N. 7 SENTENZA 18 - 21 gennaio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Imposte in genere - Imposta di registro - Assoggettamento di  quanto
 disposto  in  atti  dell'autorita'  giudiziaria  -  Riferimento  alle
 sentenze  della  Corte  numeri  100/1964,  45/1963   e   157/1969   -
 Assicurazione  alle  parti  dei mezzi di difesa nelle sedi competenti
 contro eventuali illegittime tassazioni - Non fondatezza.
 
 (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 21 riprodotto nell'art. 22  del
 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131).
 
 (Cost., artt. 76, 77, 24 e 53).
 
(GU n.4 del 27-1-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 21 del d.P.R.
 26 ottobre  1972,  n.  634  (Disciplina  dell'imposta  di  registro),
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  6  marzo 1997 dalla commissione
 tributaria   regionale   della   Lombardia   sul   ricorso   proposto
 dall'ufficio  del registro di Milano contro Fadini Mario, iscritta al
 n. 807 del  registro  ordinanze  1997  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  48, prima serie speciale, dell'anno
 1997;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 novembre 1998 il giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
                            Ritenuto in fatto
   1. - L'ufficio del registro atti giudiziari e  ammende  di  Milano,
 con  avviso  notificato  il  5  dicembre 1985, liquidava l'imposta di
 registro sulla sentenza resa dal tribunale di Milano nella causa  tra
 Mario  Fadini  e  Angelo  Invernizzi, con la quale il primo era stato
 condannato al pagamento, a favore del secondo, della  somma  di  lire
 110  milioni. L'imposta era applicata, oltre che sull'importo oggetto
 della  condanna  e  sui  relativi  interessi,   sull'enunciazione   -
 contenuta, secondo l'ufficio, nella sentenza - di un mutuo di lire 40
 milioni  e  di  un  riconoscimento di debito per oltre 187 milioni di
 lire.
   Contro il suddetto avviso Mario Fadini ricorreva  alla  commissione
 tributaria   di   primo   grado  di  Milano,    la  quale  accoglieva
 parzialmente il ricorso. Nell'ambito del giudizio  d'appello  avverso
 tale  ultima  decisione,    promosso  dall'ufficio  del  registro, la
 commissione  tributaria  regionale  della  Lombardia   ha   sollevato
 d'ufficio   questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21 del
 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell'imposta di registro),
 riprodotto  nell'art.  22  del  d.P.R.  26  aprile   1986,   n.   131
 (Approvazione   del   testo   unico  delle  disposizioni  concernenti
 l'imposta di registro), nella parte in cui sottopone  ad  imposta  di
 registro   le   disposizioni   enunciate  negli  atti  dell'autorita'
 giudiziaria, per contrasto con gli  artt.  76,  77,  24  e  53  della
 Costituzione.
   2.  -  Secondo  il  giudice  a  quo l'applicazione della cosiddetta
 imposta  "di  titolo"  alle  enunciazioni  dei   rapporti   giuridici
 contenute  nei provvedimenti giudiziari sarebbe contraria ai principi
 contenuti  nella  legge  delega  9  ottobre  1971,  n.  825   (Delega
 legislativa  al  Governo  della Repubblica per la riforma tributaria)
 sulla base della quale e' stato emanato il d.P.R. n.  634  del  1972,
 poi trasfuso nel testo unico approvato con d.P.R. n. 131 del 1986 che
 prescriveva,  in  materia  di imposta di registro, di "eliminare ogni
 impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in giudizio per
 la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi" (art. 7, secondo
 comma, n. 7).
   Infatti, sottoporre ad imposta le enunciazioni contenute negli atti
 giudiziari  significherebbe  rendere   onerose   le   allegazioni   e
 produzioni  difensive,  in  quanto  le  enunciazioni tassate traggono
 origine da tali difese. Verrebbe, dunque, prevista  un'imposta  sugli
 strumenti  difensivi  utilizzati  dalle  parti,  in aggiunta a quella
 sull'esito del giudizio. Cio' costituirebbe,  se  non  un  deterrente
 alle  allegazioni,  certamente  un  ostacolo  oggettivo, che la legge
 delega imponeva di rimuovere.
   L'imposta sulle enunciazioni violerebbe, inoltre, l'art.  24  della
 Costituzione:  essa  verrebbe  a  dipendere, in buona sostanza, dalla
 motivazione  dei  provvedimenti   giudiziari,   in   quanto   sarebbe
 sufficiente  che il giudice si dilunghi o meno nella parte motiva per
 provocare effetti fiscali diversi, con  la  possibilita'  addirittura
 che un difetto di motivazione - ossia un motivo di impugnazione della
 sentenza  -  venga  a  costituire  un  vantaggio  fiscale,  mentre la
 completezza  della  motivazione  accrescerebbe   l'onerosita'   della
 pronuncia,  alterando  e  distorcendo  sia la libera esplicazione dei
 diritti difensivi  delle  parti,  sia  le  modalita'  di  adempimento
 dell'obbligo di motivare i provvedimenti giudiziari.
   Infine,  sarebbe  violato  l'art.  53 della Costituzione, in quanto
 l'imposta  di  registro  sugli  atti  soggetti  obbligatoriamente   a
 registrazione  verrebbe,  nel  caso  di  rapporti giuridici enunciati
 nelle pronunce giudiziarie, a  perdere  la  necessaria  relazione  di
 attualita'  temporale tra il verificarsi del presupposto dell'imposta
 e l'imposizione stessa.  Verrebbero, infatti, assoggettate a prelievo
 (per di piu' con aliquote attuali) manifestazioni  indirette  di  una
 capacita' contributiva che puo' essere anche remota nel tempo; e cio'
 anche  se  tra la disposizione enunciata e la registrazione dell'atto
 che la enuncia siano decorsi i termini stabiliti dalla legge  per  la
 decadenza  dell'azione  di accertamento e riscossione dell'imposta da
 parte dell'Amministrazione finanziaria.
   3. - Nel giudizio davanti  alla  Corte  costituzionale  non  si  e'
 costituita  la parte privata, mentre e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  il  quale ha concluso per l'inammissibilita'
 (pur senza motivare tale richiesta) o comunque  l'infondatezza  della
 questione.
   Riguardo  alla  violazione  della legge delega - che prescriveva di
 rimuovere ogni ostacolo al diritto di agire in giudizio -  la  difesa
 erariale  afferma  che  costituisce  un impedimento di tal genere non
 qualsiasi onere che faccia carico a chi agisce o resiste in giudizio,
 ma  soltanto  un  vero  e  proprio  ostacolo  frapposto  alla  valida
 instaurazione  del  rapporto  processuale  ed  al  riconoscimento del
 diritto o dell'interesse legittimo fatto valere in giudizio.
   Quello  che impropriamente la commissione tributaria ritiene sia un
 impedimento alle allegazioni difensive e'  invece,  per  l'Avvocatura
 dello  Stato, la legittima conseguenza del comportamento tenuto dalle
 parti, le quali possono produrre o enunciare in giudizio  anche  atti
 che  dovevano  essere  registrati  in  termine  fisso, senza che cio'
 comporti  alcuna  limitazione  o   alcuna   sanzione   di   carattere
 processuale.  Ma  la legge, ovviamente, non puo' mancare di trarre le
 conseguenze dal comportamento tenuto dalle parti  -  che,  in  ordine
 alla  registrazione,  e' illegittimo - e impone la tassazione, con le
 sanzioni per il ritardo nella registrazione.
   Inoltre, dato che le spese di registrazione degli atti enunciati  -
 al pari di quelle di registrazione della sentenza - seguono la regola
 della  soccombenza, esse fanno carico alla parte che ha ingiustamente
 promosso il giudizio o che ha ingiustamente costretto l'altra parte a
 promuoverlo: anche se, per ipotesi, si affermasse  che  costituiscono
 un  ostacolo  all'esercizio  del diritto di difesa, tale ostacolo non
 varrebbe per la parte che ha rispettato la  legge  e  che  e'  uscita
 vittoriosa dal giudizio.
   Riguardo   alla   violazione   dell'art.   24  della  Costituzione,
 l'Avvocatura dello Stato richiama le considerazioni appena fatte, che
 escludono,  a  suo  avviso,  che  possa  configurarsi  alcuna  remora
 all'azione in giudizio.
   In  relazione  all'ulteriore  profilo  denunciato dall'ordinanza di
 rimessione, la possibilita' che la tassazione  degli  atti  enunciati
 possa  finire  per  dipendere  dalla minore o maggiore ampiezza della
 motivazione sarebbe esclusa  dal  fatto  che  il  nostro  ordinamento
 processuale  civile e' informato ai principi generali della domanda e
 della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, sicche' sono le
 parti che decidono di introdurre o meno nel giudizio le domande  e  i
 fatti che le sostengono, mentre il giudice e' vincolato ad esse ed ai
 loro presupposti di fatto.
   Quanto   infine   alla   violazione   del  principio  di  capacita'
 contributiva sancito dall'art. 53  della  Costituzione,  l'Avvocatura
 rileva come la stessa Commissione tributaria rimettente non neghi che
 la  stipulazione  di  un atto possa costituire un legittimo indice di
 capacita'  contributiva,  per  cui  il  dubbio  di  costituzionalita'
 riguarda  soltanto  la possibilita' che si colpisca una capacita' non
 piu' attuale.
   Tale dubbio non  avrebbe,  pero',  ragione  di  sussistere  perche'
 l'enunciazione  tassabile  riguarda esclusivamente la parte dell'atto
 enunciato non ancora eseguita (art. 21, comma terzo,  del  d.P.R.  n.
 634 del 1972).  L'imposta colpirebbe dunque, per definizione, solo le
 disposizioni  dell'atto enunciato che debbono ancora produrre effetti
 e che attengono ad una capacita' contributiva tuttora in atto.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La  commissione  tributaria  regionale  della  Lombardia  ha
 sollevato  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 21 del
 d.P.R.    26  ottobre  1972,  n.  634  (Disciplina  dell'imposta   di
 registro),  riprodotto nell'art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131
 (Approvazione  del  testo  unico   delle   disposizioni   concernenti
 l'imposta  di  registro),  nella parte in cui sottopone ad imposta di
 registro  le  disposizioni  enunciate   negli   atti   dell'autorita'
 giudiziaria,  per  contrasto  con  gli  artt.  76,  77, 24 e 53 della
 Costituzione.
   2. - La questione e' infondata.
   In  materia  questa Corte costituzionale e' piu' volte intervenuta,
 soprattutto prima  della  riforma  tributaria  del  1972,  enunciando
 principi che meritano di essere ripresi e sviluppati.
   Riguardo  ai  rapporti  fra  diritto  di azione (o di resistenza in
 giudizio) ed oneri fiscali, e' stato affermato che  "la  Costituzione
 non   garantisce   a   tutti   l'esercizio   gratuito   della  tutela
 giurisdizionale e non vieta di imporre prestazioni fiscali in stretta
 e razionale correlazione con il processo, sia che configurino vere  e
 proprie  tasse  giudiziarie,  sia  che  abbiano  riguardo  all'uso di
 documenti necessari alla pronuncia finale dei giudici"  (sentenze  n.
 45  del  1963 e n. 157 del 1969). Cosi' la determinazione di concrete
 modalita' di esercizio della tutela giudiziaria non lede la  garanzia
 apprestata  dall'art.  24,  comma  primo, della Costituzione, ove non
 comporti  l'impossibilita',  o  comunque  gravi  difficolta',   nella
 esplicazione del diritto. D'altronde l'interesse alla riscossione dei
 tributi  e'  protetto  dalla  Costituzione, all'art. 53, sullo stesso
 piano di ogni diritto individuale.
   Sono stati pertanto dichiarati illegittimi soltanto quegli istituti
 o quelle modalita' di  applicazione  delle  varie  imposte  che,  per
 natura   o   per  misura,  rendevano  sostanzialmente  impossibile  o
 eccessivamente gravoso lo svolgimento  delle  attivita'  processuali,
 come gli artt.  77-80 del regio decreto n. 3270 del 1923, nella parte
 in cui disponevano che le persone ivi indicate non potessero agire in
 giudizio  senza aver dato prova dell'avvenuto pagamento delle imposte
 di successione (sentenza n. 100 del 1964).
   Riguardo, in particolare, all'utilizzazione in giudizio di atti non
 registrati, quelle remote sentenze non accoglievano le censure  mosse
 al  regio  decreto  n.  3269  del 1923, nonostante che - al contrario
 della normativa vigente, impugnata nel  presente  giudizio  -  quella
 disciplina ne impedisse la stessa produzione. Cio' perche' il divieto
 operava   "non   sull'azione,   ma  sulla  disponibilita'  dei  mezzi
 probatori"; invero - si osservava - "non ottemperando all'obbligo  di
 registrazione,   la   parte   dispone  della  funzione  probatoria  o
 documentale che la scrittura e' chiamata a svolgere,  sulla  base  di
 una   valutazione   di  convenienza".     D'altronde,  sarebbe  stato
 irrazionale permettere alla  parte  di  trarre  vantaggio  dalla  sua
 situazione di inadempimento, "consentendole di continuare a sottrarsi
 ad  obblighi  fiscali  il  cui  presupposto si e' comunque verificato
 prima dell'inizio del giudizio" (sentenze n. 45 del 1963 e n. 157 del
 1969).
   3. - Diversamente dalla normativa previgente, il d.P.R. n. 634  del
 1972, trasfuso nel testo unico n. 131 del 1986, consente alle parti -
 anche  se  esse, e' il caso di sottolineare, abbiano violato la legge
 tributaria e non abbiano provveduto alla registrazione di atti che vi
 erano soggetti - di allegarli  o  enunciarli  ugualmente  negli  atti
 processuali,  ne'  vieta  al giudice di porli alla base della propria
 decisione (art.  63,  comma  terzo,  del  d.P.R.  n.  634  del  1972,
 trasfuso,  con  modificazioni,  nell'art.  65, comma 6, del d.P.R. n.
 131  del  1986).  Tuttavia,  tali  atti  devono  essere  poi  inviati
 all'ufficio  del  registro,  per essere sottoposti alla tassazione ed
 all'applicazione delle sanzioni per la ritardata registrazione.
   La  commissione tributaria regionale della Lombardia ritiene che la
 suddetta disciplina contrasti con la legge delega n.  825  del  1971,
 violando  gli  artt.  76  e  77  della  Costituzione. Tale assunto e'
 infondato, dal momento che la tassazione si riferisce non a qualunque
 generica menzione, in un provvedimento giudiziario, di  un  atto,  ma
 alla  enunciazione  degli  atti  posti  dal  giudice  alla base della
 propria  decisione,   come   precisato   dalla   dottrina   e   dalla
 giurisprudenza.  In tal caso, nel dovere di regolarizzare fiscalmente
 questi atti determinanti  per  la  pronuncia  non  si  ravvisa  alcun
 ostacolo "al diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela
 dei  propri  diritti  ed  interessi legittimi", ostacolo che la legge
 delega imponeva di rimuovere.
   Nel valutare la conformita' ad essa del decreto  delegato,  occorre
 poi  considerare  la  ratio  della  delega,  ossia  le  ragioni  e le
 finalita' che hanno ispirato il legislatore delegante (come  richiede
 la giurisprudenza di questa Corte: si veda, per tutte, la sentenza n.
 141 del 1993).  Quest'ultimo, nel caso in esame, aveva certo presente
 il dibattito sul divieto di allegare o enunciare in giudizio atti che
 non  fossero  stati  registrati:  deve,  quindi, ritenersi che il suo
 scopo sia stato proprio quello di eliminare tale divieto, mentre  non
 si  rinviene  una  precisa  volonta'  di  esentare    dall'imposta di
 registro ne' gli atti giudiziari, ne' quelli in essi enunciati.
   4. - La norma impugnata non  viola  nemmeno  l'ulteriore  parametro
 dell'art. 24 della Costituzione.
   Secondo  il  giudice  a  quo  sottoporre ad imposta le enunciazioni
 contenute negli atti giudiziari significherebbe  rendere  onerose  le
 allegazioni  e  produzioni  difensive, e quindi incidere in pieno sul
 diritto di difesa. L'imposta di cui  si  tratta  verrebbe  inoltre  a
 dipendere,  "in  buona sostanza", dalla motivazione dei provvedimenti
 giudiziari,  in  quanto  sarebbe  sufficiente  che  il   giudice   si
 dilungasse  o  meno "nella parte motiva per provocare effetti fiscali
 diversi",  con  la  possibilita'  addirittura  che  un   difetto   di
 motivazione  -  ossia  un  motivo  di  impugnazione  della sentenza -
 "potrebbe  costituire  un  vantaggio  fiscale,  mentre   l'onerosita'
 sarebbe  destinata  ad  accrescersi  quanto  piu' ampia e completa (o
 addirittura sovrabbondante) fosse la motivazione".
   Anche tali censure sono prive di fondamento.
   Infatti, se l'atto enunciato (e  per  questo  motivo  tassato)  era
 soggetto ad imposta in termine fisso, le parti risultano inadempienti
 ad un loro preciso dovere fiscale; nonostante cio', la legge, come si
 e' rilevato, consente loro di allegarlo o enunciarlo ugualmente ed al
 giudice  di  porlo  alla base della propria decisione. Tale garanzia,
 peraltro, non puo' comportare  la  trasformazione  in  lecito  di  un
 comportamento   illecito:  per  questo  il  legislatore  delegato  ha
 disposto che l'atto sia inviato all'ufficio del registro, per  essere
 sottoposto  alla tassazione ed all'applicazione delle sanzioni per la
 ritardata registrazione.
   Se, invece, il provvedimento enunciato e' soggetto a tassazione  in
 caso   d'uso,   e'  proprio  la  sua  allegazione  in  giudizio  che,
 rappresentandone una forma  d'uso,  ne  legittima  la  sottoposizione
 all'imposta di registro.  D'altra parte, si e' gia' sottolineato che,
 per  essere  conforme alla Costituzione, la normativa va interpretata
 nel senso che deve essere tassato non qualunque atto la cui esistenza
 sia stata genericamente  segnalata  dalle  parti,  ma  soltanto  quei
 provvedimenti  posti  dal  giudice alla base della propria decisione;
 sicche'  non  rilevano  in alcun modo la mera segnalazione dell'atto,
 ne' l'ampiezza della motivazione della sentenza.
   E contro le eventuali illegittime  tassazioni  permangono  comunque
 alle parti i mezzi di difesa nelle sedi  competenti.
   5.  - Infine, non sussiste la violazione del principio di capacita'
 contributiva  sancito  dall'art.  53  della  Costituzione,  sotto  il
 profilo dell'assenza di attualita' della suddetta capacita'.
   In  proposito,  questa  Corte  ha  precisato  che tale principio ha
 carattere oggettivo, perche' si riferisce  ad  indici  rivelatori  di
 ricchezza  e non gia' a situazioni concrete del contribuente (cfr. le
 sentenze n. 14 del 1995 e n. 315 del 1994). In questo  caso  l'indice
 di  capacita' contributiva assunto dal legislatore consiste nel fatto
 del compimento di determinati atti giuridici; e l'obbligo tributario,
 volta a volta, consegue immediatamente a tale compimento,  ovvero  e'
 afferente al momento dell'eventuale utilizzo dell'atto stesso.
   La  stessa norma impugnata chiarisce che e' sottoposta a tassazione
 la sola parte dell'atto enunciato non ancora eseguita,  cioe'  quella
 su cui verte il rapporto giuridico controverso (art. 21, comma terzo,
 del  d.P.R. n. 634 del 1972). L'imposta colpisce, dunque, soltanto le
 disposizioni dell'atto enunciato che vengono ancora  utilizzate.
   Cio'  vale,   ovviamente,   nell'ipotesi   di   atti   soggetti   a
 registrazione   in   caso  d'uso.  Per  quelli  che  dovevano  essere
 registrati in termine fisso vale,  invece,  la  considerazione,  gia'
 formulata, che chi li allega o li enuncia in giudizio e' inadempiente
 agli  obblighi  fiscali  e non puo' quindi lamentarsi di una supposta
 inattualita' o gravosita' del carico tributario, riversando sul fisco
 la colpa per il proprio illegittimo comportamento.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.   21  del  d.P.R.  26  ottobre  1972,  n.  634  (Disciplina
 dell'imposta di registro), riprodotto  nell'art.  22  del  d.P.R.  26
 aprile  1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni
 concernenti l'imposta di registro), sollevata,  in  riferimento  agli
 artt.   76,  77,  24  e  53  della  Costituzione,  dalla  commissione
 tributaria regionale della Lombardia con ordinanza del 6 marzo 1997.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 18 gennaio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Santosuosso
                       Il cancelliere: Fruscella
   Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1999.
                       Il cancelliere: Fruscella
 99C0056