N. 23 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 ottobre 1998

                                 N. 23
  Ordinanza  emessa il 7 ottobre 1998 dal tribunale militare di Padova
 nel procedimento penale a carico di Castrovinci Alfredo Maria Roberto
 Servizio militare - Obiezione di coscienza  -  Reato  di  rifiuto  di
    prestare  servizio  militare  per  motivi di coscienza - Lamentata
    soggezione alla giurisdizione ordinaria anziche' a quella militare
    - Disparita' di trattamento rispetto a quanto  previsto  per  ogni
    "altro reato militare commesso da appartenenti alle forze armate",
    in  particolare  rispetto  al  reato  di  mancanza alla chiamata -
    Lesione del  principio  del  giudice  naturale  precostituito  per
    legge.
 (Legge 8 luglio 1998, n. 230, art. 14, comma 3).
 (Cost., artt. 3, 25, primo comma, e 103, terzo comma).
(GU n.4 del 27-1-1999 )
                         IL TRIBUNALE MILITARE
   Ha  pronunciato  nella  pubblica  udienza  del  7  ottobre  1998 la
 seguente ordinanza nel procedimento a carico di  Castrovinci  Alfredo
 Maria  Roberto,  nato  a  Milano  l'8 marzo 1977, ed ivi residente in
 Delle Leghe n. 23, imputato del reato  p.e.p.  dall'art.  8,  secondo
 comma,  legge n. 772/1972 e successive modifiche perche', con scritto
 pervenuto a questa Procura Militare in data 14 maggio 1996, rifiutava
 prima di assumerlo, il servizio di leva presso il 1  Rgt.  Ftr.  "San
 Giusto"  di  Trieste il 15 maggio 1996, adducendo motivi di coscienza
 attinenti ad una concezione generale della vita  basata  su  profondi
 convincimenti filosofici e morali.
   Rilevato  che  il  reato  per  cui  si  procede  nei  confronti  di
 Castrovinci Alfredo, a seguito della entrata in vigore della legge  8
 luglio  1998,  n. 230, deve inquadrarsi nella ipotesi di cui all'art.
 14, secondo comma, della indicata legge, attesa  la  identita'  degli
 elementi costitutivi;
   Considerato che la nuova  legge  sull'obiezione  di  coscienza,  al
 comma  3  del citato art. 14, attribuisce al pretore del luogo ove il
 servizio di leva doveva essere svolto, la competenza a giudicare  dei
 reati  in  questione  e  che,  pertanto,  in stretta applicazione del
 principio della immediata operativita' delle disposizioni processuali
 e in  assenza  di  norme  transitorie  derogatorie,  rientrano  nella
 giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria sia le fattispecie
 verificatesi in data successiva all'entrata in vigore della legge sia
 quelle  realizzate in data antecedente per cui il procedimento penale
 risulti ancora pendente;
   Valutato  che  e'  rilevante  nel  giudizio in corso, verificare se
 quanto  disposto  dall'art.  14,  comma  3,  legge  n.  230/1998  sia
 costituzionalmente  illegittimo, per le evidenti conseguenze circa la
 individuazione della autorita' giurisdizionale competente;
   Considerato che le parti hanno cosi' concluso:  il  p.m.  chiedendo
 che  venga  sollevata  la  questione  di  legittimita' costituzionale
 dell'art.  14, comma 3, legge n. 230/1998 e la difesa associandosi  a
 tali richieste, il tribunale osserva quanto segue.
   Il collegio ritiene che la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  14,  comma 3, legge n. 230/1998 sollevata dal p.m. non sia
 manifestamente infondata per contrasto con gli  artt.  3,  25,  primo
 comma, e 103, terzo comma, della Costituzione nei seguenti termini.
   Preliminarmente  occorre  rilevare  che  la ipotesi di reato di cui
 all'art. 14, comma 2, della  indicata  legge,  per  i  suoi  elementi
 costitutivi  e  le  modalita' di esecuzione, nonche' per la sanzione,
 non  si  differenzia,  sostanzialmente,  da  quella   precedentemente
 prevista   dall'art.   8,  secondo  comma,  legge  n.  772/1972  come
 specificata dagli interventi della Corte costituzionale.
   Con la citata  disposizione  viene  punito  colui  che  rifiuta  il
 servizio  militare,  prima o dopo averlo assunto, adducendo motivi di
 coscienza.
   Tale fattispecie di reato, come quella di cui  all'art.  8  citata,
 configura un'ipotesi di reato militare, che puo' essere commesso solo
 da soggetto appartenente alle Forze armate.
   Quanto   alla   natura  di  reato  militare  della  fattispecie  in
 questione, cio' si sostiene in considerazione del fatto che la  legge
 n. 230/1998 disciplina lo svolgimento di un servizio di leva, seppure
 diverso da quello armato, e prevede all'art. 14, una ipotesi di reato
 che  intende  impedire la realizzazione di una condotta violatrice di
 interessi militari.
   In merito, in virtu' di quanto disposto dall'art. 37  c.p.m.p.,  si
 considera reato militare ogni violazione della legge penale militare,
 dovendosi  intendere  per tale, seguendo anche le indicazioni fornite
 dal  legislatore  nei  lavori  preparatori  del  codice,  ogni  fonte
 normativa,  sia  pure  non  codificata, che tuteli l'ordine giuridico
 militare prevedendo l'applicazione di una sanzione penale nel caso di
 sua violazione.
   Orbene, la nozione fornita dall'art.  37  c.p.m.p.,  non  puo'  che
 imporre  una  attenzione  anche  agli elementi "contenutistici" della
 singola norma.
    Cio' ha affermato la stessa Corte costituzionale  allorquando,  al
 fine  di  specificare  l'ambito  applicativo  dell'art. 103 Cost., ha
 ritenuto che la nozione di carattere contenustico del reato  militare
 consente  all'art.  103  citato  di  svolgere  effettivamente  la sua
 funzione limitatrice della giursdizione militare (Corte  cost.  sent.
 n. 81 del 1980).
   Nella  medesima  decisione  ha  altresi'  specificato  che ''... la
 definizione contenuta nell'art. 37 deve essere a sua  volta  valutata
 nel sistema in cui si colloca (...) tanto (...) da riscontrare che il
 legislatore  non  ha  certo  configurato ad arbitrio i reati militari
 bensi' ha tenuto conto del fatto  che  nei  loro  elementi  materiali
 costitutivi  essi  non  sono  previsti  dalla  legge  penale comune o
 comunque offendono, accanto ad interessi tutelati dalla legge stessa,
 interessi  aventi natura militare'' (e nel medesimo senso anche sent.
 n. 298 del 6 luglio 1995).
   Di talche', pur nell'ambito della cd. concezione formale  di  reato
 militare,  non  puo  prescindersi, sia pure attraverso valutazioni da
 effettuarsi  caso  per  caso,   dall'accertamento   della   effettiva
 violazione  di  beni-interessi di rilevanza militare a cui la singola
 norma, inserita in legge penale militare, e' rivolta.
   Tanto premesso, in applicazione dei principi esposti, non puo'  non
 considerarsi  l'aspetto  "contenutistico"  del  reato  di rifiuto del
 servizio di leva per motivi di coscienza, al fine di comprenderne  la
 natura.
   La  stessa  Corte  costituzionale  ha  individuato  la oggettivita'
 giuridica  di  tale   fattispecie   nella   tutela   della   regolare
 incorporazione.   ...''Per  quanto  subiettivamente  diversificati  i
 delitti di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza e di
 mancanza alla chiamata ex art.   151 c.p.m.p.  ledono  con  modalita'
 oggettive  analoghe  uno  stesso  interesse  quello  ad  una regolare
 incorporazione    degli    obbligati    al    servizio    di     leva
 nell'organizzazione militare'' (sentenza n. 409 del 1989).
   Quindi,  il giudice delle leggi ha ritenuto che il reato di rifiuto
 per motivi di coscienza offende un interesse esclusivamente  militare
 al  pari  della ipotesi di cui all'art. 151 c.p.m.p. riconoscendo, in
 tal modo, la natura di reato militare dello stesso deducibile da  una
 valutazione   contenutistica,   quale   appunto   quella   legata  al
 beneinteresse tutelato.
   Seppure tale intervento  della  Corte  ha  riguardato  la  abrogata
 ipotesi  di  cui  all'art.  8 legge n. 772/1972, purtuttavia non puo'
 porsi in dubbio che la valutazione sia applicabile anche  alla  nuova
 ipotesi  delittuosa vista la identita' del fatto di reato, come prima
 indicato.
   Cio' posto, attesi anche i  citati  interventi  della  Consulta  in
 merito  al  reato  di cui all'art. 8 legge n. 772/1972, pacificamente
 ritenuto reato militare anche dalla  giurisprudenza  della  Corte  di
 cassazione,  l'ipotesi  di cui all'art. 14 legge n. 230/1998 non puo'
 che considerarsi reato rilitare al pari di quello di cui all'art.  8,
 legge n. 772/1972.
   Quanto al soggetto attivo del reato, va  osservato  che  tale  puo'
 essere  solo  colui  che ha acquisito lo status di militare a seguito
 dell'arruolamento, nell'attualita' dell'obbligo di leva.
   Cio' in quanto lo stesso art. 14, valutato comparatisticamente  con
 l'art.  1  della  medesima  legge, pur nel rivolgersi genericamente a
 ''chi non ha chiesto o  non  ha  ottenuto  l'ammissione  al  servizio
 civile'',  delimita  l'ambito applicativo della norma alle ipotesi di
 condotta posta in essere  da  coloro  che  risultino  gia'  arruolati
 atteso che, ai sensi dell'art. 1 legge citata, la presentazione della
 istanza  di  ammissione  al  servizio sostitutivo puo' concretizzarsi
 solo dopo tale momento.
   Pertanto, li' dove l'art. 14 fa riferimento genericamente a chi non
 ha presentato la istanza o non ha ottenuto l'ammissione richiesta, si
 deve intendere che il soggetto attivo non puo' che essere colui  che,
 in quanto gia' arruolato, ha assunto lo status di militare.
   In definitiva, non essendo intervenuta alcuna modifica da parte del
 legislatore,  il reato de quo puo' essere commesso solo da colui che,
 arruolato e chiamato alle armi, nella attualita' del servizio, assume
 lo status di appartenente alle forze armate.
   Cio'  sia  ex art. 3 c.p.m.p., nel caso di presentazione al reparto
 per dichiarare il proprio rifiuto, sia ex art. 5 c.p.m.p.,  nel  caso
 di rifiuto concretizzatosi in arbitraria assenza dal servizio.
   Cio'  posto,  il  collegio  non  puo' che rilevare la diversita' di
 disciplina prevista nel caso di reato  militare  ex  art.  14  citato
 commesso  dall'obiettore  e  di  altro  reato  militare  commesso  da
 appartenente alle forze armate.
   Mentre nel primo caso la giurisdizione  e'  attribuita  al  giudice
 ordinario; nel secondo al giudice militare.
   Tale   disparita'   di  trattamento  determina  la  violazione  del
 principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.
   Non appare ragionevole, infatti, il diverso  trattamento  riservato
 agli  obiettori  di  coscienza soprattutto li' dove si consideri che,
 pur nella ormai  quasi  parificata  disciplina  dei  processi  penali
 comuni  e  quelli  penali  militari,  si applicherebbe, comunque, una
 disciplina diversa per  ipotesi  di  reato  accomunate  dalla  natura
 militare  della  fattispecie  delittuosa  nonche'  dalla qualifica di
 appartenente alle Forze armate del soggetto agente.
   La irragionevolezza di tale disposizione appare ancor piu' evidente
 qualora si faccia riferimento a  specifici  reati,  quale  quello  di
 mancanza  alla  chiamata  (reato militare, previsto dal codice penale
 militare di pace commesso da appartenente  alle  forze  armate)  che,
 seguendo  l'assunto  della  Corte  costituzionale  (sent.  n. 409 del
 1989), presentano il medesimo disvalore di quello  di  cui  al  nuovo
 art.  14,  comma  2,  legge  n. 230/1998 ma che, purtuttavia, vengono
 giudicati da diversa autorita' giurisdizionale.
   La norma in questione appare ulteriormente  in  contrasto  con  gli
 artt.  25 e 103, terzo comma, Cost. in quanto violerebbe il principio
 del giudice naturale precostituito per legge.
   L'art.  103,  terzo   comma,   della   Costituzione   sancisce   la
 giurisdizione  dei  tribunali  militari  in tempo di pace per i reati
 militari commessi da appartenenti alle forze armate.
   Orbene, questo collegio, non ignora  che  tale  disposizione  debba
 intendersi  quale delimitazione della indicata giurisdizione e che la
 stessa  Corte  Costituzionale  ha  piu'  volte  ribadito  che  quella
 militare  e'  una giurisdizione ''eccezionale'', purtuttavia non puo'
 altresi' ignorare che, il combinato  disposto  dell'art.  103,  terzo
 comma, e 25, primo comma, Cost. individua, nei tribunali militari, il
 giudice  naturalmente preposto a conoscere di reati militari commessi
 da appartenenti alle Forze armate.
   Il tribunale ritiene che questa indicazione e' derogabile da  parte
 del  legislatore  solo in presenza di plausibili ragioni, per esempio
 la connessione con procedimenti per  reati  comuni  (Corte  sent.  n.
 206/1987)  o  la  qualita'  di minorenne del soggetto attivo militare
 (Corte sent. n. 222/1983); in mancanza, come nel caso di  specie,  la
 deroga   alla   giusdizione   dei  tribunali  militari  concreta  una
 violazione degli artt. 25, primo comma, e 103, terzo comma, Cost.
   Il  legislatore,  infatti,  nell'intervenire  discrezionalmente   a
 regolare  le  fattispecie  normative, non puo' disattendere il canone
 della ragionevolezza, come piu' volte ribadito  dalla  stessa  Corte,
 ne'  puo'  ignorare  il  diritto,  costituzionalmente  garantito,  di
 ciascun cittadino a non essere distolto dal suo giudice naturale.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 1, legge n. 1/1948 e 23, legge n. 87/1953;
   Dichiara  non  manifestamente  infondata  e  rilevante nel presente
 giudizio la questione di costituzionalita'  dell'art.  14,  comma  3,
 legge  n.  230/1998  in  riferimento agli artt. 3, 25, primo comma, e
 103, terzo comma, Cost.;
   Sospende il giudizio in corso e ordina trasmettersi gli  atti  alla
 Corte costituzionale;
   Dispone  che  copia  della  presente  ordinanza  sia  notificata al
 Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente  del
 Senato, al Presidente della Camera dei deputati e alle parti.
     Padova, addi' 7 ottobre 1998
                        Il presidente: Brunelli
                                              Il giudice est.: Tizzani
 99C0029