N. 71 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 ottobre 1998

                                 N. 71
  Ordinanza  emessa  il  30  ottobre 1998 della Commissione tributaria
 provinciale di Genova sul ricorso proposto da Musante Giuseppe contro
 l'Ufficio II.DD. di Chiavari
 Imposta sui redditi delle persone fisiche (I.R.Pe.F.) -  Liquidazione
    delle  imposte dovute, in base alle dichiarazioni dei contribuenti
    - Termine posto all'Amministrazione finanziaria per  l'attivazione
    della   relativa  procedura  -  Qualificazione  di  tale  termine,
    mediante norma interpretativa, come ordinatorio,  non  comportante
    decadenza   -   Irragionevolezza   -   Lesione  del  principio  di
    eguaglianza - Incidenza sul principio della certezza del diritto.
 (Legge 27 dicembre 1997, n. 449, art. 28).
 (Cost., art. 3).
(GU n.8 del 24-2-1999 )
                 LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  5364/97
 depositato  il  12  dicembre 1997 avverso la cartella di pagamento n.
 7035827 - Irpef, 90 contro imposte diritte di  Chiavari  da  Giuseppe
 Musante, residente in Moconesi (Genova) in via Campopiano n. 146;
           Svolgimento del processo e motivi della decisione
   1.  -  Musante  Giuseppe ha proposto ricorso avverso l'iscrizione a
 ruolo effettuata dal Centro di  Servizio  delle  Imposte  dirette  di
 Chiavari     eccependo    in    via    preliminare    la    decadenza
 dell'Amministrazione  per  essergli  stata  la  cartella  esattoriale
 notificata  oltre  il  termine del 31 dicembre dell'anno successivo a
 quello di presentazione della dichiarazione (art. 36-bis  del  d.P.R.
 n. 600/1973); nel merito ha lamentato il mancato riconoscimento quale
 onere deducibile del contributo Inail di L. 868.000.
   L'Ufficio,  nel  costituirsi,  ha  eccepito  in  via  pregiudiziale
 l'inammissibilita' del ricorso in base  all'art.  18,  comma  4,  del
 d.lgs.  31  dicembre 1992, n. 546, poiche' nell'atto introduttivo non
 e' menzione - come richiesto da  detta  disposizione  -  dell'Ufficio
 distrettuale  imposte dirette di Chiavari (unico ufficio cui spettano
 le attribuzioni del rapporto controverso ai sensi  dell'art.  10  del
 cit.  d.lgs.  n.  546)  bensi'  del  Centro di servizi. Ha obiettato,
 quanto all'eccezione avversa, che il termine di cui l'art 36-bis  non
 puo'  intendersi  di decadenza, come fatto constare tra l'altro dalla
 legge 27 dicembre 1997,  n.  449  il  cui  art.  28  ha  offerto  una
 interpretazione  autentica in tal senso della disposizione anzidetta,
 rilevando quindi che l'unica norma che stabilisce a pena di decadenza
 i termini per poter procedere ad iscrizione  a  ruolo  e'  costituita
 dall'art.  17 del  d.P.R. n. 602/1973 (il 31 dicembre del quinto anno
 successivo a quello di presentazione della dichiarazione). Nel merito
 ha  osservato  che  l'onere   invocato   non   rientra   tra   quelli
 tassativamente elencati dall'art. 10 del T.U.I.R.
   2.   -   Osserva   la  Commissione  che  l'eccezione  pregiudiziale
 dell'ufficio  resistente,   concernente   l'inesatta   individuazione
 dell'ufficio  contraddittore  nel ricorso, e' infondata e deve essere
 disattesa. L'art. 10 del d.P.R. n. 787/1980  che  detta  disposizioni
 sui  ricorsi  contro  il  ruolo e che individua proprio del Centro di
 servizio  l'ufficio  deputato   a   riceverli   ed   a   trasmetterli
 successivamente  alla  competente Commissione tributaria non e' stato
 soppresso; e del resto il ricorrente ha individuato in tale Centro il
 solo ufficio che ha emanato l'atto impugnato, senza  attribuirgli  (o
 contestargli)  la qualita' di parte processuale individuata dall'art.
 10 del d.lgs. n. 546/1992 (significativa l'intestazione  del  ricorso
 "Onorevole  Commissione  tributaria  provinciale di Genova tramite il
 Centro di servizio delle Imposte dirette di Genova").
   Non era poi compito del ricorrente individuare l'esatto Ufficio cui
 la legge affida la veste processuale di parte, potendo limitarsi, nel
 pieno  rispetto  dell'art.  18  del  nuovo  processo  tributario,  ad
 indicare  l'Ufficio  che  la  legge gli imponeva di adire, e cioe' il
 Centro di Servizio anzidetto.
   E va da se' che era ed e' cura del Centro di  Servizio,  una  volta
 ricevuto  ed  esaminato il ricorso, informare l'ufficio legittimato a
 resistere  in  giudizio  per  consentire  la  difesa  tecnica  e   la
 rappresentanza    nel   processo   dell'Amministrazione   finanziaria
 interessata, come del resto e' stato evidentemente fatto  poiche'  in
 giudizio  sta  in  ogni  caso  l'Ufficio  distrettuale  delle imposte
 dirette, che e' l'Ufficio  legittimato  a  contraddire  nel  processo
 tributario le pretese del ricorrente; il che consente di ritenere non
 solo  infondata  ma pure ininfluente ai fini del decidere l'eccezione
 dell' Ufficio anzidetta.
   3. - Il ricorrente ha eccepito la  decadenza  dell'Ufficio  perche'
 l'iscrizione  a  ruolo  e' stata effettuata oltre il termine previsto
 dal primo comma dell'art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 e cioe' oltre
 il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di  presentazione  della
 propria dichiarazione dei redditi.
   L'Ufficio  -  che  in  fatto  non ha contestato la fondatezza della
 deduzione avversaria - ha  obiettato  che  il  termine  anzidetto  ha
 natura  ordinatoria  e  non perentoria; che tale natura risulta esser
 stata esplicitata dallo stesso legislatore con l'art. 28 della  legge
 27 dicembre 1997, n. 449, con una norma di interpretazione autentica;
 e  che  l'unica  disposizione  che prevede la decadenza e' costituita
 dall'art. 17 del d.P.R. n. 602/1973 il cui primo comma stabilisce che
 l'iscrizione sia effettuata entro il termine di cui all'art.  43  del
 d.P..R.  n.  600/1973  ossia  entro  il  31  dicembre del quinto anno
 successivo a quello di presentazione della dichiarazione (termine  in
 questo caso rispettato).
   Osserva  questa Commissione che, prima dell'entrata in vigore della
 legge n. 449/1997, la giurisprudenza  assolutamente  prevalente,  sia
 della  Commissione  Tributaria  Centrale (cfr. C. Tribut. Centrale 27
 ottobre 1994, n. 3513; C. Trib. Centrale 10 aprile 1996, n. 1605) che
 della Corte di Cassazione  (cfr.  Cass.  29  luglio  1997,  n.  7088)
 oltreche'  di  varie  Commissioni tributarie di primo e secondo grado
 (cfr. C. T. 1 grado di Milano 20 febbraio 1996;  C.  T.  2  grado  di
 Vicenza 8 luglio 1995) propendeva per la perentorieta' del termine di
 cui  all'art.  36-bis,  ritenendo  che entro tale lasso temporale gli
 uffici dovessero procedere non solo alle eventuali  rettifiche  delle
 dichiarazioni,  ma  anche  alle  relative  iscrizioni  a  ruolo delle
 maggiori  imposte  dovute;  con  la  conseguenza  che   la   cartella
 esattoriale  notificata  al  contribuente  oltre  il termine medesimo
 dovesse ritenersi nulla.
   Anche  la  dottrina,  affrontando  il  problema  della  natura  del
 termine,   aveva   aderito    quasi    unanime    all'interpretazione
 giurisprudenziale anzidetta.
   Nondimeno,  come  effettivamente  rilevato dall'ufficio resistente,
 l'art. 28 della legge  27  dicembre  1997,  n.  449,  con  una  norma
 dichiarata espressamente "interpretativa", ha stabilito che "Il primo
 comma dell'art. 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29
 settembre  1973,  n.  600  nel  testo  da  applicare  sino  alla data
 stabilita dall'art.  16 del decreto legislativo  9  luglio  1997,  n.
 241,  deve  essere  interpretato  nel  senso  che  il termine in esso
 indicato, avendo carattere ordinatorio, non e' stabilito  a  pena  di
 decadenza".
   Premesso  che tale "interpretazione" e assolutamente difforme da (e
 contrastante con) quella che la giurisprudenza sia del massimo organo
 di giustizia  tributaria  che  della  Corte  di  Cassazione  (la  cui
 funzione  nomofilattica,  di  autorevole interpretazione della norma,
 non ha bisogno di essere ricordata) avevano elaborato in epoca  assai
 recente,   osserva   il   Collegio   che   le  leggi  formalmente  ed
 oggettivamente   interpretative   hanno   tradizionalmente    effetto
 retroattivo,  poiche'  si  applicano ai rapporti sorti sotto l'impero
 della vecchia legge cosi' come interpretata dalla nuova.  In  realta'
 la  retroattivita'  e'  meramente  apparente  dovendosi  ritenere che
 l'interpretazione imposta dalla legge  di  interpretazione  sia  gia'
 l'interpretazione   derivante   dalla   vecchia   disposizione;   con
 l'avvertenza, peraltro, che, se la legge e' realmente interpretativa,
 essa non dovrebbe avere alcuna efficacia innovativa nell'ordinamento.
   Fatta  eccezione  per  le  leggi   aventi   natura   effettivamente
 interpretativa  (o,  lato sensu, dichiarativa) dovrebbe escludersi la
 retroattivita' di un atto avente forza di legge,  e  segnatamente  di
 leggi  di  effetto innovativo. E' vero che in linea di massima non e'
 vietata la retroattivita' di una legge salve  le  materie  tributarie
 (violazione  del  principio  della  capacita' contributiva) e penali;
 anche se si e' sostenuto il contrasto con l'art. 3 della Costituzione
 in correlazione con  il  principio  generale  della  irretroattivita'
 delle  leggi stabilito dall'art. 11 disp. prel. c.c. (principio che -
 si  e'  osservato  -   pur   non   essendo   fornito   di   efficacia
 costituzionale,  e'  comunque tale da non poter essere derogato senza
 ragioni obiettivamente valide, nella specie non esplicitate).
   L'unico limite alla retroattivita' di una legge resta il  principio
 di  eguaglianza; poiche' la garanzia della irretroattivita' vale come
 garanzia per i singoli che la  loro  posizione  giuridica  non  sara'
 successivamente - e con effetti nel passato - resa deteriore rispetto
 a quella su cui potevano contare al momento della realizzazione della
 fattispecie prevista dalla legge allora in vigore.
   Ed  allora  occorre  accertare  se  la legge interpretativa imponga
 interpretazioni tali da ledere il ragionevole affidamento  fatto  dai
 singoli  in  un  certo  significato  della legge in vigore al momento
 della realizzazione dei  fatti  ovvero  che  viceversa  la  legge  di
 interpretazione  imponga  una  interpretazione che ragionevolmente si
 possa pretendere che  venisse  attribuita  alla  legge  anteriormente
 efficace.
   Il  che  significa verificare se un insieme di elementi anche molto
 eterogenei (come la formula della vecchia legge, le sue  applicazioni
 giudiziarie  e  le sue interpretazioni dottrinali, la fondatezza o la
 pretestuosita' evidente degli argomenti addotti  a  fondamento  delle
 une  e delle altre, gli interessi che muovevano gli applicatori della
 legge, etc.) consentano o non consentano di escludere o di  affermare
 che   la   legge  di  interpretazione  autentica,  imponendo  la  sua
 interpretazione, venga a travolgere l'affidamento incolpevole che  in
 buona  fede  si  poteva  fare  su  un  determinato  significato della
 disposizione; poiche' puo'  accadere  che,  attraverso  lo  strumento
 formale  della  interpretazione  autentica,  sia  aggirato il divieto
 costituzionale attraverso leggi che si autoqualificano interpretative
 ma in realta' mutano la situazione giuridica  sostanziale  anteriore.
 Un  uso  scorretto  della  interpretazione  autentica,  al di la' dei
 limiti tracciati potrebbe  portare  alla  questione  di  legittimita'
 costituzionale non solo per lesione delle regole costituzionali sulla
 irretroattivita'   delle   leggi  ma  anche  al  fine  di  preservare
 l'autonomo spazio interpretativo che all'ordine giudiziario  compete;
 questione che potrebbe assomigliare molto ad un conflitto di poteri.
   Nel  caso  specifico  la disposizione in esame pare al Collegio (ed
 alla piu'  recente  giurisprudenza  tributaria  sorta  sotto  la  sua
 vigenza:    cfr.  Comm.  trib. regionale Campania 3 febbraio-17 marzo
 1998, n.   5)  sostanzialmente  innovativa,  dichiarata  erroneamente
 interpretativa  e  percio'  illegittimamente  retroattiva;  e cio' in
 quanto essa si e' posta e si pone consapevolmente  in  contrasto  con
 l'interpretazione  offerta  dalla  giurisprudenza  e  dalla dottrina,
 finendo per equiparare due termini previsti da due distinte  norme  i
 quali,   presidiando   due   distinti   poteri   dell'Amministrazione
 finanziaria (il controllo formale della dichiarazione previsto  dalla
 prima;  il controllo sostanziale dalla seconda) aveva invece un senso
 tenere differenziati.
   Se quindi l'irretroattivita'  significa  garanzia  dei  singoli  di
 salvaguardia  della  loro  posizione giuridica acquisita in base alla
 vecchia norma, allora non puo' non sospettarsi di incostituzionalita'
 la norma in questione per contrasto con l'art. 3 della  Costituzione.
 Evidente e' infatti la disparita' di trattamento tra le posizioni del
 privato  e  dell'Ente  impositivo, ambedue potendo in precedenza fare
 affidamento su un termine scadente in tempi  relativamente  ristretti
 (con  le  conseguenti valutazioni in ordine alla possibilita' nell'un
 caso di definizione del rapporto tributario formale in  tempi  brevi,
 dall'altro   di  concentrare  le  risorse  su  una  certa  fascia  di
 dichiarazioni), ambedue discriminati dall'entrata in  vigore  di  una
 norma  successiva,  applicabile  peraltro  anche  ai  rapporti  sorti
 anteriormente, che ha sostanzialmente mutato le regole  del  gioco  a
 favore  di una sola delle parti dilatandole i tempi per provvedere (e
 poco importa se una di esse e' il Fisco, in un ordinamento di diritto
 come l'attuale).
   Corollari ditale contrasto sono poi  la  violazione  del  principio
 della  ragionevolezza  a cagione dell'equiparazione della piu' blanda
 infrazione connessa alla violazione di norme formali  ad  ipotesi  di
 piu'  incisive  violazioni  tributarie;  nonche'  del principio della
 certezza del diritto (conseguenza del consolidamento delle situazioni
 giuridiche  ricollegato  ai  decorso  del  tempo),  a  seguito  della
 dilatazione del potere rettificativo dell'Amministrazione.
   Pare  quindi  alla  Commissione  che la norma invocata dall'Ufficio
 resistente    possa     essere     fondatamente     sospettata     di
 incostituzionalita'  per i motivi dianzi esaminati. La questione, non
 manifestamente infondata per le ragioni sopra esposte,  appare  anche
 rilevante  ai  fini  del  decidere poiche', se ritenuta meritevole di
 accoglimento, cagionerebbe la decadenza dell'ufficio, la  caducazione
 della  cartella  esattoriale  e, conseguentemente, l'accoglimento del
 ricorso.
   Si  impone  quindi  la   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale  per  la  decisione  della  questione  di legittimita'
 costituzionale  prospettata  con  la  conseguente   sospensione   del
 giudizio in corso sino all'esito della decisione anzidetta.
                               P. Q. M.
   La  Commissione  tributaria provinciale di Genova - Sez. 10 - visto
 l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dispone  la  trasmissione
 degli  atti  alla  Corte  costituzionale  per  la  risoluzione  della
 questione di costituzionalita' dell'art. 28 della legge  27  dicembre
 1997, n.  449, per contrasto con l'art. 3 Cost.;
   Sospende il giudizio in corso;
   Ordina  che  a  cura  della  segreteria  la  presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa nonche' al  Presidente  del  Consiglio
 dei  Ministri  e  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
   Cosi' deciso in Genova, il 30 ottobre 1998.
                   Il presidente estensore: Delucchi
 99C0109