N. 183 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 giugno 1998- 12 marzo 1999

                                N.  183
  Ordinanza  emessa  il  26  giugno   1998   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale   il  12  marzo  1999)  dal  tribunale  amministrativo
 regionale della Sicilia sul ricorso proposto da  Crupi  Paolo  contro
 Soprintendenza ai Beni culturali ed ambientali di Palermo ed altro.
 Edilizia e urbanistica - Regione siciliana - Concessioni in sanatoria
    subordinate  al  nulla  osta  degli enti di tutela nell'ipotesi di
    vincolo  posto  antecedentemente  all'esecuzione  delle  opere   -
    Previsione  con norma autoqualificata interpretativa, ma di natura
    innovativa, della necessita' del  nulla  osta  anche  per  vincoli
    apposti   successivamente  all'ultimazione  dell'opera  abusiva  -
    Violazione  del  principio  della  irretroattivita'  della   legge
    nonche'  del  principio  della  soggezione  dei  giudici solo alla
    legge.
 (Legge regione siciliana 31 maggio 1994, n. 17, art. 5, comma 3).
 (Cost., art. 101, comma 2).
(GU n.14 del 7-4-1999 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza  sul  ricorso  n.  187-78/1992
 proposto  dal  Crupi  Paolo,  elettivamente  domiciliato  in Palermo,
 piazza Amendola n.  43,  presso  lo  studio  dell'avv.  T.  Raimondo,
 rappresentato  e  difeso  dall'avv. Franco Lupo per mandato a margine
 del ricorso;
   Contro  la  Soprintendenza  ai  Beni  culturali  ed  ambientali  di
 Palermo,  in  persona  del soprintendente pro-tempore rappresentato e
 difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo,
 domiciliataria; ed il comune  di  Isnello,  in  persona  del  sindaco
 pro-tempore,  elettivamente domiciliato in Palermo, via Sammartino n.
 55, presso lo studio dell'avv.  Salvatore Sangiorgi Paratore, che  lo
 rappresenta  e  difende  per  mandato  a  margine  della  memoria  di
 costituzione; per l'annullamento  del  parere  parzialmente  negativo
 espresso  dalla  Soprintendenza  ai  Beni  culturali ed ambientali di
 Palermo in ordine  alla  istanza  di  sanatoria  di  un  edificio  in
 territorio  del comune di Isnello; dell'ingiunzione di demolizione n.
 31/91 del 22 novembre 1991 del sindaco di Isnello;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l'atto di  costituzione  in  giudizio  dell'avvocatura  dello
 Stato   per  l'Amministrazione  regionale  intimata  e  dell'avv.  S.
 Sangiorgi Paratore per l'Amministrazione comunale;
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno  delle  rispettive
 difese;
   Designato  relatore  alla  pubblica  udienza  del 26 giugno 1998 il
 consigliere Cosimo Di Paola;
   Uditi l'avv. F. Lupo per  il  ricorrente,  l'avvocato  dello  Stato
 Nicola Maisano per l'Amministrazione regionale e l'avv. A. Sangiorgi,
 in sostituzione dell'avv. S. Sangiorgi Paratore per l'Amministrazione
 comunale intimata;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con  ricorso  notificato  l'11-13  gennaio  1992,  e  depositato il
 successivo 16 gennaio, il ricorrente esponeva di essere  proprietario
 di  un  edificio  nel  comune di Isnello, realizzato in assenza della
 concessione edile in epoca anteriore alla pubblicazione  del  decreto
 assessoriale di imposizione del vincolo paesaggistico sull'area, e di
 aver proposto per lo stesso istanza di condono edilizio; impugnava il
 parere  parzialmente  negativo reso dalla Soprintendenza di Palermo e
 l'ordinanza di demolizione adottata in conseguenza  dal  sindaco  del
 comune di Isnello. Deduceva le seguenti censure:
     1)  violazione  e  falsa applicazione degli artt. 23 e 26 l.r. n.
 37/1985; eccesso di potere per irrazionalita' manifesta.
   La circostanza della sopravvenienza del vincolo rispetto  all'epoca
 di  realizzazione  dell'opera  abusiva ne consentirebbe la sanatoria,
 indipendentemente dal vincolo stesso;
     2) eccesso di potere per travisamento del  fatto,  illogicita'  e
 contraddittorieta'.
   La  Soprintendenza  non  poteva  negare  il  parere  favorevole  in
 relazione alla situazione della  zona,  ove  sorgono  numerosi  altri
 edifici di ben maggiore volumetria rispetto a quello del ricorrente.
     3) illegittimita' derivata.
   Dalla  illegittimita'  del  parere  negativo  della  Soprintendenza
 discende quella dell'ordinanza sindacale.
     4) violazione e falsa applicazione dell'art. 35, legge n. 47/1985
 (nel testo di cui all'art. 26, l.r. n. 37/1985) in combinato disposto
 con gli artt. 38 e 44 della stessa legge.
   L'Amministrazione  comunale  non  poteva  comunque  adottare  alcun
 provvedimento  sanzionatorio  senza  aver prima esitato la istanza di
 condono.
   Resisteva l'Amministrazione regionale la quale esponeva che sin dal
 1985  il  ricorrente  era  stato  destinatario  di  provvedimenti  di
 sospensione   dei   lavori   da  parte  del  comune  e  della  stessa
 Soprintendenza  e  deduce   comunque   la   rilevanza   del   vincolo
 paesaggistico,   se   pure   imposto  successivamente  alla  data  di
 realizzazione delle opere, e comunque la correttezza del parere  reso
 sull'istanza di condono.
   Si   costituiva   altresi'   il   comune   di   Isnello   deducendo
 l'infondatezza del gravame.
   Alla  camera  di  consiglio  del  27  febbraio  1992  l'istanza  di
 sospensione del provvedimento impugnato veniva accolta.
   Con  decisione  interlocutoria  n.  426/93 del 5 maggio 1993 veniva
 disposta l'acquisizione  di  atti  ritenuti  necessari  ai  fini  del
 decidere.
   Con  memoria  depositata  il  14  febbraio  1998 il procuratore del
 ricorrente  eccepiva  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
 comma  3,  della  l.r.  31  maggio  1994,  n. 17 - di interpretazione
 autentica dell'art.  23, comma 10, della l.r. 10 agosto 1985, n. 37 -
 per contrasto con l'art. 3 della Costituzione,  in  riferimento  agli
 artt. 9, comma 2, 42, 116 e 117 della Costituzione.
   Alla  pubblica udienza del 26 giugno 1998 i procuratori delle parti
 chiedevano porsi il ricorso in decisione, insistendo nelle rispettive
 conclusioni.
                             D i r i t t o
   1. - Col primo motivo di  censura  si  deduce  violazione  e  falsa
 applicazione  degli artt. 23 e 26 della l.r. 10 agosto 1985, n. 37 ed
 eccesso di potere per irrazionalita' manifesta.
   Si sostiene che sarebbe suscettibile di  sanatoria  l'immobile  del
 ricorrente,  poiche'  all'epoca  in  cui  fu realizzato non era stato
 ancora imposto il  vincolo  paesaggistico  nella  zona  in  cui  esso
 insiste.
   Deve  osservarsi,  al  riguardo, che il comma 10 del citato art. 23
 dispone "Per le costruzioni che ricadono in zone vincolate  da  leggi
 statali  e  regionali  per la tutela di interessi storici, artistici,
 architettonici,  archeologici,  paesistici  ...,  le  concessioni  in
 sanatoria  sono  subordinate  al  nulla-osta rilasciato dagli enti di
 tutela sempre che il vincolo  posto  antecedentemento  all'esecuzione
 delle  opere,  non  comporti  inedificabilita'  e  le costruzioni non
 costituiscano grave pregiudizio per la tutela medesima".
   Nelle more del giudizio e' intervenuta la l.r. 31 maggio  1994,  n.
 17,  che  all'art. 5, comma 3, ha dettato l'interpretazione autentica
 della surriferita norma, stabilendo che "Il nulla-osta dell'autorita'
 preposta alla  gestione  del  vincolo  e'  richiesto,  ai  fin  della
 concessione  in  sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto
 successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva".
   Tale nuova disposizione toglie ogni pregio giuridico  alla  censura
 in  esame,  dal  momento  che  diviene  irrilevante,  ai  fini  della
 sanatoria edilizia, l'addotta circostanza  (sufficientemente  provata
 in  atti)  circa  l'avvenuta  esecuzione del fabbricato abusivo prima
 dell'apposizione del vincolo paesaggistico in questione  (il  vincolo
 e'  stato  apposto con D.A. 17 maggio 1989, pubblicato nella G.U.R.S.
 n. 42 del 2 settembre 1989,  l'immobile  abusivo  risultava  eseguito
 alla data del 3 maggio 1985 - v. verb. polizia municipale in atti).
   Consapevole  di  cio',  il  difensore  del  ricorrente ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale  della  sopravvenuta  norma,
 per  violazione  dell'art.  3 della Costituzione, in riferimento agli
 artt. 9, comma 2, 42, 116 e 117 della Costituzione.
   La questione e' rilevante e non manifestamente infondata, non pero'
 sotto i citati  profili,  bensi'  -  come  avanti  si  vedra'  -  con
 riferimento   al  parametro  costituzionale  rilevato  d'ufficio  dal
 collegio.
   2. - La rilevanza della questione discende dal fatto che i restanti
 motivi di censura dedotti sono infondati.
   2.1. - Col secondo di essi, invero,  viene  denunciato  eccesso  di
 potere  per  travisamento  del  fatto, per violazione dei precetti di
 logica e per contraddittorieta'.
   Il  fabbricato  del  Crupi,  diversamente  da  quanto  afferma   la
 Soprintendenza,  non  arrecherebbe disturbo alla veduta del paesaggio
 naturale, in quanto ubicato alla periferia del paese e sovrastato  da
 "un enorme edificio scolastico...".
   La  Soprintendenza,  viceversa,  ha  formulato un giudizio estetico
 negativo del fabbricato (costituito da ben cinque piani  n.d.e.)  nei
 seguenti  inequivoci  termini  "la  composizione  della vallata viene
 brutalmente offesa dal fabbricato in  oggetto  ...  realizzato  senza
 tenere  conto  delle  tipologie  costruttive  dei dintorni, apparendo
 completamente estraneo alle locali tradizioni".
   Orbene,  tale  valutazione  "costituisce  tipica   espressione   di
 discrezionalita' tecnica che, secondo pacifica giurisprudenza, non e'
 sindacabile  in  sede  di  giudizio  di legittimita', se non sotto il
 profilo della manifesta arbitrarieta'. Il  che  non  risulta  affatto
 dimostrato nel caso in esame.
   2.2. - Il terzo motivo di gravame va senz'altro disatteso.
   Siccome  non  sussiste  -  come  si  e' appena visto - la lamentata
 illegittimita' del parere negativo  della  Soprintendenza,  non  puo'
 inferirsene   l'illegittimita'   derivata  dell'impugnato  ordine  di
 demolizione.
   2.3. - Il quarto motivo, infine, con cui  si  deduce  violazione  e
 falsa applicazione degli artt. 35, 38 e 44 della legge n. 47/1985, e'
 anch'esso infondato.
   Il  ricorrente  invoca  l'indirizzo  giurisprudenziale  secondo cui
 qualora sia pendente domanda di sanatoria   edilizia, il  sindaco  ha
 l'obbligo  di  una  specifica  pronuncia  su di essa, senza che possa
 frattanto adottare alcun provvedimento  sanzionatorio  a  carico  del
 commesso  abuso  edilizio (cfr., fra le tante, Cons. Stato, V Sez., 7
 novembre 1990, n. 770, V Sez., 26 giugno 1992,  n.  581,  e  Csi.  28
 febbraio 1995, n. 58).
   Siffatta  giurisprudenza,  tuttavia,  non  puo' essere invocata nel
 caso in esame.
   L'impugnata ordinanza di demolizione, invero, non  attiene  ad  una
 autonoma  determinazione  del  sindaco  -  che  in  tal  caso sarebbe
 risultata adottata in spregio al dovere di previamente decidere sulla
 richiesta di sanatoria - bensi' si configura  come  un  provvedimento
 dovuto,   conseguenziale   al   parere   negativo  ed  alla  parziale
 demolizione del fabbricato, disposti dalla  Soprintendenza.  Il  che,
 peraltro,   chiaramente   si  evince  dalle  premesse  dell'ordinanza
 medesima.
   Si consideri, d'altra parte,  che  la  disposizione  dell'art.  44,
 legge n. 47/85, secondo cui in attesa della definizione delle domande
 di  condono  per  gli abusi edilizi consumati sono sospesi i relativi
 provvedimenti  amministrativi  sanzionatori,  non  si  riferisce   ai
 procedimenti  concernenti gli illeciti paesistici ed alla irrogazione
 ed applicazione delle relative sanzioni, in quanto tali illeciti  non
 sono  presi  in  considerazione  dalla  citata  legge  n. 47/1985 per
 disporre la sanatoria, ma solo per configurarli come  cause  ostative
 della  sanatoria del diverso illecito edilizio (Cons. Stato, Sez. VI,
 31 maggio 1990, n. 551).
   Ed ancora,  si  tenga  conto  del  fatto  che  rientra  nei  poteri
 dell'Amministrazione   competente,   oltre  che  del  giudice  adito,
 verificare  l'astratta  riconducibilita'  dell'opera  oggetto   della
 domanda di condono tra quelle suscettibili di sanatoria, escludendosi
 ogni   conseguente  automaticita'  dell'effetto  sospensivo  previsto
 dall'art. 44 sopra citato, in relazione ad opere edilizie  certamente
 non sanabili (Cons. Stato Seze V, 4 ottobre 1994, n. 1100).
   Dal che discende, quale ulteriore corollario, che il sindaco non e'
 tenuto  a  pronunciarsi  sulla domanda di condono qualora, come nella
 specie, risulti evidente la non sanabilita' delle  opere,  stante  il
 parere negativo espresso al riguardo dalla Soprintendenza.
   I  motivi  di  gravame dedotti sono dunque tutti infondati, sicche'
 dall'esito del giudizio della Corte costituzionale - sulla  questione
 di  illegittimita'  costituzionale  (come  appresso  individuata  dal
 collegio) - consegue l'accoglimento o la reiezione del ricorso.
   Donde la rilevanza della questione medesima.
   3. - Circa la non manifesta infondatezza della questione si  rileva
 quanto segue.
   3.1. - Il ricorrente denuncia l'illegittimita' costituzionale della
 norma in questione per contrasto:
     con  l'art. 3 della Costituzione in riferimento all'art. 9, comma
 2, e all'art. 42  della Costituzione, in quanto essa darebbe luogo ad
 una  "irragionevole  equiparazione  di  situazioni   non   omogenee":
 sarebbero  trattati  allo stesso modo, il proprietario che edifica in
 violazione dell'art. 7, legge n. 1497/1939, quando cioe' gia'  esiste
 un  vincolo  paesaggistico,  e  colui che invece fabbrica sul proprio
 fondo, prima dell'apposizione del regime vincolistico;
     con l'art. 3 in  relazione  all'art.  9,  comma  2,  e  42  della
 Costituzione   e   con   riferimento  agli  artt.  116  e  117  della
 Costituzione, "sotto il profilo della  disuguaglianza  manifesta  fra
 casi   eguali"  la  sanabilita'  delle  opere  potrebbe  in  concreto
 dipendere,   nell'ipotesi   di   vincolo   imposto    successivamente
 all'edificazione   di   esse,   dalla   sollecitudine   con   cui  le
 amministrazioni definiscono le istanze di condono;
     con  l'art.  3  della Costituzione, con riferimento agli artt. 9,
 comma 2, 42, 116, 117 della Costituzione, "sotto l'ulteriore  profilo
 dell'irragionevolezza,  dell'incoerenza  e della contraddittorieta'":
 la norma limita l'irretroattivita' dei suoi effetti  all'applicazione
 delle  sanzioni  pecuniarie discendenti dalla violazione del vincolo,
 mentre "fa retroagire  le  sanzioni  mortali  ...  quelle  di  natura
 ripristinatoria".
   Cosi'  prospettata,  la  questione di illegittimita' costituzionale
 deve ritenersi manifestamente infondata.
   Ed invero, tutti e tre i profili di censura  suddetti  mostrano  di
 ignorare quale e' l'effettiva ratio della norma in esame.
   Questa,  nel  subordinare  nal parere dell'Amministrazione preposta
 alla tutela del vincolo l'esito della domanda di sanatoria  edilizia,
 indubbiamente  persegue  la  finalita'  di  consentire la valutazione
 della situazione edilizia - per la quale e' stata proposta domanda di
 sanatoria - allo scopo di accertare  se  la  costruzione  stessa,  (a
 prescindere  che  sia)  precedente  o  successiva all'imposizione del
 vincolo, non comprometta in maniera definitiva valori  corrispondenti
 ad  interessi  pubblici primari - culturali, ambientali o (come nella
 specie) paesaggistici - tutelati dal regime vincolistico.
   La norma realizza, all'evidenza, una sorta di  difesa  avanzata,  e
 quindi  piu'  incisiva  ed efficace, dell'ambiente, in quelle zone di
 particolare  pregio  estetico,  meritevoli,  come  tali   di   essere
 salvaguardate da possibili interventi edilizi pregiudizievoli, tenuto
 soprattutto    conto    della   notoria   diffusione   del   fenomeno
 dell'abusivismo edilizio in Sicilia.
   Valutata in tale ottica, la norma regionale in esame  non  esorbita
 dall'ambito  della  discrezionalita'  riservata  al legislatore ed e'
 certamente rispettosa del principio di uguaglianza  e  ragionevolezza
 di cui all'art. 3 della Costituzione.
   3.2.  -  Ritiene piuttosto il collegio che l'art. 5, comma 3, della
 l.r. 31 maggio 1994, n. 17, pur qualificandosi norma  interpretativa,
 incide  profondamente  sul  dato  testuale  della norma interpretata,
 ampliandone l'ambito temporale di operativita',  con  la  conseguenza
 che,  per  la  sua  natura interpretativa, in realta' solo apparente,
 vincola l'interpretazione del giudice, incompatibilmente  con  l'art.
 101, secondo comma, della Costituzione.
   Ed invero, secondo una costante giurisprudenza costituzionale (cfr.
 da  ultimo,  le  sent.ze  n.  233  del  1988  e  n. 155 del 1990 ) va
 riconosciuto carattere interpretativo soltanto a  quelle  leggi  o  a
 quelle   disposizioni   che,   riferendosi  e  saldandosi  con  altre
 disposizioni (quelle interpretate), intervengono  esclusivamente  sul
 significato  normativo  di  queste ultime (senza percio' intaccarne o
 integrarne il dato testuale), chiarendone o esplicitandone  il  senso
 (ove  considerato  oscuro) ovvero escludendone o enucleandone uno dei
 sensi  ritenuti  possibili,  al  fine,  in  ogni  caso,  di   imporre
 all'interprete    un    determinato   significato   normativo   della
 disposizione interpretata.
   La  norma  suddetta,  viceversa,  anziche'  desumere,  enucleare  o
 escludere  un  qualche  significato  gia'  insito  nella disposizione
 "interpretata", interviene sul  testo  legislativo,  aggiungendo  una
 diversa disposizione.
   Ed invero, mentre l'art. 23, comma 10, l.r. 10 agosto 1985, n.  37,
 prevedeva  che  ...  "le concessioni in sanatoria sono subordinate al
 nulla-osta rilasciato dagli enti di tutela  sempre  che  il  vincolo,
 posto  antecedentemente  all'esecuzione  delle  opere  ...", la norma
 "interpretativa"  in  esame  stabilisce  invece  che  "Il  nulla-osta
 dell'autorita'  preposta  alla  gestione del vincolo e' richiesto, ai
 fini della concessione in sanatoria,  anche  quando  il  vincolo  sia
 stato apposto successivamente all'ultimazione dell'opera abusiva".
   Si  tratta  di una innovazione che incide in modo sostanziale sulla
 precedente disciplina normativa,  poiche'  introduce  una  previsione
 certamente  non  desumibile dal testo "interpretato", nel quale si fa
 espresso riferimento alla preesistenza  del  vincolo:  il  nulla-osta
 agli  enti  di  tutela  va  richiesto,  qualora  il vincolo sia stato
 apposto in epoca antecedente all'esecuzione del fabbricato da sanare.
   In  tal  modo,  l'originaria  norma   regionale   faceva   corretta
 applicazione  di un principio generale del nostro ordinamento, quello
 cioe' della irretroattivita' (art.  11  preleggi)  che,  se  pur  non
 elevato,  fuori della materia penale, a dignita' costituzionale (art.
 25, secondo comma, della Costituzione), rappresenta  pur  sempre  una
 regola  essenziale  del  sistema  a  cui,  salva  una effettiva causa
 giustificatrice, il legislatore deve  ragionevolmente  attenersi,  in
 quanto  la  certezza  dei  rapporti preteriti costituisce un indubbio
 cardine della civile convivenza e della tranquillita'  dei  cittadini
 (cfr. sent. Corte costituzione n. 155/90 cit.).
   Si  sarebbe  potuto  considerare  effettivamente  interpretativa la
 norma in questione nel caso in cui si fosse  ad  esempio  limitata  a
 chiarire   che   nell'espressione   "vincolo  posto  antecedentemente
 all'esecuzione delle opere", quest'ultima  locuzione  avrebbe  dovuto
 intendersi come "ultimazione dell'opera abusiva".
   Essa  invece  ha  attribuito  al  regime vincolistico una efficacia
 temporale retroattiva: il nulla-osta agli enti di tutela deve  essere
 richiesto  "anche quando il vincolo sia stato apposto successivamente
 all'ultimazione nell'opera abusiva".
   Con cio' il legislatore regionale ha  mirato  a  conseguire  quella
 piu'  incisiva  difesa  dell'ambiente,  di  cui  si  e'  detto sopra,
 esorbitando pero', in modo palese, dall'ambito di una interpretazione
 autentica della norma.
   Alla luce di quanto sopra esposto,  l'art.  5,  comma  3,  l.r.  31
 maggio  1994,  n.  17,  appare  in  contrasto  con  l'art.  101 della
 Costituzione.   Sicche',  attesa  la  rilevanza  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale,  ai fini della decisione del ricorso in
 epigrafe,  deve  disporsi  la  sospensione  del  presente   giudizio,
 rimettendo  gli  atti  alla  Corte  costituzionale per la risoluzione
 della questione  medesima,  cosi'  come  e'  previsto  dall'art.  23,
 secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87.
                               P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  per la definizione del presente giudizio e non
 manifestamente  infondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
 questione  di  costituzionalita' dell'art. 5, comma 3, l.r. 31 maggio
 1994, n.   17, per violazione  dell'art.  101,  secondo  comma  della
 Costituzione;
   Sospende  il  giudizio in corso e ordina la trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale;
   Ordina  alla  segreteria  di  provvedere  alla  notificazione della
 presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente dei Consiglio
 dei Ministri ed alla comunicazione della stessa ai  Presidenti  delle
 due Camere del Parlamento.
     Cosi'  deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 26 giugno
 1998.
                       Il presidente: Castiglione
                                   Il consigliere estensore:  Di Paola
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