N. 6 SENTENZA 18 - 21 gennaio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro - Lavoratori licenziati per cessazione di attivita' aziendale
 - Indennita' di mobilita' - Spettanza anche a soggetti  non  iscritti
 nelle  liste  di  mobilita'  che  posseggano  i  relativi requisiti -
 Mancata  previsione  -  Riferimento  alla  sentenza  n.  413/1995   -
 Assicurazione  ai lavoratori di una via di accesso diretto alle liste
 con  il  conseguimento  dello  status  derivante  dall'iscrizione   e
 relativa percezione dell'indennita' - Non fondatezza nei sensi di cui
 in motivazione.
 
 (Legge  23 luglio 1991, n. 223, art. 4, commi 4 e 9, e artt. 6, comma
 1, e 7, comma 1).
 
 (Cost., artt. 3 e 38).
 
(GU n.4 del 27-1-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici: prof. Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY,  prof.  Valerio  ONIDA,  prof.  Carlo  MEZZANOTTE,  avv.
 Fernanda CONTRI,  prof.  Guido  NEPPI  MODONA,  prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale del combinato disposto
 degli artt. 4, commi 4 e 9, 6, comma 1, e 7, comma 1, della legge  23
 luglio  1991,  n.  223  (Norme  in  materia  di  cassa  integrazione,
 mobilita', trattamenti di  disoccupazione,  attuazione  di  direttive
 della  Comunita'  europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni
 in materia di mercato del lavoro), promosso con ordinanza emessa il 3
 febbraio 1996 dal pretore di Lecce nel procedimento  civile  vertente
 tra Cotardo Tiziana ed altre e la ditta LUEL ed altre, iscritta al n.
 1203   del  registro  ordinanze  1996  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 45,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del  14  ottobre  1998  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto.
                           Ritenuto in fatto
   1.1.  -  Il  pretore  di  Lecce - nel corso di un giudizio in cui i
 lavoratori licenziati per cessazione di attivita'  aziendale  avevano
 richiesto  che  venisse accertato il loro diritto ad essere collocati
 in mobilita' - sollevo', con ordinanza del 18 maggio 1994,  questione
 di  legittimita'  costituzionale dell'art. 7, comma 1, della legge 23
 luglio 1991,  n.  223,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione,  nella  parte  in  cui  non prevede che l'indennita' in
 argomento possa spettare anche a soggetti non iscritti nelle liste di
 mobilita' che posseggano i relativi requisiti.
   Con sentenza n. 413 del 1995, questa Corte dichiaro' non fondata la
 questione, osservando che il diritto all'indennita'  costituisce  una
 tra   le   molteplici  conseguenze  dell'iscrizione  nelle  liste,  e
 aggiungendo che non poteva esaminare, "in quanto  eccedente  rispetto
 al  thema  decidendum devoluto alla Corte stessa", "la conformita', o
 meno, a Costituzione  della  disciplina  (non  gia'  del  presupposto
 dell'indennita'  di mobilita' ma) della stessa iscrizione nelle liste
 suddette (art. 4)".
   1.2. - Lo stesso giudice, con ordinanza emessa il 3  febbraio  1996
 nel  corso  del medesimo processo - dopo aver ricordato che il datore
 di lavoro ha  verbalmente  proceduto  al  licenziamento  di  tutti  i
 dipendenti  per  cessazione di attivita' - ha sollevato, in relazione
 agli artt.  3 e 38 Cost., questione di  legittimita'  costituzionale,
 dell'art.    4,  commi  4 e 9, in combinato disposto con gli artt. 6,
 comma 1, e 7, comma 1, della gia' citata legge n. 223 del 1991, nella
 parte in cui riserva soltanto al datore di lavoro  e  non  anche,  in
 alternativa,  ai  lavoratori  licenziati  per cessazione di attivita'
 "l'iniziativa  o  il  compimento  degli  atti   indispensabili"   per
 l'iscrizione   nelle   liste   di  mobilita'  da  compilarsi  a  cura
 dell'ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione.
   Osserva il rimettente come, in caso  di  cessazione  dell'attivita'
 aziendale,  la procedura di mobilita' trovi applicazione soltanto per
 la parte compatibile, in particolare quella che tende  ad  assicurare
 ai  lavoratori  la  tutela previdenziale e sociale. In tale ipotesi i
 motivi  della  decisione  imprenditoriale  di   cessare   l'attivita'
 risultano  insindacabili  da parte del giudice, ne' sarebbe possibile
 l'effettiva  reintegrazione  del  lavoratore  ove   fosse   accertata
 l'invalidita' o l'inefficacia del recesso. L'inesistenza o il mancato
 perfezionamento  degli adempimenti, sia pure soltanto formali, cui il
 datore di lavoro e' tenuto nella procedura in questione, determina la
 mancata  iscrizione   dei   lavoratori   nelle   liste   e,   quindi,
 l'impossibilita'  di  acquisire  quello status che e' condizione, tra
 l'altro, della percezione dell'indennita', anche se gli stessi  siano
 in  possesso dei requisiti di anzianita' aziendale previsti dall'art.
 16, comma 1, della legge.
   D'altra parte - aggiunge il  rimettente  -  non  sarebbe  possibile
 alcuna  indagine circa la legittimita' del comportamento del soggetto
 pubblico, al fine di richiedere al giudice  ordinario  l'accertamento
 incidentale  dell'illegittimita' della mancata iscrizione, atteso che
 quest'ultima e' stata rifiutata per il difetto del presupposto, cioe'
 per le mancate comunicazioni facenti carico al soggetto privato.
   Ma  -  sempre  secondo  il  rimettente  -  non  sembra  ragionevole
 condizionare l'iscrizione,  produttiva  di  effetti  previdenziali  e
 sociali,  alla  sola  iniziativa  del  datore  di lavoro, estraneo ai
 rapporti  che  dall'iscrizione  stessa  conseguono  e,  in   ipotesi,
 indifferente ai riflessi economici negativi della propria condotta. E
 cio'  anche  alla  stregua  dei  princi'pi  generali,  secondo cui un
 diritto non puo'  essere  condizionato  dal  comportamento  di  altro
 soggetto,  che  non sia giustificato da seri e apprezzabili motivi ma
 sia invece solo conseguente a una scelta arbitraria.
   La prospettazione, secondo quanto precisa il pretore di Lecce,  non
 riguarda  piu'  dunque  la  mancata corresponsione dell'indennita' di
 mobilita' ai non iscritti alle liste  che  pure  ne  avrebbero  avuto
 diritto,  bensi'  ("prendendo  atto  dei  rilievi  mossi  dalla Corte
 costituzionale") l'irragionevolezza e il contrasto con  il  principio
 di  eguaglianza, correlato con l'art. 38 della Costituzione, espresso
 dall'impossibilita' di essere iscritti nelle liste di  mobilita'  per
 lavoratori, i quali pur posseggono i relativi requisiti.
   2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   dello   Stato,   che   ha
 preliminarmente   eccepito  l'inammissibilita'  per  irrilevanza,  in
 quanto le parti ricorrenti nel giudizio a quo si sarebbero limitate a
 richiedere la condanna al pagamento dell'indennita' di mobilita'. Nel
 merito, l'autorita' intervenuta rileva come dal tenore dell'impugnato
 art.  4  non  sia  ricavabile  alcuno  dei   vizi   di   legittimita'
 costituzionale prospettati dal rimettente.
                        Considerato in diritto
   1.  -  Il pretore di Lecce dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 4, commi 4 e 9, in combinato  disposto  con  gli  artt.  6,
 comma  1,  e 7, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223. A parere
 del  rimettente,  la  denunciata  normativa  -   che   descrive   gli
 adempimenti   imposti  al  datore  di  lavoro  per  l'iscrizione  dei
 dipendenti  nelle  liste   di   mobilita',   subordinando   ad   essa
 l'erogazione  della relativa indennita' - contrasta con gli artt. 3 e
 38 della Costituzione, nella parte in  cui  condiziona  la  procedura
 d'iscrizione  esclusivamente  al  comportamento  del datore di lavoro
 senza prevedere, in alternativa, che "l'iniziativa o  il  compimento"
 degli  atti necessari - nell'inerzia del soggetto tenuto ad attivarsi
 -  spetti  ai  lavoratori  interessati,  in  caso  di   licenziamento
 collettivo per cessazione dell'attivita'.
   Secondo il rimettente, e' irragionevole subordinare l'iscrizione (e
 la  prestazione conseguente) al comportamento (in ipotesi arbitrario)
 di un terzo estraneo  al  rapporto  previdenziale  e  sostanzialmente
 indifferente  agli  effetti negativi dell'omessa iscrizione. Effetti,
 che verrebbero a prodursi a  carico  dei  lavoratori  in  conseguenza
 della  condotta omissiva del loro datore di lavoro, con disparita' di
 trattamento  rispetto  ai  casi  in  cui  quest'ultimo  abbia  invece
 provveduto  al  compimento  di  una  serie  di  atti  formali,  e con
 violazione  anche   del   diritto   protetto   dall'art.   38   della
 Costituzione.
   2. - La questione non e' fondata, nei sensi di cui appresso.
   2.1.  -  Giova rammentare che nel corso del medesimo giudizio a quo
 il pretore di Lecce ebbe gia' a sollevare questione  di  legittimita'
 costituzionale  -  parimenti  in  riferimento agli artt. 3 e 38 della
 Costituzione - dell'art. 7, comma 1, della stessa legge  n.  223  del
 1991,  con  riguardo  alla  mancata corresponsione dell'indennita' di
 mobilita' ai lavoratori, che pure ne  avrebbero  avuto  diritto,  non
 iscritti  nelle  liste  a causa della condotta omissiva del datore di
 lavoro.
   Con sentenza n. 413 del 1995 questa  Corte  dichiaro'  non  fondata
 tale   questione,   osservando   come   il  diritto  alla  percezione
 dell'indennita' non rappresenti che una tra le molteplici conseguenze
 di quello status che i lavoratori acquisiscono con l'iscrizione nelle
 liste di  mobilita'.    In  tale  momento  si  radica,  difatti,  "un
 complesso  di  rapporti  interconnessi,  dei  quali  quello avente ad
 oggetto l'erogazione  dell'indennita'  di  mobilita'  costituisce  il
 principale  ma  non  l'unico",  che non e' quindi possibile enucleare
 prescindendo dall'iscrizione nelle liste stesse.
   L'odierna prospettazione  concerne  appunto  quest'ultimo  aspetto,
 nella  centralita' cosi' posta in luce da quella sentenza rispetto al
 complessivo impianto della denunciata legge. Le  affermazioni  allora
 fatte  vanno  dunque  assunte  a  premessa  del presente scrutinio di
 costituzionalita', particolarmente la' dove si rileva l'inadeguatezza
 della  tutela  risarcitoria,  segnatamente  nel  caso  di  cessazione
 dell'attivita'    aziendale,    e   si   sottolinea   la   dimensione
 procedimentale in cui si colloca l'iscrizione nelle liste.
   2.2. - Tanto precisato, osserva  la  Corte  che,  per  effetto  del
 rinvio operato dall'art. 24, comma 2, della legge n. 223 del 1991, le
 norme  in  materia  di  mobilita'  si  applicano  anche  in  caso  di
 licenziamento collettivo per cessazione di attivita', avuto  riguardo
 al  solo  requisito dimensionale delle imprese (prescindendo, dunque,
 dall'avvenuta ammissione delle stesse  al  trattamento  straordinario
 d'integrazione   salariale).      Come  risulta  evidente  dal  testo
 normativo,  l'estensione  alle   imprese   che   "intendono   cessare
 l'attivita'"  e'  frutto  di  un'assimilazione logica alle ipotesi di
 licenziamento collettivo per "riduzione o trasformazione di attivita'
 o di lavoro", contemplate nel precedente comma. Anche  la  cessazione
 dell'attivita',  in  altri  termini,  si  vuole  inserita  in  quella
 complessa concertazione attraverso cui la normativa  sulla  mobilita'
 tende  a  ridurre le conseguenze della crisi o della ristrutturazione
 dell'impresa sull'occupazione.
   Con tale forma di tutela si comprende e si giustifica in quanto  la
 messa  in  mobilita'  viene a coniugarsi con gli ulteriori meccanismi
 predisposti per la ricollocazione dei lavoratori. Ma essa assurge  ad
 espressione  di  un principio generale, che non puo' non valere anche
 quando ci si trovi in presenza della mera  soppressione  dell'impresa
 operata  al  di fuori d'ogni procedura: come appunto messo in risalto
 dalla succitata  sentenza,  la  sola  sanzione  dell'inefficacia  del
 recesso  ex  art.  5,  comma  3 (con la tutela giurisdizionale che ne
 consegue), non puo' considerarsi appagante ai fini della  tutela  dei
 lavoratori.
   2.3.  -  Per  altro verso e' evidente che la comunicazione di avvio
 della procedura, cosi' come regolata dai commi 1 e 2 dell'art.  4,  e
 la  trasmissione  degli  elenchi  di  cui  al  comma  9 - sanzionata,
 quest'ultima, con l'inefficacia se eseguita  senza  l'osservanza  dei
 modi  e  termini  stabiliti  -  costituiscono  atti  non  surrogabili
 dall'intervento dei lavoratori. La presenza di  questi  ultimi  nella
 complessa   procedura   -   quale   risulta   dalle  indicate  norme,
 coinvolgente una pluralita' di soggetti, privati  e  pubblici  -  non
 puo'   che   esprimersi   attraverso   le  organizzazioni  sindacali,
 portatrici della dimensione collettiva degl'interessi in gioco  e  di
 una  visione  d'insieme del mercato del lavoro (cfr.: sentenza n. 268
 del 1994).
   Tuttavia va osservato  che  il  legislatore,  successivamente  alla
 legge  n.  223  del  1991,  ha previsto un'ipotesi d'iscrizione nelle
 liste,  originata  esclusivamente  dall'iniziativa   del   lavoratore
 interessato.   Infatti l'art. 4, comma 1, del decreto-legge 20 maggio
 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, in legge 19 luglio 1993,
 n.  236,  consente  ai  lavoratori  dipendenti  da  aziende  che  non
 rientrino   nella   disciplina   della   mobilita',  licenziati  "per
 giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione  o
 cessazione di attivita' o di lavoro", di richiedere l'iscrizione alla
 sezione  circoscrizionale  per  l'impiego entro sessanta giorni dalla
 comunicazione del licenziamento.
   La norma, in quanto dettata anche per i licenziamenti  individuali,
 conferisce  a  tale sezione il potere di verificare la corrispondenza
 dei motivi del recesso a quelli dichiarati dal datore  di  lavoro,  e
 proprio  in  relazione  al  difetto dei requisiti di legittimita' del
 licenziamento esclude il diritto all'indennita' di mobilita'. Ma essa
 - siccome espressiva, per  le  considerazioni  sopra  svolte,  di  un
 ampliamento  della  tutela  dei  lavoratori  -  va  letta  nel senso,
 costituzionalmente adeguato, di consentire  a  quanti  siano  rimasti
 privi  del  posto  di  lavoro  in  conseguenza del mero comportamento
 datoriale che ha posto fine all'attivita', di inoltrare la  richiesta
 d'iscrizione   nelle   liste;  restando  poi  a  carico  dell'ufficio
 regionale  del  lavoro  e  della  massima   occupazione   l'ulteriore
 controllo  circa  l'esistenza degli eventuali presupposti oggettivi e
 soggettivi  necessari  per  la  corresponsione  dell'indennita'.   Il
 denunciato  art. 6 della legge n. 223 del 1991 demanda infatti a tale
 ufficio l'attivita' di raccolta  delle  informazioni  concernenti  la
 specifica  professionalita'  dei  lavoratori, a seguito di un'analisi
 tecnica compiuta dall'agenzia per l'impiego, al fine di  un  corretto
 inserimento   nella   lista,   tale   da   consentire  un'appropriata
 ricollocazione nel mercato del lavoro.
   Poiche' la natura collettiva del licenziamento e' insita nel  fatto
 stesso della cessazione totale e definitiva dell'attivita' aziendale,
 appare  del  tutto  logico  che  l'ufficio  regionale  -  non dovendo
 verificare il carattere del licenziamento - debba  estendere  la  sua
 istruttoria  al  riscontro  dei presupposti oggettivi e dei requisiti
 soggettivi  che  da'nno  titolo   alla   percezione   dell'indennita'
 allorche',  come  nel  caso  di  cui al giudizio a quo sia mancata la
 disponibilita' di questi dati quale  esito  della  procedura  tipica,
 attivata  e  condotta dall'imprenditore (il quale, oltretutto, non ha
 neppure formalizzato i licenziamenti).
   2.4. - L'estensione  -  imposta  dalla  logica,  prima  ancora  che
 costituzionalmente  necessaria - della possibilita' offerta dall'art.
 4  del  decreto-legge  n.  148  del  1993  a  tutte  le  ipotesi   di
 licenziamento  collettivo per cessazione di attivita', consente cosi'
 di  acquisire  a  posteriori  gli elementi su cui si fonda il diritto
 all'indennita', stante che, nel caso  di  accertamento  positivo,  la
 commissione  per l'impiego, in ragione del carattere tecnico e quindi
 vincolato del controllo  che  le  e'  demandato  -  come  esattamente
 sottolinea  il  giudice a quo, e come risulta confermato dalla stessa
 prassi amministrativa - e' tenuta all'approvazione della lista.
   D'altra  parte,  codesto   meccanismo,   introdotto   come   misura
 temporanea,  e'  stato  prorogato  prima  dall'art.  4, comma 17, del
 decreto-legge 1 ottobre 1996, n. 510, convertito, con  modificazioni,
 in  legge  28  novembre  1996,  n.  608; poi fino al 31 dicembre 1998
 dall'art. 1, comma 1,  del  decreto-legge  20  gennaio  1998,  n.  4,
 convertito,  con  modificazioni,  in legge 20 marzo 1998, n. 52; e da
 ultimo "fino alla  riforma  degli  ammortizzatori  sociali",  con  la
 modifica  apportata  a  tale norma dall'art. 81, comma 2, lettera b),
 della legge 23  dicembre  1998,  n.  448.  Col  venir  meno  del  suo
 carattere  transitorio, il meccanismo e' dunque da considerarsi ormai
 un consolidato complemento delle disposizioni di cui agli artt. 4,  6
 e  7 della legge n. 223 del 1991, la' dove assicura ai lavoratori una
 via di accesso diretto alle  liste  e,  pur  nella  imperfezione  del
 generale  ordito  normativo,  rende  possibile il conseguimento dello
 status derivante dall'iscrizione, con le  connesse  agevolazioni  del
 collocamento  nonche', se ne sussistano i requisiti, della percezione
 di un'indennita'.
   2.5. - Accogliendo, fra le possibili  interpretazioni  del  sistema
 normativo  in  esame,  quella  adeguatrice  alla  Costituzione  sopra
 delineata, vengono meno i dubbi di costituzionalita' prospettati  dal
 pretore  di Lecce senza prendere in considerazione la succitata norma
 della legge n.  236  del  1993,  che  del  sistema  stesso  fa  parte
 integrante.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di  legittimita' costituzionale dell'art. 4, commi 4 e 9, della legge
 23 luglio 1991, n. 223  (Norme  in  materia  di  cassa  integrazione,
 mobilita',  trattamenti  di  disoccupazione,  attuazione di direttive
 della comunita' europea, avviamento al lavoro ed  altre  disposizioni
 in  materia  di  mercato  del  lavoro), in combinato disposto con gli
 artt. 6, comma 1, e 7, comma 1, della  legge  stessa,  sollevata,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  38 della Costituzione, dal pretore di
 Lecce, con l'ordinanza di cui in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 gennaio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                         Il redattore: Ruperto
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1999.
                       Il cancelliere: Fruscella
 99C0055