N. 2 SENTENZA 18 - 21 gennaio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Liberi professionisti - Ragionieri e periti commerciali  -  Iscritti
 che  abbiano  riportato  condanna  penale  per  alcuni  tipi di reato
 (appropriazione  indebita  e  bancarotta  fraudolenta)  -  Automatica
 radiazione  dall'albo - Irragionevolezza di una sanzione in contrasto
 con  il  principio  di  proporzione  (vedi  sentenza  n.  40/1990)  -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (D.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, art. 38).
 
(GU n.4 del 27-1-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE, prof. Guido
 NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 38 del d.P.R.
 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere
 e perito commerciale), promosso con ordinanza emessa il 29  settembre
 1997  dal  Tribunale  di  Prato  nel procedimento civile vertente tra
 Colombari Daniele Stefano ed il Consiglio nazionale dei ragionieri  e
 periti  commerciali, iscritta al n. 322 del registro ordinanze 1998 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  19,  prima
 serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito  nella  camera  di consiglio dell'11 novembre 1998 il giudice
 relatore Fernando Santosuosso.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un procedimento civile  promosso  dal  ragioniere
 Daniele  Colombari  contro  il  Consiglio  nazionale dei ragionieri e
 periti commerciali, il Tribunale di Prato, con ordinanza emessa il 29
 settembre   1997,   ha   sollevato    questione    di    legittimita'
 costituzionale,  per  contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione,
 dell'art. 38 del d.P.R.  27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento  della
 professione  di  ragioniere e perito commerciale), nella parte in cui
 prevede la radiazione di diritto dall'albo dei  ragionieri  e  periti
 commerciali  degli iscritti che abbiano riportato condanna penale per
 alcuni tipi di  reato  (come  appropriazione  indebita  e  bancarotta
 fraudolenta, per i quali e' stato condannato il rag. Colombari).
   Secondo  il  Tribunale  la  questione  e'  rilevante,  in quanto il
 giudizio a quo non puo'  prescindere  dall'applicazione  della  norma
 impugnata:   l'attore lamenta, infatti, che dapprima il Consiglio del
 Collegio di Prato e poi il Consiglio nazionale dei ragionieri abbiano
 adottato il provvedimento di radiazione senza aprire un  procedimento
 disciplinare, conformemente a quanto previsto dall'art. 38 del citato
 d.P.R.  n.    1068.  Se tale norma fosse dichiarata incostituzionale,
 rimarrebbero travolte le decisioni dei due collegi professionali.
   Inoltre,  il  giudice   rimettente   ritiene   la   questione   non
 manifestamente  infondata, considerato che la Corte costituzionale ha
 gia' dichiarato l'illegittimita' di norme analoghe,  che  disponevano
 la  destituzione di diritto per i pubblici impiegati (sentenza n. 971
 del 1988) e per i notai (sentenza n. 40 del 1990) e la radiazione  di
 diritto per i dottori commercialisti (sentenza n. 158 del 1990).
   Infine,  l'eliminazione della destituzione di diritto nel campo del
 pubblico impiego, ad opera della legge n. 19 del 1990,  comporterebbe
 un  ulteriore motivo di illegittimita' della norma impugnata, essendo
 contrario al principio di  uguaglianza  che  tale  sanzione  permanga
 soltanto nei confronti dei liberi professionisti, come rilevato dalla
 stessa Corte costituzionale nella citata sentenza n. 158 del 1990.
   2.  -  Nel  giudizio  avanti  la  Corte  costituzionale  non  si e'
 costituita la parte privata, ne' e'  intervenuto  il  Presidente  del
 Consiglio dei Ministri.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Il Tribunale di Prato ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 38 del  d.P.R.  27  ottobre  1953,  n.  1068
 (Ordinamento  della  professione  di ragioniere e perito commerciale)
 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione.
   Il suddetto art. 38 contiene tre distinte  proposizioni  normative:
 nel  primo  comma  indica  i  motivi  che,  in generale, giustificano
 l'irrogazione della sanzione della radiazione dall'albo; nel  secondo
 comma  dispone  la radiazione di diritto nel caso di condanna per una
 serie  di  delitti; nel terzo comma, infine, prevede la radiazione di
 diritto come conseguenza della condanna a pene accessorie ovvero  del
 ricovero  in manicomio giudiziario o dell'assegnazione ad una colonia
 agricola o ad una casa di lavoro.
   Benche' il dispositivo dell'ordinanza di  rimessione  si  riferisca
 all'intero  articolo,  dalla  motivazione della stessa emerge come il
 giudice a quo  censuri  la  norma  nella  parte  in  cui  prevede  la
 radiazione  di  diritto dall'albo dei ragionieri e periti commerciali
 che abbiano riportato condanna  penale  per  alcuni  tipi  di  reato:
 pertanto  l'oggetto  del giudizio di legittimita' costituzionale deve
 ritenersi limitato al secondo comma.
   2. - La questione e' fondata.
   La  giurisprudenza  di  questa  Corte  ritiene  necessario  che  le
 sanzioni  destitutive,  sia  nel  campo  del  pubblico impiego che in
 quello   delle   professioni   inquadrate   in   ordini   o   collegi
 professionali,  non siano disposte in modo automatico dalla legge, ma
 siano irrogate solo a seguito di  un  procedimento  disciplinare  che
 consenta  di  adeguare  la  sanzione  al  caso  concreto  secondo  il
 principio di proporzione (v. la sentenza n. 40 del 1990).
   Sulla   base   di   tale   principio    sono    state    dichiarate
 costituzionalmente   illegittime   le   norme   che   prevedevano  la
 destituzione di diritto del notaio (con la citata sentenza n. 40  del
 1990)  e la radiazione di diritto del dottore commercialista, sancita
 da una disposizione identica a quella ora impugnata e contenuta in un
 decreto legislativo emanato nella stessa data (con la sentenza n. 158
 del 1990).
 nel  settore  del  pubblico  impiego,  poi,  sono  state   dichiarate
 contrarie    alla    Costituzione    la   destituzione   di   diritto
 dell'impiegato, prevista dall'art. 85 del testo unico n. 3  del  1957
 (con  la  sentenza  n.  971  del  1988),  e  l'analoga sanzione della
 decadenza dal servizio introdotta dall'art. 15, comma 4-octies, della
 legge n. 55 del 1990 come  misura  per  prevenire  e  contrastare  la
 delinquenza  di  tipo  mafioso  (con la sentenza n. 197 del 1993); la
 sospensione  automatica  dall'impiego   e   dall'abilitazione   degli
 ufficiali di riscossione dei tributi nei cui confronti siano pendenti
 procedimenti  penali  per  taluni  reati  (con la sentenza n. 239 del
 1996);  la  cessazione  automatica  dal  servizio  continuativo   dei
 carabinieri  per  perdita del grado, a seguito dell'irrogazione della
 pena accessoria della rimozione (sentenza n. 363 del 1996).
   Questa Corte ha,  invece,  ritenuto  che  tali  principi  non  sono
 invocabili  nei  casi in cui la legge preveda la decadenza automatica
 da ruoli o da autorizzazioni all'esercizio di  determinate  attivita'
 come  conseguenza della perdita di un requisito soggettivo necessario
 per l'accesso e per la permanenza nel ruolo o per la prosecuzione del
 rapporto autorizzatorio (sentenze n. 297 del 1993 e n. 226 del 1997).
   Anche  nel  campo  del  pubblico  impiego  l'automatica  esclusione
 dall'accesso ai pubblici uffici non e' stata giudicata contraria alla
 Costituzione,  precisandosi che non e' invocabile un parallelismo tra
 l'ipotesi dell'assunzione e quella della  destituzione  del  pubblico
 dipendente,  dal momento che la prima attiene ai requisiti soggettivi
 indicati dal legislatore per la  scelta  dei  piu'  idonei  aspiranti
 all'accesso,  mentre  la  seconda comporta la rimozione di uno status
 gia' acquisito (sentenze n. 203 del 1995 e n. 249 del 1997).
   3.   -  La  professione  di  ragioniere  e  perito  commerciale  e'
 inquadrata in un collegio professionale, ai sensi del d.P.R. n.  1068
 del  1953.   Tale normativa prevede che gli iscritti all'albo possano
 essere  sottoposti  a  procedimento  disciplinare  e,  all'art.   36,
 qualifica  espressamente  come  sanzione  disciplinare  la radiazione
 dall'albo, regolata specificamente dal successivo art. 38,  impugnato
 nel presente giudizio.
   In  base  ai  precedenti  di  questa  Corte,  il Tribunale di Prato
 censura  fondatamente  la  norma  nella  parte  in   cui   stabilisce
 l'automatica  radiazione di diritto dall'albo dei ragionieri e periti
 commerciali degli iscritti che abbiano riportato condanna penale  per
 alcuni  tipi  di reato. Ed invero - come gia' rilevato nella sentenza
 n. 158 del 1990, che ha dichiarato illegittima una  norma  del  tutto
 identica  a quella oggetto del presente giudizio, relativa ai dottori
 commercialisti  -  l'automatismo  della  sanzione   disciplinare   e'
 irragionevole,  contrastando  con il principio di proporzione, che e'
 alla base della razionalita' che informa il principio di eguaglianza.
 - Inoltre come e' stato gia' affermato (sentenza n. 40  del  1990)  -
 dopo  la soppressione dell'istituto della destituzione di diritto nel
 campo del pubblico impiego risulterebbe  contrario  al  principio  di
 uguaglianza che tale tipo di sanzione rimanesse fermo soltanto per le
 libere professioni.
   Risulta  dunque  violato, sotto entrambi i suddetti profili, l'art.
 3 della Costituzione.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  38  del  d.P.R.
 27 ottobre 1953, n. 1068 (Ordinamento della professione di ragioniere
 e  perito  commerciale),  nella parte in cui prevede la radiazione di
 diritto dall'albo dei ragionieri e  periti  commerciali  che  abbiano
 riportato  condanna  penale  per  i  reati indicati nel secondo comma
 dello stesso articolo.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 gennaio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Santosuosso
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1999.
                       Il cancelliere: Fruscella
 99C0051