N. 42 SENTENZA 22 - 25 febbraio 1999

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza   e   assistenza   -   Figli  infraventiseienni  iscritti
 all'universita' - Diritto alla quota di  pensione  di  reversibilita'
 del  genitore  defunto  -  Subordinazione  alla mancanza di un lavoro
 retribuito oltre al requisito della vivenza a  carico  -  Riferimento
 alle  sentenze  della  Corte  n. 145/1987, n. 274, del 1993 e 406 del
 1994 - Erroneita' dei presupposti da cui muove il giudice a quo - Non
 fondatezza ai sensi di cui in motivazione.
 
 (Legge 21 luglio 1965, n. 903, art. 22).
 
 (Cost., artt. 3, 4, 34, 35, 36 e 38).
 
(GU n.9 del 3-3-1999 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente:, dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI giudice, prof. Francesco GUIZZI;
 prof. Cesare MIRABELLI;  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO;  avv.  Massimo
 VARI;  dott.  Cesare  RUPERTO;  dott. Riccardo CHIEPPA; prof. Valerio
 ONIDA; prof. Carlo MEZZANOTTE;  avv.  Fernanda  CONTRI;  prof.  Guido
 NEPPI MODONA; prof. Piero Alberto CAPOTOSTI; prof. Annibale MARINI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge
 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e  miglioramento  dei
 trattamenti  di  pensione  della  previdenza  sociale),  promosso con
 ordinanza emessa il 28 maggio 1997 dal pretore di Parma  sul  ricorso
 proposto  da Mezzi Gaia contro l'INPS iscritta al n. 531 del registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto l'atto di costituzione dell'INPS;
   Udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1999 il giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
   Udito l'avvocato Carlo De Angelis per l'INPS.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Nel  corso  di  una  controversia  in  materia  previdenziale
 promossa  per il riconoscimento del diritto alla quota di pensione di
 riversibilita' per una figlia convivente, studentessa  universitaria,
 il  pretore di Parma, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 22 della legge  21
 luglio  1965,  n.  903  (Avviamento  alla riforma e miglioramento dei
 trattamenti di pensione della  previdenza  sociale),  in  riferimento
 agli artt.  3, 4, 34, 35, 36 e 38 della Costituzione.
    Osserva  il  giudice a quo che la figlia della ricorrente, durante
 il periodo quadriennale nel quale era regolarmente iscritta al  corso
 di  laurea  in  lettere  e filosofia, aveva svolto per un giorno alla
 settimana un'attivita' lavorativa, percependo  un  reddito  netto  di
 circa   duecentocinquantamila  lire  mensili.  In  conseguenza  della
 titolarita' di tale reddito l'INPS non aveva erogato la quota del  20
 per  cento della pensione di riversibilita' spettante alla giovane in
 conseguenza della morte del padre, poiche' la  norma  impugnata  pone
 come  condizioni  per  il godimento di tale prestazione previdenziale
 l'essere a carico del genitore al momento del decesso  e  la  mancata
 prestazione di un lavoro retribuito.
   Ad  avviso  del  rimettente  la norma impugnata non consente alcuna
 interpretazione diversa da quella che porterebbe, nel caso specifico,
 al rigetto del ricorso; tale interpretazione,  pero',  confligge  con
 gli  evocati parametri costituzionali. La rigidita' della previsione,
 infatti,  non  consentendo  alcun  margine   di   prova   in   ordine
 all'effettiva  consistenza  del  reddito  di cui si dispone, viola il
 principio di eguaglianza, perche' discrimina i possessori di  reddito
 da  lavoro  rispetto  ai titolari di redditi diversi (per esempio, da
 patrimonio), ostacola il diritto agli studi, lede gli artt.  4  e  35
 della  Costituzione,  perche'  finisce  col  negare  agli studenti il
 diritto al lavoro,  e  viola  anche  l'art.  38  della  Costituzione,
 perche'  non  tutela adeguatamente i superstiti che non sono in grado
 di procurarsi i mezzi necessari per mantenersi.
   Il   Pretore,   quindi,   ha   chiesto   che    venga    dichiarata
 l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  in esame, quanto meno
 nella parte in cui non consente di dimostrare che la  percezione  del
 reddito  non  ostacola,  in  realta',  l'effettivo  adempimento degli
 obblighi di studio.
   2.  -  Nel  giudizio  davanti  a  questa  Corte  si  e'  costituito
 l'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale,  chiedendo  che la
 questione venga dichiarata non fondata.
   L'ente  previdenziale  ha  osservato,  a  sostegno  delle   proprie
 conclusioni,  che  una  questione  identica  a quella odierna e' gia'
 stata dichiarata inammissibile con la sentenza n. 926  del  1988;  in
 quell'occasione  si disse che la determinazione dei limiti di reddito
 idonei a far venire meno lo stato di bisogno  deve  essere  stabilita
 dal   legislatore,   e   una   simile   motivazione   puo'  adattarsi
 perfettamente anche nella sede attuale.
   In  prossimita'  dell'udienza  l'INPS  ha  depositato  una  memoria
 modificando,   almeno   in   parte,   le  conclusioni  in  precedenza
 rassegnate.
   Osserva l'ente previdenziale che la norma impugnata  richiede,  per
 il   riconoscimento   del   diritto   alla   quota   di  pensione  di
 riversibilita', la sussistenza di due requisiti, ossia  quello  della
 vivenza a carico e quello della mancanza di un lavoro retribuito. Nel
 caso  specifico  e' necessario interpretare il senso dell'espressione
 "lavoro retribuito" utilizzata dal legislatore,  e  cio'  anche  alla
 luce della sentenza n. 406 del 1994 di questa Corte, secondo la quale
 il  diritto  alla pensione si collega all'impossibilita' per l'orfano
 di procurarsi un reddito in conseguenza della propria dedizione  agli
 studi.  E'  evidente, quindi, che il riferimento al lavoro retribuito
 non  puo'  che  rivolgersi  ad  una  normale  prestazione  stabile  e
 duratura,  dovendosi  invece ritenere esclusa un'attivita' lavorativa
 saltuaria e precaria, che non pregiudica il compimento degli studi.
   Ne  consegue  che la norma impugnata, ove interpretata in tal modo,
 si sottrae alle lamentate censure di illegittimita' costituzionale.
                         Considerato in diritto
   1. - Il pretore di Parma dubita che l'art. 22, terzo  comma,  della
 legge  21 luglio 1965, n. 903 (che ha modificato l'art. 13 del r.d.l.
 14 aprile 1939, n. 636, in precedenza  gia'  modificato  dall'art.  2
 della  legge  4  aprile  1952,  n.  218),  nel  prevedere per i figli
 infraventiseienni iscritti all'universita' il diritto alla  quota  di
 pensione di riversibilita' del genitore defunto subordinatamente alla
 mancanza di una lavoro retribuito (oltre al requisito della vivenza a
 carico),  sia  in contrasto con gli artt. 3, 4, 34, 35, 36 e 38 della
 Costituzione, e cio' in quanto sarebbero violati:
     1) i principi di eguaglianza  e  di  ragionevolezza,  perche'  si
 discriminano  i  possessori di reddito da lavoro rispetto ai titolari
 di redditi diversi (art. 3 della Costituzione);
     2) il diritto agli studi (art. 34 della Costituzione);
     3) il diritto al lavoro (artt. 4 e 35 della Costituzione);
     4) gli artt. 36 e 38  della  Costituzione,  perche'  non  vengono
 tutelati  adeguatamente  i  superstiti  che  non  sono  in  grado  di
 procurarsi i mezzi necessari per vivere, ed  ai  genitori  non  viene
 consentito  di provvedere al mantenimento dei propri figli anche dopo
 la morte.
   2. - La questione non e' fondata,  seguendo  l'interpretazione  che
 verra' ora precisata.
   La  norma sottoposta allo scrutinio di legittimita' costituzionale,
 nel fissare i requisiti per il godimento della quota di  pensione  di
 riversibilita'  (che  spetta  ai figli inabili di qualunque eta') per
 gli altri orfani  dediti  agli  studi,  stabilisce  che  il  relativo
 diritto,  normalmente  destinato  a  venir meno con il raggiungimento
 della maggiore  eta',  si  puo'  prolungare  fino  al  ventunesimo  o
 ventiseiesimo  anno del figlio in caso di frequenza, rispettivamente,
 di  una  scuola  media  professionale  o  dell'universita'.  Ma  tale
 prolungamento  e'  soggetto  a  due condizioni: l'essere a carico del
 genitore al momento del decesso di questi e la mancata prestazione di
 un "lavoro retribuito".   La  doglianza  del  giudice  rimettente  si
 appunta  su  quest'ultimo  requisito, prospettandosi l'illegittimita'
 costituzionale  dell'automatica  esclusione  del  diritto  anche   in
 presenza di un reddito di lavoro in ipotesi assai modesto.
   3.  -  Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi in piu' occasioni
 su questioni che, pur  non  del  tutto  coincidenti,  riguardavano  i
 rapporti  tra  diritto  alla  quota  di  pensione di riversibilita' e
 titolarita' di redditi da parte degli orfani.
   Gia' con la sentenza n. 145 del 1987, relativa ai figli maggiorenni
 inabili al lavoro ed al particolare regime dei  dipendenti  ENASARCO,
 si    osservava    l'intrinseca    irrazionalita'   derivante   dalla
 "inesorabile" esclusione della pensione di riversibilita' per la mera
 titolarita', da parte dell'orfano, di un reddito anche  "nummo  uno",
 poiche'  la  generalizzazione di tale inevitabile collegamento finiva
 col  rendere  inoperante  la  funzione  stessa  della   pensione   di
 riversibilita',  che  e'  quella  di dare garanzia di continuita' nel
 sostentamento dei figli dopo la morte del genitore  che  era  onerato
 del  loro  mantenimento.    "Una  volta  esclusa  (soggiungeva quella
 pronuncia di illegittimita'  costituzionale)  l'operativita'  di  una
 condizione  negativa  cosi'  in antitesi con i piu' elementari canoni
 dell'equita'  e  della  logica,   l'eventuale   indicazione   di   un
 particolare  limite  reddituale  non  rientra  nei  poteri  di questa
 Corte", ma spetta agli interpreti o al legislatore.
   Riallacciandosi a quest'ultimo rilievo, la successiva  sentenza  n.
 926  del  1988  -  nella  quale  era  in  esame  la stessa norma oggi
 impugnata - pur di  fronte  all'esigenza  di  doverosa  tutela  della
 situazione  degli  orfani  studenti, perveniva ad una declaratoria di
 inammissibilita', osservando che "la determinazione, in via generale,
 dei limiti  di  reddito  derivanti  dal  lavoro  che  possono  essere
 ritenuti  tali  da  far  venire  meno  lo  stato di bisogno spetta al
 legislatore, cosi' come l'effettuazione delle possibili scelte"; e lo
 stesso dicasi per "la determinazione dei limiti di cumulabilita'  del
 trattamento pensionistico, specie di riversibilita', con i redditi di
 lavoro o assimilati".
   Chiamata  a  decidere,  dopo  cinque anni, un'analoga questione sul
 regime  pensionistico  dell'ENASARCO,  la  Corte,  riportandosi  alle
 citate  pronunce  e  rimeditando  sugli effetti della rigidita' della
 norma e dell'inerzia del legislatore, con la successiva  sentenza  n.
 274  del  1993,  ha evidenziato il parallelismo esistente tra i figli
 maggiorenni inabili ed i figli maggiorenni che, a causa della propria
 dedizione agli studi universitari, sono impossibilitati a  procurarsi
 un  reddito  proprio. Per questa considerazione e per la riconosciuta
 necessita' di un'adeguata tutela degli orfani nel loro  diritto  allo
 studio,  la  Corte  e'  pervenuta alla declaratoria di illegittimita'
 costituzionale del combinato disposto del terzo e del settimo  comma,
 n.  3, dell'art.   20 della legge 2 febbraio 1973, n. 12 "nella parte
 in cui prevede la perdita del diritto alla pensione di riversibilita'
 per i figli maggiorenni infraventiseienni che  frequentino  scuole  o
 universita',  quando  a  qualsiasi titolo abbiano un reddito proprio,
 anziche' prevedere che dalla pensione di riversibilita' sia decurtata
 la misura di tale reddito proprio".
   4. - Rispetto alle predette sentenze, la questione oggi in esame si
 pone in linea di  continuita',  poiche'  denuncia  -  per  il  regime
 generale   dell'assicurazione   obbligatoria  per  l'invalidita',  la
 vecchiaia ed i superstiti - un problema simile a quello a  suo  tempo
 affrontato.
   Ritiene tuttavia questa Corte che i precedenti sopra richiamati non
 siano  in  grado  di  offrire, pur nella loro fondamentale importanza
 (per la ratio da cui sono animati e per  le  prospettate  soluzioni),
 una risposta del tutto appagante in ordine ai principi costituzionali
 invocati dall'ordinanza di rimessione.
   Nella  stessa  ottica,  la difesa dell'Istituto costituito, traendo
 spunto dai rilievi contenuti nella sentenza n. 406 del 1994 di questa
 Corte, premesso che il diritto dei predetti studenti ad una quota  di
 pensione  si collega essenzialmente all'impossibilita' per gli orfani
 a carico di  procurarsi  un  reddito  in  conseguenza  della  propria
 dedizione  agli studi, osserva che il riferimento alla prestazione di
 un indistinto "lavoro retribuito" - come motivo di  esclusione  della
 quota   di  pensione  -  non  puo'  riguardare  attivita'  lavorative
 precarie,  saltuarie  e  con  minimo  reddito,  ma  solo  le  normali
 prestazioni durature e con adeguata retribuzione.
   Anche  sulla  base  di  tali  deduzioni,  si  ritiene di dover fare
 propria  una  interpretazione  della  norma  in  grado  di  dare  una
 soluzione maggiormente equilibrata rispetto agli interessi in gioco.
   5.  - In realta' la questione sollevata dal giudice a quo muove dal
 presupposto  erroneo  che  l'espressione   "lavoro   retribuito"   si
 riferisca  ad  ogni  prestazione  di  lavoro  ed  a  retribuzioni  di
 qualsiasi misura. Nella societa' odierna, com'e' noto, nella quale  i
 giovani studenti sono spinti dalle piu' diverse motivazioni a cercare
 di  accostarsi  al  mondo del lavoro fin dagli anni dell'universita',
 non  mancano  situazioni,  come  quella   prospettata   dal   giudice
 rimettente,  nelle quali viene svolta un'attivita' di modesto rilievo
 e di esigua remunerazione.
   Pertanto, qualora si versi in una situazione del genere (che dovra'
 essere di volta in volta valutata in concreto), la percezione  di  un
 piccolo reddito per attivita' lavorative, pur venendo a migliorare la
 situazione   economica   dell'orfano,  non  gli  fa  perdere  la  sua
 prevalente qualifica di studente; sicche' la  totale  eliminazione  o
 anche   la   semplice   decurtazione   della  quota  di  pensione  di
 riversibilita' si risolverebbe in una sostanziale lesione del diritto
 allo studio con deteriore trattamento dello  studente,  in  contrasto
 coi principi di cui agli artt. 3, 4, 34 e 35 della Costituzione.
   Cosi' interpretata, la norma e' immune dalle lamentate censure.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  22 della legge 21 luglio
 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti
 di pensione della previdenza sociale), sollevata, in riferimento agli
 artt. 3, 4, 34, 35, 36 e 38 della Costituzione, dal pretore di  Parma
 con l'ordinanza di cui in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1999.
                        Il Presidente: Granata
                        Il redattore: Santosuosso
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 25 febbraio 1999.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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