragioni   di  urgenza  che  non  consentano  di  rinviare  l'atto  al
 dibattimento, che caratterizzarono la stessa previsione dell'istituto
 dell'incidente probatorio (vedasi art. 2, n. 40 della legge di delega
 per  l'emanazione  del  nuovo  codice  di  procedura  penale)  e  che
 continuano  a  condizionare  il  ricorso  agli altri mezzi istruttori
 previsti dallo stesso art. 392 (punti A), B), E), F) e G).
   L'intervento  modificativo  e'   stato   realizzato   mediante   la
 soppressione,  nei  punti  C) e D) dell'art. 392, dell'inciso "quando
 ricorre una delle circostanze previste dalle lett. A) e  B)"  sicche'
 si  ritiene  allo stato pacificamente che, come sopra evidenziato, il
 ricorso all'incidente probatorio, relativamente ai casi  di  chiamata
 in  correita',  sia  oggi sottratto all'esistenza di qualsiasi vaglio
 giudiziale,  che  non  sia  quello  della  rilevanza  ai  fini  della
 decisione  dibattimentale ed al rispetto dei requisiti di forma della
 richiesta.
   Si  e'  cioe'  costruito   un   sistema   di   automatico   ricorso
 all'incidente  probatorio, in deroga alla natura stessa dell'istituto
 previsto come eccezionale momento anticipatorio del dibattimento,  in
 presenza di particolari ragioni di urgenza o necessita', praticamente
 condizionato  alla  sola  iniziativa di una delle due parti, rispetto
 alla quale i giudice (g.i.p. o g.u.p.) puo' solamente  prendere  atto
 della richiesta e fissare la relativa udienza.
   Ne'  puo'  costituire  elemento  ostativo all'interpretazione sopra
 adottata dell'art. 392 lett. C) e D), il fatto che l'art.  393  lett.
 C)  c.p.p.  prevede  che  nella  richiesta  debbano essere esposte le
 circostanze  che  a  norma  dell'art.  392  rendono  la   prova   non
 differibile  in  dibattimento, e che tale norma non sia stata toccata
 dalla riforma del 1997; ed infatti, proprio il richiamo all'art.  392
 c.p.p.  rende  evidentemente la norma in questione inapplicabile alle
 richieste  di  incidente  probatorio  sulle  chiamate  in  correita',
 proprio  perche' i punti C) e D) della norma richiamata non prevedono
 oggi alcuna condizione di urgenza o indifferibilita'  necessaria  per
 il  ricorso  all'istituto processuale in argomento e conseguentemente
 nessuna  giustificazione  della   richiesta   deve   essere   esposta
 nell'istanza.
   Del  resto, anche la suprema Corte ha ritenuto che dopo la modifica
 delle lett. C) e D) dell'art. 392 c.p.p., possa procedersi  all'esame
 dei  chiamanti  in  correita' "senza che sia necessario dimostrare (e
 quindi indicare nella relativa richiesta) che la persona  non  potra'
 essere  esaminata  nel  dibattimento  per  infermita'  o  altro grave
 impedimento o che per elementi concreti e  specifici  vi  e'  fondato
 motivo  di  ritenere che la persona sia esposta a violenza, minaccia,
 offerta o promessa di denaro o di altra utilita' affinche' non  renda
 dichiarazioni  o  dichiari  il falso" (Cassaz. sez. 1 n. 748/1998, in
 motivazione).
   Tale dunque essendo la disciplina dell'istituto in questione,  dopo
 la  riforma  introdotta  con  la legge n. 243/1997, si pone oggi come
 elemento  di  novita'  la  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.
 361/1998  che  dichiarando  la parziale incostituzionalita' dell'art.
 513  c.p.p.,  cosi'  come  modificato  dalla   suddetta   legge,   ha
 ridisegnato  il meccanismo della valutazione delle dichiarazioni rese
 dai soggetti indicati  nell'art.  210  e  dal  dichiarante  su  fatti
 concernenti  le responsabilita' di altri soggetti, prevedendo in tali
 casi, e nell'ipotesi di rifiuto  di  rispondere  in  dibattimento  da
 parte  del  dichiarante, il ricorso al meccanismo delle contestazioni
 ed il successivo recupero delle dichiarazioni  precedentemente  rese,
 secondo  lo schema gia' previsto dal legislatore nell'art. 500, commi
 2-bis e 4 c.p.p., per le dichiarazioni  rese  dai  testimoni  che  in
 tutto  o  in  parte  omettano  di  confermare  quanto  dichiarato  in
 istruttoria.
   La sentenza della Corte, intervenendo sull'art. 513 come modificato
 dal legislatore del '97, ha sicuramente alterato il meccanismo che da
 quella riforma scaturiva, lasciando in vita  solo  quella  parte  del
 complesso  di  norme  introdotte al fine di riequilibrare il sistema,
 che sarebbe  viceversa  risultato  fortemente  squilibrato  in  senso
 ostativo  all'accertamento della verita', risultato cui ogni processo
 deve necessariamente tendere.
   Deve quindi verificarsi se il sistema  che  e'  sopravvissuto  alla
 sentenza  costituzionale  n. 361/1998 sia solamente inopportuno o non
 conferente ai principi di economia processuale,  necessitando  quindi
 di  un  auspicabile  intervento  del  legislatore  che,  per  ipotesi
 potrebbe anche non arrivare, oppure giungere con estremo  ritardo,  o
 se viceversa l'art. 392 lett. C) e D) nel prevedere l'automatismo del
 ricorso all'incidente probatorio in assenza di particolari condizioni
 che  ne  giustifichino  la richiesta, ed alla luce della possibilita'
 introdotta dal giudice delle leggi  di  recuperare  le  dichiarazioni
 rese  in  istruttoria  dai chiamanti in correita' mediante l'istituto
 delle contestazioni previsto dall'art. 500 c.p.p.,  presenti  profili
 di  sospetta  costituzionalita'  e  richieda l'intervento della Corte
 costituzionale.
   Ritiene questo giudice non manifestamente infondata la questione di
 costituzionalita' dell'art. 392, comma  1,    lett.  D)  c.p.p.,  per
 violazione  degli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui
 non subordina l'ammissibilita' della richiesta di esame del chiamante
 in correita', alla ricorrenza di una delle circostanze previste dalle
 lett. A) e B) dello stesso articolo.
   Rileva  innanzitutto  la  possibile  violazione  del  principio  di
 uguaglianza,  previsto  dall'art.  3  della  Costituzione,  sotto  il
 profilo che l'uguaglianza  formale  implica  per  il  legislatore  la
 necessita'  di distinguere la regolamentazione di situazioni analoghe
 solo in relazione ad una finalita' legislativamente apprezzabile.
   A tal proposito, non puo'  omettersi  di  evidenziare  che  tra  le
 dichiarazioni  dei  chiamanti in correita' e quelle dei testimoni non
 sono rilevabili differenze essenziali, trattandosi in entrambi i casi
 di  contributi  a  contenuto  dichiarativo,  aventi  ad  oggetto   la
 descrizione   della  condotta  posta  in  essere  da  terze  persone,
 caratterizzandosi le prime unicamente per la qualifica soggettiva dei
 propalanti (imputati/indagati di procedimenti connessi o collegati  o
 nello   stesso  procedimento),  dalla  quale  deriva  il  particolare
 meccanismo di valutazione della prova previsto dall'art. 192 c.p.p..
   A conferma  di  quanto  sopra  sostenuto,  va  detto  che  gia'  il
 legislatore  aveva avvicinato la disciplina processuale dei testimoni
 a quella degli  imputati  di  procedimento  connesso,  prevedendo  la
 citazione  di  questi mediante le norme per i testimoni, l'obbligo di
 presentazione al giudice e l'accompagnamento coattivo e che la  Corte
 costituzionale,  proprio  nella  sentenza n. 361/1998, si esprime nei
 seguenti termini "Tali simmetrie (tra la disciplina dei  testimoni  e
 quella  degli  imputati  dichiaranti)  trovano  appunto spiegazione e
 giustificazione  nell'analogia  tra  le  posizioni   processuali   di
 soggetti   le  cui  dichiarazioni  sono  contraddistinte  dall'essere
 rivolte e dall'essere destinate a valere, nei confronti di altri";  e
 la  stessa  Corte  giunge  a  ritenere  compatibile  con  il  vigente
 ordinamento costituzionale la pressoche' totale sovrapposizione delle
 due discipline, dichiarando l'art. 513 c.p.p., incostituzionale nella
 parte in cui non  prevede  che,  qualora  il  dichiarante  rifiuti  o
 comunque   ometta  in  tutto  o  in  parte  di  rispondere  su  fatti
 concernenti la responsabilita' di altri gia'  oggetto  di  precedenti
 dichiarazioni,  in mancanza dell'accordo delle parti alla lettura, si
 applica l'art.  500, commi 2-bis e 4  c.p.p.,  ovvero  la  disciplina
 processuale   originariamente   prevista   per   il   recupero  delle
 dichiarazioni rese dai testi in istruttoria.
   Se, dunque, alla fine del percorso effettuato dal legislatore e dal
 giudice delle leggi, le discipline processuali relative ai  testi  ed
 agli  imputati  dichiaranti  sulla  responsabilita' di altri soggetti
 risultano  praticamente  sovrapponibili  (con   l'unica   differenza,
 peraltro  non  rilevante  ai  fini della valutazione della prova, che
 l'imputato ha pur sempre il diritto di  non  rispondere),  vi  e'  da
 chiedersi  perche' mai alle parti sia consentito l'accesso automatico
 all'incidente probatorio, nei casi previsti dall'art. 392, lett. C) e
 D), con conseguente  emarginazione  del  giudice  da  ogni  decisione
 sull'ammissibilita'  sostanziale  della  richiesta  e,  quindi, sulla
 presenza di quelle condizioni  di  indifferibilita'  ed  urgenza  che
 giustificano  negli altri casi, e quindi anche nell'ipotesi in cui si
 chieda l'esame del teste (lett.  A) e B)), l'anticipazione del  mezzo
 istruttorio rispetto alla sede naturale del dibattimento.
   Ne   consegue  il  rilievo,  sotto  il  profilo  della  valutazione
 teleologica della normativa in questione, dell'inesistenza di  alcuna
 finalita'   apprezzabile  della  disciplina  che  da  tale  normativa
 scaturisce, e dunque di un evidente elemento di irragionevolezza  del
 sistema, e piu' precisamente di una irragionevole discriminazione tra
 situazioni analoghe. Cio' comporta la possibile lesione del principio
 di  uguaglianza,  inteso  come  canone  di  coerenza dell'ordinamento
 giuridico, cui devono  uniformarsi  pure  gli  istituti  processuali,
 tenuto  anche  conto  del fatto che la stessa Corte costituzionale ha
 riconosciuto  la  piena  discrezionalita'   del   legislatore   nella
 individuazione delle scansioni processuali, tuttavia nel rispetto del
 principio  di  ragionevolezza,  si'  da evitare istituti o regole che
 possano prestarsi ad  uso  distorto,  recando  in  tal  modo  lesione
 all'efficiente  svolgimento  dell'attivita'  giurisdizionale, come ad
 esempio nel caso in cui il ricorso ad un istituto  processuale  quale
 l'incidente  probatorio, studiato come eccezionale e limitato momento
 anticipatorio  dell'attivita'   di   acquisizione   probatoria,   sia
 sostanzialmente  lasciato, nei casi di cui ai punti C) e D) dell'art.
 392 c.p.p., ad una mera scelta di convenienza di una  delle  parti  e
 non  ancorato  all'esistenza di precise condizioni che ne legittimino
 il ricorso, sottoposte alla valutazione del giudice.
   Rileva, inoltre, la possibile  violazione  del  diritto  di  difesa
 previsto dall'art. 24 della Costituzione, inteso come facolta' per il
 singolo  individuo  di  curare nell'ambito del procedimento penale la
 valorizzazione dei propri interessi.
   Ed infatti, se e' evidente che spetta poi al legislatore  ordinario
 dare   materiale   attuazione   alla  norma  programmatica  contenuta
 nell'art.    24  della  Carta  costituzionale  e  che   pertanto   il
 riconoscimento  di tale diritto non impedisce allo stesso legislatore
 di  regolarne  diversamente  l'esercizio   nelle   varie   fasi   del
 procedimento,  quando  cio' serva per compensare la garanzia di altri
 interessi costituzionali, e' altrettanto vero che la  disciplina  del
 diritto  di difesa non puo' essere disegnata in modo tale da impedire
 in concreto, ed in assenza di finalita' da tutelare  o  di  interessi
 primari  da garantire, l'effettiva attuazione di tale diritto, inteso
 anche come facolta' di illustrare  le  argomentazioni  giuridiche  al
 fine di opporsi ad una richiesta istruttoria dell'organo dell'accusa.
   In  sostanza,  l'imputato/indagato,  stante la disciplina dell'art.
 392, lett. C) e D) attuale,  e'  costretto  a  "subire"  l'esame  del
 coimputato  o dell'imputato di procedimento connesso/collegato in una
 sede che non  e'  quella  naturale  del  dibattimento,  senza  potere
 esaminare  o  contro  esaminare  il dichiarante alla luce delle prove
 eventualmente gia' acquisite nel corso del dibattimento o,  comunque,
 nel  caso  in cui la richiesta di incidente probatorio sia presentata
 dal p.m.  nel corso delle indagini preliminari, sulla base di  quanto
 acquisito  definitivamente  in  esito  all'attivita'  istruttoria; ed
 ancora non consentendo alla difesa di far valere le proprie eccezioni
 od opposizioni innanzi al giudice che  dovra  adottare  la  decisione
 finale, che e' quello del dibattimento.
   E  cio'  in assenza di qualsiasi interesse che sia degno di tutela,
 si' da giustificare una parziale compressione del diritto di  difesa,
 attesa  la  possibilita',  prevista  dalla  Corte  costituzionale  di
 procedere al recupero delle dichiarazioni rese al p.m. dagli imputati
 dichiaranti, mediante  il  meccanismo  delle  contestazioni  previsto
 dall'art. 500 c.p.p..
   Cio'  posto,  la questione dedotta appare di assoluta rilevanza nel
 procedimento in argomento, avendo il p.m. richiesto, come gia' detto,
 l'esame degli imputati di procedimento connesso Quinci  Giuseppe,  Lo
 Voi  Saverio e Cucchiara Giuseppe, con riferimento all'art. 392 lett.
 D) e, dunque, essendosi limitato a dedurre sulla  rilevanza  ai  fini
 della  decisione dibattimentale, ma non avendo esposto alcuna ragione
 che giustifichi l'anticipazione del mezzo  di  prova  richiesto;  ne'
 potendo   questo  giudice,  sulla  base  dell'esistente  normativa  a
 riguardo, valutare l'esistenza di condizioni o  circostanze  che  non
 consentano  l'acquisizione  della prova richiesta nella naturale sede
 dibattimentale.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 legge n. 87/1953;
   Dichiara    non    manifestamente   infondata   la   questione   di
 costituzionalita' dell'art. 392, lett. D), nella  parte  in  cui  non
 subordina  l'ammissibilita' della richiesta di esame del chiamante in
 correita',  nei  casi  suddetti,  alla  ricorrenza   di   una   delle
 circostanze previste dalle lett. A) e D) dello stesso articolo;
   Dispone  la  sospensione  del  procedimento  ed  ordina l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ordinando altresi'
 che a cura della cancelleria la  presente  ordinanza  sia  notificata
 alle  parti  in causa ed al p.m., nonche' al Presidente del Consiglio
 dei Ministri,  e  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
     Marsala, addi' 20 novembre 1998
             Il giudice per le indagini preliminari: Corleo
 99C0023